IL TRATTAMENTO PENITENZIARIO
3.7. Le terapie di cura
3.7.3. La terapia cognitivo comportamentale e la terapia psicodinamica
Come sosteneva nel 1960 il gruppo Detenuti contro lo stupro, l’unica terapia legittima è la «rieducazione di sé, la valutazione corretta delle cause dello stupro, la discussione di gruppo tra individui che hanno subito o compiuto uno stupro»308.
Gli approcci trattamentali studiati da criminologi, psicologi e socio- educatori sono stati diretti al cambiamento della personalità e della condotta del sex offender, da ciò si sono generate due tipologie di terapie: una prima concernente i processi psichici e comportamentali diretti a generare azioni violente, il cosiddetto l’approccio cognitivo- comportamentale. La seconda tipologia invece si focalizza sul trattamento dei processi psichici più profondi riconducibili ad una personalità deformata, si tratta delle tecniche psicoterapeutiche e psicodinamiche309.
Nel capitolo precedente è stata analizzata una vasta gamma di fattori e variabili eziologiche che possono condurre il soggetto ad agire con condotte anomale. Secondo Hall, Shondrick e Hirschman (1993) i principali fattori del comportamento sessuale abnorme consistevano in
308
J. BOURKE, op. cit. p. 203.
~ 163 ~
una serie di distorsioni cognitive che costituivano l’arousal fisiologico sessuale e, poiché il nostro sistema penitenziario non consente di realizzare lunghi programmi trattamentali, il trattamento cognitivo- comportamentale da loro proposto ha durata di dieci mesi, diviso in tre fasi:
- Il trattamento dell’arousal sessuale deviante: il soggetto,
inizialmente viene sottoposto ad una intervista per
comprenderne la personalità, dopodiché segue due mesi di trattamento settimanale diretto alla riduzione dell’arousal sessuale con il metodo della sensibilizzazione mascherata. Con questa tecnica i soggetti raccontano le loro fantasie sessuali aggressive, dopodiché gli si chiede di associarli alle conseguenze negative particolarmente forti che devono essere utilizzate come fantasie contrapposte a quelle eccitanti310; - Il trattamento delle distorsioni cognitive: questa fase è
finalizzata allo sviluppo dell’empatia con la vittima, ha durata di un mese. Viene mostrato ai soggetti un filmato in cui le vittime raccontano la loro esperienza e le conseguenze derivanti dal reato subito; ogni soggetto poi deve raccontare il suo ultimo crimine, immaginando gli effetti che lo stesso ha provocato alla vittima e riconoscendo le sue colpe. In un secondo momento i soggetti sono spinti a scrivere una lettera immaginando sia la risposta da parte della vittima.
~ 164 ~
- Il trattamento del disturbo del controllo affettivo: ulteriori due mesi si focalizzano sulla capacità di controllo degli impulsi sessuali. I soggetti sono invitati a parlare della loro rabbia interna e la loro gestione degli impulsi, in particolare del grado di intensità che li preoccupa; espongono i fatti che provocano loro rabbia, le persone coinvolte e le modalità in cui esteriorizzano la rabbia, discutendo degli aspetti negativi e positivi. Questa fase è diretta al controllo della rabbia, non alla sua repressione, e si forma anche un momento di rilassamento muscolare.
In una seconda parte, si prendono in considerazione le competenze comunicative, inclusa la capacità di problem- solving insieme all’apprendimento dell’autocontrollo e dell’ascolto attivo ed un’altra sessione si occupa dell’aggressività, assertività e anassertività attraverso un lavoro in gruppo tramite role-playing.
- Infine, la prevenzione delle ricadute: questa fase segue il modello di George e Marlatt (1989) in cui l’obiettivo è di individuare le situazioni a rischio commissione di nuovo reato e mettere in atto una nuova serie di strategie in questi casi, sviluppare nuove strategie per prevenire comportamenti devianti, modificare lo stile di vita del soggetto per prevenire
~ 165 ~
ricadute. È richiesto ai soggetti di trovare una persona che li possa aiutare nei momenti di difficoltà311.
Il trattamento in questione ha ottenuto ottimi risultati, il tasso di recidiva è stato molto basso: su 17 partecipanti al trattamento solo uno ha commesso un nuovo reato ed è stato, peraltro, riscontrato da risultati di questionari che i soggetti in questione hanno avuto un
incremento dell’autostima312
.
