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I sex offenders in carcere. Tra progettualità terapeutiche e deficit strutturali.

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(1)

“…cosa credono questi signori di ottenere da noi lasciandoci impoltronire per mesi ed anni in una cella

nella stessa colpa per la quale ci arrestano?” cit. Cesare Lombroso

(2)

~ 2 ~

INDICE

Introduzione

... . p. 6

CAPITOLO I

Reati di natura sessuale: l’analisi storica del fenomeno

1.1. La violenza sessuale nella storia ……… ………. p. 9

1.2. Il processo penale per reati sessuali nella Toscana del ‘700 p. 15

1.3. La codificazione come fenomeno di cambiamento ….. p. 18

1.4. L’evoluzione del XX secolo p. 21 1.4.1. Lo stupro come crimine di guerra ... p. 28

1.5. La legge n. 66 del 1996 come sintomo di cambiamento . p. 30

1.6. Art. 609-bis c.p.: analisi ed effetti ……… ……… p. 34

1.7. Le circostanze aggravanti: art. 609-ter……… ……… p. 46

1.8. Cenni sull’articolo 609-quater: atti sessuali con minorenne p. 51 1.9. Cenni sull’articolo 609-quinquies: corruzione dei minori p. 55

1.10. La violenza sessuale di gruppo ………. p. 58

1.11. La procedibilità dei reati sessuali: art 609-septies … … p. 60 1.12. Le riforme normative successive alla L. 66/1996. p. 63

CAPITOLO II

Il sex offender: Mad o Bad?

2.1. Il criminal profiling ……… ………p. 76

2.2. I fattori eziologici del comportamento ………… ………….. p. 79

(3)

~ 3 ~

2.4. Le parafilie ………… …… ……… …… p. 87

2.4.1. I disturbi di personalità …… ……… p. 93

2.4.2. Le distorsioni cognitive ……… p. 95

2.5. La competenza empatica … ……… p. 100

2.5.1. Il rapporto tra la vittima e il sex offender … … …… p. 104

2.6. Il pedofilo ……… p. 108

CAPITOLO III

Il trattamento penitenziario

3.1. Il rilievo sociale del fenomeno p. 119 3.2. La pena p. 121 3.3. La sezione protetta p. 127

3.4. La negazione nel trattamento dei sex offenders ………… p. 131

3.5. I benefici penitenziari e i permessi premio p. 136

3.6. Le misure alternative ……… ……… ……….... p. 142

3.7. Le terapie di cura…… ………. p. 145

3.7.1. Le terapie farmacologiche e chirurgiche ……… p. 149

3.7.2. Le terapie psicologiche……… ……… p. 156

3.7.3. La terapia cognitivo-comportamentale e la terapia

psicodinamica……… p. 162

(4)

~ 4 ~

CAPITOLO IV

Il progetto trattamentale di Bollate

4.1. I principi fondamentali ispiratori………. p. 177

4.2. Progetto di trattamento intensificato: l’esperienza del carcere

di Bollate ……… p. 181

4.3. I “negatori”: le tecniche di trattamento…… ……… p. 184

4.4. Il campo di trattamento p. 189

4.5. La struttura del progetto ……… ……… p. 193

4.6. La valutazione testitica dei sex offenders durante

il trattamento. p. 195 4.7. I gruppi trattamentali ……… p. 200 4.8. Le attività di supporto ……… p. 206 4.9. Il trattamento extramurario……… p. 210

Conclusioni

p. 215

Bibliografia

p. 218

(5)
(6)

~ 6 ~

Introduzione

Vista la sempre più pregnante presenza di fatti commessi a danno della libertà sessuale da parte di soggetti dalla comunità definiti come “mostri”, con questo elaborato è stata approfondita la tematica in questione per conoscere al meglio la realtà carceraria che coinvolge la commissione di un reato a sfondo sessuale.

A questo proposito è doveroso, innanzitutto, intraprendere un’analisi storica dei reati di matrice sessuale, approfondendo la visione del Codice Rocco e, di seguito, la rivoluzionaria riforma della Legge n. 66 del 1996 con le relative modifiche avvenute negli anni, atte a inasprire la normativa e ad innalzare il livello dei massimi edittali della pena al fine di una funzione general-preventiva e punitiva allo stesso tempo. Successivamente, è stato intrapreso un percorso criminologico per comprendere al meglio il comportamento del sex offender, valutando le varie teorie riguardanti gli elementi e le cause che conducono il soggetto a commettere il reato, affinché si possa giungere ad un quadro relativamente completo per abbracciare il trattamento terapeutico penitenziario migliore sul campo.

Nel terzo capitolo, finalmente, si illustra la normativa penitenziaria presente in Italia riguardante la particolarità di trattamento degli autori di reati sessuali. Si sono analizzati i vari approcci terapeutici susseguitesi nel tempo per prevenire e “curare” il fenomeno delle violenze sessuali. Sistematicamente, è stato approfondita la struttura normativa in materia, concernente l’accesso ai benefici penitenziari, ai

(7)

~ 7 ~

permessi premio e alle misure alternative alla detenzione per i sex offenders. Inoltre, negli anni, sono stati presi dei provvedimenti dal Legislatore per ovviare alle regole sub-culturali presenti all’interno delle mura carcerarie che incidevano gravemente sulla situazione motivazionale e psicologica dei rei sessuali.

Ad oggi, ciò che ha portato un’evoluzione nel nostro Paese è stato l’avvento del Progetto di trattamento intensificato svolto nella Casa di Reclusione di Bollate, una terapia cognitivo-comportamentale basata sull’esperienza Canadese. Si tratta di un Progetto all’avanguardia in Italia che prevede un trattamento specifico e ben strutturato per i detenuti autori di reati sessuali, un supporto che li accompagna dall’esecuzione della pena in carcere, fino al loro rientro nella società. Peraltro, è stato possibile conoscere più da vicino il Progetto, grazie ad un colloquio tenuto con lo psicologo dell’èquipe operante a Bollate, il Dott. Andrea Scotti, il quale ha illustrato il lavoro svolto in Istituto fornendo una visione completa che si è cercata di riprodurre in questo elaborato.

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(9)

~ 9 ~

CAPITOLO I

REATI DI NATURA SESSUALE: L’ANALISI

STORICA DEL FENOMENO

1.1. La violenza sessuale nella storia. – 1.2. Il processo penale per reati sessuali nella Toscana del ‘700. – 1.3. La codificazione come fenomeno di cambiamento. – 1.4. L’evoluzione del XX secolo. – 1.4.1. Lo stupro come crimine di guerra. – 1.5. La legge n. 66 del 1996 come sintomo di cambiamento. – 1.6. Art. 609-bis c.p.: analisi ed effetti. – 1.7. Le circostanze aggravanti: art. 609-ter. – 1.8. Cenni sull’articolo 609-quater: atti sessuali con minorenne. – 1.9. Cenni sull’articolo 609-quinquies: corruzione dei minori. – 1.10. La violenza sessuale di gruppo. – 1.11. La procedibilità dei reati sessuali: art 609-septies. – 1.12. Le riforme normative successive alla L. 66/1996.

1.1. La violenza sessuale nella storia

“Che cos’è la violenza sessuale? Dal mio punto di vista…è un umiliare e annientare il prossimo nel modo peggiore che ci sia, nel senso che se vuoi veramente umiliare qualcuno, forse il sesso è il modo migliore per farlo. Un uomo in quei momenti non è più lui, è quasi un’altra persona, almeno nel mio caso…” - Guido, trent’anni, perito informatico, ha scontato cinque anni di detenzione per una serie di stupri1.

