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ANIMAL SPIRITS E CICLO ECONOMICO: UN'ANALISI COMPORTAMENTALE

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INDICE

Introduzione...3

Capitolo 1 – Gli Animal Spirits da Keynes a oggi………...6

1.1 Cenni sul pensiero keynesiano………..6

1.2 La Teoria Generale……….9

1.2.1 Caratteristiche, termini e concetti del metodo della Teoria Generale………….9

1.2.2 Lo schema keynesiano………...13

1.2.3 Psicologia, incertezza e animal spirits nella Teoria Generale………...21

1.3 I post-keynesiani...23

1.4 Dalla Finanza Tradizionale alla Finanza Comportamentale………...25

1.4.1 Cenni sul modello tradizionale e la sua crisi……….25

1.4.2 La Teoria della Finanza Comportamentale………...31

1.4.2.1 Storia………..31

1.4.2.2 Definizioni e relazione con altre discipline………...32

1.4.2.3 Le critiche alla Teoria dell’Utilità Attesa e la Prospect Theory...34

1.5 Gli Animal Spirits di oggi in Akerlof-Shiller……….39

1.6 Conclusioni………43

Capitolo 2 – Ciclo Economico e Animal Spirits………...44

2.1 Le fluttuazioni cicliche………..44

2.1.1. Definizione di ciclo economico……….44

2.1.2. Le quattro fasi del ciclo economico e andamento dei fattori macroeconomici.46 2.1.3. Teorie del ciclo economico: teorie esogene e teorie endogene……….49

2.2 Animal Spirits e influenza nei cicli economici: due possibili spiegazioni……….53

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Capitolo 3 – Modelli Macroeconomici e Animal Spirits………..63

3.1 I modelli macroeconomici DSGE………...63

4.1.1 Il modello RBC………..66

4.1.2 Il modello Neo-Keynesiano………...69

3.2 Il modello macroeconomico comportamentale di P. De Grauwe………72

3.3 Operazioni di Politica Monetaria………...76

3.4 Conclusioni………...87

Capitolo 4 – Analisi di due bolle speculative……….88

4.1 La crisi finanziaria del 2007………88

4.1.1 Breve ricostruzione dei fatti………...88

4.1.2 L’intervento delle Autorità………91

4.1.3 Da crisi finanziaria a crisi economica reale………...93

4.1.4 Contagio internazionale……….98

4.2 Lo scoppio della bolla immobiliare: dinamiche comportamentali………102

4.3 Un cenno allo scoppio della bolla cinese del 2015………...107

4.3.1 Breve descrizione dei fatti………...107

4.3.2 Possibili cause dello scoppio delle bolla e lettura comportamentale...112

4.3.3 Situazione attuale e previsioni future………..115

4.4 Conclusioni………..117

Conclusioni………...119

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Introduzione

Con il presente elaborato si intende analizzare il tema del ciclo economico, definito generalmente come l’alternarsi di fasi di espansione e di depressione, e come gli animal spirits possono manifestarsi e influenzare l’andamento del ciclo.

Il concetto di animal spirits è stato introdotto per la prima volta da John Maynard Keynes nella sua opera “Teoria generale dell’occupazione, interesse e moneta” del 1936 e successivamente ripreso da George Akerlof e Robert Shiller nel 2009 per descrivere come funziona in realtà l’economia quando le persone sono umane, ossia possiedono quegli umanissimi animal spirits. L’obiettivo di questo elaborato è quello di analizzare da un altro punto di vista l’evolversi del sistema economico. In particolare si concentra su un’analisi comportamentale che individua quei meccanismi psicologici e sociologici, presenti nel ciclo economico, i quali creano delle dinamiche diverse da quelle previste dalla teoria tradizionale.

Il mondo economico è caratterizzato da incertezza e uno dei primi economisti a porre l’incertezza al centro della riflessione economica è stato Keynes, il quale afferma, a differenza dei classici, che l’economia non è governata solo da attori razionali condotti da una “mano invisibile” ma, ammettendo che la gran parte delle attività economiche derivano da motivazioni economiche razionali, ritiene anche che molte attività siano governate dagli animal spirits cioè motivazioni non economiche e causa principale delle fluttuazioni.

I concetti di razionalità e irrazionalità presenti nel processo decisionale sono emersi specialmente nella seconda metà del XX secolo grazie alla nascita della cosiddetta Finanza Comportamentale, un approccio interdisciplinare che fonde elementi di economia, finanza, psicologia e sociologia per capire meglio il reale funzionamento dei mercati finanziari. È proprio su questo campo di studi che Akerlof e Shiller nel 2009 decidono di analizzare il ruolo degli animal spirits in macroeconomia, concentrandosi soprattutto sulle crisi economiche del 1900 e inizio 2000.

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Inizialmente, nel capitolo 1, ci focalizziamo sul concetto di animal spirits, il cui significato si è evoluto nel tempo. Alle origini, con Keynes, rappresenta il profilo caratteriale dell’imprenditore di successo, oggi, invece, con Akerlof e Shiller, vuole mostrare il tratto tipico di ogni essere vivente che non è completamente razionale e prende le proprie scelte agendo d’istinto.

Inoltre si ritiene importante sia accennare al pensiero keynesiano e alla sua evoluzione in modo da avere chiaro un quadro generale sul pensiero di Keynes, sia accennare allo sviluppo della Finanza Comportamentale che ha permesso, grazie all’utilizzo delle scienze umane, di cogliere una visione più realistica possibile del mondo economico.

In seguito, nel capitolo 2, dopo aver introdotto la definizione di ciclo economico e aver esposto le quattro fasi del ciclo, si espone quali siano le varie teorie sul ciclo economico, sviluppatesi nel tempo che generalmente vengono suddivise in teorie esogene e teorie endogene. Le prime nascono dalla convizione che le fluttuazioni economiche siano dovute a fattori esterni dell’economia (gli shocks) o fattori extra-economici (ad esempio i fattori climatici); mentre le seconde attribuiscono le fluttuazioni cicliche a cause interne al sistema economico.

Si esaminano poi due possibili spiegazioni sull’influenza degli animal spirits nei cicli economici. La prima, che fa riferimento ad uno studio di Paul De Grauwe, professore di economia internazionale all’Università di Leuven in Belgio, vuole illustrare, basandosi su delle simulazioni, come gli animal spirits influenzino il ciclo economico e in quali circostanze emergono. La seconda, che fa riferimento ad una ricerca di Rhys Bidder, economista al Dipartimento di Ricerca Economica della banca centrale di San Francisco, e di Matthew Smith, professore presso il Dipartimento di Economia all’Università di New York, vuole esporre come le oscillazioni nel clima di fiducia dei consumatori guidino il ciclo economico.

Successivamente, nel capitolo 3, una volta descritti i modelli macroeconomici DSGE, ed in particolare il modello del ciclo reale e il modello Neo-Keynesiano, vere e proprie guide per le

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politiche economiche utilizzati dai governi e dalle banche centrali, ci soffermiamo sul modello macroeconomico comportamentale descritto da De Grauwe. Questo modello, grazie all’interazione tra il modello DSGE e il modello comportamentale, cerca di spiegare le espansioni e le frenate del ciclo economico e per di più serve a comprendere le regole su cui si basano gli agenti per fare le previsioni sull’output e sull’inflazione.

Si tratta ulteriormente il tema della politica monetaria, con la quale si intende l’insieme delle scelte che un policymaker produce al fine di raggiungere degli obiettivi che riguardano la moneta. Riguardo a questa, dopo aver approfondito il concetto dell’inflation targeting e come questa strategia possa aumentare la credibilità della banca centrale, si va ad osservare se si presentano gli animal spirits qualora, sulla base dell’inflation targeting annunciato, la banca centrale sia credibile o meno.

Infine, nel capitolo 4, si analizza lo scoppio di due bolle speculative, la prima del 2007 negli Stati Uniti d’America e la seconda, più recente, del 2015 in Cina. Dopo una ricostruzione dei fatti e un’analisi macroeconomica, si effettua un’analisi delle dinamiche comportamentali che hanno portato allo scoppia di entrambe le bolle. Con questa analisi comportamentale, basata sullo studio di articoli di quotidiani italiani e internazionali, si vuole individuare i motivi dello scoppio delle suddette bolle, quali animal spirits emergono e come questi hanno influenzato l’andamento dei mercati finanziari e del ciclo economico.