La terapia analitica, invece, è un trattamento che richiede delle attitudini specifiche del paziente, nonostante ciò questo approccio è stato utilizzato molto nel setting di gruppo. L’obiettivo è quello di far prendere coscienza al soggetto dei propri impulsi e le proprie fantasie sessuali poiché possa imparare a gestirli. In particolare, la terapia si incentra sulle cause inconsce del disagio del soggetto ed è infatti più efficace su persone che riconoscono la negatività del proprio comportamento sessuale, capaci di individuare i fattori che creano loro
sofferenza, senso di colpa e che hanno un basso tasso di negazione313.
Anche questa terapia è organizzata in fasi che prevedono un trattamento binario:
- Una fase di gruppo, a sua volta divisa in sottofasi, in cui si prevede una seduta dove i partecipanti possono parlare delle loro fantasie, fanno riemergere le proprie immagini, rappresentazioni; una pre-seduta in cui si lavora su quanto
311
I. PETRUCCELLI – L. T. PEDATA, op. cit., 2008, p. 99-100.
312
I. PETRUCCELLI – L. T. PEDATA, op. cit., 2008, p. 101.
~ 166 ~
emerso in precedenza; un post-seduta in cui i terapeutici insieme ai partecipanti studiano i contenuti delle immagini e i vissuti emersi dalla seduta.
- Una fase individuale, in cui il soggetto interagisce personalmente con il terapeuta principale e con l’infermiere del gruppo preparato sul tema; ciò permette di creare uno spazio individuale per esprimere quello che è emerso dal gruppo. La terapia analitica individuale, invece, tratta problematiche come l’angoscia di base derivante dalla castrazione e il diniego della realtà legato ad una scissione del funzionamento mentale. Il trattamento prevede le stesse fasi della terapia di gruppo314.
Visto che la maggior parte degli aggressori sessuali tiene dei comportamenti che si contraddistinguono con quelli necessari per questo tipo di trattamento, come la mancanza di motivazione al cambiamento, scarsa empatia e un forte tasso di negazione e minimizzazione del fatto, la terapia psicoanalitica ha avuto scarsa applicazione315.
Nel 1995, Hedlund ha portato avanti l’idea di trattamenti terapeutici di gruppo per gli aggressori sessuali in cui si affrontano tematiche come il delitto, la sessualità, le relazioni con le donne e l’infanzia, la vittima. Da ciò deriva la terapia psicodinamica, terapia che permette, grazie al gruppo, di condividere la propria storia in un clima di familiarità più
314
I. PETRUCCELLI – L. T. PEDATA, op. cit., 2002, p. 98.
~ 167 ~
incoraggiante e confortante. Questo trattamento mira a
responsabilizzare il soggetto per il comportamento deviante tenuto, incrementare la capacità di controllo degli impulsi e prendere decisioni adeguate, un miglioramento della comunicazione dei propri sentimenti e bisogni, la consapevolezza di pensieri che portano a condotte devianti. Il gruppo è condotto da un uomo e una donna, entrambi terapeutici, per proporre la modalità di gestione dei rapporti
interpersonali uomo-donna316.
La terapia si costituisce di varie fasi: in un primo momento ci si concentra sulla rivelazione dell’atto sessuale oggetto di reato e sulle eventuali giustificazioni o minimizzazioni del comportamento dell’aggressore sessuale. Successivamente, si coinvolgono i partecipanti esaminando le distorsioni cognitive e il pensiero irrazionale del comportamento deviante, dalla quale ognuno di essi dovrebbe imparare a sviluppare l’abilità del giudizio e dell’auto- osservazione prima di mettere in atto un altro comportamento deviante. Importante risulta essere la fase di sviluppo della capacità empatica verso la vittima, poi le fasi finali aiutano i soggetti a sviluppare delle strategie per un stile di vita appropriato317.