La violenza sessuale è comunemente definita come qualsiasi attività sessuale, compiuta da un soggetto – il sex offeder – ai danni di un altro soggetto – la persona offesa – mediante costrizione fisica o

1

P. GIULINI – C. M. XELLA, Buttare la chiave? La sfida al trattamento per gli

(10)

~ 10 ~

psicologica. Nella società in cui viviamo le violenze sessuali ad opera di sex offenders sono diventati crimini riprovevoli che accadono quotidianamente. Questi reati hanno origini lontane nella cultura dei popoli, pertanto è comprensibile come la condotta illecita sia stata diversamente e variamente concepita nel tempo, tanto da aver influenzato inevitabilmente il modo di intendere il rapporto uomo-donna.

La violenza sessuale si pratica più frequentemente da parte dell'uomo nei confronti della donna, per questo la storia della violenza sessuale va di pari passo con l’immagine della donna: «in essa i cambiamenti sono paralleli a quelli dei sistemi di oppressione esercitati sulla donna, alla loro permanenza, al loro affinamento, ai loro spostamenti»2. L’indagine storica, volta a ricostruire tale evoluzione, dunque si impone.

Il vocabolo latino stuprum indicava «una macchia dovuta ad onta e disonore»3, pertanto, il significato giuridico lasciava intendere che l’attenzione fosse rivolta al risultato degli atti, piuttosto che gli atti in sé. Di conseguenza, per stupro si intendeva «ogni rapporto sessuale, anche consensuale, con donna vergine, vedova casta o fanciullo»4; il focus di questo reato era la condizione della donna, non tanto l’uso di violenza o minaccia che risultavano solo un’aggravante. Oltretutto, il

2

G. VIGARELLO,Storia della violenza sessuale, Venezia, 2001, p. 11.

3

G. ARRIVO – D. LOMBARDI, Seduzioni, promesse, matrimonio: il processo per

stupro nella Toscana del Settecento, Roma, 2006, p. 14.

(11)

~ 11 ~

caso della donna vergine veniva considerato di più rilevante gravità rispetto ad un’aggressione alla vedova, in quanto il bene che si tutelava era la verginità. Nel caso in cui la donna fosse vincolata da rapporti coniugali, si parlava di adulterio, inteso eventualmente come violento se si fosse provata la coercizione. La prima menzione scritta dello stupro si è avuta nel Codice di Hammurabi (2285-2242 a.C.), redatto sotto ordine del re di Babilonia, in cui si contemplava che se la vittima dell'aggressione era una donna sposata, la vittima e l’aggressore dovevano essere condannati allo stesso modo per adulterio e doveva essere inflitta loro la pena dell’annegamento, salvo il perdono del marito alla moglie. Se la vittima era una giovane non sposata, invece si prevedeva di giustiziare solo l'aggressore5.

Ai tempi della antica Grecia, la consumazione di un rapporto sessuale al di fuori dei casi di coniugio e concubinato, era penalmente punito con la morte per l’uomo resosi colpevole del delitto; quest’ultimo poteva salvarsi solo pagando una somma di denaro determinata in base alle condizioni sociali della donna6. Tuttavia, da queste parti era una consuetudine provare piacere erotico con gli adolescenti; in particolare si ricorda lo stretto legame affettivo che intercorreva fra gli alunni maschi e i loro maestri e le regole di corteggiamento che dovevano essere rispettate dai maestri amanti. Questi avvenimenti non venivano considerati ipotesi di sfruttamento sessuale dei minori, anzi,

5

Codice di Hammurabi, traduzione inglese di L. W. KING, 1910.

6

A. TRINCI – S. TOVANI, Il delitti contro la libertà sessuale: aggiornato al D.

(12)

~ 12 ~

per i fanciulli era un privilegio esser amati dal proprio maestro7. Infatti, si riteneva che dopo una certa età, i ragazzi non avessero più bisogno di tutela a livello sessuale e i rapporti intercorsi con persone più anziane erano considerate, con un alto valore etico, come mezzo per trasmettere tali valori8. Tale consuetudine riscontrò successo anche a Roma, in quegli stessi secoli, e si differenziava nettamente dagli stupri, quest’ultimi considerati illeciti penali puniti con pene afflittive, fino anche alla pena capitale.

Nel diritto romano, le donne invece venivano divise per categorie delle quali non tutte godevano della tutela prevista dalla Lex Iulia de adulteriis coercendis del 18 A. C., legge che puniva lo stupro e l’adulterio. Certamente non venivano tutelate quelle donne che, per le attività che svolgevano (ad es. le donne di teatro, locandiere, serve), non potevano considerarsi vergini perché troppo esposte ad un contatto con il pubblico9. Inoltre, in un sistema schiavistico quale era quello romano, queste erano concepite come un bene oggetto di proprietà del padrone, il quale poteva usufruirne anche sessualmente. Nel caso in cui la violenza sessuale fosse adoperata da un estraneo, il padrone poteva esigere un risarcimento dei danni contro il suo patrimonio.

7 P. GERBINO, L’abuso sessuale dei minori nella storia, in Rassegna Italiana di

Criminologia, 1, Gennaio 2004, p. 75-94.

8

F. PETRUCCELLI, La pedofilia, in Le perversioni sessuali: aspetti clinici e

giuridici del comportamento sessuale deviante, a cura di C. Simonelli, F. Petruccelli,

V. Vizzari, Milano, 2002, p. 25.

(13)

~ 13 ~

Dal punto di vista sanzionatorio, sia in caso di adulterio che in caso di stupro, venivano puniti sia l’uomo che la donna, quale subiva la confisca di metà della dote e di un terzo dei beni, oltre alla collocazione sociale fra le c.d. feminae probrosae, cosiddette erano le donne che non potevano più contrarre matrimonio. La figura che si contraddistingueva era lo stupro violento, rientrante nella Lex Iulia de vi publica et privata, che veniva punito con la pena di morte, senza alcuna distinzione di sesso, età o qualità della vittima10.

I reati a sfondo sessuale, soprattutto nei confronti delle donne, continuarono e vennero usati in maniera prepotente anche come crimini di guerra, come un’arma per sottomettere ed umiliare la popolazione vinta. Successivamente, lo stupro in guerra fu proibito dai codici militari di Riccardo II e di Enrico V d'Inghilterra (nel 1385 e 1419 rispettivamente); queste leggi furono adottate per condannare e giustiziare gli stupratori della guerra dei cent'anni (1337 - 1453). Sicuramente un grande contributo ad enfatizzare il fenomeno delle violenze sessuali è stato dato dall’ontologia del Cristianesimo, che concepiva come peccato qualsiasi atto sessuale, a meno che non venisse svolto per fini tendenti alla procreazione. Così la religione cristiana nel medioevo condannava qualsiasi unione sessuale, arrivando anche alla sproporzionale considerazione di peccato qualsiasi forma di godimento perfino all’interno dei rapporti matrimoniali. Peraltro, il diritto canonico aveva stabilito, sulla base di

10 A. TRINCI – S. TOVANI, op. cit., p. 7.

(14)

~ 14 ~

alcuni passi biblici riguardanti Esodo e Deuteronomio, che la miglior pena da infliggere a chi violava la sessualità di una donna era la condanna al matrimonio con la stessa, cosicché la donna sarebbe potuta tornare in una condizione onorata. Questo metodo riparatore era stato adottato solo per i reati di stupro non violento, il cosiddetto stupro semplice, anche se questa possibilità è stata prevista altresì per i reati di stupro con violenza, peraltro, nel nostro ordinamento, fino a tempi recentissimi11.

L’Ancien régime è stato l’esempio di una cultura di tolleranza per il fenomeno dello stupro. Il reato di violenza sessuale veniva poco perseguito dai tribunali, nonostante fosse severamente punito dai testi giuridici del tempo; in particolare, i giudici dell’ancien régime si dimostravano indulgenti e comprensivi rispetto agli episodi di stupro. Oltretutto, le norme del sistema, a quei tempi, prevedevano una pena anche per la donna molestata nel caso in cui fosse stata riconosciuta colpevole di aver “provocato” l’aggressore e la maggior parte delle volte la tesi della provocazione risultava credibile, andando così a celare ciò che restava della dignità della vittima. Per questo tipo di reato era prevista una semplice pena pecuniaria e costituiva un crimine contro la moralità, associato ai crimini contro i costumi, alla fornicazione, all’adulterio, alla sodomia, alla bestialità; non

11

Per stupro semplice si intende il rapporto sessuale fra l’autore e una donna vergine o vedova onesta consenziente, senza coercizione fisica o psicologica, poiché era stata persuasa da una promessa di matrimonio. G. ARRIVO – D. LOMBARDI, op.