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CAPITOLO 1

GLI ANIMAL SPIRITS DA KEYNES AD OGGI

In questo capitolo si vuole focalizzare l’attenzione sul concetto di animal spirits, concetto introdotto per la prima volta nel 1936 da John Maynard Keynes e ripreso nel 2009 da George Akerlof e Robert Shiller.

Dopo una breve descrizione del pensiero keynesiano viene analizzata la Teoria Generale di Keynes, sua opera più celebre, soffermandosi anche sul ruolo degli animal spirits in essa. Successivamente si descrive sinteticamente gli sviluppi dopo il pensiero keynesiano, sviluppi nati da diverse critiche nei confronti di Keynes.

In seguito si presenta in breve il modello tradizionale della teoria della finanza e la sua successiva crisi, punto di partenza concettuale e cronologico della finanza comportamentale. Infine si descrive il concetto di animal spirits odierno facendo riferimento ad Akerlof e Shiller.

1.1 Cenni sul pensiero Keynesiano

Nel periodo tra le due guerre la Gran Bretagna tornò ad essere un laboratorio sperimentale per la teoria economica, dove i temi principali affrontati erano quello del ritorno al Gold Standard e quello della disoccupazione.

Il Gold Standard era il sistema monetario vigente in molte nazioni nel corso dell’Ottocento e fino al 1914. Il valore dell’unità monetaria corrispondeva ad un certo peso in oro e le banche avevano l’obbligo di convertire in oro tutte le banconote precedentemente emesse che fossero state loro presentate a questo scopo. Inoltre, l’oro poteva essere liberamente esportato e importato. Perciò il gold standard favoriva l’espansione del commercio internazionale rendendo molto stabili i rapporti di cambio fra le monete.

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Contrario a questo sistema monetario era invece John Maynard Keynes (1883-1946), laureato in matematica a Cambridge nel 1905 e docente di economia a Cambridge dal giugno 1908, il quale temeva un pericolo deflazionistico insito nel ritorno all’oro in quanto l’afflusso o il deflusso di quest’ultimo dipendeva unicamente dalla bilancia dei pagamenti; infatti se le esportazioni erano maggiori delle importazioni si verificava un afflusso di oro e di conseguenza inflazione, mentre se le importazioni erano superiori alle esportazioni si verificava un deflusso di oro causando deflazione.

Sarebbero state danneggiate le esportazioni, la conseguente bilancia dei pagamenti in deficit avrebbe obbligato a fissare un alto saggio di interesse al fine di attirare i capitali a breve termine necessari per impedire riduzioni nelle riserve auree e i livelli salariali avrebbero dovuto ridursi, provocando conflittualità sociale.

La linea seguita negli ambienti governativi fu dettata da quell’ortodossia liberista che si era affermata nell’Ottocento e che predicava la necessità di pareggiare i bilanci pubblici spendendo il meno possibile e, per il resto, laissez faire l’economia privata. Non certo alleviare la disoccupazione con i lavori pubblici!

La tesi prevalente del Tesoro fu che, siccome la spesa pubblica doveva essere comunque finanziata dai privati, con le tasse o col debito pubblico, essa sottraeva capitale all’iniziativa privata e quindi riduceva l’occupazione creata dai privati dello stesso ammontare di quella creata in più dallo Stato. Questa è la famosa Treasury View, applicata dal Tesoro inglese nella seconda metà degli anni Venti, alla quale erano contrari molti economisti, tra cui Keynes. Contro il ritorno al Gold Standard Keynes lottò duramente ma inutilmente: nell’aprile 1925 Winston Churchill decise di ancorare la sterlina d’oro, ristabilendo la parità prebellica. A prescindere dalla convenienza di ristabilire il Gold Standard, secondo Keynes quel tasso di cambio sopravvalutava di molto la sterlina rispetto al dollaro e inoltre sostenne che il ritorno all’oro, in presenza di salari rigidi, avrebbe imposto degli aggiustamenti dei livelli di

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produzione fortemente punitivi per l’industria esportatrice inglese. In aspra polemica, Keynes commentò così: “Il gold standard, con la sua dipendenza dal puro caso, la sua fiducia negli “aggiustamenti automatici”, la sua indifferenza per l’aspetto sociale, è un simbolo fondamentale e un feticcio di coloro che siedono al vertice della macchina. Io penso che siano immensamente inconsulti nella loro indifferenza, nel loro insensato ottimismo, nella loro comoda convinzione che nulla di veramente grave possa mai accadere. Nove volte su dieci non accade nulla di veramente grave, se non qualche lieve incoveniente per individui o gruppi sociali. Ma corriamo il rischio che capiti la decima volta (dimostrando per di più la nostra stupidità), se continuiamo ad applicare i principi di un’economia che ha operato in base alle ipotesi del laissez-faire e della libera concorrenza in una società che sta rapidamente abbandonando queste ipotesi.1”.

Sul problema della disoccupazione invece Keynes, grande sostenitore dei programmi di investimento pubblici, affermò che nel sistema economico per ottenere la piena occupazione dei lavoratori occorreva un intervento dello Stato.

La maturazione del pensiero di Keynes però si ebbe dopo la pubblicazione del Trattato della moneta (1930), un lungo studio che affiancava teoria e politica monetaria. In questo Trattato Keynes cerca di integrare due diversi filoni di ricerca: le teorie neoclassiche del ciclo quale fenomeno di disequilibrio monetario, in particolare quella di Marshall, e le teorie di disequilibrio produzione-spesa elaborate dagli eterodossi Tugan-Baranowskij, Hobson ecc. Per le teorie di disequilibrio Keynes studiò la dinamica dell’economia come fenomeno di disequilibrio e disaggregò l’economia in due settori produttivi: i beni di consumo e i beni d’investimento.

L’elemento marshalliano invece riguardava la teoria della domanda di moneta, rappresentata dall’equazione di Cambridge, nei termini della quantità di scorte liquide che il pubblico

1 J.M. Keynes, Le conseguenze economiche di Mr. Churchill (1925), in Id., Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano 1983, p. 201.

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desiderava detenere. Ma Keynes fece dei passi avanti e distinse una domanda di cash deposits, motivata dai bisogni per le transazioni, da una domanda di saving deposits, dipendente da fattori psicologici quali lo stato di fiducia e il grado di produrre del pubblico.

Ci furono molte critiche sul Trattato e tra queste quella più importante fu sollevata da Hawtrey e da Kahn i quali osservavano che le “equazioni fondamentali” sottostanti il modello di Keynes valevano solo sotto l’ipotesi di piena occupazione. Questa fu una critica semplice ma devastante per Keynes. È da qui che iniziò il travaglio teorico che lo avrebbe portato a pubblicare nel 1936 la Teoria Generale, dove proporrà un modello che determina il livello di equilibrio dell’output e dell’occupazione, prescidendo dalle oscillazioni nei prezzi cosa che invece considerava nel Trattato.

1.2 LaTeoria Generale

1.2.1 Caratteristiche, termini e concetti del modello della Teoria Generale

Il modello esposto nella Teoria Generale presenta quattro caratteristiche2.

La prima è che il modello keynesiano è macroeconomico a differenza di quello degli economisti neoclassici che è microeconomico. Le variabili keynesiane sono “aggregate”: il reddito nazionale, tutto il consumo della collettività, l’offerta di tutte le unità produttive, la domanda di moneta di tutti gli agenti ecc. Si suppone che nell’economia ci sia un unico bene, il prodotto nazionale, e quindi un unico prezzo. Il modello neoclassico invece analizza le scelte delle singole imprese e famiglie e successivamente determina la struttura del sistema economico facendo interagire sui mercati tali unità microeconomiche. Per i neoclassici il modello che rappresenta l’insieme dell’economia è quello di equilibrio generale, costruito dal francese Léon Walras (1834-1910), dove ogni famiglia e ogni impresa è caratterizzata da funzioni di utilità o funzioni di produzione, e dotazioni di beni di consumo e fattori di produzione. Stabilito che

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l’obiettivo è quello di massimizzare le soddisfazioni o i profitti, le famiglie e le imprese acquistano e vendono liberamente beni e fattori sui relativi mercati, fino a determinare i prezzi di equilibrio ossia quei prezzi che rendono uguali le quantità domandate e offerte. La macroeconomia di Keynes al contrario consiste in modelli semplici che definiscono poche relazioni economiche fondamentali, pensati proprio per orientare i policymakers.

