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Il giudicato relativo della sentenza di non luogo a procedere La sentenza di non luogo a procedere, quale epilogo dell'udienza

UNA ECCEZIONE AL NE BIS IN IDEM?

4.3. Il giudicato relativo della sentenza di non luogo a procedere La sentenza di non luogo a procedere, quale epilogo dell'udienza

preliminare che preclude il passaggio al dibattimento, non accogliendosi la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pubblico ministero, è un provvedimento impugnabile dall'imputato, se ed in quanto questi vi abbia interesse, e dal pubblico ministero. L'inutile decorso del termine per impugnare o l'esaurimento delle impugnazioni senza che venga pronunciato decreto che dispone il giudizio rendono la sentenza di non luogo a procedere non più impugnabile e le conferiscono una certa qual capacità di resistenza che non assurge, tuttavia, ad irrevocabilità, ma che è accompagnata da forza esecutiva16.

La sentenza di non luogo a procedere può infatti essere revocata: caratteristica della revoca è di dar vita a un fenomeno ablativo della sentenza di non luogo a procedere non più impugnabile; una parte minoritaria della dottrina17 invece ritiene che l'ordinanza ex art. 434 e 346

c.p.p. non sia dotata di veri effetti revocatori, limitandosi invece a dichiarare presenti le condizioni alle quali il non luogo a procedere sia superabile, incidendo direttamente sulla stabilità conseguita dalla decisione.

Sul piano pratico la sentenza di non luogo a procedere ha un effetto preclusivo, «dimostrato dalla circostanza che il pubblico ministero, qualora intenda riaprire il procedimento nei confronti del prosciolto in merito alla stessa regiudicanda, ha l'onere di chiedere la revoca della decisione (artt. 434-435 c.p.p.)»18. D'altronde, come sostenuto da

16 V., L. PECORI, Potenzialità preclusive della sentenza di non luogo a procedere, cit., p. 60.

17 Cfr., F. CORDERO in Procedura penale, cit., p. 979; P. SECHI, Revoca della sentenza

di non luogo a procedere, cit., p. 879.

18 Così, testualmente, M. DANIELE, Profili sistematici della sentenza di non luogo a

autorevole dottrina, «vero è, però, che l'effetto preclusivo si atteggia per il non luogo a procedere in modo affatto particolare, compatibilmente, d'altra parte, con la sua natura di sentenza che non decide sul reato, ma attiene al processo»19.

In verità, secondo parte della giurisprudenza20 la sentenza di non luogo a

procedere non sarebbe in grado di spiegare effetti preclusivi in ragione della mancanza nel codice di una disciplina esplicita per gli effetti preclusivi della stessa e dell'esclusione di tale decisione, tanto dal novero delle sentenze suscettibili di passare in giudicato, ex artt. 648 e 649 comma 1 c.p.p., quanto dalle eccezioni al divieto del ne bis in idem, art. 649 comma 1 c.p.p., risultando peraltro definita in modo del tutto peculiare l'efficacia della sentenza di non luogo a procedere divenuta inoppugnabile, con il riferimento alla «forza esecutiva» in base all'art. 650 comma 2 c.p.p.. Inoltre la sentenza di non luogo a procedere non produce alcun vincolo positivo al di fuori del processo in cui sia stata pronunciata: non possiede alcuna efficacia extrapenale21, attribuita dagli

artt. 652 e 654 c.p.p. alle sole sentenze di assoluzione pronunciate in dibattimento.

Nonostante effettivamente gli artt. 648 e 649 c.p.p. ricolleghino l'efficacia preclusiva del ne bis in idem solamente alle sentenze irrevocabili emesse a seguito di giudizio, tuttavia la scelta legislativa parrebbe quella di dare, con l'esaurimento delle impugnazioni o ls scadenza dei termini per impugnare, una stabilità anche alle sentenze di 19 Così, B. DANI, Revoca della sentenza di non luogo a procedere, cit., p. 148.