(15)

~ 15 ~

apparteneva alla categoria dei crimini violenti. Lo stupro rilevava solo in quanto furto della proprietà altrui, con un evidente disconoscimento di qualsiasi diritto in capo alla vittima femminile12.

1.2. Il processo penale per reati sessuali nella Toscana

del ‘700

Nel XVII secolo, in Toscana, lo stupro divenne la tipologia di reato più trattato dopo il furto; dal 1762 al 1781 si contarono solo nel Granducato 1685 cause, il 10% di tutta l’attività processuale.

Lo stupro, inizialmente considerato di misto foro13, dopo il Concilio di Trento, diventò campo di giurisdizione dei Tribunali secolari, riservando ai Tribunali ecclesiastici solo la materia relativa al matrimonio. I Tribunali secolari si occuparono, pertanto, di mantenere l’ordine pubblico e tutelare l’onore sessuale: le donne, che si rivolgevano a questo, erano coloro che volevano recuperare l’onore per via giudiziaria. La competenza a giudicare spettava al Supremo Tribunale di Giustizia, un cancelliere svolgeva la fase istruttoria e compilava gli atti processuali che trasmetteva direttamente ad un assessore ed a un auditore i quali redigevano ciascuno un disegno di sentenza; l’auditore fiscale, che dal 1784 fu sostituito dal Presidente

12

M. FOUCAULT, Surveiller et Punir. Naissance de la prison, Gallimard, Paris, 1975. Sorvegliare e punire, La nascita della prigione, trad. it. di Alcesti Tarchetti, Torino, 1993, p. 56 e ss.

13

La cui competenza spettava sia ai tribunali laici che a quelli ecclesiastici. Così in G. ARRIVO – D. LOMBARDI, op. cit., p. 17 e ss.

(16)

~ 16 ~

del Supremo Tribunale di Giustizia, esaminava le proposte e redigeva la decisione finale. Questo era l’unico grado di giudizio possibile e per appellare una eventuale sentenza di condanna l’unica cosa possibile da fare, era chiedere la grazia alla Consulta. Ricorrere al Tribunale per riprendere l’onore era una pratica frequente in quel periodo, ma se si analizzano nello specifico le cause, si nota che il 80% di queste sono avanzate contro stupri non violenti, quelli con promesse di matrimonio in cui la donna era stata vittima di persuasione e seduzione e chiedeva il mantenimento della promessa. Le donne che subivano realmente violenza sessuale non denunciavano il fatto alla giustizia; il fenomeno tendeva a rimanere nascosto fra i ricordi delle vittime, così come tutt’oggi accade14

.

Il bene che veniva tutelato dalle leggi contro lo stupro era la castità delle donne: lo stupro della fanciulla vergine veniva considerato un illecito più grave rispetto allo stupro di una vedova casta. La rottura della verginità della fanciulla era considerata non solo ai fini

dell’onore personale, ma soprattutto legata all’onore familiare15

. L’aspetto morale provocato dallo stupro passava, invece, in secondo piano.

Quindi, il procedimento penale si focalizzava sull’avvenuta o meno deflorazione della donna presunta stuprata: tramite un’ispezione fisica obbligatoria, le ostetriche del tempo accertavano che effettivamente ci

14

G. ARRIVO – D. LOMBARDI, op. cit., p. 35.

(17)

~ 17 ~

fosse stata rottura dell’imene, della presenza di una potenziale gravidanza o di segni di antecedenti gravidanze (indice della mancanza del requisito della verginità al momento del fatto) 16. Un altro elemento di accertamento, in caso di stupro violento, consisteva nell’effettiva resistenza della vittima all’aggressore anche a costo della vita, perché l’onore era un bene di valore superiore anche alla propria esistenza. La donna doveva provare in sede di giudizio, di aver fatto tutto il possibile per evitare la violenza sessuale e per riservare il suo onore. Il giudice, nel valutare le dichiarazioni delle donne ed evitare di cadere nei loro inganni per ostentare una falsa onestà, doveva valutare attentamente elementi soggettivi (quali i costumi, l’età, la condizione) ed elementi oggettivi (luogo, tempo, le grida, lo stato psico-fisico della donna). Altro elemento valutato a favore della vittima era la tempestività della querela, elemento peraltro che fu oggetto di discussione nei lavori preparatori del nuovo codice penale toscano del 1786, poiché era stato proposto un tempo di prescrizione di otto giorni. Proposta valutata eccessivamente rigida che non andò in porto17.

In un contesto di diatriba fra la dottrina se tutelare le donne meretrici e in che misura, sorprendono le parole di William Blackstone, un giurista della Dublino del ‘700, la cui concezione era che anche la prostituta «possedeva una sua potenziale castità che la legge era

16

G. ARRIVO – D. LOMBARDI , op. cit., p. 53 e ss.

(18)

~ 18 ~

tenuta a proteggere»18. Uno squarcio si stava cercando di aprire sul riconoscimento di un’uguaglianza di tutela sulle donne, ma tutto ciò fu travolto dalla differenziazione delle pene afflittive previste per il reato in base alla condizione della vittima. Lo stupro compiuto su una donna onesta era condannato più gravemente rispetto allo stupro subito da una donna meretrice, perciò la pena dei lavori forzati a vita doveva essere diminuita e graduata in base alla condizione della vittima, secondo la discrezionalità del giudice.

Il Supremo Tribunale di Giustizia si occupò, inoltre, di casi di stupro di bambine adolescenti, ma anche bambine di età inferiore a 12 anni. In questi casi, era difficile ricostruire da parte della difesa la malizia della vittima, mentre la perizia medica assumeva una rilevante importanza in quanto unico elemento oggettivo da poter valutare e se da questa si riscontrava la rottura del claustro virginale, la pena inflitta poteva essere anche quella capitale o i lavori forzati a vita. Se invece non si aveva avuto rottura, la pena diminuiva considerevolmente, commisurando qualche anno di esilio o condanna al risarcimento per la condizione deteriorata, a volte sottoforma di dote19.

1.3. La codificazione come fenomeno di cambiamento

Il mutamento di cultura si attuò grazie all’attribuzione di rilevanza penale, nel XIX secolo, a fatti fino allora non giudicati ascrivibili al

18

G. ARRIVO – D. LOMBARDI, op. cit., p. 47.

(19)

~ 19 ~

reato di violenza sessuale, delineati con il Codice napoleonico del 1810.

Si affermò una distinzione delle varie forme di violenza - stupro, oltraggio, attentato, con spostamenti delle soglie di punibilità a seconda dell’età delle vittime - e si diede per la prima volta importanza anche alla violenza morale, prendendo maggiormente in considerazione la vittima, la sua mancanza di volontà e l’incapacità di difesa20. Tuttavia questo cambiamento fu soltanto illusorio, in quanto i reati a sfondo sessuale vennero inclusi fra i “Reati che attaccano la pace e l’onore delle famiglie”, pertanto non ci fu alcun incentivo per le donne a denunziare questi fenomeni e procedere giudizialmente. La giurisprudenza ottocentesca accolse certamente una sensibilità nuova verso la violenza e la brutalità, ma senza che ciò portò in realtà

a maggiori processi e condanne e nemmeno a maggiori denunce21.

