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Il fenomeno del giudicato nella vicenda del non luogo a procedere

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

L'udienza preliminare rappresenta indiscutibilmente una delle più importanti novità del codice di procedura penale del 1988, destinata per stessa ammissione della “Relazione al progetto preliminare del codice di

procedura penale” a rivestire un «rilievo centrale» nell'ambito della

struttura del nuovo sistema processuale penale.

Nella stesura originaria del codice di procedura penale, l'udienza preliminare ha come principale funzione quella di apprestare un controllo giurisdizionale sull'esercizio dell'azione penale, controllo che funge da filtro delle c.d. imputazioni azzardate: il dibattimento va evitato quando, nei confronti di un imputato, non vi sono elementi idonei a giustificarne la celebrazione.

La sentenza di non luogo a procedere che, in questi casi, chiude l'udienza preliminare, avrebbe così una «funzione di decongestione del sistema»1,

evitando la celebrazione di giudizi superflui. Altre funzioni ricollegabili all'udienza preliminare vengono individuate nei due compiti di garantire un'attuazione del diritto alla prova e di rendere possibile la scelta dei riti differenziati deflattivi del dibattimento.

Occorre dire fin da subito che, nell'applicazione pratica, l'udienza preliminare ha completamente mancato gli obiettivi che ne avevano ispirato la nascita, ed ha quindi conosciuto una profonda mutazione prima con l'intervento correttivo del 1993, poi con la più radicale riforma del 1999, la c.d. riforma Carotti.

Con tali novelle il legislatore ha introdotto sostanziali modifiche tese a 1 V., Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in G.U. Serie

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valorizzare la ratio e il ruolo selettivo dell'udienza preliminare ampliando i poteri istruttori e decisori del giudice e sostituendo ad una cognizione sommaria «una valutazione “contenutistica” più penetrante»2, seppur

sempre di tipo processuale, sull'esistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero e quindi sulla fondatezza dell'imputazione e sull'idoneità degli elementi probatori a sostenere l'accusa in giudizio.

Nella trattazione non si è trascurata una riflessione sulla profonda rivisitazione della materia da parte del d.d.l. di riforma del codice di procedura penale presentato dal Guardasigilli Orlando, in questo momento in discussione al Senato della Repubblica, il quale, se approvato, segnerebbe un inevitabile ritorno al passato, con un ridimensionamento dei poteri istruttori attualmente in capo al giudice dell'udienza preliminare.

Dopo una completa illustrazione degli ordinari epiloghi decisori dell'udienza preliminare, ovvero il decreto che dispone il giudizio e la sentenza di non luogo a procedere, dall'indagine risulta manifesto come il giudice dell'udienza preliminare abbia il compito con tale ultima sentenza, di anticipare le future assoluzioni e le sentenze di proscioglimento dibattimentali laddove sia ragionevolmente prevedibile, sulla base degli elementi acquisiti, un esito proscioglitivo, oltre al fatto che il dibattimento non potrà arricchire un compendio probatorio che sin da questa fase si palesa inidoneo ad una pronuncia di condanna.

La sentenza di non luogo a procedere, essendo una pronuncia di carattere eminentemente processuale, è soggetta al rimedio della revoca, ex artt. 434-437 c.p.p., se sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova che da sole o unitamente a quelle già valutate possono determinare il rinvio a giudizio.

Analizzeremo in dettaglio il complesso procedimento di revoca della 2 Così, Corte cost., ordinanza n. 185 del 4 giugno 2001, in Giur. cost., 2001, vol. II, p.

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sentenza di non luogo a procedere, partendo dal presupposto che sarà solo l'esistenza di un nuovo materiale probatorio a giustificare la sottoposizione del prosciolto verso il nuovo procedimento per il medesimo fatto.

Dopo aver esaminato il giudicato, i suoi effetti ed in particolare il principio del ne bis in idem, lo studio analizzerà l'efficacia preclusiva della sentenza di non luogo a procedere.

Nonostante gli artt. 648 e 649 c.p.p. ricolleghino l'efficacia preclusiva del

ne bis in idem solamente alle sentenze irrevocabili emesse a seguito di

giudizio, autorevole dottrina afferma che l'esclusione della sentenza di non luogo a procedere dal novero delle sentenze irrevocabili «dipende da scelte nomenclatorie»3 e sia il «frutto di una cautela eccessiva del

legislatore»4.

Si tratta di un giudicato per taluni definibile come «debole»5 o relativo, in

quanto vieta di procedere una seconda volta nei confronti dello stesso soggetto per il medesimo fatto, finché rimangono immutati i presupposti: è infatti una decisione rebus sic stantibus, destinata a cadere se muta la situazione probatoria sulla cui base è stata pronunciata.

La trattazione cercherà di delineare l'estensione dell'efficacia preclusiva della sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'attività d'indagine del pubblico ministero.

L'ambiguità dell'art. 435 c.p.p., con il riferimento a fonti di prova già acquisite, che pare alludere ad un'ultrattività del potere investigativo, aveva permesso l'esistenza di due tesi giurisprudenziali contrapposte: una, in parallelo con l'art. 414 c.p.p., che preclude nuove investigazioni prima dell'autorizzazione del giudice alla riapertura delle indagini, riteneva a maggior ragione vietate tali attività prima dell'intervento della

3 Così, F. CORDERO, Procedura penale, Milano, 2006, p. 1233.

4 Così, testualmente, F. CAPRIOLI – D. VICOLI, Procedura penale dell'esecuzione, Torino, 2009, p. 76.

5 Così, D. FIASCONARO, La nuova configurazione dell'udienza preliminare: una

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revoca; l'altra invece considerava gli elementi di prova raccolti nel “limbo” del non luogo a procedere legittimamente acquisiti e pienamente utilizzabili. L'intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza Romeo, n. 8 del 23 febbraio 2000, ha infine risolto l'annosa questione statuendo l'impossibilità per il pubblico ministero di effettuare indagini nei confronti del prosciolto, per i medesimi fatti oggetto della sentenza di non luogo a procedere.

Infine, partendo dalla constatazione per cui l'attuale codice, diversamente dal codice del 1930 e in merito alla riapertura dell'istruzione, non provvede ad elencare le fonti di prova rilevanti ai fini della revoca della sentenza di non luogo a procedere ma dispone solamente, nell'art. 434 c.p.p., che condizione del provvedimento in parola sia la sopravvenienza o la scoperta di nuove fonti di prova, indagheremo i diversi orientamenti dottrinali in merito.

Un primo orientamento della dottrina, minoritario e non condivisibile, basandosi sul dato testuale, sostiene che il primo termine, “sopravvenienza”, indichi un atteggiamento di tipo passivo del pubblico ministero, riferendosi alla circostanza che gli elementi siano emersi senza lo svolgimento di alcuna investigazione in ordine alla medesima regiudicanda: dunque elementi trovati casualmente, reperiti nel corso di altre investigazioni o offerti spontaneamente. Il secondo termine, “scoperta”, indicherebbe invece un comportamento attivo da parte del pubblico ministero, legittimato a proseguire l'attività investigativa con l'unico limite costituito dal divieto di compiere atti che richiedano la partecipazione del prosciolto o consentano l'intervento del suo difensore. La dottrina maggioritaria, partendo invece dall'assunto per cui la “sopravvenienza” e la “scoperta” indichino, rispettivamente, la prova

noviter reperta (cioè sopravvenuta solo dopo la pronuncia della sentenza

di non luogo a procedere in quanto prima non esistente) e la prova

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non acquisita agli atti e dunque non portata all'attenzione del giudice) sostiene che tutte le fonti di prova non vietate dalla legge ed influenti ai fini di un diverso accertamento dei fatti siano rilevanti, a patto che esse non siano il risultato di una indagine ad hoc del pubblico ministero. Un orientamento fatto proprio anche dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la summenzionata sentenza Romeo del 2000 e ripetutamente confermato nelle successive decisioni.

