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Il trattamento con terapie farmacologiche e chirurgiche

IL TRATTAMENTO PENITENZIARIO

3.7. Le terapie di cura

3.7.1. Il trattamento con terapie farmacologiche e chirurgiche

Nei primi anni del Novecento si svilupparono diverse tecniche di intervento radicale per reprimere i fenomeni di reati sessuali. Inizialmente si applicò il singolare modo della sterilizzazione e la pratica si sviluppò già dall’Ottocento con un pensiero evoluzionistico della sterilizzazione obbligatoria, ma si espanse in maniera radicale nei primi del Novecento in America dove furono introdotte delle leggi apposite per l’applicazione281.

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I. PETRUCCELLI – L. T. PEDATA, L’intervento con l’autore di abuso sessuale

infantile, in Le perversioni sessuali, p. 94.

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In prima battuta, codesta tecnica non fu applicata a violentatori, ma a chi aveva disturbi psichiatrici e a donne immigrate afroamericane che avevano delle relazioni sessuali consensuali, in quanto ritenute inadatte a diventare madri. Successivamente si consentì la sterilizzazione come punizione per chi aveva commesso reati sessuali e per evitare che questi potessero trasmettere i propri geni ad una generazione futura. Tuttavia questa tesi della trasmissione di geni deviati fu molto criticata, in particolare da Charles Boston, uno degli autori del «Journal of the American Institute of Criminal Law and Criminology» nel 1913, che sosteneva che codesta tesi non era stata scientificamente provata, in quanto proveniente da sociologi inesperti e non da biologi. Inoltre, Boston trovava il fondamento del problema della sterilizzazione nel concepirla come forma di punizione perché eccessivamente crudele e insolita282.

Dal 1925 molti Stati abbandonarono la sterilizzazione come mezzo di punizione per la ragione che la stessa non neutralizzava del tutto i soggetti poiché rimanevano capaci di svolgere atti sessuali e la previsione di altri metodi più incisivi, come la castrazione chirurgica, sembrò paradossalmente più condivisa ed ebbe effettivamente esiti positivi nel ridurre largamente il rischio di recidiva283.

L’operazione consisteva nel rimuovere i testicoli, tramite un’operazione chirurgica, e sostituirli con protesi in marmo, avorio,

282

J. BOURKE, op. cit., p. 170.

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alluminio, ma anche in vetro dal 1942, e dagli anni 70 si usarono testicoli in plastica. Diversi studi riscontrarono che i soggetti operati riportavano una minore frequenza degli impulsi sessuali, pertanto una diminuzione di rapporti sessuali, di masturbazione e pensieri sessuali. In Europa, fu ben accolta in particolar modo dalla Danimarca e dalla Germania, in quest’ultima introdotta nel 1933 a seguito dell’entrata in vigore di leggi apposite per la castrazione chirurgica volontaria per chi avesse commesso crimini sessuali. Venne svolto uno studio negli anni successivi sul tasso di recidiva e si dimostrò che cadde al 2,3% rispetto al 39% dei soggetti non operati. Ma questi studi furono presto criticati in quanto si basavano su variabili differenti.

La castrazione chirurgica si applicò anche in Italia, nei confronti di pochi pedofili; il più grande riscontro di questa tecnica si ebbe in America, in particolare nei Stati Uniti, dove fu registrata una percentuale dello 0% di recidiva su 60 individui operati nella Contea di San Diego, tanto che venne utilizzata come misura di prevenzione del crimine, ma anche come mezzo di punizione verso uomini afroamericani accusati di stupro a donne bianche284.

La castrazione avrebbe avuto anche un effetto inibitorio, più dell’impiccagione o della sedia elettrica ed era considerata appropriata per chi commetteva molestie o stupro in quanto disonorava l’autore di reato come lo stesso aveva disonorato la vittima. Per di più, oltre che economica perché tagliava i costi di procedure dispendiose, fu anche

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efficace, tanto da essere richiesta direttamente dagli stupratori che riconoscevano di avere degli impulsi sessuali anormali285.

Il « British Medical Journal» sosteneva che questo metodo fosse il più adeguato per uomini cresciuti in ambienti familiari deboli e incapaci

di dare un’educazione sull’interazione sociale286

.

Con l’avvento del nazismo, si misero a tacere molti sostenitori della castrazione chirurgica obbligatoria e nel 1951 si riconobbe che questa era una tecnica che avrebbe causato gravi conseguenze sociali.

Negli anni ottanta, si dimostrò che un terzo degli stupratori castrati era ancora in grado di avere rapporti sessuali e fu spiegato dal fatto che l’operazione non aveva influenza sedativa sui sentimenti alterati e rimuovere i testicoli non eliminava del tutto gli impulsi.

Negli anni cinquanta e settanta si sperimentò anche un altro approccio chirurgico e un ritorno al bisturi con le terapie della lobotomia287. I neurochirurghi, con questa tecnica, erano convinti di poter fermare gli impulsi sessuali degli stupratori che mancavano di «equilibrio tra le pulsioni primitive e l’effetto inibitorio della corteccia cerebrale che li regola»288. Il risultato più scontrato era il cambiamento radicale e permanente della personalità dell’individuo; quello che sostenevano i neurologi negli anni settanta fu che la lobotomia avrebbe eliminato del

285J. BOURKE, op. cit., p. 176. 286 J. BOURKE, op. cit., p. 180. 287

La lobotomia è un intervento di neurochirurgia che consiste nell’inserire uno strumento nel tetto orbitale per recidere le fibre che collegano il talamo e le aree prefrontali; J. BOURKE, op. cit., p. 181.