La seconda caratteristica è che Keynes assume che la disoccupazione sia lo stato normale dell’economia e non la piena occupazione come assumono i neoclassici, il cui modello prevede che il meccanismo della domanda e offerta di lavoro determini invariabilmente un livello del salario al quale tutti i lavoratori trovano impiego. Keynes infatti ritiene che il sistema economico possa essere in equilibrio anche in presenza di disoccupazione ossia si propone di dimostrare che una situazione in cui la domanda eguaglia l’offerta in tutti i mercati, ad eccezione di quello del lavoro, non implica squilibrio. Se la disoccupazione coesiste con la stabilità non sono attive forze capaci di ricondurre automaticamente il sistema alla piena occupazione.

La terza caratteristica è che il modello è statico, quindi Keynes applica il metodo della statica comparata descritto da Marshall ovvero non considera il cammino che il sistema economico compie passando da una posizione di equilibrio a un’altra ma si limita a paragonare la prima alla seconda. Nel modello però figura un elemento che sembra intrinsecamente negare la staticità dell’equilibrio, ossia le aspettative degli individui circa l’andamento futuro delle variabili.

Infine, l’ultima caratteristica è che il modello è di breve periodo in quanto il capitale fisso (gli stabilimenti, i macchinari ecc) resta invariato sia in quantità che in qualità. La ragione di questa scelta viene espressa chiaramente in un famoso passaggio di La riforma monetaria: “Il periodo lungo è un’indicazione fuoriviante per gli affari correnti. Nel periodo lungo saremo tutti morti.

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Gli economisti si pongono un compito troppo facile, troppo inutile se nei momenti di tempesta riescono a dirci soltanto che quando la tempesta è finita l’oceano torna ad essere piatto3.” Questa prospettiva di breve periodo era evidentemente frutto dell’intenzione keynesiana di trovare soluzioni agli urgenti problemi dell’ora.

È inoltre necessario definire non solo le caratteristiche del modello ma anche i termini utilizzati da Keynes nella Teoria Generale.

Il reddito è il valore della produzione totale corrente, valore che viene distribuito ai produttori-consumatori, i quali non convertono per intero il reddito in domanda di prodotti ma in parte lo risparmiano. Viene detta quindi propensione al consumo di una comunità la variazione della spesa in consumi che si verifica in corrispondenza di una variazione del livello di reddito. Il reddito equivale alla somma della spesa per i consumi e per gli investimenti. Tale somma viene chiamata da Keynes spesa aggregata o domanda aggregata. Il risparmio4 consiste nella differenza fra reddito e consumi. L’uguaglianza fra i risparmi e gli investimenti è la condizione che definisce l’equilibrio: affinchè la domanda aggregata risulti uguale all’offerta aggregata, i risparmi devono essere compensati da un ammontare identico di investimenti.

Il volume degli investimenti dipende dalla loro redditività, che a sua volta dipende dalla relazione fra il rendimento atteso di una quantità di qualsiasi bene capitale e il suo costo, rappresentato dal saggio di interesse che gli imprenditori devono pagare per poterne disporre. Questa relazione è chiamata da Keynes efficienza marginale del capitale. Bisogna notare però che il costo del capitale è un dato e il suo rendimento atteso dipende dalle aspettative (stime, valutazioni) degli imprenditori riguardo al futuro ossia aspettative fondate soprattutto su elementi psicologici.

3 J.M. Keynes, La riforma monetaria (1923), Feltrinelli, Milano 1975, p. 65.

4 Keynes scrive che la prima decisione che un agente deve prendere riguarda “quanta parte del suo reddito egli consumerà e quanta invece accantonerà in qualche forma disponibile per il consumo futuro”. Poi l’agente decide in che forma tenere la parte di reddito che vuole risparmiare: può preferire la liquidità o può investire in obbligazioni o azioni, finanziando così l’attività produttiva. (Cfr. TG, p.326).

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Ma il saggio di interesse da cosa viene determinato? Per i neoclassici il saggio di interesse era il prezzo del capitale produttivo ossia il prezzo che risultava dall’offerta di risparmio e dalla domanda di capitale per investimenti. Veniva ignorata la natura monetaria del saggio di interesse ovvero il fatto che si risparmia in moneta e si investe in moneta. Keynes sostiene che vi è una domanda per la moneta non riconducibile a una domanda indiretta di capitale per l’investimento. La moneta, infatti, è una riserva di valore liquida, conservabile senza costi e scambiabile con i beni in qualsiasi momento senza costi aggiuntivi. Ecco perché Keynes definisce il saggio di interesse come il premio che spetta a chi preferisce l’investimento al tesoreggiamento. Allora il saggio di interesse è un fenomeno monetario, e il suo livello risulta dall’incontro fra la domanda e l’offerta di moneta. Mentre l’offerta di moneta dipende dalle decisioni delle autorità monetarie ed è assunta come data nel modello, la domanda di moneta deriva dalla cosiddetta “preferenza per la liquidità” degli agenti.

La preferenza per la liquidità determina la quantità di moneta che gli individui vogliono tenere, per ogni livello del saggio di interesse. Se il livello del saggio di interesse aumenta, la quantità domandata di moneta si riduce perché aumenta il guadagno ottenibile dal suo investimento; e viceversa. Allora può convenire detenere moneta per essere pronti a trarre profitto dalle variazioni future del saggio di interesse. In questo caso si dice che la moneta è domandata per il motivo speculativo, il quale indica che gli agenti vivono in una condizione di incertezza rispetto all’andamento futuro delle variabili. Ma Keynes riconosce che si tiene denaro liquido anche per altri motivi: quello transazionale per compiere gli scambi abituali, e quello precauzionale per coprirsi in caso di spese impreviste ed eventi negativi.

Si nota che nel modello di Keynes risparmio e investimento sono grandezze autonome l’una dall’altra. L’ammontare del risparmio dipende dalle decisioni dei consumatori, cioè dalla propensione marginale al consumo; l’ammontare degli investimenti dipende dalle decisioni degli imprenditori basate sull’efficienza marginale del capitale.

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Al contrario, nel sistema neoclassico risparmi e investimenti non erano indipendenti, corrispondendo rispettivamente all’offerta e alla domanda di capitale, e perciò erano sempre eguagliati dalle variazioni del prezzo del capitale, il saggio di interesse.

1.2.2 Lo schema keynesiano

Ciò che differenzia l’approccio keynesiano da quello classico è che il ragionamento non si svolge più mercato per mercato ma funzione macroeconomica per funzione macroeconomica che si coordinano l’una con le altre.

Il procedimento descritto da Keynes prende il via con la decisione degli imprenditori di mettere all’opera un certo volume di produzione che richiede un certo livello di occupazione. Ma questo volume produttivo e questo livello occupazionale non hanno alcuna ragione di corrispondere all’impiego totale dei fattori di produzione. Infatti gli imprenditori scelgono di realizzare un volume di produzione che corrisponda alle loro previsioni di vendita affinchè abbiano uno sbocco assicurato perché non è affatto certo che una qualunque quantità di prodotto sia in automatico oggetto di una domanda corrispondente. Ma ciò non implica necessariamente che tutto ciò che sia stato prodotto abbia sbocco.

Infatti in un’economia monetaria il reddito globale erogato nel corso dell’attività produttiva non viene necessariamente speso sotto forma di consumo o di domanda d’investimento ma potrebbe essere accantonato sotto forma di scorte monetarie; dunque gli imprenditori basano le loro previsioni non sulla domanda potenziale che si presuppone corrisponda alla produzione, ma sulla domanda effettiva risultante dai comportamenti concreti di spesa degli agenti economici. Il volume della produzione e dell’occupazione dipende così dalle variazioni di opinione sull’avvenire in applicazione del principio della domanda effettiva. La domanda effettiva totale è pertanto la somma della domanda per beni di consumo (𝐶) e della domanda per beni di investimento (𝐼).