Per i soggetti pedofili, in caso di abuso sessuale infantile verificatosi dentro le mura familiari, particolarmente consigliata da Malacrea e Vassalli (1998) risulta essere la terapia familiare, un trattamento che
316
I. PETRUCCELLI – L. T. PEDATA, op. cit., 2008, p. 104.
~ 168 ~
coinvolge tutti i membri della famiglia e che mira ad un recupero dell’intero gruppo grazie alla sperimentazione di nuovi modelli relazionali e strategie di problem-solving. Questa terapia risulta fondamentale soprattutto nel momento in cui l’abusante ritorna in casa affinché si prevengano eventuali ricadute. È una terapia al quanto difficoltosa per i membri del nucleo famigliare che prevede diverse tappe, quali l’interruzione dell’incesto e assunzione di responsabilità del padre, la ricomposizione della coppia parentale con annesso intervento della madre per una responsabilità condivisa affinché si attui il recupero psicologico della figlia, un’analisi del rapporto coniugale per analizzare le radici del comportamento sbagliato di entrambi e, infine, il recupero del rapporto padre-figlia, che è la fase più complicata visto il sentimento di ripudio della figlia nei confronti del padre incestuoso. Con questo trattamento si cerca anche di preservare l’unità familiare318
.
L’ultimo approccio sperimentato da un gruppo di studiosi di Palo Alto e da Milton H. Erickson è la psicoterapia strategica. L’obiettivo è verificare le strategie che ha messo in atto il soggetto per risolvere il problema e modificarle con altre più funzionali. Si analizza anche la posizione delle altre persone coinvolte che influenzano la condotta del soggetto accentuandone la devianza. Il terapeuta deve preparare uno specifico modello di trattamento come un processo interpersonale per permettere la collaborazione del paziente. La terapia si basa sulle
~ 169 ~
risorse presenti e sul suo ambiente socio-culturale: infatti non si ricercano le cause remote che hanno condotto a ciò, ma ci si concentra sui rapporti interpersonali disfunzionali, in modo che la condotta abnorme viene ricostruita durante tutto il trattamento e si apre la possibilità di cambiamento dello stile di vita del soggetto319.
In un primo momento, il terapeuta lavora con il paziente sull’analisi della domanda strategica, spesso richiesta dai familiari o dalla pressione sociale, ma molto poco significativa a livello motivazionale del soggetto. In un secondo momento, è necessario che si lavoro sul riconoscimento di responsabilità del paziente affinchè prenda coscienza dell’accaduto e cerchi nuove strategie relazionali più adatte. Successivamente si ha un confronto con il terapeuta sul perché è sbagliato il comportamento tenuto ed è in questo caso importante far capire al soggetto che non deve perdere la speranza di guarigione. Dopodichè è necessario capire qual è il dolore spirituale che l’atto ha causato alle famiglie e questo entrare in contatto con il dolore potrà mettere in difficoltà il paziente. A seguire c’è la rivelazione di altre vittime che deve essere svolto in maniera del tutto naturale ed è importante la collaborazione della famiglia. Il soggetto è chiamato a scusarsi personalmente e in ginocchio con la vittima, questo risulta un vero gesto di assunzione di responsabilità e pentimento mediante una postura di umiltà, ma a ciò deve essere seguita anche la richiesta di scuse da parte della madre nei confronti della figlia, se si tratta di
~ 170 ~
abuso intra familiare, in quanto il coniuge ha collaborato a mantenere il segreto. Si svolge una discussione all’interno del nucleo per evitare eventuali ricadute e si cerca di trovare un soggetto che tuteli il minore da altri eventuali abusi. Infine, il paziente sarà sottoposto ad un corso di sessualità per far sì possa gestire in futuro le proprie relazioni affettive e sessuali320.
L’ultimo approccio sviluppatosi in materia a partire dagli anni ’90 è il modello relapse prevention, di prevenzione della ricaduta, che mira a prevenire la recidiva: le sue origini risalgono agli anni ’80 quando Marlatt e Goldon lo sperimentarono per il settore della tossicomania321.
Secondo Marlatt (1982), il soggetto commette il fatto oggetto di reato per un insieme di fattori personali e interpersonali, pertanto il delitto risulta essere la risposta a tutto ciò. Il processo di ricaduta inizia con fattori di stress derivanti da problemi di squilibrio esistenziale e l’avvicendarsi di eventi negativi crea nel soggetto una sensazione di malessere generale che incita il generarsi di fantasie sessuali devianti. A ciò si aggiungono poi le decisioni disadattive che anticipano un lapse – la caduta, definita da Pithers (1990) come “il verificarsi di un comportamento a rischio, considerato come il primo segno
320
I. PETRUCCELLI – L. T. PEDATA, op. cit., 2008, p. 108.
321
V. PALMUCCI, Il trattamento degli aggressori sessuali, in Aggressori sessuali, p. 387.
~ 171 ~
prevedibile di perdita di controllo322” – e successivamente portano ad un relapse – l’attuazione vera e propria del reato –. Il passaggio dal lapse al relapse è condizionato da uno stato emotivo di noia, ira, depressione del soggetto, da una compulsività delle fantasie sessuali, da impulsività pianificata attraverso la quale studia il comportamento abnorme, una disinibizione del suo comportamento stesso o del comportamento della vittima, la realizzazione del piano e
successivamente un processo di valutazione dello stesso323.