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CAPITOLO I

L'EVOLUZIONE DELL'UDIENZA PRELIMINARE DAL CODICE VASSALLI AD OGGI E LA SUA FUNZIONE

SOMMARIO: 1.1. La genesi e l'introduzione dell'udienza preliminare nel codice

Vassalli. – 1.2. La prima novella codicistica: la legge 8 aprile 1993, n. 105. –

1.3. La riforma Carottti, legge n. 479/1999 e l'assetto vigente. – 1.3.1. Le

modifiche all'attività istruttoria nell'udienza preliminare. – 1.3.2. Il riformulato articolo 425 c.p.p.: i maggiori poteri decisori del giudice dell'udienza preliminare. – 1.3.3. L'articolo 415 bis c.p.p.: un'occasione di conoscenza anticipata delle risultanze investigative.

1.1. La genesi e l'introduzione dell'udienza preliminare nel codice Vassalli.

L'udienza preliminare rappresenta una delle più importanti novità del codice di procedura penale del 1988, in quanto «introduce per la prima volta nella storia della procedura penale continentale»1, tramite un inedito

diaframma tra la fase di ricerca della prova e quella del giudizio, un momento di controllo finale dell'attività di indagine, svolta mediante un contraddittorio orale nel quale si confrontano accusa e difesa davanti a un giudice terzo e imparziale, il giudice dell'udienza preliminare.

È stata per questo definita, nella stessa “Relazione al progetto 1 Così, testualmente, V. MAFFEO, L'udienza preliminare tra diritto giurisprudenziale

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preliminare del codice di procedura penale”, come un istituto che ha un

«rilievo centrale»2 nella struttura del nuovo sistema processuale penale,

mentre in dottrina si è asserito che rappresenti addirittura «l'emblema del nuovo processo accusatorio»3. Anche la Corte costituzionale già da anni

aveva affermato in più occasioni la necessità di un controllo sulla consistenza dell'accusa, da realizzarsi mediante un momento dialettico nel quale le parti potessero confrontarsi davanti a un giudice in una posizione di sostanziale terzietà, essendo rimasto estraneo alla raccolta del materiale di indagine4.

Il magistrato al quale il codice assegna le funzioni di giudice dell'udienza preliminare è tratto dall'Ufficio del giudice per le indagini preliminari ma, per garantirne la neutralità, si prevede che non possa essere colui che abbia svolto le funzioni di giudice per le indagini preliminari nel medesimo procedimento. L'art. 34 comma 2 bis c.p.p. pone, di regola, una incompatibilità che può essere superata soltanto quando il giudice per le indagini preliminari si è limitato a svolgere funzioni di tipo non decisorio.

L'importanza attribuita all'udienza preliminare, che identifica il passaggio dalla fase del procedimento a quella del processo, in conseguenza dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero, discende dalle funzioni ad essa collegate: realizzare un filtro contro le imputazioni azzardate, garantire l'attuazione del diritto alla prova, rendere possibile la scelta dei riti differenziati deflattivi del dibattimento5.

Il sistema processuale previgente, durato ben oltre mezzo secolo, era

2 V., Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, cit., p. 224. 3 E. AMODIO, L'udienza preliminare nel nuovo processo penale, in Cass. pen., 1988,

p. 2172.

4 Cfr., tra le altre, Corte cost., sentenze nn. 32 del 2 aprile 1964, in Giur. cost., 1964, p. 187; 11 del 19 febbraio 1965, in Giur. cost., 1965, vol. I, p. 85; 52 del 26 giugno 1965, ivi, p. 699; 151 del 15 dicembre 1967, in Giur. cost., 1967, p. 671; e 117 del 28 novembre 1968, in Giur. cost., 1968, p. 700.

5 Cfr., G. LOZZI, L'udienza preliminare nel sistema del nuovo processo penale, in Riv.

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caratterizzato dall'adozione di uno schema di processo di tipo misto6,

ispirato in parte a regole inquisitorie e in parte a regole accusatorie, ma i caratteri inquisitori del sistema del 1930, largamente prevalenti, si evidenziavano soprattutto proprio nella fase dell'istruzione, articolata nei due momenti dell'istruzione sommaria, affidata al pubblico ministero e dell'istruzione formale, affidata al giudice istruttore e destinata all'attività di investigazione e di formazione delle prove attraverso la libera iniziativa del giudice nella ricerca di esse. Inoltre l'istruzione veniva condotta secondo canoni di segretezza, talora attenuati solo in piccola parte, i quali relegavano l'imputato e il suo difensore in posizione di assoluta inferiorità, escludendoli talvolta anche dalla partecipazione a fondamentali attività di rilevanza probatoria, quali gli esami testimoniali o i confronti. I caratteri del sistema accusatorio apparivano a tratti nella fase del dibattimento che, se pur imperniato dei contrapposti canoni della pubblicità e dell'oralità, rimaneva sempre fortemente condizionato dalle risultanze probatorie acquisite in istruzione, finendo con l'adempiere unicamente a una funzione di mero riscontro degli elementi raccolti precedentemente7.

Non era quindi assolutamente prevista un'apposita udienza finalizzata al vaglio delle imputazioni infondate che «potevano essere analizzate soltanto a conclusione dell'istruzione dal giudice istruttore, il quale formava il suo libero convincimento acquisendo le prove necessarie e, all'esito, si determinava in ordine al proscioglimento o al rinvio a giudizio della persona inquisita»8.

La verifica dei risultati delle indagini preliminari conseguente all'esercizio dell'azione penale costituisce invece uno degli aspetti qualificanti di un modello processuale moderno di matrice sia accusatoria

6 V., tra gli altri, G. FIANDACA – G. DI CHIARA, Una introduzione al sistema penale.

Per una lettura costituzionalmente orientata, Napoli, 2003, p. 343.

7 Cfr., D. SIRACUSANO – A. GALATI – G. TRANCHINA – E. ZAPPALA', Diritto

processuale penale, Milano, 2013, p. 23.

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che mista: l'esigenza di garantire il cittadino, vista la complessità, l'importanza e soprattutto la pubblicità del dibattimento, da improvvide iniziative del pubblico ministero, è avvertita in entrambi i sistemi processuali come meritevole di tutela9.

La genesi dell'istituto, anche se la formula “udienza preliminare” ancora non compariva10, si individua «per generale consenso, nella c.d. bozza

Carnelutti»11, elaborata tra il 1962 e il 1963 dalla Commissione

ministeriale presieduta da Francesco Carnelutti e incaricata di procedere alla riforma del codice Rocco12 che sostanziava, invero, una organica

proposta personale dello stesso insigne giurista13.

Il progetto prevedeva che «nell'ipotesi in cui il pubblico ministero non richiedesse l'archiviazione, ma non disponesse di elementi sufficienti per il rinvio a giudizio, avviasse “un'inchiesta preliminare” finalizzata alla ricerca di elementi in grado di fornire o meno la “probabilità che il reato sia stato commesso”; tale fase era aperta a un contraddittorio cartolare con la difesa, ammessa a interloquire, sia pure ad opponendum, sui risultati delle investigazioni»14.

Tale progetto di riforma del codice di procedura penale ipotizzava un sistema di tipo accusatorio puro, basato sull'oralità e sulla netta separazione tra le fasi processuali, quindi una riforma radicale che, 9 Cfr., F. CASSIBBA, L'udienza preliminare: struttura e funzioni, in Trattato di

procedura penale, G. UBERTIS – G.P. VOENA (diretto da), vol. XXX.1, Milano, 2007, p. 17.

10 La locuzione, coniata da F. CORDERO, Problemi dell'istruzione, in Ideologie del

processo penale, Milano, 1961, p. 160, compare per la prima in via ufficiale nella

rubrica del Progetto preliminare del 1978, libro VII, titolo I, artt. 400-412.

11 A. ZIROLDI, Udienza preliminare: preparazione e svolgimento, in Trattato di

procedura penale, G. SPANGHER (diretto da), tomo III, Indagini preliminari e

udienza preliminare, G. GARUTI (a cura di), Torino, 2009, p. 846.

12 Codice di procedura penale pubblicato con il R.D. 19 ottobre 1930 ed entrato in vigore il 1° luglio 1931. L'avvio del dibattito sulla riforma del codice di rito risaliva all'indomani del varo della Costituzione repubblicana, che aveva posto in luce, com'era ovvio, cospicue difformità tra i nuovi valori costituzionali e l'impianto codicistico del 1930, improntato a ben diverse filosofie di fondo.