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Poiché la domanda effettiva genera reddito (𝑌), possiamo semplicemente scrivere:

𝑌 = 𝐶 + 𝐼

È necessario, a questo punto, formulare una teoria del consumo e una teoria degli investimenti. Il consumo viene semplicemente considerato come dipendente dal reddito. Keynes afferma che i consumatori, nel complesso e in media, tendono a spendere soltanto una parte di ogni incremento di reddito. Pertanto:

𝐶 = 𝑓 (𝑌)

con le proprietà:

0 < 𝑓′ < 1 , 𝑓′′ < 0

dove 𝑓′ rappresenta la propensione marginale al consumo, e a sua volta (1 − 𝑓) la propensione marginale al risparmio.

Per quanto riguarda gli investimenti questi non vengono messi affatto in relazione col reddito. In ogni data situazione di breve periodo (con una data tecnologia ed una data struttura del capitale), l'ammontare totale degli investimenti dipende dalla redditività attesa di tutti i progetti di investimento che sono possibili e dal saggio di interesse.

In sintesi, si può scrivere:

𝐼 = 𝑓 (𝐸, 𝑖),

dove 𝐸 rappresenta la redditività attesa ed 𝑖 il saggio di interesse.

Come già accennato, Keynes sostiene che la domanda di moneta (𝐿) è la quantità di mezzi di pagamento che il pubblico (operatori non bancari: famiglie, imprese, speculatori) desidera detenere dato il reddito nazionale e dato il tasso di interesse. Tre sono le ragioni che spiegano la domanda di moneta: movente transazionale, movente precauzionale e movente speculativo. Pertanto: 𝐿 = 𝐿𝑇 + 𝐿𝑃 + 𝐿𝑆

Per Keynes la domanda di moneta per i primi due motivi dipende dal livello del reddito nazionale; la terza componente è spiegata dal livello del tasso di interesse.

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La domanda di moneta per il movente delle transazioni e la domanda di moneta per il movente precauzionale sono considerate da Keynes funzione crescente del livello del reddito, come possiamo vedere dalla Figura 1.1.

Possiamo quindi scrivere:

𝐿1 = 𝐿𝑇 + 𝐿𝑃 = 𝐿1(𝑌)

Invece la domanda di moneta per il movente speculativo è da Keynes giudicata come inversamente correlata al livello del tasso di interesse, come possiamo vedere dalla Figura 1.2.

Possiamo scrivere:

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La domanda di moneta complessiva è una funzione crescente del livello del reddito nazionale ed una funzione decrescente del livello del tasso di interesse.

Possiamo scrivere:

𝐿 = 𝐿1+ 𝐿2 = 𝐿(𝑌, 𝑖)

che rappresentiamo graficamente nella Figura 1.3, la quale ci indica che per un dato livello di reddito nominale la domanda di moneta è una funzione decrescente del tasso di interesse, mentre per un dato tasso di interesse, un aumento del reddito nominale fa spostare la domanda di moneta verso destra.

Secondo Keynes, il tasso di interesse non è il premio per il risparmio (ossia per l’astensione dal consumo abituale) ma, piuttosto, rappresenta il costo opportunità di detenere la moneta in forma liquida o meglio il premio per la rinunica alla liquidità; e la scelta tra detenere moneta o acquistare titoli è determinata proprio dal livello del tasso di interesse, confrontando il tasso di interesse i vigente e il tasso di interesse iE atteso per il futuro.

Infatti se

𝑖 <

𝑖 𝐸

1 + 𝑖𝐸

a

llora si trattiene moneta e non si investe; al contrario se

𝑖 >

𝑖𝐸

1 + 𝑖𝐸 allora

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e perché ci si aspetta che in futuro i titoli valgano di più e la preferenza per la liquidità diminuisce.

La preferenza per la liquidità infatti aumenta al diminuire del tasso di interesse perché un abbassamento del tasso di interesse fa preferire la liquidità per evitare le perdite patrimoniali derivanti dal fatto che quando il tasso di interesse aumenta, il valore dei titoli diminuisce5. Questa preferenza per la liquidità richiede però una spiegazione e la spiegazione keynesiana è che “per motivi in parte ragionevoli, in parte istintivi, il nostro desiderio di tenere moneta come riserva di ricchezza è un barometro del nostro grado di sfiducia nelle nostre capacità di calcolo e nelle nostre convinzioni sul futuro. Sebbene questo nostro atteggiamento verso la moneta sia esso stesso convenzionale o istintivo, esso opera, per così dire, ad un livello più profondo delle nostre motivazioni. Esso subentra nei momenti in cui le più superficiali, instabili convinzioni si sono indebolite. Il possesso della moneta calma la nostra inquietudine, ed il premio che noi pretendiamo per dividerci da essa è la misura dell’intensità della nostra inquietudine”.6 Un tratto peculiare della funzione della preferenza per la liquidità è il tratto orizzontale della Figura 1.4, che rappresenta la cosiddetta trappola della liquidità.

5 https://keynesiano.files.wordpress.com/2012/07/la-politica-monetaria-4.pdf, p. 7.

6 J.M. Keynes, Antologia di scritti economico-politici, a cura di G. Costa, Bologna, Il Mulino, 1978, p. 167. Il passo proviene da un articolo scritto da Keynes nel 1937 per il “Quarterly Journal of Economics” (rivista della statunitense Università di Harvard).

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La trappola della liquidità è una situazione che si verifica quando, in corrispondenza di un tasso d’interesse molto basso, la domanda di moneta per fini speculativi diventa illimitata perchè i risparmiatori si aspettano un aumento del saggio d’interesse e quindi una diminuzione del prezzo dei titoli e preferiscono detenere moneta in forma liquida piuttosto che investirla. Infatti quando il tasso di interesse è pari a 𝑖2, il prezzo delle obbligazioni è talmente alto che gli individui non investono in esse ma detengono tutto il loro reddito sotto forma di moneta, in attesa che il prezzo delle obbligazioni diminuisca (o il tasso di interesse aumenti).

Per quanto riguarda invece l’offerta di moneta (𝑀∗), essa può essere considerata rigida rispetto al tasso di interesse perché viene discrezionalmente decisa dalla banca centrale, in funzione di determinati obiettivi di politica monetaria.

Graficamente, come possiamo vedere nella Figura 1.5, sarà rappresentata da una linea verticale, perpendicolare all’asse delle ascisse.

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Qualora la banca centrale decidesse di aumentare l’offerta di moneta, l’aumento farà ridurre il tasso d’interesse (vedi Figura 1.6) e aumentare produzione, investimenti e consumo.

Se invece siamo nella situazione della trappola della liquidità, come possiamo vedere dalla Figura 1.6bis, l’aumento di moneta viene interamente assorbito sotto forma di liquidità, in quanto gli operatori economici trattengono ogni liquidità aggiuntiva di moneta; quindi la politica monetaria non produce nessun effetto sull'economia e non è più in grado di influenzare la domanda aggregata.

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In questa circostanza gli operatori economici hanno un'aspettativa negativa del futuro e, piuttosto che investire o spendere, tendono a trasformare qualsiasi liquidità monetaria aggiuntiva dell'offerta di moneta (politica monetaria espansiva) in tesaurizzazione.

La trappola della liquidità è un punto significativo per la teoria keynesiana e Keynes utilizza la curva della preferenza per la liquidità proprio per dimostrare la possibile inefficacia della politica monetaria nelle situazioni in cui il mercato è pessimista riguardo all’andamento dei titoli. Dunque se la politica monetaria è inefficace, la teoria keynesiana classica suggerisce di stimolare l'economia attraverso la politica fiscale: riducendo le tasse o aumentando la spesa pubblica è possibile riavvicinare il reddito al livello di pieno impiego7.

Più recentemente invece il premio Nobel Paul Krugman, durante la caduta dell'economia giapponese, propose un modello dinamico per interpretare la trappola della liquidità, secondo il quale gli agenti economici devono prendere le decisioni che riguardano sia il presente che il futuro, anello mancante dei modelli keynesiani della prima generazione. Inoltre una trappola della liquidità può verificarsi se la crescita attesa dell'economia è negativa e in questo caso la propensione è a risparmiare oggi per poter consumare domani. La terapia, allora, secondo Krugman potrebbe essere una politica monetaria attiva che generi aspettative di inflazione in modo tale da convincere gli agenti che i tassi d’interesse rimarrano a zero per parecchio tempo, inducendo le persone a risparmiare meno e a consumare di più8.

Infine merita una breve spiegazione la determinazione del tasso di interesse. Questo, come possiamo notare nella Figura 1.5 descritta precedentemente, è determinato dall’incontro tra la domanda e l’offerta di moneta in modo da assicurare l’equilibrio di mercato.