La nuova visione della violenza non eliminò la vergogna della vittima, una costante degli episodi di stupro in tutti i tempi, né la ritrosia degli inquirenti verso la testimonianza del soggetto femminile. Nonostante una crescita dell’intolleranza verso il fenomeno, la giustizia penale ottocentesca non mostrò coerenza con la mutata questione sociale e giuridica della violenza sessuale e ciò sembrerebbe dovuto al mantenimento di un potere sulla donna, all’esistenza di un giudizio che non rispettava i canoni della parità delle parti che non sarebbe

20

G. VIGARELLO, op. cit., p. 100 ss.

21

T. PADOVANI, Sub Pre-art. 609-bis c.p., in Commentario delle norme contro la

(20)

~ 20 ~

riuscito a dare giustizia alla vittima22. Fanno eccezione, tuttavia, i processi per violenza sessuale su minori, che aumentavano progressivamente, poiché lo stupro in tali circostanze non venne in alcun modo tollerato grazie ad un interesse culturale per l’infanzia e la sua tutela.

Un primo sintomo di cambiamento si ebbe già alla fine del ‘800, quando nella letteratura medica e psichiatrica venne introdotta la figura dello stupratore: soggetto teso a svolgere atti sessuali abusando di altre persone dissenzienti. Questa figura venne ricondotta, per la prima volta, in una categoria distinta di persone quasi a voler indicare la diversità e il disprezzo per le pratiche che svolgeva23. Qualche anno più tardi, nel 1889, fu introdotto il primo codice penale unitario, il Codice Zanardelli, in cui le diverse fattispecie sessuali erano previste tutte all’interno Titolo VIII. Lo stesso comprendeva anche reati come supposizione e soppressione di Stato, per questa ragione era facilmente comprensibile come la collocazione sistematica doveva essere migliorata in futuro. Tuttavia, l’origine di questo disordine è dato dal fatto stesso che il filo conduttore dei reati a sfondo sessuale non era, certamente, il motivo sessuale, bensì il corrente sentimento di buon costume24 e ordine delle famiglie25,

22 G. VIGARELLO, op. cit., p. 122 ss. 23

G. VIGARELLO, op. cit., p. 159 e ss., nonché J. BOURKE, Stupro. Storia della

violenza sessuale, Roma, 2009, p. 11.

24

Per “buon costume” va inteso “l’ordine etico – giuridico costituito dall’osservanza di quei limiti che sono ritenuti necessari per la sicurezza, per la libertà e per la

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~ 21 ~

considerati come beni giuridici essenziali della società del tempo. Il Codice in questione sottoponeva la punizione del reato alla imposizione di tali fatti concernenti reato - la congiunzione carnale o gli atti di libidine - alla persona vittima dello stesso con violenza o minaccia, non essendo sufficiente il semplice dissenso. Ancora una volta, le ragioni della tutela penale andavano ravvisate in una protezione dell’interesse sociale, accordando alla persona offesa solo una tutela secondaria.

1.4. L’evoluzione del XX secolo

Con l’avvento del fascismo, si diede luogo all’introduzione di un nuovo Codice Penale, introdotto nel 1930, che ha ben poco modificato il codice predecessore sennonché comprendere i reati di violenza sessuale e incesto rispettivamente nel Libro secondo “Dei delitti in particolare” , Titolo IX “Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”, divisi a loro volta in Capo I “Delitti contro la libertà sessuale” , Capo II “Offese al pudore e all’onore sessuale” e Capo III “Disposizioni comuni ai capi precedenti”, in cui si disciplinano norme relative all’età della persona offesa, pene accessorie, querela della persona offesa, ecc. Ma questi Capi non rappresentavano un quadro

moralità dei rapporti sessuali”, V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1986, p. 529.

25 Per “ordine delle famiglie” va inteso “l’istituto giuridico familiare regolato dallo

Stato nel pubblico interesse, considerato nel complesso di quelle norme che tendono ad assicurare la moralità sessuale nelle famiglie e in rapporto ad esse, e che impongo l’osservanza delle leggi giuridico - naturali della generazione”, V. MANZINI, op.

(22)

~ 22 ~

esaustivo in quanto il Titolo XI “Dei delitti contro la famiglia”, comprendeva il Capo II “Dei delitti contro la morale familiare”26. La novità di un espresso riferimento alla «moralità pubblica» e al «buon costume» è stata criticata per una sostanziale identità di tali concetti. Infatti, in riferimento al primo si intende una coscienza etica di un popolo in un determinato momento storico; per quanto riguarda il concetto di «buon costume», invece, si fa riferimento al suo aspetto esteriore che sembra essere particolarmente privilegiato dalla lettura di queste norme, vista l’attenzione posta ai fatti commessi con violenza, minaccia, inganno, pubblicità, oppure avvalendosi di rapporti con la persona offesa27.

Così, mentre si affermava che la violenza sessuale non offendeva principalmente la persona, coartandola nella sua libertà, ma ledeva una generica moralità pubblica, si dimostrava che il bene da voler proteggere e tutelare non era tanto la persona, quanto il buon costume sociale come valore superiore. Ancora una volta la donna è vista come un oggetto di proprietà della famiglia e la libertà sessuale è valutata come una sorta di “interesse legittimo”, tutelato ai fini di una rilevanza pubblicistica. Tutto ciò perché il retaggio storico da cui si perveniva, ammetteva attività sessuali solo a scopo di procreazione e qualsiasi atto diversamente orientato veniva considerato un illecito. Pertanto, nel caso dello stupro semplice nei confronti di una donna nubile, o di

26

B. ROMANO, Delitti contro la sfera sessuale della persona, Padova, 2013, p. 5.

27

G. AMBROSINI, Le nuove norme sulla violenza sessuale : Legge 15 febbraio

(23)

~ 23 ~

buoni costumi o nel caso di adulterio, la donna veniva considerata alla pari dell’uomo in un concorso di reato e l’abuso si considerava attuato nei confronti della famiglia e/o del marito. In caso di stupro violento, le cui caratteristiche erano la presenza di violenza o minaccia da parte dello stupratore, l’onere di resistenza da parte della vittima doveva essere provato in sede di giudizio. In questo modo avveniva una sovversione di ruoli in cui la persona offesa era destinata a diventare imputata28.

Era prevista la distinzione tra il reato di “violenza carnale” (art. 519)29 e quello di “atti di libidine violenti” (art.521), dove la condotta costitutiva del reato era ravvisata, ancora una volta, nella violenza e nella minaccia del soggetto agente, non essendo sufficiente il mero dissenso della persona offesa. Pertanto, la pena per aver compiuto o aver indotto a compiere atti di libidine era ridotta di un terzo rispetto alla pena prevista per il reato di violenza carnale, consistente nella reclusione da tre a dieci anni.

D’altronde, secondo la tradizione giuridica italiana al momento della codificazione, gli interessi connessi alla libertà sessuale erano

28 T. PADOVANI, Sub Pre-art. 609-bis, in op. cit., a cura di A. Cadoppi, Padova,

2006, p. 419 e ss.

