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Il decreto che dispone il giudizio.

GLI ESITI DELL'UDIENZA PRELIMINARE

2.1. Il decreto che dispone il giudizio.

All'esito dell'udienza preliminare, in base all'articolo 424 c.p.p., il giudice dell'udienza preliminare può emettere, laddove non vi siano i presupposti per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il decreto che dispone il giudizio, decisione con funzione procedurale con la quale si determina il passaggio del processo alla fase dibattimentale, provvedendo al contempo alla in ius vocatio dell'imputato.

Il decreto di rinvio a giudizio sarà quindi disposto quando il compendio probatorio non presenti lacune investigative e possa essere espressa una prognosi di resistenza della prova della colpevolezza e quando, anche in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori, il giudice preveda che tale incertezza possa essere ragionevolmente sanata in dibattimento, non rilevante se a favore dell'accusa o della difesa,

attivando le più potenti risorse conoscitive che appartengono al giudice dibattimentale1.

Del decreto che dispone il giudizio, in base all'art. 429 c.p.p., deve essere data immediata lettura al termine della camera di consiglio, la quale per le parti presenti equivarrà a notificazione, e depositato in cancelleria dove avranno il diritto di ottenerne copia; mentre occorrerà notificarlo all'imputato assente, nonché all'imputato e alla persona offesa comunque non presenti alla lettura, almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio.

Il giudice dell'udienza preliminare, «nel disporre il rinvio a giudizio, non opera solo come organo di impulso rispetto alla fase successiva, ma provvede altresì ad adempiere la funzione di vocatio in iudicium»2, in

quanto convoca le parti per il dibattimento, precisando sia il giudice competente per il giudizio, sia il tempo e il luogo di svolgimento e sia l'avvertimento all'imputato che, non comparendo, sarà giudicato in assenza.

Il contenuto del decreto che dispone il giudizio, codificato dall'art. 429 c.p.p., è rappresentato dagli elementi necessari per l'esatta contestazione dell'accusa e per la vocatio in iudicium dell'imputato.

Esso deve contenere:

a ) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che

valgono ad identificarlo, nonché le generalità delle altre parti private, con l'indicazione dei difensori;

b ) l'indicazione della persona offesa del reato qualora risulti

1 V., M. DANIELE, La conferma della sentenza di non luogo a procedere nel caso

Telecom: quando la Corte di cassazione dimentica la natura prognostica della decisione in udienza preliminare, in Diritto penale contemporaneo, 17 maggio

2012, disponibile on-line in,http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/1505- la_conferma_della_sentenza_di_non_luogo_a_procedere_nel_caso_telecom__quand o_la_corte_di_cassazione_dimentica_la_natura_prognostica_della_decisione_in_udi enza_preliminare/ ; in giurisprudenza, v. anche, tra le tante, Cass. pen., Sez. IV, sentenza n. 26410 del 19 aprile 2007, in Cass. pen., 2008, vol. V, p. 4278.

2 Così, tra gli altri, E.M. CATALANO, Udienza preliminare: conclusione e formazione

dei fascicoli, cit., p. 986; v. anche, P. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano, 2014, p. 628.

identificata;

c ) l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, delle

circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge;

d ) l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si

riferiscono;

e ) il dispositivo, con l'indicazione del giudice competente per il

giudizio;

f ) l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora di comparizione, con

l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza3;

g ) nonché la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario che

l'assiste.

Come prevede l'art. 429, comma 2 del c.p.p., «il decreto è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dal comma 1 lett. c) e f)». Si tratta di nullità di tipo assoluto, ex artt. 178 e 179 c.p.p., in caso di errata indicazione del giudice competente per il giudizio, del tempo e del luogo di svolgimento, nonché l'omessa citazione dell'imputato, mentre è una nullità relativa, ex art. 181 c.p.p., la mancante o insufficiente enunciazione del fatto oggetto dell'imputazione.

Come osservato concordemente dalla dottrina, «la forma-contenuto del decreto rappresenta il frutto di una scelta di rottura rispetto alla nostra tradizione giuridica e rispetto ai criteri che convenzionalmente regolano la ripartizione dei provvedimenti del giudice nelle categorie della sentenza, dell'ordinanza e del decreto»4.

3 L'articolo 429 comma 1, lett. f del codice fa testualmente riferimento al giudizio in contumacia, tuttavia, la legge n. 67 del 2014 ha eliminato l'istituto della contumacia, sostituendolo con quello dell'assenza, per cui, anche se la nozione all'articolo 429 c.p.p. è rimasta invariata, occorre prendere in considerazione l'istituto dell'assenza. 4 Così, testualmente, tra gli altri, E.M. CATALANO, Udienza preliminare: conclusione