Possiamo dunque scrivere: 𝑖 = 𝑓 (𝐿, 𝑀∗)

7 Annicchiarico A.. Cos'è la trappola della liquidità, in Il Sole 24 Ore, 15 Gennaio 2009.

8 Ricoveri G.. Bce, cosa può fare per contrastare ‘la trappola della liquidità’, in Il fatto quotidiano, 13 Novembre 2013.

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dove

𝐿

rappresenta la domanda totale di moneta ed

𝑀

∗ rappresenta la quantità di moneta emessa dalla banca centrale.

Guardando inoltre alla Figura 1.7, se per esempio l’offerta è pari a 𝑀1, il tasso corrispondente sarà i1 e la quantità di moneta richiesta a scopi speculativi sarà pari alla differenza 𝑀1∗− 𝐿1 (offerta di moneta meno la domanda di moneta a scopo transazionale e precauzionale). Se la banca centrale aumenta l’offerta fino al livello 𝑀2 vi sarà inizialmente un eccesso di offerta sulla domanda (pari a 𝑀2∗− 𝐿1− 𝐿2), che porterà poi ad un ribasso del tasso fino a i2 (frecce blu nella Figura 1.7). Questo ribasso fa aumentare il reddito (e quindi la domanda per movente transattivo), che fa traslare la curva di domanda verso destra (frecce rosse nella Figura 1.7) e alzare il tasso a 𝑖3.

1.2.3 Psicologia, incertezza e animal spirits nella Teoria Generale

Al centro del ragionamento di Keynes sta l’idea che noi, nella realtà, abbiamo soltanto una percezione molto vaga delle conseguenze non immediate dei nostri atti. La nostra conoscenza, sia in generale che per le decisioni economiche più importanti, è una “conoscenza incerta”. Keynes fu uno dei primi economisti a porre l’incertezza al centro della riflessione economica.

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In un articolo del 1937, infatti, distinse fra eventi “probabili” ed eventi “incerti”: ai primi è possibile applicare il calcolo delle probabilità ed esempi keynesiani sono il gioco della roulette, la speranza di vita e le previsioni metereologiche; i secondi non si prestano al calcolo delle probabilità come ad esempio il prezzo del rame, il saggio di interesse fra vent’anni, l’obsolescenza di una nuova invenzione e la possibilità di una guerra in Europa. Il mondo economico è quindi caratterizzato da eventi incerti, perciò la differenza di fondo fra la teoria keynesiana e quella neoclassica risiede nella visione del futuro: definito e calcolato per i neoclassici, radicalmente incerto per Keynes.

L’introduzione dell’incertezza ha abbattuto implicitamente il concetto di “uomo economico” della tradizione neoclassica, la quale ipotizzava che gli agenti fossero perfettamente razionali, massimizzando l’utilità e minimizzando i sacrifici, e perfettamente onniscenti in quanto le loro aspettative risultavano sempre esatte. Keynes invece rappresenta il singolo uomo economico con “tipi” economici dissimili (il consumatore, il risparmiatore, lo speculatore, l’imprenditore) caratterizzati da una razionalità che non applica il criterio di massimizzazione ma è complessa e multiforme a causa dell’incertezza. Significative sono le figure del risparmiatore e dell’imprenditore. Per il primo domandare moneta per farne un deposito di valore è razionale solo in un mondo incerto; infatti trattenere moneta come riserva di ricchezza dipende dal proprio grado di sfiducia nelle proprie capacità di calcolo e nelle proprie convinzioni sul futuro. Il secondo invece non si assume dei rischi dell’investimento per un’aspettativa razionale di guadagno basata sul calcolo probabilistico ma piuttosto sono gli animal spirits, ossia l’istinto e un ottimismo spontaneo, che lo spingono ad agire.

È da sottolineare che, a causa dell’incertezza, nel modello di Keynes le scelte degli agenti non sono armonizzate dalla “mano invisibile” del mercato, che determina il massimo di benessere per la collettività, ma sono gli stati d’animo, la fiducia, gli animal spirits degli imprenditori a svolgere un ruolo essenziale nel determinare le loro aspettative e quindi le decisioni di

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investimento. I livelli d’attività e d’occupazione vengono così a dipendere da un fattore psicologico imponderabile, incontrollabile e, soprattutto, molto instabile.

Keynes, a differenza dei classicisti, afferma che l’economia non è governata soltanto da attori razionali, che condotti da una “mano invisibile”, prendono parte a qualsiasi transazione che consenta un reciproco vantaggio competitivo. Keynes ammette che la gran parte delle attività economiche è il risultato di motivazioni economiche razionali ma ritiene anche che molte attività economiche siano governate da spiriti animali, motivazioni non economiche e causa principale delle fluttuazioni dell’economia e della disoccupazione involontaria.

L’affermazione di Keynes per cui gli spiriti animali guidano l’economia porta a fare attenzione al ruolo del governo, che è molto simile a ciò che ci dicono i manuali per genitori. I genitori infatti non devono essere troppo autoritari altrimenti i bambini saranno superficialmente ubbidienti e quando arriveranno all’adolescenza si ribelleranno; ma non devono essere neanche troppo permissivi altrimenti i bambini non imparano a darsi autonomamente dei limiti appropriati. L’educazione deve stare quindi nel mezzo tra i due estremi, dove il ruolo del genitore è quello di creare una famiglia felice, in cui il bambino gode di libertà ma è anche protetto dai propri spiriti animali. Così come il ruolo del governo secondo Keynes che consiste nel preparare il terreno in modo da lasciare briglia sciolta alla creatività del capitalismo e al contempo controbilanciare gli eccessi provocati dagli spiriti animali.

1.3 I post-keynesiani

Dalla fine degli anni Trenta, sulla scia dell’indirizzo keynesiano, sono stati compiuti numerosi studi sulle fluttuazioni cicliche e sullo sviluppo (la cosiddetta dinamica economica), temi che erano stati analizzati dai classici (Ricardo e Marx), ma poi erano stati dimenticati nell’impostazione neoclassica.

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Diversi autori hanno criticato il pensiero keynesiano subito dopo la pubblicazione della Teoria generale dell’occupazione, interesse e moneta. In particolare alcuni economisti (Hicks, Modigliani e Patikin) hanno cercato di dimostrare che la situazione analizzata da Keynes, la crisi del 1929, rappresentava un caso molto particolare, mentre in generale rimaneva valida la teoria dei neoclassici secondo cui nel sistema economico si tendeva a realizzare automaticamente la piena occupazione senza che vi fosse bisogno di un intervento dello Stato. Successivamente, a partire dagli anni Sessanta, la scuola monetarista dell’Università di Chicago, fondata da Friedman, ha contestato la validità della teoria keynesiana sostenendo che gli interventi dello Stato nell’economia non fanno aumentare l’occupazione, cioè il numero di posti di lavoro, ma piuttosto generano aumenti dei prezzi, cioè l’inflazione. Quindi lo Stato non deve intervenire nella vita economica. Altri autori invece, come Minsky, hanno sottolineato che il sistema economico è molto instabile ed è necessario che lo Stato intervenga con mezzi opportuni (la spesa pubblica, la tassazione, la politica monetaria) per ridurre tale instabilità. Negli anni Settanta, la macroeconomia keynesiana attraversò una crisi principalmente per tre ragioni: il fenomeno della stagflazione; la rigidità salariale ingiustificata; e soprattutto lo studio della formazione delle aspettative e la conseguente introduzione delle aspettative razionali nei modelli macroeconomici.

Le aspettative sono le previsioni degli operatori economici formulate sulla base delle proprie esperienze e delle proprie intuizioni circa l’andamento delle variabili economiche nel futuro. Uno dei primi a sottolineare il ruolo delle aspettative nel comportamento degli operatori economici fu proprio Keynes, introducendo i cosiddetti animal spirits. Le aspettative infatti hanno un ruolo essenziale in macroeconomia in quanto quasi tutte le decisioni economiche intertemporali prese da individui e imprese dipendono dai tassi di interesse futuri, da profitti futuri e così via.

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Le prime trattazioni formali delle aspettative avvengono ad opera dei monetaristi con tre diverse teorie sulla loro formazione:

-aspettative statiche: i valori futuri sono uguali a quelli correnti;

-aspettative estrapolative: i valori futuri sono funzione di quelli del passato prossimo;

-aspettative adattive: i valori sono funzione dello scostamento fra valori attesi e valori realizzati precedentemente.