La terapia parte dal fatto commesso, viene chiesto al soggetto di raccontare dettagliatamente il comportamento deviante e il suo stile di vita, affinchè si analizzino i vari passaggi che hanno portato alla commissione del fatto per identificare e usare gli eventi predecessori come strumenti per aumentare l’autogestione e facilitare la supervisione dell’abusante. Questa terapia viene svolta in gruppo e fornisce ai soggetti uno strumento per concettualizzare le proprie difficoltà comunicando con il terapeuta324.
322 W. D. PITHERS, Relapse Prevention with Sexual Aggressors: A Method for
Maintaining Therapeutic Gain and Enhancing External Supervision, in Handbook of Sexual Assault: Issues, theories and Treatment of the Offender, a cura di Marshall
W. L., Laws D. B., Barbaree H. E.,1990.
323
I. PETRUCCELLI – L. T. PEDATA, op. cit., 2008, p. 110.
~ 172 ~
3.8. I Progetti W.O.L.F., For-W.O.L.F. e In. Tra. For-
W.O.L.F.
Il diffuso allarme sociale suscitato dalle drammatiche notizie di cronaca sulle violenze esercitate sui minori ha incitato i Paesi membri dell’Unione ad intervenire in materia, sia sul piano della prevenzione
che su quello della repressione325. A livello comunitario ci sono state
diverse iniziative importanti per dare rilievo alla questione, uno di questi è stato il programma “STOP”, adottato dal Consiglio dell’Unione Europea nel novembre del 1996 e a cui l’Italia ha preso parte realizzando, tramite il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: il Progetto W.O.L.F. (Working on Lessening Fear) e il
Progetto For-W.O.L.F. (Formazione per W.O.L.F.)326.
Il primo progetto, conclusosi con un Seminario finale a Roma nel marzo del 1999, presupponeva una valutazione circa l’insufficienza della sanzione penale per limitare le fattispecie di matrice sessuale. Un’insufficienza che si riscontrava dall’alto tasso di recidiva rilevato, dalla particolare personalità dei soggetti e soprattutto dalle difficoltà comprovate degli operatori sociali a realizzare adeguati piani di intervento327. Si è incentrato sui modelli di trattamento utilizzabili, sia
325
L. M. CULLA,“Progetto Wolf, progetto di ricerca e scambio transnazionale sul
trattamento degli autori dei reati di sfruttamento sessuale di minori e sui bisogni di formazione degli operatori sociali addetti al loro trattamento”, Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria, Ministero della Giustizia, Roma, 1999, p. 9.
326
E. MARIANI, op. cit., p. 286.
327
A. BERNASCONI – A. SPINELLI, Sub art. 13-bis, in Ordinamento
penitenziario commentato, a cura di F. Della casa e G. Giostra, Padova, 2015, p.
~ 173 ~
in un contesto detentivo che all’esterno, per i condannati per reati sessuali in danno ai minori e sulla formazione necessaria degli operatori penitenziari che devono occuparsi di questo trattamento. È emerso dai risultati del seminario conclusivo, una particolare difficoltà degli operatori di andare a vivere in sezioni separate con questi soggetti che viene preminentemente dal corpo della Polizia Penitenziaria, ma anche degli altri operatori dell’area educativa328. Il Progetto W.O.L.F. è stato un progetto di ricerca e scambio transnazionale che ha dato occasione, per la prima volta, al nostro Paese di confrontarsi con la realtà degli altri Paesi europei e riflettere sul fenomeno dei reati sessuali in generale e sulle problematiche connesse alla loro presa in carico. Infatti, fino a qualche decennio fa, in Italia vi era un’assenza di programmi trattamentali intramurali appositi per questi soggetti, nonché l’assenza di qualsiasi punto di riferimento nei servizi territoriali329.