13 Il testo del progetto di riforma del codice di procedura penale presentato dalla Commissione Carnelutti è edito da F. CARNELUTTI, Verso la riforma del processo

penale, Napoli, 1963.

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appunto per tale motivo, incontrò forti opposizioni ancor prima della sua divulgazione: queste, unite alle dimissioni del Governo, segnarono il progetto definitivamente, però dell'esperienza rimase l'intento di una riforma complessiva del codice e il superamento del modello misto-inquisitorio, per andare verso un modello accusatorio15.

La riforma del codice di procedura penale del 1930 è infine giunta a compimento il 22 settembre 1988 quando è stato varato, con il d.P.R. n. 447, il testo del nuovo codice di procedura penale, il c.d. codice Vassalli, entrato in vigore il 24 ottobre 1989 in esito a una manovra di delegazione legislativa avviata con la legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 e basato sui principi del sistema accusatorio: il principio dell'oralità, il principio della separazione delle funzioni tra pubblico ministero e giudice, il principio della netta ripartizione delle fasi processuali16.

Il principio della separazione delle funzioni processuali svolge un ruolo di garanzia in quanto impone che il giudice abbia soltanto il compito di dirigere l'assunzione delle prove e di decidere l'esito sulla base delle richieste formulate dalle parti, senza cumulare in sé l'ulteriore potere di svolgere indagini. Stabilisce inoltre che il pubblico ministero si limiti a ricercare le prove e non cumuli in sé il potere di assumerle. In tal modo viene assicurata una maggiore dialettica tra accusa e difesa, le quali espongono le proprie ragioni in una situazione di tendenziale equilibrio sotto il controllo del giudice.

In base al principio della netta ripartizione in fasi, il procedimento penale vede susseguirsi le indagini preliminari svolte dal pubblico ministero, l'udienza preliminare ed il dibattimento.

Questa struttura permette che la prova utilizzabile nella decisione in dibattimento sia quella che viene assunta nel pieno contraddittorio delle parti davanti al giudice e pertanto, almeno come regola, la prova assunta 15 Così, G. CONSO – V. GREVI – G. NEPPIMODONA, Il nuovo codice di procedura

penale. Dalle leggi delega ai decreti delegati, vol. I, La legge delega del 1974 e il progetto preliminare del 1978, Padova, 1988, p. 6.

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prima del dibattimento è inutilizzabile.

Inoltre essa tutela il diritto dell'imputato affinché un giudice controlli la necessità del rinvio a giudizio e quindi la fondatezza dell'accusa formulata dal pubblico ministero, evitando così il passaggio alla fase del dibattimento di imputazioni azzardate. Infatti il rinvio a giudizio, già in forza della pubblicità che caratterizza tale fase, oltre a costituire una sofferenza per l'imputato innocente è fonte di ulteriori spese processuali, dunque un danno da evitare.

A tal fine, nell'ipotesi in cui il pubblico ministero al termine delle indagini non disponesse l'archiviazione ovvero il giudizio immediato, veniva quindi predisposta l'udienza preliminare, da celebrarsi in tempi alquanto contenuti ed in assenza di pubblicità, destinata al controllo nel contraddittorio delle parti, dell'esercizio dell'azione penale e al verificare la presenza di elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio, per concludersi: in presenza di tali elementi con il decreto che dispone il giudizio; viceversa, ove tali elementi non sussistevano, con una sentenza di non luogo a procedere; ovvero con una pronuncia di merito, nel caso di richiesta dell'imputato di giudizio immediato e laddove il giudizio fosse definibile allo stato degli atti; infine, veniva previsto che allorquando il giudice non fosse stato in grado di adottare alcun provvedimento conclusivo, poteva indicare alle parti temi nuovi o incompleti sui quali si rendeva necessario acquisire ulteriori informazioni indispensabili per la propria decisione, rinviando nel contempo l'udienza17.

1.2. La prima novella codicistica: la legge 8 aprile 1993, n. 105.

Il quadro normativo è in seguito profondamente mutato, inizialmente con la legge 8 aprile 1993 n.105, che ha eliminato dall'art. 425 comma 1

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c.p.p. il requisito della “evidenza” della prova come condizione per l'emissione, da parte del giudice dell'udienza preliminare, della sentenza di non luogo a procedere per ragioni di merito: una semplice operazione lessicale, ma «dall'incidenza determinante»18, tanto da ridisegnare

completamente i limiti dell'istituto.

L'udienza preliminare aveva infatti manifestato ben presto e sotto diversi profili la propria inadeguatezza rispetto all'obiettivo prefigurato, in quanto la disciplina positiva era largamente inidonea a soddisfare la ratio dell'istituto e la prassi «non ne aveva certamente valorizzato appieno la funzione»19: una debolezza funzionale del giudice preliminare,

fortemente condizionata dall'intento della normativa del 1988 di «evitare la reviviscenza del giudice istruttore»20.

A delineare tale risultato concorreva in primo luogo la regola di giudizio elaborata per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, fondata “sull'evidenza” della sussistenza di una causa di proscioglimento, dalla formulazione letterale originale dell'art. 425 c.p.p., «occorreva che gli atti posti a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio fornissero la prova piena della non responsabilità penale dell'imputato o, tutt'al più, dimostrassero la mancanza assoluta di prove a carico. Negli altri casi, anche in presenza di prove insufficienti o contraddittorie, era d'obbligo il rinvio a giudizio»21: la mancanza di evidenza finiva, dunque, per rendere

“idonea” un'accusa che tale oggettivamente non era.

Un filtro a maglie particolarmente larghe, certamente atto a garantire 18 Così, A. MACCHIA, La “nuova” sentenza di non luogo a procedere e il decreto che

dispone il giudizio tra “cripto-motivazione” e dubbi di costituzionalità, in Cass. pen., 1993, vol. III, pp. 2414 ss.

19 Sul tema si v., A. CRISTIANI, La bilancia delle illusioni, Milano, 1995, p. 56, «la disciplina dell'udienza preliminare appare certamente asfittica e avara di prospettive [...] ma non si può certo affermare che l'interpretazione e la prassi si siano sforzate di allargarne le maglie».

20 Così, tra gli altri, F. CASSIBBA, L'udienza preliminare: struttura e funzioni, cit., p. 60. M. PISANI, parlerà addirittura di “odio teologico” nei confronti del giudice istruttore alla base della normativa del 1988 in “Italian style”: figure e forme del

nuovo processo penale, Padova, 1998, p. 95.

21 G. GARUTI, Nuove osservazioni sulla regola di giudizio ex art. 425 c.p.p. ai fini

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l'immunità del giudice del dibattimento da qualsiasi condizionamento per la valutazione del giudice dell'udienza preliminare, dal momento che in qualsiasi ipotesi di non evidenza dell'innocenza si imponeva il decreto che dispone il giudizio, ma di fatto esso era preclusivo di qualsiasi capacità selettiva tanto da rivelarsi assai più rigoroso del criterio regolatore della pronuncia di archiviazione, prevista all'art. 125 delle disposizioni di attuazione del c.p.p., fondata sul parametro dell'inidoneità a sostenere l'accusa in giudizio e che sussiste non solo nel caso di prova negativa ma anche nel caso di carenza, insufficienza o contraddittorietà della prova.

Se un filtro a maglie troppo strette profila il rischio di creare un pregiudizio sulle accuse sorrette da congrue potenzialità probatorie, nel successivo iter processuale, con inevitabili ripercussioni sulla presunzione di innocenza, un controllo a maglie troppo larghe rende possibili continue elusioni del dovere di verifica, cui dovrebbe invece far fronte questa fase del giudizio, restringendo l'ambito del sindacato fino ad annullarlo22 e permettendo così il rinvio a giudizio anche in presenza

di indizi inconsistenti che mai potrebbero resistere al vaglio dibattimentale.