Tutte queste teorie presentano però l’inconveniente di ipotizzare che gli operatori basino le aspettative solo sui valori passati: ciò rende probabili errori sistematici e costituisce un atteggiamento irrazionale perché porta ad escludere le altre informazioni disponibili. Questa critica ha portato a formulare l’ipotesi di aspettative razionali. Nei primi anni Settanta, un gruppo di economisti, guidati da Robert Lucas, sostenne che gli economisti avrebbero dovuto ipotizzare aspettative razionali, cioè che le persone guardando al futuro fanno del loro meglio per prevederlo usando in modo efficiente tutte le informazioni rilevanti a loro disposizione. Lucas ha mostrato infatti che l’introduzione delle aspettative razionali, e con esse l’impossibilità che le persone compiano errori sistematici, poteva alterare radicalmente i risultati dei modelli macroeconomici.

1.4 Dalla Finanza tradizionale alla Finanza Comportamentale

1.4.1 Cenni sul modello tradizionale e la sua crisi

Inizialmente è utile fornire un quadro generale, anche se estremamente sintetico, della Finanza Tradizionale e della sua successiva crisi, poiché è questo il punto di partenza concettuale e cronologico della Finanza Comportamentale.

Si può datare la formulazione della Teoria Tradizionale dopo la nascita della scienza economica, che comunemente viene fatta risalire al XVII secolo.

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In un primo momento, il contributo più celebre in ambito finanziario, riguardo il funzionamento dei mercati finanziari, è stato forse il lavoro di Louis Bachelier all’inizio del 1900, che restò praticamente ignorato dalla maggioranza della comunità scientifica9. Contributi più significativi si sono avuti nella prima metà del 1900 da Irving Fischer e John Maynard Keynes. Ma soltanto nella seconda metà del XX secolo, si hanno i contributi fondamentali che costituiscono la cosiddetta Finanza Tradizionale, una nuova branca dell’economia che si impone velocemente negli ambienti accademici con notevole successo.

La Finanza Tradizionale si basa fortemente sull’impostazione teorica neoclassica e si compone di un insieme di teorie quali i teoremi di Modigliani e Miller10; la teoria delle scelte di portafoglio di Markowitz11; il Capital Asset Pricing Model di Sharpe, Black e Lintner12; l’Arbritage Pricing Theory di Stephen Ross13; l’Option Pricing Theory di Black, Scholes e Merton14; l’ipotesi di aspettative razionali di Muth15 rielaborata da Lucas e Sargent; la teoria dell’utilità attesa di Von Neumann e Morgestern16 e infine l’ipotesi dei mercati efficienti inizialmente di Samuelson ma definita e formalizzata da Eugene Fama17.

I teoremi di Modigliani e Miller dimostrano che, sotto determinate assunzioni, la struttura finanziaria aziendale non ha effetti sul valore dell’impresa e sul costo o la disponibilità di capitale.

La teoria delle scelte di portafoglio delinea il modello di scelta di un operatore razionale e asserisce che i parametri rilevanti per l’agente sono due: il rischio associato all’investimento e il rendimento atteso. 9 http://www.treccani.it/enciclopedia/louis-jean-baptiste-bachelier_(Dizionario_di_Economia_e_Finanza)/ 10 Modigliani, Miller (1958). 11 Markowitz (1952). 12 Sharpe (1964).

13 Ross (1976). Per definizione l’arbitraggio è un investimento che offre prodotti senza rischi a costo zero. 14 Black, Scholes (1973).

15 Muth (1961).

16 Von Neumann, Morgenstein (1947). 17 Fama (1970).

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Il Capital Asset Pricing Model è ancora oggi un diffuso metodo per la determinazione del prezzo di attività finanziarie.

L’ Arbitrage Pricing Theory è un altro modello per la determinazione del prezzo di attività finanziarie basato sulla teoria dell’arbitraggio.

L’ Option Pricing Theory è un famoso modello di valutazione del prezzo delle opzioni elaborato nel 1973, per il quale gli autori hanno ricevuto il Premio Nobel nell’anno 1997.

L’ipotesi di Aspettative Razionali afferma che, nella formulazione di aspettative su valori futuri, gli agenti si servono in modo efficiente di tutte le informazioni di cui hanno a disposizione.

La teoria dell’Utilità Attesa è stata a lungo considerata il pilastro principale alla base del comportamento economico. Questa teoria si basa sul fatto che ogni giorno gli individui si trovano davanti a delle scelte, sia in condizioni di certezza che di incertezza e sono vincolati dalle risorse a disposizione. Quindi questa cerca di capire come l’agente economico razionale risponde alle esigenze di scelta ossia, posto di fronte a differenti lotterie, egli dovrebbe decidere quella che massimizza l’utilità attesa, vista come la media ponderata delle utilità delle ricchezze future, pesate con le probabilità oggettive di accadimento. Si ipotizzano perciò una serie di assunzioni circa il comportamento razionale degli individui e la loro capacità illimitata di compiere delle scelte.

Infine la teoria dei Mercati Efficienti afferma che un mercato è efficiente quando in ogni istante i prezzi riflettono completamente tutte le informazioni disponibili e sostiene che i mercati finanziari del mondo reale godono di questa proprietà. Tramite questa teoria si dovrebbe essere in grado di capire il funzionamento dei mercati e prevederne le evoluzioni future conseguendo così dei profitti sicuri. Questa è forse l’idea più potente alla base della finanza tradizionale ed è stata l’oggetto principale delle critiche degli studiosi di teoria comportamentale. Tutta la finanza

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moderna è fondata su questa ipotesi e sulle sue applicazioni ed è quindi questo il punto di partenza obbligato per la comprensione della finanza comportamentale.

L’ipotesi dei mercati efficienti (in seguito EMH dall’inglese “Efficient Market Hypothesis”) nel suo enunciato classico afferma che un mercato finanziario efficiente è un mercato in cui i prezzi dei titoli contengono in ogni istante tutte le informazioni disponibili (Fama, 1970). Vuol dire che i prezzi attuali dei titoli corrispondono al loro valore fondamentale ossia la somma attualizzata dei cash flow futuri attesi. Sotto questa ipotesi, i prezzi sono considerati corretti e riflettono il valore reale del titolo.

Vi è un’argomentazione teorica dell’EMH che si articola in tre principali assunti.

Il primo assume che gli investitori sono persone razionali e quindi valutano i titoli del mercato secondo il loro valore fondamentale18. Quando gli investitori ricevono una notizia riguardante il valore di un titolo, essi rispondono immediatamente facendo alzare i prezzi se la notizia è positiva e facendo abbassare i prezzi se la notizia è negativa. In questo modo i prezzi incorporano istantaneamente tutte le notizie disponibili, aggiustandosi al nuovo valore attuale netto dei cash flow futuri attesi.

Il secondo assunto sostiene che la condizione di efficienza può essere raggiunta anche se nei mercati agiscono investitori irrazionali poiché si assume che questi operatori, quando sono numerosi e quando le loro strategie di investimento sono incorrelate, operano in modo casuale aumentando così la probabilità che le loro scelte si annullino reciprocamente.

Infine il terzo assunto afferma che l’EMH può ancora essere accettata se si presume la presenza di investitori irrazionali, le cui strategie di investimento sono correlate. In queste condizioni l’efficienza viene garantita dalla presenza e dall’azione degli arbitraggisti ossia soggetti razionali che si assicurano profitti senza rischio a costi nulli. Un arbitraggio consiste nella compravendita simultanea dello stesso titolo od un titolo sostituto in due mercati differenti a

18 Il valore fondamentale di un attività finanziaria viene definito come il valore attuale netto dei cash-flow futuri attesi, scontato in funzione di un predeterminato fattore di rischio (Ross, Westerfield, Jaffe, 2005)

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prezzi differenti. Ad esempio quando un titolo scende sotto il suo valore fondamentale a causa dell’azione di un investitore irrazionale, un arbitraggista compra il titolo su quel mercato e lo rivende immediatamente su un altro mercato. In questo modo, l’operazione dell’arbitraggista fa alzare il prezzo del titolo sottostimato e lo riporta al livello del suo valore fondamentale. L’azione degli arbitraggisti mantiene i prezzi prossimi ai valori fondamentali e quindi permette la conservazione dell’efficienza dei mercati.