29

Art. 519: “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione

carnale è punito con la reclusione da tre a dieci anni. 1. non ha compiuto gli anni quattordici; 2. non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole ne è l' ascendente o il tutore, ovvero è un`altra persona a cui il minore è affidato per ragione di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia; 3. è malata di mente, ovvero non è in grado di resistergli a cagione delle proprie condizioni di inferiorità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole; 4. è stata tratta in inganno, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona”,

(24)

~ 24 ~

“interessi necessariamente funzionali ad un altro sovrastante interesse” e quindi non “meritevoli di tutela di per sé, in rapporto al valore e alla dignità del soggetto che ne è portatore”, ma dovevano “essere collegati ad un contesto di valori superiori dal quale essi traevano necessariamente consistenza e validità”30. Spesso molti processi si risolvevano in una ricerca minuziosa del livello di verginità anatomica violata ed era proprio la Cassazione che, con le sue sentenze, definiva al centimetro quanto deve essere profonda la penetrazione affinché era riconosciuto il reato di violenza carnale. Se invece non c’era versamento spermatico o penetrazione, ma “solo” un semplice contatto, anche intimo, offensivo, umiliante, molesto, tanto da determinare nel molestatore un piacere equivalente al coito, non veniva considerato “congiunzione”. Bisognava quindi tracciare i confini tra i due tipi di reati e, di fatto, questa distinzione ha portato spesso ad atti di indagine specifici sul corpo della vittima, estenuanti interrogatori ed umilianti esami, per conoscere l’esatto avvenimento e poter decidere sulla presenza del fatto illecito come violenza sessuale (se vi fossero i segni sulla vittima di congiunzione carnale31) o di reato meno grave quali erano gli atti di libidine32. In ogni caso, per le

30

T. PADOVANI, op. cit., p. 418.

31

Per congiunzione carnale si intendeva “ogni fatto per il quale l’organo genitale

del soggetto attivo o del soggetto passivo venga introdotto totalmente o parzialmente nel corpo dell’altro: pertanto sono atti di congiunzione carnale e non semplici atti di libidine sia il coito anale che quello orale”, cfr. Cass., 21 gennaio

1985, in Cass. pen., 1986, p. 297.

32

Per atti di libidine di intendono atti commessi con “l’intenzione lasciva, diretta

cioè al fine erotico, che lo sorregge”, PECORARO - ALBANI, voce Atti di libidine violenta, in Enc. dir., vol. IV, 1959, pp. 8-10.

(25)

~ 25 ~

attenuanti e aggravanti della pena, non era così rilevante verificare fino a che punto l’imputato era giunto con la penetrazione, ma sapere cosa era successo approssimativamente e capire quali erano le sue intenzioni.

Nel Codice Rocco il corpo femminile perde unità, viene parcellizzato come dimostra la distinzione fra atti di libidine e violenza carnale. L’iniziale logica di necessaria finalità riproduttiva della sessualità aveva per lungo tempo fatto sì che in giurisprudenza la violenza sessuale fra coniugi o nei confronti della prostituta non si configurasse mai, sulla base di una implicita concezione del corpo della donna “per definizione disponibile e in proprietà reificata di un uomo o di tutti gli uomini”33.

L'articolo 544 c.p., rubricato “Causa speciale di estinzione del reato”,

ammetteva il cosiddetto matrimonio riparatore34. Secondo questo

articolo, l'accusato di delitti di violenza carnale, anche su minorenne, avrebbe avuto estinto il reato nel caso in cui avrebbe scelto di

convogliare a nozze con la persona offesa35. La donna veniva

considerata alla stessa stregua di un oggetto che chiunque poteva rompere purché poi si assumesse l’onere di raccoglierne i pezzi.

33

M. VIRGILIO, Corpo di donna e legge penale. Ancora sulla legge sulla violenza

sessuale?, in Democrazia e diritto, 1996, p. 163.

34 Art. 544, “Per i delitti preveduti dal capo primo e dall'articolo 530, il matrimonio,

che l'autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali”, Codice Penale Rocco, 1930.

35

R. BORGOGNO, I delitti di prostituzione minorile, in I reati sessuali. I reati di

sfruttamento dei minori e di riduzione in schiavitù per fini sessuali, a cura di F.

(26)

~ 26 ~

E si poteva dire forse che il ratto a scopo di matrimonio era la parte peggiore perché, mentre nel ratto a scopo di libidine la donna poteva continuare la propria vita, in quello a scopo di matrimonio, invece, doveva restare senza più nessuna possibilità di scelta per tutta la vita, in quanto merce avariata e non più proponibile. Questo articolo fu abrogato con l'articolo 1 della Legge 442 del 1981.

Per quanto riguarda la violenza sessuale in capo a minori, vista l’importanza che il fascismo riservava alla tutela di questi, il Codice Rocco prevedeva un articolo significativo al 530, rubricato

“Corruzione di minorenni” 36

, in cui si ravvisava una prospettiva eccentrica poiché si voleva proteggere la purezza del minore secondo un concetto di pudore pubblico37. Meritevole di attenzione è l’ultimo comma in cui non si prevede punibilità per chi abusa di minore “corrotto”. Questo passaggio è stato concepito da alcuni come causa di non punibilità, da altri come causa di giustificazione, spiegata nel senso che si stesse parlando di minore già moralmente indotto ad esperienze sessuali.

Altro elemento da sottolineare è quello relativo al fatto che il reato, per essere perseguito, doveva essere denunziato dalla persona offesa.

36

Art. 530, “Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli 519, 520 e 521,

commette atti di libidine su persona o in presenza di persona minore degli anni sedici è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi induce persona minore degli anni sedici a commettere atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole, o su altri. La punibilità è esclusa se il minore è persona già moralmente corrotta”, Codice Rocco, 1930.

37

P. VENEZIANI, Sub art. 609-quater c.p., in Commentario delle norme contro la

(27)

~ 27 ~

Il P.M. non poteva muoversi d’ufficio; la vittima doveva iniziare la procedura querelando lo stupratore, se voleva avere un minimo di giustizia.

Con l’introduzione della nuova Costituzione Italiana, nel 1948, si capovolge la prospettiva di tutto l’assetto precedente e si pone una gerarchia dei valori con cui si tutela principalmente la persona umana, senza alcuna discriminazione. Sin dai primi mesi della sua vigenza, si pensava all’abolizione di tutto il Codice penale Rocco, ma niente di tutto ciò è avvenuto, visto che è in vigore tutt’oggi, anche se molte leggi sono intervenute per mitigare gli aspetti più autoritari e spigolosi. Grazie ad una maggiore sensibilizzazione verso i valori personalistici, si è superata la visione di sessualità antecedentemente affermatasi, asserendosi piuttosto come estrinsecazione della «personalità umana e strumento di comunicazione interpersonale cui è estranea qualsivoglia forma di riduzione ad oggetto del corpo umano38». Dalla giurisprudenza si vede un primo sintomo di cambiamento già dal 1988, quando la Cassazione in una sua sentenza afferma che «poiché la persona non può e non deve essere mai degradata a corpo e trattata come corpo, il fatto costituente il reato di violenza carnale si realizza allorchè il reo degrada la persona a “corpo da possedere”39

».

38

A. TRINCI – S. TOVANI, op. cit., p. 13.

(28)

~ 28 ~

Le norme sulla violenza sessuale sono state a lungo oggetto di discussione nelle aule delle Camere che hanno provato diversi tentativi di modifica delle stesse, in particolare da quando in occasione del processo per i delitti del Circeo, il movimento delle donne impose la considerazione di questi reati in tutta la loro gravità. Ma non si è raggiunto mai un compromesso politico, se non nel 1996, dopo ben 5 legislature e una serie di interventi iniziati nel 1979, con a seguire una proposta popolare nel 1980 in cui sono state raccolte ben 300.000 firme. La prima proposta veniva approvata alla Camera nel 1984. In particolare, era Democrazia Cristiana che titubava sulla questione della procedibilità d’ufficio del reato in quanto si dovevano distinguere, per questa corrente, atti commessi all’interno della coppia marito-moglie e atti commessi a danno di minorenni anche se consenzienti su cui non era ammesso alcun tipo di effusione.

Oltretutto, un altro motivo che ha prolungato l’attesa della riforma è stata la concezione che si aveva della famiglia basata sul dominio dell’uomo sulla donna e il resto del nucleo familiare.