Lo stesso legislatore delegato non ha mancato di rilevare «quanto singolare sia, alla luce della nostra cultura processualistica, denominare decreto il provvedimento emesso da un giudice che si pronuncia nel contraddittorio delle parti, dopo l'esercizio dell'azione penale», riscontrando per di più una «certa dissonanza sul piano sistematico»5

rispetto alla diversa forma della ordinanza con la quale è adottato il provvedimento di archiviazione a seguito del contraddittorio camerale. Si tratta però di una scelta consapevole: in tal modo «il legislatore ha espresso la chiara volontà di attribuire al provvedimento una natura meramente interlocutoria, tale da non pregiudicare in alcun modo il convincimento del giudice per il dibattimento»6, in quanto il decreto, a

differenza dei precedenti storici, non deve essere corredato da alcuna motivazione7, a parte «l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei

fatti cui esse si riferiscono» prevista dall'art. 429 comma 1 lett. d per far sì che il giudice del dibattimento abbia quantomeno un quadro dei fatti rilevanti. Nella versione primigenia del codice di procedura penale del 1930, all'art. 347, era infatti prevista la forma della sentenza per l'atto che concludeva l'istruzione formale ed in seguito, dal 1973, quella dell'ordinanza di rinvio a giudizio, «la cui motivazione, spesso ampia e penetrante, delineava le linee direttrici del giudizio, influendo persino sull'esito»8.

Se è indubbio, in forza dell'art. 111 comma 6 della Costituzione, che «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati» perché tradizionalmente la motivazione è considerata come un valore e una garanzia da salvaguardare, nel suo duplice aspetto di strumento di

e formazione dei fascicoli, cit., p. 986.

5 V., Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, cit., p. 403. 6 Così, tra gli altri, V. MAFFEO, L'udienza preliminare: tra diritto giurisprudenziale e

prospettive di riforma, cit., p. 194.

7 Secondo il disposto dell'art. 125, comma 3, c.p.p. «Le sentenze e le ordinanze sono motivate, a pena di nullità. I decreti sono motivati, a pena di nullità, nei casi in cui la motivazione è espressamente sancita dalla legge».

controllo “esterno” sull'attività della magistratura e di efficace strumento endoprocessuale che agevola il diritto di difesa, ove si renda strumentale ai fini dell'esperibilità dei controlli sul provvedimento ad opera delle parti e del giudice dell'eventuale impugnazione, «non è contestabile la scelta ampiamente discrezionale del legislatore di indicare le modalità con le quali un determinato atto deve essere motivato»9.

Nel caso del decreto che dispone il giudizio, trattandosi di un atto di mero impulso processuale diretto a fondare la competenza del giudice del dibattimento a conoscere del merito e di tutte le questioni connesse, il legislatore esercita questa sua facoltà, prescrivendo che sia motivato soltanto «con l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono», in quanto «con queste modalità si motiva più adeguatamente un atto che è inoppugnabile e che altra funzione non ha, in ragione della sua inoppugnabilità, che di consentire il passaggio alla fase del giudizio dibattimentale»10.

Il decreto che dispone il giudizio, infatti, per il principio di tassatività delle impugnazioni, non è né impugnabile né revocabile. Di conseguenza viene meno la ragione per fornire alle parti contezza del percorso logico- giuridico seguito per arrivare all'emissione del decreto, visto che tale provvedimento è di fatto insindacabile.

Il regime dell'impugnabilità è correlata alla natura del provvedimento definitorio dell'udienza: «il decreto che dispone il giudizio è inoppugnabile, giacché costituisce una decisione provvisoria, quale mera tappa intermedia, preliminare, tra le indagini e il giudizio. In giudizio, l'accusa sarà necessariamente riesaminata, sicché ivi l'imputato potrà farne valutare l'inconsistenza e l'eventuale nullità»11.

La scelta di qualificare come decreto il provvedimento che segna il passaggio dall'udienza preliminare al dibattimento, così come la mancata 9 V. MAFFEO, L'udienza preliminare: tra diritto giurisprudenziale e prospettive di

riforma, cit., p. 199.

10 Ibidem.

previsione del requisito di una motivazione argomentata, nell'analitica elencazione dell'art. 429 c.p.p., si deve quindi, alla pervicace volontà del legislatore di evitare, nei limiti del possibile, che l'atto di impulso processuale diretto a costituire il giudizio ne influenzi l'esito attraverso la motivazione. Il legislatore ha voluto evitare che il giudice del dibattimento possa venire influenzato ante iudicium da una esposizione articolata e dialetticamente orientata delle ragioni poste a sostegno dell'accoglimento della richiesta formulata dal pubblico ministero12.

Tra i requisiti del decreto, «l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge», previsto dall'art. 429, comma 1 lett. c, riveste un'importanza particolare, a tutela del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa dell'imputato, trattandosi dell'elemento in cui si riassume il thema

decidendum su cui le parti sono chiamate a confrontarsi nell'instauranda

fase dibattimentale, o nell'eventuale procedimento speciale che l'imputato sceglierà in alternativa, essendo ciò indispensabile per la determinazione della giurisdizione e della competenza ed imprescindibile punto di riferimento per il giudice nell'obbligo di correlazione tra chiesto e pronunciato.

Occorre però sottolineare che, nonostante sia pienamente inserito nel

corpus di un atto del giudice dell'udienza preliminare e a questi

formalmente ascrivibile, «il capo di imputazione è quello formulato dal pubblico ministero nel momento della richiesta di rinvio a giudizio, che viene mutuato e acquisito dal magistrato giudicante»13.