Fama (1970) definisce un Mercato Efficiente quello in cui i prezzi riflettono pienamente le informazioni disponibili e definisce così le condizioni sufficienti dell’efficienza:

- non ci siano costi di transazione nella negoziazione dei titoli;

- tutte le informazioni disponibili siano accessibili a costo zero a tutti gli operatori del mercato;

- tutti concordino sulle implicazioni delle informazioni correnti per il prezzo corrente e per le distribuzioni dei prezzi futuri di ciascun titolo, cioè condividono il modello economico di determinazione del prezzo.

Alla fine degli anni Settanta l’EMH appare valida sia teoricamente che empiricamente e sembra essere proprio il grande trionfo del XX secolo. Nel 1978 Michael Jensen afferma che “non c’è altra proposizione in economia che abbia un’evidenza empirica più solida dell’ipotesi di mercati efficienti”. Il mondo accademico è pervarso da grande entusiasmo e ritiene di aver raggiunto la totale comprensione del mondo finanziario. Ma qualche tempo dopo si mette in dubbio, sia teoricamente che empiricamente, la validità delle leggi della finanza moderna.

Si evidenzia che alcuni eventi non possono essere spiegati dal CAPM o sono incoerenti con l’EMH. Si forniscono così una serie di possibili spiegazioni di risultati anomali, anomalie la cui evidenza è molto forte e che conduce alla nascita di un nuovo filone di ricerca ossia la Finanza Comportamentale.

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Le critiche empiriche hanno riscontrato delle anomalie dimostrando che nella realtà si verificano eventi discordanti con le sue leggi fondamentali. Tra queste, citandole solamente, si ha l’effetto gennaio, l’effetto piccola impresa, l’effetto cambio del mese, l’effetto vacanza, l’effetto novembre e l’effetto Halloween.

Le critiche teoriche si basano su tre proposizioni principali.

La prima è che non è possibile supporre che l’universo degli investitori sia integralmente razionale in ogni circostanza. Si ha quindi la teoria della razionalità limitata di Herbert Simon secondo il quale gli individui non riescono ad essere completamente razionali a causa di alcune limitazioni (disponibilità di informazioni incomplete, complessità dei problemi, tempo limitato a disposizione dei decisori ecc.). Inoltre altra prova della irrazionalità è costituita, secondo Fischer Black (1986) dall’esistenza dei cosiddetti noise trader, cioè investitori che non agiscono sulla base delle informazioni a disposizione ma in base a fattori che sono di dominio della psicologia e della sociologia.

La seconda è che il mercato finanziario è popolato non solo da investitori individuali ma anche da professionisti delle istituzioni finanziarie, i quali, oltre ad essere soggetti agli stessi pregiudizi degli investitori individuali, sono soggetti ad altre distorsioni che derivano dal fatto che essi hanno la delega per gestire il denaro altrui.

La terza riguarda le operazioni di arbitraggio che non sono sempre possibili, anche in virtù del fatto che non sempre esiste un titolo sostituto in un altro mercato, rompendo così la stabilità dei prezzi dei titoli intorno al loro valore fondamentale e di conseguenza rendendo il mercato inefficiente.

Appare evidente che negli ultimi due decenni la fiducia nella Finanza Tradizionale e nel suo postulato fondamentale è stata fortemente messa in discussione.

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1.4.2 La Teoria della Finanza Comportamentale

1.4.2.1 Storia

La Finanza Comportamentale nasce alle fine degli anni Settanta, vede una straordinaria crescita negli anni Ottanta ma raggiunge ampia condivisione negli ambienti accademici solo negli anni Novanta.

Si può affermare però che la Finanza Comportamentale non è totalmente nuova, infatti nella prima metà del XX secolo ci sono stati alcuni economisti che consideravano e discutevano di fattori psicologici nei propri lavori come per esempio Irving Fisher, Vilfredo Pareto e John Maynard Keynes. Ma l’atteggiamento generale durante questo periodo era quello di ignorare la psicologia e gli psicologi erano considerati persone non grate nei cerchi degli economisti. Successivamente, nella seconda metà del XX secolo, si è osservata una forte tendenza a rivedere vari aspetti della scienza economica secondo una nuova ottica, in cui il fattore psicologico degli operatori ha un ruolo nuovo e molto più importante.

Il primo lavoro significativo sul tema è sicuramente l’opera di Herbert Simon (1955) il quale ha introdotto il termine di “razionalità limitata” per riferirsi alle limitazioni cognitive del processo decisionale in termini di acquisizione e elaborazione delle informazioni.

In realtà è stato alla fine degli anni Settanta che l’Economia Comportamentale è nata e due lavori teorici sono stati responsabili di questo. Il primo, nel 1979, intitolato “Prospect Theory: an analysis of decision under risk” scritto da due psicologici, Daniel Kahneman e Amos Tversky, e pubblicato in Econometrica, un prestigioso giornale economico. Il secondo, nel 1980, intitolato “Toward a positive theory of consumer choice” pubblicato dall’economista Richard Thaler, il quale ha introdotto il concetto di contabilità mentale.

Un’altra tappa fondamentale è costituita dallo studio di Robert Shiller (1981) sulla volatilità dei mercati azionari. I suoi lavori hanno evidenziato eventi incoerenti con le leggi della Finanza Tradizionale, definiti anomalie.

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Un altro grande protagonista della rivoluzione comportamentale è Fischer Black, il quale, da presidente dell’American Finance Association, sostiene con entusiasmo lo sviluppo della Finanza Comportamentale.

Negli anni ’80 e ’90 gli studiosi di Finanza Comportamentale si sono limitati a produrre articoli scientifici per riviste specializzate, rivolgendosi quindi soltanto ad un pubblico accademico. Successivamente negli anni ’90 vari studiosi, tra cui di Shleifer, Thaler, Shiller e Shefrin, hanno iniziato a pubblicare libri sull’argomento, raggiungendo l’ambito accademico e quindi il grande pubblico.

Inoltre, negli ultimi anni sono nate varie riviste scientifiche dedicate esclusivamente alla Finanza Comportamentale e molte università hanno iniziato a tenere corsi e seminari esclusivamente rivolti al tema.

Oggi la ricerca sulla Finanza Comportamentale avanza a gran ritmo in molti dei maggiori atenei del mondo. La materia ha raggiunto successi notevoli, ma indubbiamente c’è ancora molto da comprendere.

1.4.2.2 Definizioni e relazione con altre discipline

La Finanza Comportamentale nasce dall’applicazione al campo economico di concetti appartenenti a diverse discipline, infatti i suoi padri fondatori sono per lo più studiosi di scienze umane e sociali.

Proprio per questa sua eterogeneità, non è semplice trovare una definizione soddisfacente che spieghi pienamente il significato di questo nuovo approccio allo studio dei mercati finanziari. Gli studiosi hanno però fornito varie definizioni di Finanza Comportamentale.

Secondo Shefrin, la Finanza Comportamentale è semplicemente l’applicazione della psicologia al comportamento finanziario19. Secondo Shleifer, la Finanza Comportamentale è lo studio

19 Victor Ricciardi and Helen K. Simon, (2000). What is Behavioral Finance?, in Business, Education and

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della fallibilità umana nei mercati competitivi20. Secondo Lintner (1998), la Finanza Comportamentale è lo studio di come l’uomo interpreta e utilizza le informazioni nel prendere decisioni di investimento21. Sebbene le definizioni siano numerose e differenti, si nota un accordo di base sommario.

In sintesi, “la Finanza Comportamentale può essere definita come la scienza che studia il funzionamento dei mercati e il comportamento degli operatori utilizzando conoscenze e strumenti propri delle scienze umane per avere una visione il più realistica possibile del complesso mondo finanziario”22.

Ma un’ottima definizione è fornita da Richard Thaler il quale afferma che la Finanza Comportamentale non è altro che una finanza open-minded ossia che conduce la propria analisi al di fuori delle assunzioni restrittive e dell’atteggiamento rigoroso propri della Finanza Tradizionale.

La Finanza Comportamentale può essere vista come un approccio interdisciplinare che fonde diversi elementi di economia, finanza, psicologia e sociologia, per capire meglio il reale funzionamento dei mercati finanziari e i meccanismi psicologici che caratterizzano le scelte dei singoli individui o di un gruppo di investitori in situazioni di incertezza.