Si deve dunque concludere che «una effettiva funzione di filtro, pertanto, sarebbe stata integralmente realizzata se l'art. 425 c.p.p. avesse riconosciuto al giudice dell'udienza preliminare la possibilità di emettere sentenza di non luogo a procedere ogniqualvolta la situazione “probatoria” fosse risultata inidonea a sostenere un'accusa in giudizio. Non avendo operato in tali termini, si creava, evidentemente, il mancato collegamento con la regola dell'art. 125 disp. att. c.p.p.»23, perché se il

pubblico ministero, a norma dell'art. 408 comma 1 c.p.p., doveva procedere all'archiviazione nel caso di inconsistenza degli elementi 22 In tal senso, tra gli altri, G. LOZZI, L'udienza preliminare nel sistema del nuovo

processo penale, cit., p. 1080.

23 Così, testualmente, V. MAFFEO, L'udienza preliminare: tra diritto giurisprudenziale

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raccolti, viceversa l'inconsistenza delle fonti di prova impediva al giudice dell'udienza preliminare di prosciogliere l'imputato se non quando fosse risultato «evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso», pur nella consapevolezza che in dibattimento l'insufficienza o la contraddittorietà delle prove si sarebbe risolta in una sentenza di assoluzione.

Paradossalmente il rinvio a giudizio presupponeva un quadro probatorio meno rilevante di quello necessario per procedere all'archiviazione, in assoluto pregiudizio, delle più elementari esigenze di economia processuale e di quella funzione di controllo propria della fase preliminare.

I due differenti criteri decisori comportavano che si configurasse una palese asimmetria sistematica, censurabile inoltre sotto il profilo della legittimità costituzionale ex artt. 3 e 101 della Costistuzione, posto che era «il pubblico ministero, in concreto attraverso la propria scelta sull'an dell'azione penale, a “dettare” il criterio decisorio cui avrebbe dovuto attenersi il giudice di fronte alle sue richieste»24, e con il rinvio a giudizio

deciso sostanzialmente dall'organo dell'accusa, si configurava «una inevitabile compressione del diritto di difesa strettamente connesso all'intensità del sindacato giurisdizionale»25.

Una udienza preliminare così disciplinata, dall'esito scontato e svuotata del ruolo di filtro e di garanzia per l'imputato, finiva per trasformarsi in un formale e costante passaggio al dibattimento; in dottrina si parlava unanimemente di giudice dell'udienza preliminare ridotto a mero “passacarte”, utile solo ad allungare i tempi di durata del processo, in quanto i casi in cui l'udienza preliminare si chiudeva con sentenza di non luogo a procedere erano «statisticamente insignificanti»26.

24 Così, tra gli altri, V. GREVI, Archiviazione per «inidoneità probatoria» ed

obbligatorietà dell'azione penale, in Riv. it. dir. proc. penale, 1990, p. 1314.

25 Sul punto, tra gli altri, V. MAFFEO, L'udienza preliminare: tra diritto

giurisprudenziale e prospettive di riforma, cit., pp. 50 ss.

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La legge 8 aprile 1993, n. 105, eliminando la regola giuridica della “evidenza” probatoria dal testo dell'art. 425 comma 1 c.p.p., ha reso il giudizio maggiormente penetrante, estendendo la sfera del controllo giurisdizionale e l'area di operatività della sentenza di non luogo a procedere27, pronunciabile non più solo nei casi di prova positiva

evidente di innocenza e di prova negativa evidente di colpevolezza, bensì anche nei casi in cui la prova sulla non sussistenza o sulla non commissione del fatto poteva essere argomentata e ritenuta in un quadro probatorio di incertezza, nel quale gli elementi a favore fossero prevalsi su quelli a carico dell'imputato e dopo aver valutato negativamente la potenzialità degli stessi di svilupparsi o integrarsi in dibattimento.

In tal modo il legislatore ha «parificato il criterio di giudizio rimesso al giudice dell'udienza preliminare a quello che è chiamato ad utilizzare il giudice dell'archiviazione a mente dell'art. 125 disp. att. c.p.p.: in entrambi i casi il giudicante è tenuto ad effettuare una valutazione prognostica circa i possibili sviluppi del procedimento nella fase del giudizio dibattimentale»28 per evitare la celebrazione di dibattimenti

inutili. La regola di giudizio, perciò, deve essere quella della superfluità indicata dal summenzionato articolo 125: occorre verificare, volta per volta, la necessità di un accertamento giudiziale con le regole del contraddittorio, con la conseguenza che il procedimento è destinato all'archiviazione ovvero, nel corso dell'udienza preliminare, al proscioglimento, quando sia possibile affermare che lo svolgimento di un giudizio dibattimentale con le regole del contraddittorio non consentirebbe di pervenire ad un accertamento, positivo o negativo, della responsabilità dell'imputato29.

Diritto processuale penale, cit., p. 544.

27 Cfr., A. GIARDA, Una norma al centro del sistema accusatorio. Commento alla

legge 8 aprile 1993, n. 105, in Corr. giur., 1993, vol. I, pp. 513 ss.

28 E. APRILE – M. SASO, L'udienza preliminare, Milano, 2005, p. 5.

29 In questi termini, tra gli altri, E. MARZADURI, Azione. Diritto processuale penale, in

Enc. giur., Roma, 1996, vol. IV, p. 10; G. GIOSTRA, L'archiviazione. Lineamenti

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1.3. La riforma Carotti, legge n. 479/1999 e l'assetto vigente.

Ad opera della legge 16 dicembre 1999 n. 479, meglio conosciuta come legge Carotti, dal nome del suo relatore alla Camera dei Deputati, si è assistito a una pregnante riscrittura della disciplina codicistica: da un lato è stata anticipata all'udienza preliminare l'applicazione di istituti propri del dibattimento; dall'altro lato sono state introdotte sostanziali modifiche tese ad ampliare i poteri istruttori e decisori del giudice dell'udienza preliminare.

Tra le numerose variazioni, le principali, per quanto qui ci interessa, sono senza dubbio rinvenibili negli artt. 421 bis, 422, 425 e 415 bis c.p.p..

1.3.1. Le modifiche all'attività istruttoria nell'udienza preliminare. Alla debolezza funzionale del giudice preliminare aveva inciso molto il limitato potere di integrazione probatoria che «l'horror hereditatis»30 del

giudice istruttore aveva confinato negli spazi particolarmente ristretti della sollecitazione rivolta dal giudice alle parti.

L'originario art. 422 comma 1 del codice Vassalli recitava: «il giudice, terminata la discussione, può indicare alle parti temi nuovi o incompleti sui quali si rende necessario acquisire ulteriori informazioni ai fini della decisione»; aderendo all'invito, le parti avrebbero potuto chiedere mezzi di prova tassativamente elencati dal comma 1, ammessi dal giudice ove ne fosse riconosciuta la manifesta decisività, se a carico, o la evidente decisività, se a discarico, come disposto dal comma 2 e dallo stesso assunti; era quindi rimesso alla sola volontà delle parti fornire ulteriori elementi ai fini della decisione.

Il giudice dell'udienza preliminare, nel presupposto della indecidibilità 30 Definizione autorevolmente coniata da E. AMODIO, v., L'udienza preliminare nel

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del processo allo stato degli atti, non poteva emettere un provvedimento con cui ordinare al pubblico ministero di svolgere un supplemento di indagini, in quanto nella prospettiva del legislatore del 1988 il cogente impulso investigativo proveniente dall'organo giurisdizionale ne avrebbe comunque compromesso l'imparzialità, «perché nella scelta del tema investigativo vi è già la confessione di una preferenza, e nella formulazione del problema è già implicito il criterio della soluzione»31.

Appariva incoerente con la funzione decisoria assegnata all'udienza preliminare che il giudice non potesse assumere fonti di prova all'uopo necessarie, per di più avendo invece assegnato poteri probatori officiosi al giudice del dibattimento – seppure residuali e suppletivi, in base all'art. 507 c.p.p. – ove è, senza dubbio, maggiormente avvertita l'esigenza di garantire l'imparzialità dell'organo.

La preoccupazione del legislatore del 1988 era sicuramente eccessiva: la predeterminazione del tema di prova nell'imputazione formulata dal pubblico ministero e l'indefettibilità del contraddittorio in seno all'udienza preliminare rendevano «estremamente circoscritto il pericolo di riproporre la figura del giudice istruttore che, vigente il codice abrogato, decideva autonomamente sul rinvio a giudizio»32.