1.4.1. Lo stupro come crimine di guerra

La cultura dello stupro, come già accennato precedentemente, è stata per molto tempo considerato “uno strumento terroristico e pianificato per annientare il nemico”40. La violenza contro le donne, nel periodo

40

M. PONZANI, Guerra alle donne. Partigiane, vittime di stupro, “amanti del

(29)

~ 29 ~

della seconda guerra mondiale, è vista in modo sistematico e programmato come arma di guerra. In relazione ai racconti delle partigiane sulle torture e le violenze sessuali subite durante la detenzione ad opera dei repubblicani e delle milizie fasciste, si deve volgere lo sguardo alla cultura maschilista di quel momento storico che ha portato ad abusare delle donne perché esse avevano osato ribellarsi al regime per lottare, per emancipare se stesse da quel ruolo sociale secondario e sottomesso di brave mogli ubbidienti e madri sacrificali41. La violenza veniva usata anche per costringere le donne nemiche a confessare chi ci fosse dietro le reti cospirative, ma il vero scopo è terrorizzare, annichilire e mortificare la forza di resistenza delle donne. Le partigiane sapevano già, una volta catturate, cosa le sarebbe spettato; erano estremamente consapevoli di quello cui andavano incontro e talmente determinate da non cedere ai ricatti di annientamento. Le partigiane sapevano che i fascisti volevano punirle, in quanto la loro partecipazione alla Resistenza danneggia l’ordine sociale creato dal Fascismo, fondato sulla famiglia patriarcale e gerarchica. Tuttavia, sebbene il dolore, la violazione profonda della loro dignità e il trauma, neanche la violenza sessuale riuscì a piegare queste donne. La Cassazione, in una sua sentenza del 28 maggio 1948 giudicò queste violenze fasciste, riconoscendo in esse la sussistenza del reato di sevizie.

41 M. PONZANI, op. cit., p. 12.

(30)

~ 30 ~

1.5. La legge n. 66 del 1996 come sintomo di

cambiamento

Una prima innovativa ed esaustiva riforma alla disciplina previgente contenuta nel Codice Rocco, si ha finalmente con la L. n. 66 del 1996 che risulta essere il prodotto di numerosi compromessi delle forze politiche, voluta fortemente dai movimenti femminili e dalle donne parlamentari del tempo. Una legge frutto, dunque, di lacerazioni e contrasti nel mondo politico ed anche nei movimenti a tutela della donna, tuttavia votata all’unanimità dei consensi in Parlamento alla vigilia dello scioglimento delle Camere.

La detta legge, innanzitutto, all’art 1 ha abrogato interamente il Capo I e gran parte del Capo II del Titolo IX, sostituiti in parte con l’introduzione degli artt. da 609-bis a 609-decies c.p., nella Sezione II “Dei delitti contro la libertà personale”, del Capo III “Dei delitti contro la libertà individuale”, del Titolo XII “Dei delitti contro la persona”, del Libro II del Codice Penale, e in parte con l’introduzione degli artt. da 600-bis a 600- septies c.p. con la L. n. 185 del 1998 per fronteggiare il fenomeno della pedofilia42.

La nuova legge del ’96 ha costituito una rivoluzione etico -culturale in materia, in quanto ha recepito gli orientamenti della giurisprudenza e al contempo ha colto l’evoluzione del costume sociale: si è giunti, finalmente, ad un cambiamento radicale di considerazione dei reati di

42 G. AMBROSINI, op. cit., p. 2.

(31)

~ 31 ~

violenza sessuale e degli altri delitti che ledono la sfera sessuale. Per la prima volta, i reati a sfondo sessuali non rientrano più nella categoria dei reati contro la moralità pubblica e il buon costume, ma vengono inseriti nei reati contro la persona. Questa connotazione ha portato nuovi risvolti dal punto di vista giuridico in quanto la sfera sessuale viene riconosciuta come un diritto della persona la cui disponibilità dipende solo dalla medesima43.

La libertà di disporre del proprio corpo consiste nel diritto che nessuno lo aggredisca per finalità sessuali e, pertanto, riconosciuta normativamente è la libertà sessuale come diritto personalissimo coperto da tutela penale. Anche la Corte di Cassazione si è espressa sulla questione affermando che: «la sfera della sessualità cessa di appartenere al generico patrimonio collettivo della moralità o del buon costume e diviene diritto della persona umana di gestire liberamente la propria sessualità e la violazione di detto diritto costituisce offesa alla dignità della persona. Pertanto, l’illiceità dei comportamenti deve essere valutata alla stregua del rispetto dovuto alla persona umana e della loro attitudine ad offendere la libertà di determinazione della sfera sessuale, sicché è disancorata dall’indagine sul loro impatto nel contesto sociale e culturale in cui avvengono, in quanto punto focale è la disponibilità della sfera sessuale da parte della persona, che ne è titolare»44.

43

G. AMBROSINI, op. cit., p. 4.

(32)

~ 32 ~

Parte della dottrina ha criticato la nuova sistemazione degli articoli da 609-bis a 609-decies, e quindi la mancanza di un settore autonomo e indipendente, in quanto sembrava far perdere la connotazione di stampo sessuale che si aveva nel codice previgente; la stessa sosteneva che sarebbe stato preferibile l’iscrizione ex novo del Titolo IX, con un

mantenimento della nota di libertà45. L’aspetto che si vuole

sottolineare è che la legge tende a muovere dei meccanismi di prevenzione generale che offrano reale tutela alle vittime di questi reati. È questo il sentimento da cui prende parte l’evoluzione che ha portato all’affermazione della L. 66/96, iniziato a partire dagli anni sessanta, con l’abolizione di tutte le fattispecie di disuguaglianza tra i sessi, già in contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione46.

I valori che volevano essere affermati, in un momento storico importante per il Movimento femminista, hanno portato alla «riflessione sul ruolo e sull’immagine della donna nella società: l’immagine di un donna che non può essere considerata solo come passiva o potenziale vittima dell’aggressione maschile, ma persona in grado di portare nel rapporto con l’uomo la completezza di una sessualità non più negata, ma anzi riaffermata come del tutto paritaria. Fu, infatti, il Movimento femminista che elaborò una teoria del corpo e della sessualità femminili come luoghi ineludibili del percorso di liberazione della donna, e fu il Movimento femminista che

45

B. ROMANO, Delitti contro la sfera sessuale della persona, Milano, 2004, p. 24.

46

I. ALFONSO, Violenza sessuale, pedofilia e corruzione di minorenne, 2004, p. 20.

(33)

~ 33 ~

riuscì a raccogliere ben trecentomila firme per affermare con quel disegno di legge la dignità della donna e il rispetto della sua integrità di persona attraverso il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo e sulla propria sessualità»47. Pertanto, il quadro delineato dal codice previgente era diventato anacronistico e necessitava di essere rinnovato perché altro non rappresentava che una concezione essenzialmente sessuofobica e maschilista in cui la donna soggiaceva al dominio familiare e maritale. Come è stato osservato, «la nuova legge, espressione della rivoluzione avvenuta sul piano della sessualità, definisce un assetto di tutela imperniato proprio sul rispetto della volontà da parte della donna, sulla difesa dell’autodeterminazione della persona, anche e soprattutto, in ambito sessuale, che avrebbe dovuto mettere definitivamente in soffitta, tra le anticaglie del passato, tutto ciò che apparteneva al vecchio modo di configurare la violenza sessuale penalmente rilevante»48.

La legge, come antecedentemente detto, è stata approvata in una situazione di emergenza, e quindi affrettatamente, per la fine anticipate della legislatura. Ciò giustifica il fatto per cui le nuove norme non hanno coperto tutto il panorama sociale del tempo, ma hanno voluto fissare soltanto dei punti sicuri di riferimento, purtroppo risultati inadeguati di fronte alla particolare gravità del fenomeno sociale. Alcune delle questioni non trattate dalla legge riguardano la

47

S. BELTRANI – R. MARINO, Le nuove norme sulla violenza sessuale:

commento sistematico alla legge 15 febbraio 1996 n. 66 ,1996, p. 8.