20 Cfr., Cass. pen., Sez. III, sentenza Bignami, del 18 gennaio 1994, in Cass. pen., 1994, vol. III, p. 2455; Cass. pen., Sez. III, sentenza Piona, del 17 novembre 1994, in Cass. pen., 1996, vol. II, p. 2239; Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 5148, Rapezzi, del 4 maggio 1992, in Riv. pen., 1992, p. 949.

21 Così esclude l'idoneità della sentenza di non luogo a procedere a produrre un vincolo positivo nel giudizio civile di impugnativa di licenziamento, Cass., Sez. lav., sentenza n. 7250, Forcina c. Banca di Roma, del 9 luglio 1999, in Not. giurisp. lav., 1999, p. 724. Con riferimento al processo tributario v., Cass. Sez. tribut., sentenza n. 12577 del 22 settembre 2000, in Riv. giur. tributaria, 2001, vol. I, fasc. n. 3, p. 189, con nota critica di P. CORSO, Sentenza di non luogo a procedere e pretesa

inopponibilità all'amministrazione finanziaria rimasta estranea al processo penale, ivi, p. 192.

non luogo a procedere, con la possibilità di revoca solo in presenza delle condizioni tassativamente previste all'art. 434 c.p.p.. Autorevole dottrina afferma infatti che l'esclusione della sentenza di non luogo a procedere dal novero delle sentenze irrevocabili «dipende da scelte nomenclatorie»22 e sia il «frutto di una cautela eccessiva del

legislatore»23.

In linea con la ratio legislatoris, anche la dottrina ritiene «non dubitabile che anche la sentenza di non luogo a procedere acquisisca, con l'esaurimento delle impugnazioni (ormai il solo ricorso per cassazione), una stabilità giuridicamente assimilabile alla irrevocabilità di cui all'art. 648 c.p.p., suscettibile di essere superata solo al ricorrere delle condizioni previste per la sua rimozione a norma dell'art. 434 c.p.p., cui sarebbe incongruo non far seguire, in carenza di quelle condizioni, la preclusione all'avvio di un nuovo procedimento in idem. Vero è che le maglie dell'art. 434 c.p.p. sono ben più larghe di quelle che, a norma dell'art. 630 c.p.p., filtrano l'istanza di revisione. E tuttavia, la sentenza di non luogo a procedere costituisce pronuncia giurisdizionale idonea a definire il processo. Per questa ragione essa deve dirsi idonea a generare un effetto preclusivo che, sebbene meno intenso di quello che assiste le sentenze irrevocabili pronunciate in giudizio, si presenta tuttavia del medesimo stampo: vale a dire, quale vero e proprio ne bis in idem, sia pure “allo stato degli atti”»24.

Si ritiene quindi che «benché il codice non la annoveri espressamente tra i provvedimenti idonei a produrre l'effetto del ne bis in idem, tale sentenza è comunque idonea a paralizzare un successivo esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto e contro la stessa persona»25,

22 Così, F. CORDERO, Procedura penale, cit., p. 1233.

23 Così, testualmente, F. CAPRIOLI – D. VICOLI, Procedura penale dell'esecuzione, Torino, 2009, p. 76.

24 T. RAFACI, Ne bis in idem, cit., p. 865.

25 Così, L. PECORI, Potenzialità preclusive della sentenza di non luogo a procedere, cit., p. 56.

presentando quindi un effetto preclusivo. La sentenza «vale e costituisce giudicato, esplicando, altresì, il divieto di procedere una seconda volta nei confronti dello stesso soggetto per il medesimo fatto, finché rimangono immutati i presupposti; è una decisione rebus sic stantibus e, come tale, è destinata a cadere se variano i dati di riferimento»26. La

sentenza di non luogo a procedere è infatti decisione sul processo e non sul reato, il che dà ragione della sua revocabilità mutatis rebus27; dall'altra

coerentemente, la “Relazione al progetto preliminare del codice di

procedura penale” spiega l'esclusione dal novero delle sentenze

irrevocabili con la peculiarità del procedimento di revoca28.