Nel 1999 il legislatore è quindi intervenuto con l'importante riforma Carotti con cui ha finalmente concesso all'udienza preliminare di acquisire un peso sistematico maggiore all'interno del procedimento rispetto all'impianto codicistico: un irrobustimento del controllo giurisdizionale attuato in primo luogo fornendo al giudice dell'udienza preliminare iniziative “probatorie” che si possono spingere al di là dello stato degli atti, essendogli consentito, in base al nuovo art. 421 bis c.p.p., emettere una ordinanza per il compimento di ulteriori indagini quando esse risultino incomplete e ritenga di non poter decidere ovvero assumere

31 P. CALAMANDREI, Opere giuridiche, vol. I, Napoli, 1965, p. 397.

32 F. RUGGIERI, La giurisdizione di garanzia nelle indagini preliminari, Milano, 1996, p.12.

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anche d'ufficio, a norma del rinnovato art. 422 comma 1 c.p.p., le prove delle quali appaia evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere.

Come osservato da autorevole dottrina, «la legge n. 479 del 1999 costituisce la compiuta presa d'atto del legislatore che il raggiungimento della completezza dell'attività probatoria non può essere rimessa alle sole iniziative probatorie delle parti»33 e rappresenta «un non facile punto di

equilibrio tra l'esigenza di rafforzare il ruolo di garanzia in proiezione deflativa – funzionale cioè a impedire la celebrazione di giudizi dibattimentali destinati all'insuccesso – e quella di evitare tentazioni neoinquisitorie derivanti da un incontrollato riconoscimento di poteri officiosi nell'apprezzamento della completezza del materiale istruttorio, in evidente controtendenza col principio della netta separazione tra fase delle indagini e fase del giudizio»34.

La specifica collocazione del nuovo art. 421 bis c.p.p. in esito all'udienza rivela che «l'intervento giudiziale a garanzia della completezza delle indagini non può che essere proiettato verso il superamento dell'alternativa, che si reputa non poter essere sciolta, tra transizione a giudizio e pronuncia ex articolo 425 c.p.p.. Inoltre l'attività integrativa presuppone non soltanto l'accertamento di una lacuna del quadro investigativo, ma anche che lo stesso sia colmabile, ossia che fornisca spazi per l'esplorabilità di temi in precedenza non indagati, all'interno del perimetro delineato dalla contestazione»35.

In tal caso il giudice dell'udienza preliminare potrà dunque prospettare al pubblico ministero sia temi investigativi generici da approfondire sia specifici atti e accertamenti da compiere, i quali potranno avere contenuto pro o contra reum, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare e questo sarà vincolato a

33 In tal senso, F. CASSIBBA, L'udienza preliminare: struttura e funzioni, cit., p. 86. 34 Così, A. ZIROLDI, Udienza preliminare: preparazione e svolgimento, cit., p. 849. 35 Ivi, p. 943.

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seguire tali indicazioni dall'onere di compiere in modo tendenzialmente completo le indagini preliminari, pur nel rispetto della sfera di indipendenza che ne caratterizza lo statuto, imposto dalla ratio profonda del principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.)36 e dalla facoltà riconosciuta al procuratore generale presso la

Corte d'appello, ai sensi dell'art. 421 bis comma 2, «di avocare a sé le indagini, con decreto motivato, dopo aver ricevuto la comunicazione dell'emissione dell'ordinanza per l'integrazione, […] svolgendo egli stesso le indagini indispensabili e formulando le proprie richieste entro trenta giorni dal decreto di avocazione, quando siano decorsi i termini di legge senza che l'organo dell'accusa abbia manifestato alcuna intenzione di agire»37.

I nuovi atti devono essere depositati prima dell'udienza che dovrà comunque essere celebrata con una nuova discussione, con la possibilità per il giudice di un nuovo procedimento ex art. 421 bis c.p.p. connesso agli sviluppi dell'attività svolta, ovvero al suo parziale compimento, e la possibilità per l'imputato di richiedere i riti premiali prima delle conclusioni.

Riguardo all'art. 422 c.p.p. tale ordinanza di assunzione delle prove si pone in rapporto sussidiario e complementare rispetto a quella disciplinata dall'art. 421 bis e il presupposto che consente al giudice di procedere all'integrazione probatoria deve fondarsi ancora sull'impossibilità di decidere allo stato degli atti e su ragioni di opportunità che consiglino l'assunzione di nuovi importanti elementi nell'ambito però delle ipotesi di ricostruzione del fatto già prospettate in modo completo dal pubblico ministero: «allorché si tratti soltanto di

36 Sul punto si v., G. LOZZI, L'udienza preliminare nel sistema del nuovo processo

penale, cit., p. 1087; G. FIANDACA – G. DI CHIARA, Una introduzione al sistema

penale. Per una lettura costituzionalmente orientata, cit., p. 242.

37 Così, testualmente, G. GARUTI, La nuova fisionomia dell'udienza preliminare, in Il

processo penale dopo la riforma del giudice unico, F. PERONI (a cura di), Padova, 2000, p. 389.

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acquisire al processo una prova già individuata, le indagini devono essere reputate complete proprio perché hanno fatto emergere anche l'esistenza di una siffatta prova: il deficit, cioè, concerne il materiale probatorio contenuto nel dossier d'udienza e non anche l'oggetto delle investigazioni»38.

Il comma 1 dell'articolo 422 c.p.p. prevede che il giudice possa disporre, sia su richiesta di parte che d'ufficio, soltanto l'ammissione delle prove a discarico, un potere esercitabile solo in bonam partem in quanto «è inutile che una situazione processuale già sufficientemente compromessa all'esito delle indagini, venga ulteriormente aggravata, sotto il profilo probatorio, dal giudice dell'udienza preliminare»39 e prevede inoltre,

come criterio qualitativo di ammissione di tali prove a discarico, quello della «evidente decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere»; un potere quindi che «appare omogeneo ai compiti di controllo e garanzia che spettano al giudice dell'udienza preliminare nel processo di tipo accusatorio»40.

Si deve dunque concludere che «le modifiche introdotte hanno notevolmente ampliato la possibilità di colmare nell'udienza preliminare le lacune delle indagini preliminari e conseguentemente la concreta attuazione del diritto alla prova»41, tanto che non appare più attuale

l'affermazione enunciata nella “Relazione al progetto preliminare del

codice di procedura penale”, secondo cui l'udienza preliminare è stata

«modellata come procedimento allo stato, cui può far seguito, eventualmente, un regime eccezionale imperniato su limitate acquisizioni probatorie caratterizzate da una efficacia interna alla fase»42.

Non può più definirsi eccezionale il regime di acquisizione della prova e

38 F. CASSIBBA, La «completezza» e la «concludenza» delle indagini alla luce della

rinnovata udienza preliminare, in Cass. pen., 2006, vol. I, p. 1430.

39 Cfr., G. GARUTI, La nuova fisionomia dell'udienza preliminare, cit., p. 396. 40 E. APRILE – M. SASO, L'udienza preliminare, cit., p. 11.

41 Così, G. LOZZI, Lezioni di procedura penale, Torino, 2006, p. 425.

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non è neppure più esatto che le acquisizioni probatorie siano caratterizzate da una efficacia interna alla fase dal momento che diviene possibile anche l'incidente probatorio nell'udienza preliminare e la prova assunta nell'incidente probatorio esercita la sua funzione anche in sede dibattimentale.

Attualmente però si trova all'esame del Parlamento un disegno di legge, presentato dal Ministro della giustizia Orlando, di modifica del codice penale e del codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi, che segna un inevitabile ritorno al passato, in quanto nella «pressante esigenza di recuperare il processo penale ad una durata ragionevole» considerata quale «condizione essenziale, di tipo oggettivo, perché possa dirsi attuato il giusto processo»43 si prevedeva, originariamente all'art. 11, sia

l'abrogazione dell'art. 421 bis c.p.p., relativo all'ordinanza per l'integrazione delle indagini sia la modifica dell'art. 422 c.p.p., in ordine alla modalità di assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere.