L'iniziativa ha individuato come prioritaria la necessità di un forte intervento formativo in favore degli operatori: è stata svolta un'indagine transnazionale sui risultati della formazione degli operatori addetti al trattamento degli autori di reati sessuali con particolare riferimento alle modalità e metodologie di valutazione adottate, promuovendo anche uno scambio delle informazioni
328
L. M. CULLA, op. cit., p. 21.
~ 174 ~
raccolte, nell'ambito di visite di studio e seminari monotematici finalizzati al confronto dei contenuti e delle metodologie formative330. Alla luce delle esperienze riportate, sorge l’esigenza riguardo il fenomeno della delinquenza sessuale che risiede nella concreta possibilità e fattibilità di un progetto strutturato di trattamento. Si ipotizza, così, la costruzione di équipe con una formazione permanente del trattamento per i rei sessuali, che offra un servizio itinerante e capace di concedere elementi conoscitivi e formativi ai fini della elaborazione di un progetto strutturato di intervento nelle carceri. La finalità di un gruppo di formazione permanente è quella di donare supporto laddove sia presente una concreta esigenza di formazione e trattamento331.
Il Progetto For-W.O.L.F., cofinanziato dall’Unione Europea, ha costituito la prosecuzione del Progetto W.O.L.F. ed è stato proposto nell’annualità successiva del medesimo programma.
Si è trattato di un progetto di ricerca e scambio transnazionale, a seguito delle esigenze fuoriuscite dal Progetto precedente, sulle tecniche e i contenuti della formazione degli operatori sociali e penitenziari addetti al trattamento degli autori di sfruttamento sessuale dei minori. Questo percorso formativo ha contribuito quindi a fornire agli operatori coinvolti una maggiore conoscenza della complessa
330
Ministero della Giustizia, Progetto For-Wolf, in www.giustizia.it, (consultato il 23.03.2016).
331
G. B. TRAVERSO, Progetto Wolf, progetto di ricerca e scambio transnazionale, 1999, p. 50.
~ 175 ~
realtà con cui interagiscono quotidianamente, nonché adeguati strumenti operativi332.
L'Amministrazione penitenziaria italiana con questo Progetto ha inteso dare una risposta ai bisogni formativi specifici sulla scia dei risultati e delle proposte evidenziate con il Progetto WOLF, finanziato dalla Commissione Europea sempre nell'ambito dello programma STOP. Il Nucleo FSE ha curato sia l’attività di formazione e di ricerca in collaborazione con l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” – Dipartimento di Psicologia dei processi si sviluppo e socializzazione, sia l’organizzazione dei seminari trasnazionali previsti dal medesimo progetto. L'obiettivo finale di For-W.O.L.F. è stato quello di creare degli interventi, che possano, per quanto possibile, ridurre/eliminare la recidiva in un'opera di prevenzione per questo tipo di crimine nel quadro del già ricordato programma STOP333.
A seguito dei menzionati esperimenti di matrice comunitaria, è nato il Progetto In. Tra. For- W.O.L.F., Interventi Trattamentali Formazione Working On Lessening Fear, sperimentato dalla Casa Circondariale di Prato nell’anno 2003. È stata istituita una sezione ad hoc per l’avvio del progetto in cui risiedevano solo i sex offenders e che ha visto la realizzazione di un progetto che ha previsto la formazione di un gruppo di lavoro interprofessionale per offrire un’ampia opportunità di
332
A. BERNASCONI – A. SPINELLI, Sub art. 13-bis., in op. cit., p. 156.
~ 176 ~
trattamento sia in una prospettiva intramuraria che al momento dell’esecuzione esterna: è stato un approccio che ha assecondato la rieducazione, la riabilitazione, sulla premessa che «il dialogo e lo sviluppo del processo di autodeterminazione dei sex offender sono indubbiamente fattori che agiscono positivamente sulla possibilità di reinserimento sociale del condannato334».
In tal modo si è fornita una prospettiva concreta e ricca di contenuti attraverso il passaggio dall’“esigenza” di capire i termini del problema, alla capacità di “progettare” un intervento concreto a vantaggio degli operatori impegnati quotidianamente in questo campo, ma anche dei rei.
334
A. MADDALUNO – V. TAMPELLI, Progetti d'interventi in carcere
per reati di violenza sessuale e di educazione sessuale nella società, in Rivista di sessuologia, 2009, n. 2, p. 118.
~ 177 ~