Trattasi dunque di un giudicato per taluni definibile come «debole»29 o

altresì come «un accertamento che si colloca in posizione, per così dire, intermedia tra il grado di accertamento connaturato al provvedimento di archiviazione e il grado massimo di accertamento e preclusione rappresentato dal giudicato»30. Ne deriva che il divieto del ne bis in idem

opera anche in relazione alle sentenze di non luogo a procedere, ma si delinea in termini diversi rispetto alle altre tipologie di decisioni, ossia in tale caso non è assoluto ma si configura piuttosto come relativo, «come divieto per il giudice di riesaminare l'oggetto già deciso sulla base dell'identico materiale probatorio»31. Tanto è vero che solo se muta la

situazione probatoria sulla cui base è stata pronunciata la sentenza di non luogo a procedere è possibile la revoca di tale pronuncia: pertanto quest'ultima, allo stato degli atti, impedisce il bis in idem, ma vale rebus

26 Così, testualmente, B. DANI, Revoca della sentenza di non luogo a procedere, cit., p. 148; sulla stessa linea, v. anche, F. CASSIBA, Nullità della richiesta di rinvio a

giudizio per genericità dell'imputazione, in Cass. pen., 2007, vol. II, p. 1181.

27 In linea con tale ricostruzione, tra le altre, Cass. pen., Sez. VI, sentenza Romiti, del 13 gennaio 1997, in Cass. pen., 1997, vol. III, p. 2820.

28 V., Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, cit., pp. 141 ss..

29 Così, D. FIASCONARO, La nuova configurazione dell'udienza preliminare: una

effettiva metamorfosi?, in Cass. pen., 2006, vol. I, p. 1850.

30 Così, L. PECORI, Potenzialità preclusive della sentenza di non luogo a procedere, cit., p. 60.

sic stantibus. Sulla stessa linea si pongono, oltre ad altra parte della

giurisprudenza di legittimità, quella maggioritaria32, l a C o r t e

costituzionale e le Sezioni Unite della Suprema Corte.

Nell'ipotesi di nuovo esercizio dell'azione penale, «per un fatto per il quale sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere nell'udienza preliminare, in mancanza della revoca giudiziale prevista dagli artt. 434- 437 c.p.p.», infatti, «è la procedibilità a essere impedita; sicché se il presupposto del procedere manca, il giudice non può che prenderne atto», dovendosi pertanto «reputare ininfluente che l'attuale codice, a differenza di quanto comunemente si affermava con riferimento a quello abrogato (art. 90 c.p.p. del 1930), non consideri specificatamente tale soluzione nell'ambito dell'istituto del ne bis in idem»33: affermazione incidentale ma

coerente con l'identica conclusione principale in materia, meno garantita, di riapertura delle indagini ex art 414 c.p.p.. Dunque l'esercizio dell'azione penale, per lo stesso fatto in assenza di revoca della sentenza di non luogo a procedere, impone al giudice una declaratoria di improcedibilità dell'azione penale a seguito dell'effetto preclusivo della sentenza, che vieta all'organo giudicante di sottoporre nuovamente ad esame la posizione dell'imputato in mancanza di fonti di prova diverse. Ciò significa che ogni atto di indagine compiuto in spregio del procedimento richiesto per la sua rimozione gravita nell'ambito del difetto di una condizione di procedibilità, il che lo rende inammissibile34.

L'efficacia preclusiva della sentenza di non luogo a procedere rispetto all'esercizio dell'azione penale non può non comportare analoga efficacia preclusiva rispetto all'applicazione di misure cautelari coercitive finché

32 Cfr., Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 927, Giglio, del 17 marzo 1999, in Cass. pen., 2000, vol. III, p. 2394; Cass. pen., Sez. VI, sentenza Romiti, del 13 gennaio 1997, in

Cass. pen., 1997, vol. III, p. 2820; Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 459, Privitera, del

8 novembre 1996, in Cass. pen., 1998, vol. II, p. 838.

