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IL TRATTAMENTO PENITENZIARIO

3.4. La definizione di negazione

Secondo Sigmund Freud, la negazione è «un modo per prendere coscienza del rimosso»242, un meccanismo difensivo attraverso la quale l’aggressore elimina la conseguenza del processo di rimozione e quindi il contenuto rappresentativo conflittuale arriva alla coscienza, ma il suo significato emotivo no.

La negazione di quanto avvenuto da parte del sex offender si percepisce quando risultano delle discrepanze tra la descrizione dei fatti fornita dall’aggressore e le dichiarazioni della vittima e testimoni: questo è un atteggiamento tipico, insieme alla minimizzazione del reato, degli autori di reati sessuali a cui gli operatori devono fare

240 P. GIULINI – L. EMILETTI, op. cit., p. 67. 241

E. MARIANI, Trattamento dei sex offenders e prevenzione della ricaduta, in

Sessualità e dipendenze: dal desiderio alla violenza, a cura di F. Avenia e A.

Pistuddi, Milano, 2012, p. 285.

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fronte e che ha costituito anche la causa di esclusione dai programmi di trattamento. E la ragione per cui questi soggetti, forse i più pericolosi e bisognosi, vengono esclusi dal trattamento è che vi è in capo ad essi un rischio di spreco di tempo e risorse perché non sono

motivati al trattamento, pertanto, resistenti al cambiamento243. Come è

stato osservato da parte della dottrina, “una persona che nega non possiede la motivazione per impegnarsi nel percorso terapeutico e, quindi, questo fattore mina all’origine ogni possibilità d’intervento244”. Dunque, la partecipazione di un negatore al

programma di aiuto e sostegno non potrebbe condurre a risultati positivi245.

La negazione rappresenta per i terapeutici un percorso ad ostacoli ed è di fondamentale importanza il superamento della stessa per un percorso terapeutico degli aggressori sessuali. Questo è il motivo per cui un’altra parte della dottrina sostiene che l’ammissione totale del proprio reato non può essere un requisito di selezione per il trattamento perchè è proprio il trattamento che mira a responsabilizzare il sex offender246.

243 P. GIULINI – C. PUCCI, La negazione e la minimizzazione nel trattamento degli

autori di reati sessuali, in Buttare la chiave?, p. 36.

244

D. DETTORE – C. FULIGNI, L’abuso sessuale sui minori, Milano, 1999, p. 343.

245

F. FALDI, op. cit., p. 65.

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Pollock, insieme a Hashmall, concepisce la negazione come una scusante del soggetto autore del reato per giustificare la propria condotta247.

Nonostante alle origini si era interpretata la negazione come un’espressione dicotomica, negli anni si è sviluppata come una nozione multidimensionale, in particolare la dottrina psicologica ha ravvisato tre forme di negazione248:

- La negazione del comportamento agito: il soggetto nega di essere stato l’artefice del fatto per cui è stato condannato e quando il sex offender soffre di una tale negazione, solitamente alla domanda “Perche ha compiuto una aggressione sessuale?” risponde “Non è successo nulla”;

- La negazione della responsabilità: in questo caso, il soggetto attribuisce la responsabilità dell’atto alla vittima o la giustifica con finalità educative e alla stessa domanda risponde “E’ successo qualcosa, ma non a causa mia”;

- La negazione della gravità di quanto accaduto: in questo caso, invece, il soggetto minimizza gli effetti dell’abuso sessuale e alla medesima domanda, lo stesso risponde “E’ successo qualcosa, ma non era qualcosa di sessuale”, oppure “Non c’era

247

P. GIULINI – C. PUCCI, op. cit., p. 36.

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niente di male”, oppure “C’era tutta una situazione particolare”249

.

- La negazione dell’attivazione sessuale deviante: si profila quando il condannato non ammette di avere delle

problematiche concernenti il suo comportamento sessuale250.

Da questo si comprende il motivo per cui Marshall, Anderson e Fernandez hanno suggerito la distinzione di due tipi di negazioni: la negazione totale e negazione parziale.

I soggetti autori di reati sessuali si differenziano per il fatto di trovarsi in livelli di negazione diversi, dai più accentuati ai meno pervasivi, e il passaggio da un livello ad un altro non è sempre graduale e continuo come si potrebbe pensare, ma può variare nel tempo anche per lo stesso reato. Rogers e Dickey (1991) hanno ideato un modello adattivo in cui rappresentare la fase di negazione dei vari soggetti: il sex offender, di solito, utilizza la negazione per ottenere dei vantaggi e si deve comprendere che tanto maggiore sarà il beneficio che il soggetto vuole ottenere, quanto maggiore sarà il livello di negazione per il raggiungimento del suo obiettivo251.

Ma la negazione si collega non solo ad aspetti utilitaristici dell’aggressore, piuttosto anche a diversi altri costrutti come l’empatia, le distorsioni cognitive e l’autostima, e la funzione basilare della negazione sembra essere l’autoprotezione. Infatti per

249

P. GIULINI – C. PUCCI, op. cit., p. 37.

250

F. FALDI, op. cit., p. 65.

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l’aggressore negatore, ammettere il fatto commesso porterebbe a pesanti sanzioni sociali e legali, invece continuare a negare gli permette di tutelare la sua immagine di fronte la famiglia, gli amici e il resto della società. Inoltre, negando, l’aggressore ha l’impressione di tenere il controllo della situazione e avere una stabilità di comportamento; questo può essere interpretato anche come un atteggiamento di rivalsa nei confronti della vittima, ma anche nei confronti del sistema giudiziario252.

Inutile ribadire che un atteggiamento negatorio, e in generale, l’assenza di una effettiva revisione critica del reo sessuale costituisce una delle argomentazioni più frequenti per un diniego del Tribunale di Sorveglianza alle misure alternative alla pena detentiva. Infatti la Cassazione si è espressa in materia, affermando che “la mancanza di senso critico verso le condanne subite può essere valutata negativamente qualora sia espressione della persistenza di un atteggiamento mentale del condannato giustificativo del proprio comportamento antidoveroso..” 253.

La negazione del reato costituisce una difficoltà per l’individuazione delle motivazioni più profonde e dei meccanismi psicologici che hanno spinto l’individuo alla condotta deviante e tale atteggiamento,

252

P. GIULINI – C. PUCCI, op. cit., p. 40.

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peraltro, rende complicata la definizione di un percorso trattamentale

apposito per un rinvenimento del soggetto254.

L’ostacolo più grande del trattamento è determinato nel momento in cui i detenuti sex offenders escono dalla negazione e chiedono aiuto, ma vedono aggravare su di loro atti persecutori e di stigmatizzazione perché per la prima volta si mostrano come responsabili delle condotte sessuali a loro imputate ed esposti pertanto ad aggressioni “punitive”. Questo è stato un avvenimento che si è dimostrato anche nell’Istituto di Bollate, nel quale l’instaurazione di rapporti tra gli autori di reati sessuali non più negatori e i gli autori di reati sessuali negatori è stato al quanto problematico, addirittura più complicato rispetto all’inserimento dei sex offenders nelle Sezioni Comuni a fine trattamento255. Il riconoscimento dell’aggressore di aver compiuto il reato è un evento distruttivo e complesso, ma anche molto lento. E nel momento in cui ciò avverrà è possibile che il soggetto cerchi l’aiuto di un trattamento adeguato.