(34)

~ 34 ~

procedibilità dei reati che voleva essere d’ufficio nei casi in cui sussistesse violenza fisica o psichica49. Non ha avuto seguito nemmeno la proposta di Mussolini di introdurre una nuova figura di reato quale quella di «molestie sessuali» riguardante «comportamenti verbali o fisici o nell’uso di scritti, immagini, pubblicazioni, comunicazioni telefoniche o telematiche, che abbiano riferimenti di natura sessuale o siano finalizzati a motivi sessuali indesiderati della persona oggetto della molestia o comunque lesivi del diritto alla dignità»50. Tale proposta avrebbe potuto soddisfare le esigenze dell’evoluzione del costume sociale e avrebbe costituito il limite minore delle norme in tema di violenza sessuale.

1.6. Art. 609-bis: analisi ed effetti

È importante capire quali sono gli effetti delle innovazioni prodotte dalla L. 66 del 96, oltre al cambiamento sistematico, dunque, è consigliata una lettura coordinata della normativa previgente e la nuova legge. In ogni caso, solo il trascorrere del tempo chiarirà il dubbio se la normativa sia effettivamente efficace e concretamente applicabile; sicuramente, le norme in materia sono soggette ai mutamenti sociali, di conseguenza, sarà interessante avere un riscontro con le modifiche settoriali avvenute negli anni successivi al ’96.

49

Altre questioni non trattate dalla legge riguarda i rapporti sessuali consensuali fra minorenni, l’attenuante speciale del fatto di minore gravità, nonché G. AMBROSINI, op. cit., p. 8.

(35)

~ 35 ~

Innanzitutto, la nuova collocazione dei reati sessuali sembrava, agli occhi di tutti, una conquista importante per le donne; in realtà il legislatore non ha fatto altro che prendere atto di quello che già accadeva nelle aule dei tribunali e negli scritti della maggiore dottrina, dalla quale risultava già approdato il bene giuridico della libertà sessuale. Pertanto l’innovazione è presentata come un messaggio culturale diretto al popolo, ma, internamente, l’approccio

tecnico-specialistico rimane pressoché immutato51.

Analizzando la normativa nello specifico, un primo aspetto che rileva è l’abbandono della distinzione operata nel 1930, tra “violenza carnale”, “atti di libidine violenti” e “congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale”, andandosi ad unificare nella figura di “violenza sessuale” che comprende in sé qualsiasi atto avente significato, o motivazione, sessuale52.

La volontà di unificazione fu assecondata dall’esigenza, sentita nella prassi giudiziale ante-riforma, di evitare alla vittima l’ulteriore umiliazione di indagini mediche particolarmente insidiose per distinguere l’ipotesi più grave, di violenza carnale, da quella più mite, di atti di libidine. Ma la nuova disciplina non sopprime la complicata applicazione della norma, in quanto è necessaria una specifica

ricostruzione dell’accaduto per determinare la pena ex art. 13353

.

51

G. FIANDACA, Violenza sessuale, in Enciclopedia del Diritto, p. 1155.

52

C. PARAVANI, Sub art. 600 c.p., in Commentario delle norme contro la

violenza sessuale, a cura di A. Cadoppi, Padova, 2006, p. 23 e ss.

(36)

~ 36 ~ La norma di unificazione è l’art. 609-bis54

c.p., compreso nel Titolo XII, riguardante i delitti contro la persona, e che risulta essere il pilastro portante dell’intera disciplina. Al suo primo comma recita: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.”

È evidente che la figura criminosa in esame rientra fra i reati comuni. Al momento dell’emanazione, era stata sollevata una questione in dottrina circa la possibilità di far rientrare tra i legittimati attivi anche il coniuge: parte della dottrina sostenne che la presenza del vincolo coniugale escludesse la possibilità di violenza carnale, innanzitutto, per la mancanza di appigli al diritto positivo, ma anche perché non può il costume sociale trasformarsi in diritto di famiglia. Per quanto riguarda il soggetto passivo, la condizione posta dall’art. 609-bis è che si tratti di una persona fisica vivente55: è irrilevante il sesso del soggetto passivo, così come quello del soggetto attivo. Di conseguenza è compresa la circostanza di violenza sessuale tra appartenenti al medesimo sesso56. Ma il perno su cui ruota tutta la disciplina è, di certo, la nozione di “atti sessuali”, nozione al quanto vaga che ha destato non pochi dubbi interpretativi. Per una migliore valutazione della locuzione di atti sessuali, è inevitabile un riscontro con il passato: invero, per congiunzione carnale si intendeva «ogni

54 L’art. 609-bis sostituisce gli art. 519 primo comma, 520 e 521 della normativa

previgente, per fatti commessi con violenza o minaccia.

55

In caso di atti sessuali su cadaveri, la fattispecie rientra nella figura criminosa all’art. 410 c.p., vilipendio di cadavere.

(37)

~ 37 ~

fatto per il quale l’organo genitale del soggetto attivo o del soggetto passivo venga introdotto totalmente o parzialmente nel corpo dell’altro57

». Infatti, la nuova locuzione utilizzata nel linguaggio legislativo italiano ricomprende sia la violenza carnale, sia gli atti di libidine, comprendendo così «tutti gli atti aventi significato erotico anche solo nella dimensione soggettiva dei rapporti soggetto attivo/soggetto passivo58», con un unico limite costituito dall’oggettivo significato erotico, o sessuale.

Difficoltà sull’interpretazione della locuzione si sono destati al momento di tracciare il limite al di là del quale una condotta non può considerarsi sessuale, tale da intendersi irrilevante: se non c’è dubbio sulla natura sessuale di alcuni atti quali il coito, la masturbazione ed altri atti definibili ontologicamente come sessuali, complicato piuttosto sembra essere l’inquadramento di altri tipi di atti, come la palpazione, il bacio, la carezza, in parti del corpo non genitali ma poste in essere in determinate circostanze. Per una parte della giurisprudenza di merito, la violenza sessuale non richiederebbe necessariamente il contatto fisico tra autore e vittima, ma basterebbe anche la sola induzione a compiere atti di automasturbazione, ai fini della costituzione del reato59; allo stesso modo, sembrano ricompresi nel concetto di atti sessuali tutti quelli che coinvolgono zone del corpo

57

Si considerano atti di congiunzione carnale, pertanto, anche il coito anale e quello orale. Così nella Relazione del Guardasigilli, parte II, p. 319.

58

G. MARINI, op. cit., p. 296.

(38)

~ 38 ~

note come erogene (toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle

parti intime delle vittime)60. Tuttavia, un’altra parte della

giurisprudenza adotta una soluzione più lineare, ammettendo che per atti sessuali si debbano intendere gli atti equiparabili alla congiunzione carnale e gli atti di libidine, escludendo tutti gli altri atti non rientranti in alcuna delle due categorie.

Dunque, la Corte di Cassazione in una sentenza ha concluso che gli atti sessuali non sono altro che la somma dei concetti preesistenti di congiunzione carnale e atti di libidine, definendo i limiti de qua su un profilo fisico-oggettivo, in relazione ad un necessario requisito soggettivo dell’atto posto in essere e comprendendo così «qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto, ancorchè fugace ed estemporaneo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest’ultimo, sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale»61. Sono, quindi, esclusi dagli atti sessuali quei gesti (il bacio, la carezza sul gluteo, i toccamenti scherzosi) realizzati in un contesto di affetti familiari o di consuetudine amichevole.

Come già accennato nel paragrafo precedente, l’introduzione di una norma specifica sulle molestie sessuali è stata oggetto di disegni di legge presentati ante riforma: sarebbe stata una figura atta a

60

Cass. Sez. III, 10.10.2000, in Guida al Diritto, 2001, n. 3, 89 ed in Giust. Pen., 2001, II, p. 626.