33 Così, testualmente, Corte cost., sentenza n. 27 del 19 gennaio 1995, in Giur. Cost., 1995, p. 261.

34 Cfr., A. GAITO, Procedibilità (condizioni di) (diritto processuale penale), in Enc.

non sia sopravvenuto il provvedimento di revoca. Depongono in tal senso elementari ragioni di ordine logico-giuridico connesse al rapporto di strumentalità tra procedimento principale e procedimento cautelare ribadite anche dalle Sezioni Unite della Suprema Corte. Non può quindi «essere applicata una misura cautelare coercitiva, per lo stesso fatto, nei confronti dell'imputato prosciolto prima che, emerse nuove fonti di prova, sia pronunciata dal g.i.p. la revoca della sentenza medesima»35.

Diverso il discorso invece con riguardo al reato permanente in caso di contestazione c.d. “chiusa”, cioè con indicazione della data iniziale e finale della condotta addebitata. Secondo il costante insegnamento della Corte di legittimità infatti, in tali ipotesi costituisce fatto nuovo e diverso il ritenuto protrarsi della condotta al di là della precedente pronuncia di non luogo a procedere, sicché per tale fatto può essere legittimamente disposta l'applicazione di una misura cautelare senza l'intervento della revoca della pronuncia di proscioglimento36.

L'estensione dell'efficacia preclusiva prodotta dalla sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'attività di indagine non si lascia facilmente delineare sulla scorta del dettato codicistico. Gli incerti confini degli spazi operativi eventualmente consentiti al pubblico ministero riflettono l'ambiguità della formula dell'art. 435 c.p.p., che definisce il presupposto per la richiesta di riapertura delle indagini: il riferimento a fonti di prova già acquisite pare alludere ad un'ultrattività del potere investigativo. Parte della giurisprudenza di legittimità, in parallelo con l'art. 414 c.p.p. che preclude nuove investigazioni prima dell'autorizzazione del giudice 35 Così , Cass. pen., S.U., sentenza n. 8, Romeo, del 23 febbraio 2000, in Dir. pen.

proc., 2000, vol. II, p. 957, con nota di G. GARUTI, Revoca della sentenza di non

luogo a procedere e misure cautelari coercitive, ivi, p. 962; v. anche, per

l'enunciazione del principio nei confronti del soggetto nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di archiviazione, Cass. pen., S.U., sentenza n. 9, Finocchiaro, del 22 marzo 2000, in Cass. pen., 2000, vol. IV, p. 2610.

36 Cfr., Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 45889, Lo Sardo, del 4 novembre 2011, in

C.E.D. Cass., Sez. VI, n. 251369; Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 19505, Imerti, del 5

febbraio 2014, in Leggi d'Italia, studio legale on-line; nella giurisprudenza più recente, v., Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 27075, del 2 aprile 2015, in Leggi

alla riapertura delle indagini, riteneva a maggior ragione vietate tali attività prima dell'intervento della revoca e ne consegue che «le nuove prove, intervenute successivamente alla detta sentenza, possono essere valorizzate soltanto dopo che, a seguito della revoca ex art. 434 c.p.p., sia stata disposta la riapertura delle indagini; diversamente il giudice, in assenza della prescritta procedura autorizzatoria, dovrà dichiarare in ogni stato e grado del procedimento l'improcedibilità dell'azione penale, senza la possibilità di utilizzare le nuove acquisizioni neppure ai fini cautelari»37.