Nella stessa proposta di riforma si riafferma sì l'importanza dell'udienza preliminare in quanto «deputata al controllo sulla fondatezza dell'accusa nella prospettiva di una prognosi circa l'utilità del dibattimento», ma al contempo «occorre evitare che si trasformi in un momento dai poteri giudiziali cognitivi talmente estesi da sovrapporsi ad un vero e proprio giudizio nel merito della vicenda processuale». Il disegno di legge, abrogando l'art. 421 bis c.p.p., si prefiggeva di eliminare il potere del giudice di ordinare ulteriori indagini, ove ne ravvisi l'incompletezza, con inevitabile sospensione della fase dell'udienza preliminare a favore di una

43 Così, testualmente, Atto parlamentare della Camera dei Deputati, XVII legislatura, Disegni di legge e relazioni, Modifiche al codice penale e al codice di procedura

penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto al fenomeno corruttivo, oltre che all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena, presentato il 23

dicembre 2014, atto n. 2798, p. 1, consultabile on-line alla pagina, http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0027570.pdf

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«indiretta censura all'operato del pubblico ministero costituita dalla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere»44; mentre per l'art.

422 c.p.p. si prevedeva l'eliminazione del potere officioso del giudice di assunzione di nuove prove ove ne apprezzi la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere, rimettendo nuovamente alle parti il potere di richiedere al giudice l'assunzione di prove ritenute decisive ai fini della suddetta sentenza. Dal potere officioso del giudice di integrazione probatoria si tornerebbe quindi alla facoltà delle parti: una riforma, dunque, che per entrambi gli articoli mirava a ripristinare l'esatto articolato precedente alla legge Carotti.

Durante l'iter parlamentare del disegno di legge, le modifiche riguardanti l'art. 422 c.p.p. sono state infine bocciate, lasciando così inalterata in capo al giudice la facoltà di assunzione, anche d'ufficio, delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere; mentre all'art. 13 del testo, al momento all'esame del Senato della Repubblica45, è stata confermata l'abrogazione dell'art. 421 bis

c.p.p..

1.3.2. Il riformulato articolo 425 c.p.p.: i maggiori poteri decisori del giudice dell'udienza preliminare.

La funzione di controllo sulla correttezza dell'accusa rimane quella precipua dell'udienza preliminare, ma la legge Carotti, con la riscrittura dell'art. 425 c.p.p., ne ha notevolmente ampliato la «vocazione selettiva»46.

44 Ivi, p. 6.

45 V., Atto parlamentare del Senato della Repubblica, XVII legislatura, Disegno di legge, Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il

rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena, approvato dalla

Camera dei Deputati il 23 settembre 2015, atto n. 2067, p. 15, consultabile on-line alla pagina, http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00939937.pdf 46 Così, tra gli altri, R.E. KOSTORIS, Udienza preliminare e giudizio abbreviato, snodi

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Il nuovo quadro normativo permette adesso inequivocabilmente al giudice dell'udienza preliminare di realizzare un efficace filtro, non più solamente per le imputazioni azzardate ma, in base al nuovo comma 3, espressamente anche «quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque inidonei a sostenere l'accusa in giudizio», permettendo quindi il dibattimento solo quando l'imputazione sia davvero fondata.

Alla sentenza di non luogo a procedere deve così pervenirsi in situazioni di prova positiva di innocenza, di prova negativa per carenza di elementi di accusa, di prova contraddittoria, di prova insufficiente, e infine, per effetto di una complessiva valutazione di idoneità a sostenere l'accusa nella progressione processuale.

Dopo l'intervento novellistico del 1999, «è stata così ribaltata la previgente regola della c.d. evidenza probatoria che condizionava la pronuncia ex art. 425 c.p.p. alla circostanza che risultasse, in termini di macroscopica evidenza, che il fatto non sussisteva o non costituiva reato, che l'imputato non lo aveva commesso o non era altrimenti punibile»47.

Una valutazione in ogni modo, anche dopo le innovazioni apportate dal legislatore, sempre di tipo processuale, che non si spinge fino al giudizio sul merito perché non implica l'accertamento della colpevolezza, ma concerne unicamente la verifica della sostenibilità dell'accusa48: «il

giudice non svolge, qui, un controllo sull'esistenza del dovere di punire che implicherebbe, in senso positivo, l'emissione di un provvedimento di condanna»49, ma si arresta alla mera valutazione, secondo criteri di

ragionevolezza, della possibilità di colmare o sanare in dibattimento la

giudice unico, S. NOSENGO (a cura di), Milano, 2002, p.39 47 E. APRILE – M. SASO, L'udienza preliminare, cit., p. 194.

48 Come argomentato da F. CARNELUTTI, in Lezioni sul processo penale, vol. II, Roma, 1947, p. 186, la distinzione tra merito e rito si raccorda all'oggetto della decisione: le sentenze di merito riguardano l'esistenza del reato, quelle di rito riguardano la possibilità del processo.

49 F. CASSIBBA, La «completezza» e la «concludenza» delle indagini alla luce della

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situazione d'incertezza, un giudizio di tipo prognostico che coincide ancora con quello previsto dall'articolo 125 disp. att. c.p.p. in capo al pubblico ministero.

É evidente come con le modifiche intervenute con la legge n. 479 del 1999, «a una cognizione sommaria del giudice dell'udienza preliminare, sia sotto il profilo dello sviluppo dei temi di prova, sia sotto quello dell'affidabilità del risultato, si sostituisce una cognizione maggiormente articolata»50, una valutazione effettuata secondo canoni di maggiore

completezza rispetto al passato, ma comunque sempre una valutazione di tipo processuale sull'esistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero e quindi sulla fondatezza dell'imputazione e sull'idoneità degli elementi probatori a sostenere l'accusa in giudizio, una valutazione che consente così all'udienza preliminare di svolgere davvero la funzione deflattiva che le è propria.

Tale conclusione è sempre stata fatta propria anche dalla Corte costituzionale, sia prima che dopo la modifica dell'art. 425 c.p.p. ad opera della legge n. 41 del 1993. La Corte ha avuto invece posizioni più ondivaghe dopo l'approvazione della legge Carotti, ma nel 2001, con l'importante ordinanza n. 185, ha sancito chiaramente che «le pur significative e rilevanti modifiche che la l. n. 479 del 1999 ha apportato alla disciplina dell'udienza preliminare […] non ne hanno mutato le connotazioni eminentemente processuali che ne contraddistinguono l'essenza». Secondo la Corte «al di là delle segnalate innovazioni, la funzione della udienza preliminare era e resta quella di verificare – sia pure alla luce di una valutazione “contenutistica” più penetrante rispetto al passato – l'esistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero, cosicché, ad una richiesta di rito, non può non corrispondere, in capo al giudice, una decisione di

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eguale natura, […] calibrata sulla prognosi di non superfluità del sollecitato passaggio alla fase dibattimentale»51.

Infine anche la giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione, aderendo all'orientamento della Corte costituzionale e della dottrina prevalente ha confermato che le modifiche introdotte dalla legge Carotti, pur incidendo profondamente sui poteri di cognizione del giudice dell'udienza preliminare, non hanno modificato la funzione di tale udienza che resta quella di verificare, con giudizio di tipo prognostico «la sostenibilità dell'accusa in giudizio e, con essa, l'effettiva, potenziale, utilità del dibattimento in ordine alla regiudicanda»52.

In base alla dottrina maggioritaria e alla giurisprudenza ormai costante, la sentenza emessa a seguito dell'udienza preliminare mantiene sempre la sua natura processuale53 in quanto il giudice è chiamato, in questa sede,

non a giudicare della innocenza dell'imputato ma della utilità o meno del dibattimento; le modifiche intervenute con la legge n. 479 del 1999, pur ampliando il panorama cognitivo dell'udienza preliminare, non ne hanno infatti disancorato il giudizio dall'ambito di una valutazione prognostica circa gli esiti e l'effettiva utilità della fase dibattimentale.

È evidente come «l'adozione di una regola di giudizio che ancori saldamente la delibazione compiuta in fase di udienza preliminare ai possibili sviluppi del quadro conoscitivo in dibattimento rappresenta, a

51 Così, Corte cost., ordinanza n. 185 del 4 giugno 2001, in Giur. cost., 2001, vol. II, p. 1428; il tema è stato ripreso dalla sentenza n. 384 del 21 novembre 2006, in Dir e

giustizia, 2006, fasc. n. 46, p. 48, con nota di A. BARBARANO, Ecco i paletti per

l'udienza preliminare. La Corte: no al “dibattimento anticipato”. Da escludere la corrispondenza di tutte le garanzie difensive, ivi, p. 45.