(39)

~ 39 ~

ricomprendere al suo interno comportamenti minori di natura sessuale non rientranti nella violenza e, sicuramente, avrebbe risolto il dilemma, rappresentando il limite minimo della violenza sessuale62. Ma il fatto che la fattispecie di molestie sessuali non sia stata introdotta, non è sufficiente ad ampliare il concetto di atti sessuali63. Su codesto concetto, larga parte della dottrina ha riconosciuto dei problemi di incostituzionalità ed, in particolare, una incompatibilità con il principio di tassatività compreso all’art. 25 Cost., perché risultava un concetto troppo vago e indeterminato. Tuttavia la Corte Costituzionale non si è mai espressa sul punto64.

Eppure, un’altra questione di legittimità costituzionale sull’art. 609-bis è stata sollevata in relazione all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, rispetto al profilo della sproporzionata sanzione penale da applicare rispetto a fatti scarsamente offensivi come quello di lesioni: il legislatore del ’96 ha volutamente inasprito il complessivo trattamento sanzionatorio, innalzando il limite edittale a cinque anni, per ragioni di carattere processuale. Facendo ciò, ha escluso il reato di

62 B. ROMANO, op. cit., p. 104 e ss.

63 A. CADOPPI, Sub art. 609-bis c.p., in Commentario delle norme contro la

violenza sessuale e la pedofilia, a cura di A. Cadoppi, Padova, 2006, p. 466.

64

Fu il Tribunale di Crema, con ordinanza 21.10.1998, a sollevarne la questione di illegittimità costituzionale; nel caso di specie, il giudice a quo lamentava i non pochi dubbi per desumere il significato pacifico della locuzione prendendo in considerazione la rilevanza penale del bacio non desiderato. Secondo l’Avvocatura di Stato, la nozione dovrebbe essere intesa come libertà di autodeterminazione della propria corporeità sessuale, da ciò si dedurrebbe una interpretazione della nozione assente da vizi di legittimità costituzionali. La Corte Costituzionale ha rigettato la questione come manifestamente inammissibile per carenza di motivazione in quanto il giudice a quo aveva omesso di descrivere i fatti contestati all’imputato. Così in

(40)

~ 40 ~

violenze sessuali dall’ambito di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., più comunemente conosciuto come patteggiamento, evitando che reati importanti come quelli sessuali, potessero essere oggetto di sconti di pena65. Tuttavia, non era preclusa la possibilità di adottare l’art. 444 c.p.p. per l’attenuante dei casi di minore gravità, per soggetto incensurato, infraventunenne o ultrasettantenne. Ciononostante, con una modifica della L. n. 134 del 2003, i limiti di pena dell’art. 444 c.p.p. sono stati innalzati fino a cinque anni, ricomprendendo pertanto anche i delitti in esame; ma la L. n. 38 del 2006 ha riportato la situazione allo status quo ante precludendo la possibilità di accesso a diversi artt. del Capo III, fra cui il 609-bis.

Altro requisito fondamentale presente nella nuova norma che risulta essere elemento di continuità alla previgente disciplina, è la modalità di condotta con la quale si realizza l’evento naturalistico: violenza, minaccia o abuso di autorità. Per violenza si intende «l’attività positiva, spesa dal soggetto, su una persona o sulle cose, destinata ad influire sulla formazione e sull’estrinsecazione della volontà della vittima, […] concretamente indotta dalla pressione psicologica creata su quest’ultima»66

. La violenza può essere di diverso grado: dal più intenso come la vis absoluta, al più debole come la minaccia. Quest’ultima sussiste allorquando un soggetto venga intimidito, con la

65

B. ROMANDO, Delitti contro la sfera sessuale della persona, Padova, 2013, p. 101 e ss.

(41)

~ 41 ~

prospettazione di un danno reale e ingiusto, rivolto alla persona o al suo patrimonio, di entità tale da limitare la sua libertà psichica e indurla a soggiacere alla volontà dell’agente. In seguito, per abuso di autorità si deve intendere lo strumento attraverso il quale l'agente innesca il processo causale, approfittandosi della propria condizione di superiorità nei confronti della vittima, che conduce all'evento terminale. Rispetto al preesistente art. 520 che prevedeva il reato di stupro commesso con abuso della qualità di pubblico ufficiale, il nuovo art. 609-bis prevede che per realizzare la condotta di abuso di autorità non è più necessario che il soggetto attivo rivesta un ruolo di pubblico ufficiale, né è necessario che il soggetto passivo sia una persona arrestata o detenuta67.

Ma all’evento naturalistico della condotta dell’agente deve necessariamente essere individuato il collegamento eziologico, che si riscontra nel facere o nel pati del soggetto passivo, ovvero nella costrizione a compiere o subire atti sessuali. Il reato in esame, quindi, deve essere considerato come un’ipotesi plurisoggettiva necessaria impropria nella quale la vittima è un partecipe non punibile. Ciò permette di ricomprendere nell’espressione utilizzata dal legislatore, tanto i fatti caratterizzati da una collaborazione, sia pur forzata, del soggetto passivo, quanto il mero patire di quest’ultimo della condotta

67

Per tale ipotesi sussiste la circostanza aggravante all’art. 609-ter. B. ROMANO,

(42)

~ 42 ~

dell’agente, ad es. meri gesti esibizionistici dell’agente68

. La giurisprudenza ha, altresì, affermato che è configurabile il reato di

violenza sessuale anche quando non vi sia alcun contatto fisico diretto tra soggetto attivo e soggetto passivo, ma il soggetto attivo, al fine di soddisfare un suo piacere personale, costringa due soggetti diversi a compiere o subire atti sessuali tra loro69. Al tempo dell’entrata in vigore della legge, si era evidenziato come i requisiti della violenza e minaccia avrebbero potuto essere sostituiti da un unico elemento, il mero dissenso; si sarebbe in tal modo punita qualsiasi condotta realizzata contro la volontà della persona offesa. A tal proposito, è lecito richiamare la famosa Sentenza dei jeans70, in cui il consenso alla congiunzione veniva tratto dalla mancata resistenza della vittima. Dopo qualche anno, in un caso del 2007, la Corte di Cassazione ha cambiato la sua posizione ammettendo che il dissenso della vittima non deve necessariamente manifestarsi per tutta la durata dell’evento, ma è sufficiente che si compia all’inizio della condotta, poiché la paura di ulteriori conseguenze può portare la vittima ad una maggiore collaborazione71. I commi secondo e terzo dell’art. 609-bis recitano: “Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

68

G. MARINI, op. cit., p. 297.

69

Cass. Sez. III, 27.2.2003, in Cass. pen., 2004, p. 2024.

70

Cass. Sez. III, 6.11.1998, in Cass. pen., 1999, p. 2194.

(43)

~ 43 ~

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.”

Il comma secondo comprende due ipotesi di violenza sessuale mediante induzione, cioè posta in essere non mediante azione diretta sulla persona offesa, ma secondo modalità specificamente descritte idonee a suggestionare la volontà della vittima, che sostituiscono l'abrogato delitto di violenza carnale presunta ex art. 519, comma secondo n. 3 e 4. Le altre due ipotesi presenti nel previgente articolo sono contemplate oggi nella norma 609-quater. Analizzando il primo alinea, viene punito il fatto di colui che, abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della vittima, induce quest’ultima a compiere o a subire atti sessuali. Nella disciplina previgente, la condizione di inferiorità derivava da malattie mentali o infermità psichiche riconoscibili che toglievano al soggetto passivo, oltre «la capacità di liberamente consenti all’amplesso sessuale, anche la possibilità di valutarne l’importanza»72

.In questo caso, il soggetto passivo deve rivestire una posizione di inferiorità fisica o psichica al momento del fatto che può consistere in qualsiasi condizione naturalistica, patologica, fisiologica, che produca al soggetto passivo una incapacità ad opporsi alle richieste dell’agente73

.

Con la nuova normativa è scomparsa l’assoluta presunzione di invalidità del consenso accordato dal soggetto portatore di handicap

72

Così in Relazione del Guardasigilli Rocco al Codice Penale, 1929, parte II, p. 306.

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