Altra parte della giurisprudenza considerava invece, in base al testo dell'art. 435 comma 1 c.p.p., gli elementi di prova raccolti nel “limbo” del non luogo a procedere legittimamente acquisiti e quindi pienamente utilizzabili, e ciò sia nell'ipotesi che i predetti elementi rappresentino quelle “nuove fonti di prova” che, ove già acquisite, consentono di formulare immediatamente, insieme a quella di revoca, la richiesta di rinvio a giudizio, sia nel caso che essi integrino quegli altri elementi, dai quali sia desumibile la possibilità di rinvenire le “nuove fonti di prova”, sui quali deve fondarsi il provvedimento del giudice che ordina la riapertura delle indagini.

Secondo tale impostazione si asseriva che «l'art. 435 c.p.p. recita testualmente che, nella richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere, devono essere indicate le nuove fonti di prova che o sono già state acquisite o sono ancora da acquisire e deve quindi richiedersi, nel primo caso, il rinvio a giudizio e, nel secondo, la riapertura delle indagini. Conseguentemente, è evidente che nel primo caso le nuove fonti di prova sono state compiutamente e legittimamente acquisite, senza il formale provvedimento di riapertura delle indagini, per essere utilizzate ai fini della richiesta di rinvio a giudizio. Nel secondo caso, peraltro, la richiesta di riapertura delle indagini non potrebbe essere 37 Così, Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 927, Giglio, del 17 marzo 1999, in Cass. pen.,

accolta se il pubblico ministero non produce elementi dai quali sia fondatamente desumibile la possibile acquisizione di nuove fonti di prova. Vi deve quindi essere necessariamente, quanto meno, un inizio delle indagini per poter richiedere la riapertura delle stesse»38.

Inoltre sulla medesima linea, «avuto riguardo alla disciplina dettata dall'art. 435, comma 1 c.p.p., secondo la quale, anche sulla base di fonti di prova acquisite dal pubblico ministero in assenza di preventiva autorizzazione alla riapertura delle indagini, può essere disposto, previa revoca della sentenza di non luogo a procedere, il rinvio a giudizio dell'imputato, deve ritenersi che a maggior ragione gli stessi elementi possano essere utilizzati come gravi indizi di colpevolezza per l'applicazione di una misura cautelare»39.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la nota sentenza Romeo, n. 8 del 23 febbraio 2000, hanno infine risolto il contrasto statuendo che «i nuovi elementi di prova raccolti dal p.m. successivamente alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere possono essere utilizzati ai fini della revoca della sentenza e della successiva applicazione di una misura cautelare coercitiva nei confronti dell'imputato prosciolto, a condizione che essi siano stati acquisiti aliunde nel corso di indagini estranee al procedimento già definito o siano provenienti da altri procedimenti, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, e comunque non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all'approfondimento degli elementi emersi»40.

Nel caso dell'emissione di una sentenza di non luogo a procedere infatti, «l'azione penale è già stata validamente esercitata dall'organo inquirente

38 Così, Cass. pen., Sez. I, sentenza Diotallevi, del 24 giugno 1996, in Cass. pen., 1997, vol. II, p. 1780; v. anche, Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 4931, Vazzana, del 4 agosto 1998, in Cass. pen., 2000, vol. I, p. 428.

39 Cfr., Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 7266, Saracino, del 20 dicembre 1999, in Arch.

nuova proc. pen., 2000, p. 162; Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 684, Schittino, del 18

febbraio 1997, in Cass. pen., 1999, vol. I, p. 255.

40 Così , Cass. pen., S.U., sentenza n. 8, Romeo, del 23 febbraio 2000, in Dir. pen.

e si è per così dire “consumata”»41 proprio con tale sentenza, e il sistema

impedisce quindi, dispiegando un effetto preclusivo, un nuovo esame della posizione del prosciolto che non poggi su fonti di prova diverse da quelle intervenute successivamente alla sentenza o comunque non acquisite nel corso del precedente procedimento. L'intento evidente è quello «d'impedire che l'imputato già prosciolto possa essere rinviato a giudizio unicamente sulla base di una diversa valutazione di quegli stessi atti che avevano condotto a quel favorevole epilogo processuale»42.