52 Così, testualmente, Cass. pen., S.U., sentenza n. 39915, Vottari, del 30 ottobre 2002, in Cass. pen., 2003, vol. I, p. 398, con nota adesiva di G. DIOTALLEVI, La possibilità

di rivalutare i gravi indizi di colpevolezza per il reato per cui è stata applicata una misura cautelare dopo l'emissione del decreto di rinvio a giudizio: le Sezioni Unite ricompongono il quadro giurisprudenziale tra pronunce della Corte costituzionale e

arrets di legittimità, ivi, pp. 405 ss.; v. anche, Cass. pen., Sez. IV, sentenza n. 26410, Giganti, del 9 aprile 2007, in C.E.D. Cass., Sez. IV, n. 236800.

53 V., Cass. pen, S.U., sentenza n. 25695, D'Eramo, del 29 maggio 2008, in Cass. pen., 2009, vol. I, p. 102; Cass. pen., S.U., sentenza n. 5307, Battistella, del 20 dicembre 2007, in Guida al dir., 2008, fasc. n. 11, p. 60; Cass. pen., S.U., sentenza n. 39915, Vottari, del 30 ottobre 2002, in Cass. pen., 2003, vol. I, p. 396.

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ben vedere, un irrinunciabile baluardo a presidio della conservazione della stessa fisionomia preliminare della fase. In questa prospettiva, l'adozione di un criterio risolutore del fatto incerto parametrato sul canone della superfluità del dibattimento segna il confine ultimo il cui superamento aprirebbe il varco a un poco ragionevole quarto grado di giudizio di merito»54.

Occorre poi dire che sta cominciando ad affermarsi nella giurisprudenza, soprattutto di merito, un'interpretazione estensiva dell'art. 425 c.p.p. che permette di evitare i dibattimenti inutili non da un punto di vista formale ma sostanziale, affiancando al concetto di inutilità in senso stretto quello di opportunità della celebrazione del dibattimento: in questo modo si esalta al massimo grado possibile la funzione deflattiva del dibattimento, assegnando al giudice per l'udienza preliminare la delicata funzione di verificare, nel merito, i casi in cui la celebrazione del processo porterebbe ad un risultato comunque non proficuo non solo per l'imputato ma anche e soprattutto per la parte pubblica, in un'ottica che tende a privilegiare la funzionalità del giudizio al suo risultato: «un processo merita di essere celebrato se ha una ragionevole speranza di giungere ad un esito di condanna, mentre in caso contrario è appunto “opportuno” non procedere al rinvio»55.

In questo modo si apre la strada, ad esempio, a proscioglimenti in presenza di reati non prescritti ma prossimi alla prescrizione, laddove è evidente che non sarebbe comunque possibile portare a termine il processo prima dell'estinzione del reato perché la prescrizione maturerebbe comunque in un lasso di tempo incompatibile con la celebrazione del dibattimento, anche tenendo conto soltanto del processo

54 Così, testualmente, E.M. CATALANO, Udienza preliminare: conclusione e

formazione dei fascicoli, in Trattato di procedura penale, G. SPANGHER(diretto da), tomo III, Indagini preliminari e udienza preliminare, G. GARUTI (a cura di), Torino, 2009, p. 962.

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di primo grado56. In questi casi dunque, pur in presenza di requisiti

formalmente idonei al rinvio a giudizio, viene emessa sentenza di non luogo a procedere interpretando estensivamente l'art. 425 c.p.p..

Il novellato art. 425 c.p.p. permette inoltre, con l'introduzione del comma 2, di emettere sentenza di non luogo a procedere qualora sia possibile anticipare il riconoscimento di una causa di estinzione del reato per effetto della concessione di circostanze attenuanti o se ciò risulta dal bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti ex art. 69 c.p..

Ante riforma era affermazione costante che esulasse dai poteri

giurisdizionali del giudice dell'udienza preliminare – allorché, ai fini della pronuncia di non luogo a procedere, fosse chiamato a verificare l'esistenza di una causa estintiva del reato – la concessione agli imputati di circostanze attenuanti nonché il compimento del giudizio di comparazione tra esse ed eventuali aggravanti, trattandosi «di valutazioni che presuppongono una giurisdizione piena, di cui il giudice dell'udienza preliminare non può dirsi investito»57.

Si tratta quindi di una disposizione che ha inteso ampliare e rendere molto più incisivi i poteri di controllo del giudice dell'udienza preliminare se si pensa che «la sentenza di non luogo a procedere emessa per estinzione del reato ha, di fatto, un effetto preclusivo irreversibile al pari di quello previsto dall'art. 669 c.p.p. non potendosi configurare neppure in via ipotetica la sopravvenienza di presupposti per un nuovo esercizio dell'azione penale»58.

56 V., in merito, Trib. di Roma, Ufficio g.u.p., sentenza del 9 gennaio 2012, in Diritto

penale contemporaneo, 21 febbraio 2012, consultabile on-line alla pagina

http://www.penalecontemporaneo.it/novita_legislative_e_giurisprudenziali/6-/1285-processo_unipol__i_provvedimenti_del_g_u_p__presso_il_tribunale_di_roma/ 57 Così, in giurisprudenza, Cass. pen., Sez. I, sentenza Borrata, del 15 aprile 1998, in

Cass. pen., 1999, vol. IV; v. anche, Corte cost., sentenza n. 431 del 3 ottobre 1990,

in Giur. cost., 1990, vol. III, p. 2574; cfr. in dottrina, F. CAMPAGNA, Udienza

preliminare, in Commento al codice di procedura penale, Primo Agg., M.

CHIAVARIO (coordinato da), Torino, 1993, p. 697; G.L. FANULI – A. LAURINO, Non

luogo a procedere per estinzione del reato a seguito di riconoscimento di circostanze attenuanti?, in Cass. pen., 1998, vol. I, pp. 307 ss..

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La legge 5 dicembre 2005, n. 251, meglio conosciuta come ex Cirielli, ha però modificato l'articolo 157 c.p. nel senso che «per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tenere conto della diminuzione di pena per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti […] non si applicano le disposizioni dell'art. 69». Se ne inferisce pertanto che «il legislatore della riforma si è “dimenticato” dell'esistenza del secondo comma dell'art. 425 c.p.p., introducendo un difetto di coordinamento tra norme processuali e sostanziali, risolvibile in via interpretativa nel senso di una abrogazione implicita della norma in questione, che non potrà più essere applicata»59,

in virtù del principio per cui lex posterior derogat legi anteriori.

La legge Carotti ha infine introdotto nell'art. 425 il comma 4, il quale stabiliva espressamente l'impossibilità per il giudice dell'udienza preliminare di pronunciare sentenza di non luogo a procedere qualora dal proscioglimento fosse dovuta conseguire l'applicazione di una misura di sicurezza: prima dell'emanazione della norma si riteneva invero, in giurisprudenza, che, nonostante il silenzio sul punto dell'art. 425, con l'anzidetta sentenza ben potesse essere applicata, nei casi consentiti dalla legge, una misura di sicurezza personale nei confronti di soggetto imputabile60.

Dalla formulazione della norma inserita dalla legge Carotti appariva evidente, anche se inespresso, il riferimento alle sole misure di sicurezza personali: il legislatore ha cioè ritenuto «l'inadeguatezza strutturale dell'udienza preliminare a ospitare l'accertamento funzionale all'adozione di una misura di sicurezza personale»61, essendo invece impensabile che

il giudice dell'udienza preliminare non potesse pronunciare sentenza di

59 Così, testualmente, P. TONINI, Manuale di procedura penale, cit., p. 625.

60 V., Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 3450 del 5 aprile 1996, in C.E.D. Cass., Sez. I, n. 204331.

61 Così, testualmente, G. GARUTI, La nuova fisionomia dell'udienza preliminare, cit., p. 408.

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non luogo a procedere nel caso in cui doveva disporre, a norma di legge, una misura di sicurezza patrimoniale come la confisca, la cui applicabilità non era assolutamente discussa in giurisprudenza62. L'art. 2 sexies della legge 5 giugno 2000, n. 144, di conversione del d.l. 7 aprile

2000, n. 82, ha, in ogni modo, modificato la disposizione, chiarendo espressamente che il giudice dell'udienza preliminare può pronunciare sentenza di non luogo a procedere anche qualora possa o debba disporre la confisca.

