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Il principio del ne bis in idem.

UNA ECCEZIONE AL NE BIS IN IDEM?

4.2. Il principio del ne bis in idem.

Effetto tipico ed intrinseco del giudicato, additato da un'autorevole dottrina quale manifestazione non tanto principale quanto addirittura esclusiva del giudicato penale6, è il divieto di promuovere un nuovo

giudizio per il medesimo fatto nei confronti della medesima persona, allorché un processo sia già stato definito con un provvedimento irrevocabile.

Il principio enunciato nell'espressione latina ne bis in idem7 si prospetta

quale garanzia soggettiva, preservando il singolo dal pericolo di trovarsi esposto «ad una teoricamente illimitata possibilità di persecuzione penale e, quindi, all'arbitrio incondizionato dell'organo punitivo»8, m a

corrisponde al tempo stesso, ad esigenze oggettive di certezza, stabilità ed economia, evitando reiterati processi penali ed eventuali conflitti di giudicati.

La bivalenza del divieto preclusivo è poi evidente allorché si consideri per un verso la funzione di preservare l'imputato assolto in via definitiva dal rischio di essere nuovamente sottoposto a processo nella prospettiva di pervenire ad una condanna, per altro verso lo scopo di frustrare intenti strumentali dell'imputato finalizzati a pervenire, magari anche soltanto,

6 Precipuamente, G. DE LUCA, I limiti soggettivi della cosa giudicata penale, cit., p. 124; G. LOZZI, Giudicato (diritto penale), in Enc. dir., vol. XVIII, Milano, 1969, pp. 912 ss..

7 La massima ne bis in idem indica il divieto di iterare una certa attività, o di replicare un certo effetto giuridico (ne bis), in quanto l'una o l'altro ricadano ancora nella medesima materia (in idem).

ad una condanna meno gravosa9.

Nel nostro sistema il divieto di bis in idem pur costituendo un fondamentale presidio di garanzia non assume diretto rilievo costituzionale ma è opinione condivisa che il suo contenuto sia implicitamente compreso, già anteriormente alla riforma dell'art. 111 della Costituzione, fra gli elementi indefettibili del “giusto processo”. Il principio emerge invece esplicitamente nelle principali carte internazionali sui diritti dell'uomo: si riscontra, infatti, nell'art. 14, par. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici10, nell'art. 4, par. 1 del

VII Protocollo alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali11 e nel diritto dell'Unione europea

all'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea12.

Nel vigente processo penale italiano è l'art. 649 comma 1 c.p.p. a delineare l'operatività del divieto: «l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze».

Senza il ne bis in idem nessuna decisione, per quanto irrevocabile e rimasta intatta, potrebbe garantire la certezza propria del giudicato. Tale divieto dunque «sta ad indicare la “cosa giudicata sostanziale”, che si accosta alla “cosa giudicata formale” rappresentata dalla irrevocabilità della decisione»13.

9 Cfr., D. VIGONI, Il giudicato, in Procedura penale, AA. VV., Torino, 2015, p. 859. 10 Adottato a New York il 16 dicembre 1966, aperto alla firma il 19 dicembre 1966 e

ratificato in Italia con l. 25 ottobre 1977, n. 881.

11 Adottato a Strasburgo il 22 settembre 1984 e ratificato in Italia con l. 9 aprile 1990, n. 98.

12 Adottata a Nizza il 7 dicembre 2000, ma priva, secondo la comune opinione, di efficacia propriamente giuridica, la Carta è stata nuovamente proclamata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e dotata dello «stesso valore giuridico dei Trattati» dall'art. 6 comma 1 Trattato UE, quale risultante, in versione consolidata, a seguito delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009.

Le Sezioni Unite sono giunte a configurare il ne bis in idem come un principio generale «che permea l'intero ordinamento dando linfa ad un preciso divieto di reiterazione dei procedimenti e delle decisioni sull'identica regiudicanda, in sintonia con le esigenze di razionalità e di funzionalità connaturate al sistema». In quest'ottica, «l'art. 649 c.p.p. costituisce un singolo, specifico, punto di emersione del principio, […] una delle plurime specificazioni di una direttiva generale alla quale è conformato tutto il sistema processuale». La “matrice” del divieto di bis

in idem è così individuata nella figura della «preclusione-consumazione»,

intesa quale «presidio apprestato dall'ordinamento per assicurare la funzionalità del processo»14.

Un sistema che «lasciasse alla discrezionalità dello stesso organo della pubblica accusa la possibilità di reiterare l'esercizio dell'azione penale contro la stessa persona per il medesimo fatto si muoverebbe lungo linee assolutamente contraddittorie e dissonanti, asimmetriche rispetto al principio di legalità e non compatibili con i caratteri salienti del “giusto processo” prefigurato dall'articolo 111 della Costituzione. Questo difatti, nella sua impronta tipicamente accusatoria, richiede non solo la rispondenza alle regole della ragionevole durata del processo e della parità delle parti, ma sottende altresì, in armonia con le principali fonti normative internazionali sopra richiamate, il diritto dell'imputato a non essere perseguito più di una volta per l'identico fatto. È evidente, inoltre, che un sistema che non riconoscesse al divieto del bis in idem il carattere di principio generale dell'ordinamento potrebbe dischiudere la via a prassi anomale ed a condotte qualificabili come vero e proprio “abuso del processo”»15.

14 Così, Cass. pen., S.U., sentenza n. 34655, Donati e altri, del 28 giugno 2005, in Dir.

e giustizia, 2005, fasc. n. 40, p. 89, con nota a sentenza di F.M. FERRARI, Ne bis in idem, mai più processi-clone. Ecco la strada per evitare duplicazioni. Le Sezioni

unite: il precedente giudizio consuma il potere del Pm, ivi, p. 76.

15 Così, ancora, Cass. pen., S.U., sentenza n. 34655, Donati e altri, del 28 giugno 2005, in Dir. e giustizia, 2005, fasc. n. 40, p. 90.

4.3. Il giudicato relativo della sentenza di non luogo a procedere.