Il ruolo di terzietà del giudice comporta che il codice attribuisca esclusivamente al pubblico ministero sia la formulazione iniziale dell'imputazione che la possibilità di modificarla nel corso dell'udienza

12 Cfr., tra gli altri, D. SIRACUSANO – A. GALATI – G. TRANCHINA – E. ZAPPALA',

Diritto processuale penale, cit., p. 549.

preliminare nei casi di fatto nuovo o diverso, o di circostanze aggravanti o di reato concorrente (art. 423 c.p.p.), in quanto dominus assoluto dell'azione penale.

Il giudice non può modificare il fatto storico addebitato per non vulnerare il diritto di difesa dell'imputato e per non provocare una ritrattazione dell'azione penale con formulazione di una nuova imputazione; può soltanto controllare la rispondenza del fatto descritto in imputazione alla fattispecie e nel caso «dare al fatto una qualificazione giuridica diversa, potere che rientra tra i naturalia della giurisdizione»14, sempre nei limiti

dei fatti materiali contestati dall'accusa, in base al principio iura novit

curia che non determina alcuna surrogazione dell'organo giudicante nelle

prerogative proprie del pubblico ministero. Oltre alla possibilità di dare al fatto – rimasto immutato – la sua esatta qualificazione giuridica, al giudice è consentita anche d'ufficio la derubricazione o la degradazione dell'imputazione in quanto tutti gli elementi risultano già ricompresi nell'imputazione che viene in tal modo semplicemente ridimensionata. Spesso nel corso delle indagini preliminari o successivamente in udienza preliminare o ancora, più raramente, nella fase dibattimentale, può essere disposta una misura cautelare a carico dell'imputato.

L'adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale presuppongono ai sensi degli artt. 273 ss. c.p.p. un giudizio di sussistenza di «gravi indizi di colpevolezza» che, secondo parte della dottrina15,

potrebbe incidere anche sulla valutazione ai fini del decreto che dispone il giudizio, rendendo meramente formale la celebrazione dell'udienza che

14 Così, tra gli altri, in dottrina, E.M. CATALANO, Udienza preliminare: conclusione e

formazione dei fascicoli, cit., p. 989; v. anche, C. CESARI, Modifica dell'imputazione

e poteri del giudice dell'udienza preliminare, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, p.

295; in giurisprudenza v., Cass. pen., S.U., sentenza Di Francesco, del 19 giugno 1996, in Cass. pen., 1997, vol. I, p. 360.

15 Sulla teoria v., A. BASSI, I rapporti fra il giudizio di gravità indiziario in materia

cautelare e il decreto che dispone il giudizio all'indomani della riforma del giudice unico, in Cass. pen., 2001, vol. I, pp. 349 ss.; F. VARONE, Gli epiloghi decisori

dell'udienza preliminare e i loro rapporti con la verifica della gravità indiziaria nel procedimento de libertate, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2007, pp. 1021 ss..

dovrebbe rappresentare il vaglio principale degli elementi di accusa prima del dibattimento; viceversa, il pubblico ministero potrebbe avanzare richiesta di misura cautelare nei confronti del soggetto già rinviato a giudizio, motivando la sussistenza degli elementi di colpevolezza proprio sulla scorta del positivo vaglio degli elementi di indagine già compiuto dal giudice dell'udienza preliminare con l'emissione del decreto che dispone il giudizio.

Occorre premettere che il giudizio per l'adozione di una misura cautelare personale, sia pur emanato allo stato degli atti e con valore strumentale alla salvaguardia delle esigenze cautelari, non è un giudizio sommario: i parametri di riferimento sono i medesimi che il giudice adotterà al termine del dibattimento, anche se valutati con minor rigore, in proposito si parla di una semiplena probatio16 dell'addebito preliminare contestato

all'indagato.

Il giudizio sotteso al provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare non può quindi essere estrapolato dal peculiare contesto in cui viene emesso, in quanto esclusivamente rivolto all'esame della sostenibilità dell'accusa in giudizio.

I provvedimenti cautelari e il decreto che dispone il giudizio sono istituti con caratteristiche diverse che devono essere tenuti distinti in quanto agiscono su piani diversi e non sovrapponibili, così come confermato prima dalla Corte costituzionale, con la decisione n. 71 del 1996 e poi da successive sentenze a Sezioni Unite della Corte di cassazione, tra le quali la famosa sentenza Vottari, n. 39915 del 30 ottobre 2002, ha rilevato come «l'asimmetria delle garanzie contenutistiche e procedurali assicurate per i distinti giudizi impedisce di riconoscerne l'equivalenza e, con essa la sovrapponibilità logica della valutazione compiuta dal

16 Da identificarsi, secondo F. VARONE, ivi, p. 1056: «con un fumus commissi delicti, cioè con un giudizio prognostico, rebus sic stantibus, di probabile commissione da parte dell'accusato del reato per cui vi è stata iscrizione nel registro ex art. 355 c.p.p. ovvero con una ragionevole previsione che, sulla base degli elementi a disposizione, l'inquisito verrà condannato in giudizio».

giudice»17.

2.2. La sentenza di non luogo a procedere: caratteristiche generali.