1.3.3. L'articolo 415 bis c.p.p.: un'occasione di conoscenza anticipata delle risultanze investigative.

È importante sottolineare che se nell'impianto codicistico del 1988 la conoscibilità degli atti di indagine in coincidenza con l'apertura della fase dell'udienza preliminare rispondeva all'esigenza di permettere un contraddittorio pieno e indefettibile in attuazioni del diritto alla prova, dopo la legge Carotti la conoscibilità sin dalla notificazione dell'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari, ex art. 415 bis c.p.p., «diviene strumentale all'esercizio delle facoltà difensive nella prospettiva di evitare – addirittura – l'esercizio dell'azione penale, un diritto alla prova anticipato rispetto allo svolgimento dell'udienza preliminare, per scongiurare il passaggio alla fase processuale»63. Si dice

infatti che «la ratio dell'istituto è consentire alla difesa di interloquire con l'organo dell'accusa, anche depositando nel fascicolo delle indagini preliminari materiale probatorio, per indurlo a desistere dal proposito di esercitare l'azione penale»64.

L'art. 415 bis c.p.p. serve poi non solo a tutelare il diritto di difesa

62 V., Cass. pen., Sez I, sentenza Zanetti, del 8 aprile 1991, in Giur. it., 1992, vol. II, p. 123; v. anche, in dottrina, C. DI BUGNO, L. 16/12/1999, n. 479, Art. 23, in Leg. pen., 2000, pp. 397 ss..

63 F. CASSIBBA, L'udienza preliminare: struttura e funzioni, cit., p. 2. 64 Ivi, p. 80.

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dell'indagato «favorendo la realizzazione della completezza delle indagini e consentendo un filtro delle scelte del pubblico ministero che potrebbe, sulla scorta delle indicazioni difensive, evitare l'instaurazione di processi superflui», ma anche, in caso di integrazione delle indagini o probatoria del giudice, a «garantire che il giudice, nel momento in cui dovrà decidere se utilizzare gli artt. 421 bis, 422 e 441 comma 5 c.p.p. […], provveda avendo potuto considerare le sollecitazioni provenienti contemporaneamente dai contraddittori e non da uno solo di essi»65.

L'esercizio della facoltà non vale però a costringere il pubblico ministero a sondare nuovi percorsi d'indagine, ma solo a «suggerirgli eventuali temi, rilevanti per la difesa, non adeguatamente approfonditi o, addirittura, trascurati. In effetti, in un tale segmento procedimentale non appare costituzionalmente imposta una forma di attuazione del diritto alla prova della difesa, che può a tal fine, giovarsi delle facoltà concessele, in seguito, nella fase dell'udienza preliminare. D'altra parte, è più che dubbio che il pubblico ministero si configuri come organo autenticamente capace di dare effettività al diritto in parola. Egli si atteggia, più che altro, come il soggetto su cui “canalizzare” gli atti dell'investigazione difensiva»66.

La disposizione de qua esibisce dunque una natura funzionalmente complessa, consentendo all'imputato l'attivazione di prerogative strumentali al possibile raggiungimento di molteplici finalità67: anzitutto,

il tentavo di convincere il pubblico ministero ad abdicare dal proposito imputativo; poi, la possibilità di interloquire sul contenuto storico-tipologico del fatto provvisoriamente addebitato prima che la contestazione si cristallizzi nell'imputazione vera e propria, diventando

65 G. UBERTIS, Neutralità metodologica del giudice e principio di acquisizione

processuale, in Riv. it. dir. proc. penale, 2007, p. 20.

66 F. CASSIBBA, L'udienza preliminare: struttura e funzioni, cit., pp. 81-82.

67 Cfr., F. CAPRIOLI, Nuovi epiloghi della fase investigativa: procedimenti contro

ignoti e avviso di conclusione delle indagini preliminari, in Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, F. PERONI (a cura di), Padova, 2000, pp. 270 ss..

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così indefettibile parametro di ogni forma di decisione dibattimentale o semplificata che sia; ed infine, in una generale ottica difensiva prognostica, l'opportunità di contribuire alla formazione di una futura prova, incidendo sullo stato degli atti che verrano depositati nella cancelleria del giudice destinatario della richiesta di rinvio a giudizio. Il tutto passa attraverso la più ampia gamma di facoltà difensive: chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio, presentarsi per rilasciare dichiarazioni, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagini, presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa alle indagini del difensore.

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CAPITOLO II

GLI ESITI DELL'UDIENZA PRELIMINARE

SOMMARIO: 2.1. Il decreto che dispone il giudizio. – 2.2. La sentenza di non

luogo a procedere: caratteristiche generali. – 2.3. I requisiti formali della sentenza di non luogo a procedere. – 2.4. L'impugnazione davanti alla Corte di cassazione della sentenza di non luogo a procedere. – 2.5. Le prospettive di riforma.

2.1. Il decreto che dispone il giudizio.

All'esito dell'udienza preliminare, in base all'articolo 424 c.p.p., il giudice dell'udienza preliminare può emettere, laddove non vi siano i presupposti per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il decreto che dispone il giudizio, decisione con funzione procedurale con la quale si determina il passaggio del processo alla fase dibattimentale, provvedendo al contempo alla in ius vocatio dell'imputato.

Il decreto di rinvio a giudizio sarà quindi disposto quando il compendio probatorio non presenti lacune investigative e possa essere espressa una prognosi di resistenza della prova della colpevolezza e quando, anche in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori, il giudice preveda che tale incertezza possa essere ragionevolmente sanata in dibattimento, non rilevante se a favore dell'accusa o della difesa,

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attivando le più potenti risorse conoscitive che appartengono al giudice dibattimentale1.

Del decreto che dispone il giudizio, in base all'art. 429 c.p.p., deve essere data immediata lettura al termine della camera di consiglio, la quale per le parti presenti equivarrà a notificazione, e depositato in cancelleria dove avranno il diritto di ottenerne copia; mentre occorrerà notificarlo all'imputato assente, nonché all'imputato e alla persona offesa comunque non presenti alla lettura, almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio.

Il giudice dell'udienza preliminare, «nel disporre il rinvio a giudizio, non opera solo come organo di impulso rispetto alla fase successiva, ma provvede altresì ad adempiere la funzione di vocatio in iudicium»2, in

quanto convoca le parti per il dibattimento, precisando sia il giudice competente per il giudizio, sia il tempo e il luogo di svolgimento e sia l'avvertimento all'imputato che, non comparendo, sarà giudicato in assenza.

Il contenuto del decreto che dispone il giudizio, codificato dall'art. 429 c.p.p., è rappresentato dagli elementi necessari per l'esatta contestazione dell'accusa e per la vocatio in iudicium dell'imputato.

Esso deve contenere:

a ) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che

valgono ad identificarlo, nonché le generalità delle altre parti private, con l'indicazione dei difensori;

b ) l'indicazione della persona offesa del reato qualora risulti

1 V., M. DANIELE, La conferma della sentenza di non luogo a procedere nel caso

Telecom: quando la Corte di cassazione dimentica la natura prognostica della decisione in udienza preliminare, in Diritto penale contemporaneo, 17 maggio

2012, disponibile on-line in, http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/1505-la_conferma_della_sentenza_di_non_luogo_a_procedere_nel_caso_telecom__quand o_la_corte_di_cassazione_dimentica_la_natura_prognostica_della_decisione_in_udi enza_preliminare/ ; in giurisprudenza, v. anche, tra le tante, Cass. pen., Sez. IV, sentenza n. 26410 del 19 aprile 2007, in Cass. pen., 2008, vol. V, p. 4278.

2 Così, tra gli altri, E.M. CATALANO, Udienza preliminare: conclusione e formazione

dei fascicoli, cit., p. 986; v. anche, P. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano, 2014, p. 628.

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