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tutto gli impulsi e le fantasie sessuali, diversamente dalla castrazione. Qualche anno più tardi si riscontrarono i risultati sui pazienti operati e non furono affatto diversi e più certi rispetto alle terapie precedenti, addirittura alle volte l’operazione peggiorava la situazione. Infatti, se un pedofilo non aveva più impulsi sessuali verso un bambino, non toglieva il fatto che poteva, invece, arrecare danno ad una donna. Alcuni oppositori la criticarono come altra forma di punizione e ribadivano il fatto che non c’era alcuna prova scientifica che sosteneva la disfunzione cerebrale la causa degli stupratori. Sicuramente, la lobotomia creava un effetto deterrente per la società in quanto veniva vista come una forma di morte anticipata dato che il reo smetteva di essere se stesso.

Anziché scomparire, la terapia della castrazione fu perfezionata elaborando una castrazione chimica e secondo questo approccio, i comportamenti di abuso sessuale e violenza sono caratterizzati da «anomalie fisiologiche riguardanti la produzione e il controllo di alcuni ormoni sessuali da parte dell’abusante289

», pertanto gli obiettivi da raggiungere erano la riduzione di testosterone e la somministrazione di farmaci per evitare l’erezione, la produzione di

liquido seminale e orgasmi290. Nel 1960 è stato impiegato il

Ciproterone acetato (CPA) per un trattamento ormonale

antiandrogeno, utilizzato in Europa occidentale e in Canada. Questo

289

I. PETRUCCELLI – L. T. PEDATA, op. cit., 2008, cit. p. 94.

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farmaco produceva degli effetti rilevanti sul testosterone nel plasma, tale da moderare la condotta sessuale deviante.

Questa terapia fu introdotta come misura preventiva per i sex offenders, nonché come esecuzione di parte della pena in relazione ai reati sessuali ancora oggi in uso. L’applicazione di questa tecnica è stata molto difficile in quanto i soggetti cercavano in tutti i modi di non collaborare appena riconoscevano che la loro virilità stava diminuendo e, poiché si sentivano inadeguati, rispondevano al trattamento commettendo violenze più clamorose. A questo, peraltro, seguivano effetti collaterali non trascurabili, quali nausea, aumento di peso e crescita delle mammelle. Tutto ciò contribuiva ad aumentare la loro pericolosità291.

Attualmente, il farmaco usato in soggetti con anomalie sessuali e soggetti che presentano un’iperattività sessuale o comportamento sessuale compulsivo è il Medrossiprogesterone acetato (MPA), sostanza che riduce la secrezione di testosterone agendo sul cervello, spesso associato a programmi comportamentisti di orientamento, come la psicoterapia292. I risultati ottenuti sottoponendo i pazienti a questa terapia sono positivi durante il periodo di somministrazione, ma l’efficacia poi diventa incerta a distanza di tempo dall’interruzione in quanto esiste una reversibilità degli effetti farmacologici293.

291

J. BOURKE, op. cit., p. 188.

292

I. PETRUCCELLI – L. T. PEDATA, L’intervento con l’autore di abuso sessuale

infantile, in Le perversioni sessuali, p. 94.

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Per ovviare agli effetti collaterali di queste sostanze diversi studi stanno svolgendo ricerche sull’utilizzo di farmaci come l’SSRI, antidepressivo che inibisce la ricaptazione della serotonina, e LHRH,

sostanza quest’ultima che blocca la produzione di testosterone294

. L’uso di sostanze farmacologiche come terapia trattamentale pone dei problemi sul piano etico: infatti, «la prescrizione di androgeni deve rispettare i principi che governano la prescrizione degli altri farmaci: indipendenza del proscrittore, rispetto del segreto professionale, consenso libero e informato del paziente, benefici terapeutici che superano gli eventuali rischi»295.

In Italia, il seguente trattamento è limitato dall’art. 32 della Costituzione, in cui si prevede il trattamento sanitario obbligatorio per la salvaguardia dei diritti della persona, inoltre il Disegno di Legge Calderoli del 2009 che lo aveva previsto come possibile pena per i condannati di reati sessuali, è stato oggetto di scontro per i psicologi e criminologi del nostro Paese. Nonostante ciò, non si può negare un uso di terapie farmacologiche anche all’interno delle nostre carceri “solo in caso di bisogno”, ha affermato l’ex direttrice del carcere di Bollate296.

294 C. ROSSO, S. SANZOVO, M. GAROMBO, A. CONTARINO, P.M. FURLAN,

Le basi psico-sociali, neuropsicologiche e neurobiologiche dell’abuso sessuale, in Sessualità e dipendenze, p. 227.

295

I. PETRUCCELLI – L. T. PEDATA, op. cit., 2008, p. 95.

296

A. INDINI, Il Giornale 24.07.2009, in www.ilgiornale.it, (consultato il 10.11.2015) .

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Queste tecniche sopra descritte sono state pensate da neurologi che credevano che i reati di violenza sessuale derivassero da patologie fisiche degli autori.