Lo schema (Tabella 1.1) che segue fornisce un’idea di questi le gami tra le diverse discipline economiche e sociali.

20 Shleifer A., (2000). Inefficient Market: An Introduction to Behavioral Finance, Oxford University Press, p. 23 21 Shweta Goel, (2014). Investor’s Herding Behavior and Investment Performance: An Empirical Evidence From Delhi, in The International Journal Of Business & Management, Dicembre 2014, Vol 2, n. 12, p. 57.

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1.4.2.3 Le critiche alla Teoria dell’ Utilità Attesa e la Prospect Theory

La Teoria dell’Utilità Attesa è stata a lungo la base di tutti i modelli economici ed ancora oggi ricopre una posizione di primaria importanza.

Una grande critica le è stata mossa dall’economista francese Maurice Allais nel 1953, il quale dimostrò che gli uomini violavano sistematicamente gli enunciati della Teoria dell’Utilità Attesa attraverso un esperimento conosciuto come il paradosso di Allais. Questo esperimento lo portò a concludere che gli individui sopravvalutavano i risultati considerati certi e sottovalutavano i risultati considerati solamente probabili. Ciò è in contrasto con la Teoria dell’Utilità Attesa, secondo la quale l’utilità di un evento aleatorio è esattamente la combinazione lineare delle probabilità di ciascun risultato.

Così nel 1979 nell’articolo sulla Prospect Theory, che ha posto le basi per lo sviluppo della Finanza Comportamentale, Kahneman e Tvresky notarono che, in certe situazioni, gli assiomi tradizionali dell’Utilità Attesa venivano violati; in particolare riscontrarono che, di fronte a

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scelte rischiose, il comportamento degli individui era differente, a seconda che la posta in gioco fosse un guadagno o una perdita.

La Prospect Theory cerca così di analizzare i processi decisionali degli investitori; perciò, note le probabilità e i risultati di determinate lotterie, mira ad esaminare il comportamento degli agenti economici in condizioni di incertezza, utilizzando non più la massimizzazione dell’utilità attesa, ma ricorrendo ad euristiche o semplificazioni della realtà. Questa teoria si basa sull’idea che le persone non sempre si comportano con razionalità ma che vi sono numerosi bias motivati da fattori psicologici che influenzano le scelte delle persone in condizioni di incertezza. Lo scopo della Prospect Theory, che non è una teoria normativa bensì descrittiva, è cercare di spiegare come e perché le scelte di un individuo si discostino in maniera sistematica da quelle previste dalla teoria classica e quindi perché vengano violate le regole della razionalità. Quindi fornisce una nuova e diversa descrizione del processo decisionale in condizioni di rischio. Secondo questa teoria il processo decisionale è suddiviso in due fasi: la fase di editing e la fase di evaluation.

La fase di editing consiste nella revisione e nella riformulazione degli eventi possibili al fine di consentire scelte più agevoli e rapide. In questa fase gli individui riorganizzano e riformulano una lotteria rendendola di più immediata interpretazione attraverso operazioni mentali. Questa fase include sei operazioni: codifica, combinazione, segregazione, cancellazione, semplificazione e rilevazione della dominanza.

La fase di evaluation consiste nella valutazione delle varie alternative codificate, cioè i vari eventi che hanno superato la fase di editing e hanno quindi assunto una forma semplificata, e nella scelta dell’alternativa a cui si associa il maggior valore V. Il calcolo del valore V avviene attraverso la weighting function π e la value function v. La weighting function (funzione di ponderazione) esprime la relazione tra i pesi decisionali e le probabilità relative. La value function (funzione di valore) esprime il valore soggettivo di ogni realizzazione dell’evento

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attraverso il confronto con un reference point ed è caratterizzata da una forma particolare: concava nel dominio positivo, cioè in presenza di guadagni, e convessa nel dominio negativo, cioè in presenza di perdite. In base a queste due funzioni, l’individuo calcola il valore V di ogni alternativa e sceglie quella a cui associa il valore maggiore.

Adesso andiamo ad analizzare brevemente queste due funzioni.

La funzione di valore, mostrata nella Figura 1.5, ci mostra il diverso comportamento dei soggetti nei confronti dei guadagni o delle perdite. Essa è rappresentata da una curva concava nell’area dei profitti e da una curva convessa nell’area delle perdite, con un flesso nel reference point, identificato come la posizione attuale o status quo.

Osservando il grafico, possiamo notare che la funzione è più ripida a sinistra del reference point che a destra. Ciò significa che le persone hanno una sensibilità marginale ai guadagni e alle perdite che va diminuendo man mano ci si allontana dal punto di riferimento, o meglio significa che gli individui sono più sensibili, con riferimento all’unità monetaria, alle perdite piccole che ai guadagni piccoli cioè le perdite creano un dolore circa doppio rispetto al piacere che suscitano le vincite. Questa è una caratteristica della Prospect Theory nota come avversione alle perdita (o loss avversion).

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Quindi, quando gli individui devono valutare l’utilità di una scelta che porta ad un cambiamento positivo o negativo, essi non considerano il valore assoluto del risultato ottenuto, ma effettuano un confronto tra la situazione pre-scelta e la situazione post-scelta. In altre parole, essi valutano i risultati in termini di cambiamenti rispetto ad un punto di riferimento naturale e non basandosi sulla ricchezza totale o sulle condizioni finali dei beni.

Davanti ad un problema gli individui attribuiscono un valore alla lotteria in modo da poter arrivare ad una decisione attraverso l’utilizzo di una funzione di valore 𝑣(𝑥) e una funzione di ponderazione delle probabilità 𝜋(𝑝). Quindi, data una lotteria 𝐿, composta da due esiti 𝑥1 e 𝑥2, con probabilità rispettivamente 𝑝1 e 𝑝2, il valore di questo gioco sarà pari alla seguente media ponderata:

𝑉(𝐿) = 𝜋(𝑝1) 𝑣(𝑥1) + 𝜋(𝑝2) 𝑣(𝑥2).

La funzione di ponderazione delle probabilità, come mostra la Figura 1.6, è una funzione crescente che assume valore 0 nel caso di un evento impossibile, valore 1 nel caso di un evento certo e per le probabilità intermedie la funzione non ha un andamento lineare.

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La funzione di ponderazione mette in luce due aspetti fondamentali relativi alla percezione soggettiva delle probabilità ossia che le probabilità più basse vengono sopravvalutate (curva soggettiva > linea 45° oggettiva) e le probabilità medio-alte vengono sottovalutate (curva soggettiva < linea 45° oggettiva). Dal grafico si può anche vedere che esiti poco probabili sono sopravvalutati rispetto alla certezza di non ottenerli ed esiti molto probabili sono sottovalutati rispetto alla certezza di ottenerli.

Questo fatto spiega l’effetto certezza che consiste nella preferenza degli individui per un evento certo piuttosto che per un evento probabile. Tipicamente si verifica che gli individui scelgono un guadagno certo di valore più basso piuttosto che un guadagno probabile di valore più alto.

La Prospect Theory inoltre è in grado di spiegare un particolare effetto, che viola la teoria classica della decisione: il framing effect.

Con il framing effect si evidenzia come le preferenze e le scelte degli agenti economici varino a seconda di come viene posto loro un problema. Ciò è molto importante nel campo della Finanza Comportamentale perché cambia radicalmente il modo di affrontare il tema dell’atteggiamento verso il rischio. Le persone infatti non preferiscono sempre la certezza in ogni situazione, ma solo quando si trovano nell’area degli utili: l’evento certo aumenta infatti la desiderabilità dei guadagni ed incrementa allo stesso tempo l’avversione alle perdite. Quindi, diversamente dalla teoria classica dove gli agenti possono essere avversi o propensi al rischio, nella teoria comportamentale i soggetti sono contemporaneamente sia avversi che propensi a seconda del problema e di come esso viene presentato.

Infine, va detto che la Prospect Theory ha dato vita ad un ampio dibattito ed è stata perciò sviluppata e rielaborata da Kahneman e Tversky nel 1992. La nuova versione, la teoria dei prospetti cumulativa, è valida con qualsiasi numero di eventi e sia in condizioni di rischio che di incertezza. Inoltre, prima si riteneva che gli individui fossero avversi al rischio nella parte

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