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Cina e Giappone dal 1895 al 1945

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Primo capitolo

Cina e Giappone nel XIX Secolo

I.1. Il feudalismo dei Tokugawa.

Il Giappone fu l'unico stato dell'Asia orientale che riuscì ad evitare la depredazione coloniale e il primo paese di cultura non europea a

intraprendere con successo uno sviluppo di tipo capitalistico1. Questo fece

sì che il Giappone raggiungesse i principali Paesi del mondo imperialista nonostante una struttura economica relativamente debole e arretrata. L‘ingresso relativamente tardivo del Giappone nel gruppo dei paesi

imperialisti consentì all‘oligarchia Meiji2

di edificare il suo stato sul modello delle più avanzate, e più repressive, strutture politiche allora esistenti nel mondo. L'importante missione governativa inviata all'estero nel 1871, con a capo Iwakura Tomomi, ammirò molto l'economia inglese, ma fu lo Stato prussiano che suscitò una particolare impressione negli uomini politici giapponesi. Infatti, quando circa 10 anni dopo Itō Hirobumi, forse il più acuto dei dirigenti Meiji dell'epoca, percorse in lungo e in largo l'Europa alla ricerca di idee per la nuova costituzione giapponese, trovò ispirazione e assistenza concreta proprio nella Prussia e nei suoi teorici. Questa decisione di costruire un certo tipo di Stato ebbe la priorità su ogni

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E. Collotti Pischel, Storia dell’Asia orientale 1850 – 1949, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1994, p. 49. 2

Il 23 ottobre 1868, poco dopo l‘ascesa al trono del sedicenne imperatore Mutsuhito, fu deciso che il suo periodo di regno sarebbe stato chiamato Meiji («illuminismo») e che l‘imperatore stesso avrebbe ricevuto questo nome dopo la sua morte. Quello che oggi viene chiamato l‘imperatore Meiji regnò dal 1868 al 1912. J. Halliday, Storia del Giappone

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altra considerazione; l'oligarchia Meiji mise saldamente la politica al posto di comando. La costruzione del nuovo sistema istituzionale non avvenne dal giorno alla notte, in modo subitaneo e improvviso. L'inizio della vera e propria «Restaurazione Meiji» può essere ricondotto a una data precisa: 3 gennaio 1860. La rivoluzione politica si svolse per un periodo assai lungo, nell‘arco di circa cinquant'anni, dalle riforme dell'ultimo periodo Tempō, attraverso i decisivi trattati commerciali del 1858 con le potenze straniere, fino all'insediamento della Dieta nel 1890. Per quanto riguarda le condizioni interne, fu decisiva l‘introduzione del modello di produzione capitalistico che divenne il modo di produzione dominante nella società giapponese3.

Per oltre due secoli e mezzo, prima della restaurazione del 1868, il Giappone visse sotto un regime chiamato comunemente lo shogunato dei

Tokugawa4. Il regime si era costituito formalmente nel 1603, dopo la

battaglia di Sekigahara (1600), nella quale la famiglia dei Tokugawa guidò alla vittoria una coalizione di signori feudali. Lo shogunato dei Tokugawa governò direttamente un territorio valutato fra un quarto e un quinto del paese, situato in gran parte nella zona centrale del Giappone, con capitale Edo (più tardi ribattezzata Tokyo). L'area direttamente controllata dallo shogun comprendeva anche Kyoto, la capitale imperiale, dove risiedeva un imperatore privo di poteri, e Osaka, che si affermò come il principale centro della classe dei mercanti. Il resto del Giappone era governato dai

grandi signori feudali (daimyō)5.

3 J. Halliday, op. cit., pp. 3-4.

4 Famiglia di daimyō, residente in quella che è ora la pianura intorno a Tokyo. Diventarono nel 1960 i daimyō più potenti, e nel 1603 il fondatore della dinastia, Ieyasu, fu nominato shōgun. Da allora in poi, fino alla Restaurazione Meiji, i Tokugawa ebbero il monopolio della carica di shōgun. La famiglia governò, direttamente o indirettamente, il Giappone per due secoli e mezzo fino alla Restaurazione. Ivi, p. 544.

5 Grande signore feudale, con un feudo di superficie non inferiore ai dieci-mila koku. Nel 1868, alla vigilia della Restaurazione Meiji, vi erano 266 Daimyō. Ivi, p. 534.

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Il regime di Tokugawa fu un regime feudale strettamente controllato dal

centro: la classe dirigente era costituita dall'aristocrazia guerriera dei bushi6

tra loro divisi e gerarchizzati, obbligati a risiedere nei centri del potere feudale e unici detentori del diritto di portare le armi; lo shogun controllava il governo militare (bakufu) dotato di potere sull‘intero paese, diviso in quasi 300 han; a capo di ciascun han vi era un signore (daimyō). I Tokugawa escogitarono un sistema molto ingegnoso per rafforzare la loro presa sul paese e assicurare la pace. I due elementi chiave di questo meccanismo furono l'isolamento pressoché totale del Giappone dal mondo esterno e il sistema istituzionalizzato degli ostaggi. Nel 1638 lo shogunato adottò una politica di rigido isolamento, che impedì ai giapponesi di recarsi all'estero e limitò rigorosamente le attività commerciali straniere in Giappone. La chiusura del paese fu una decisione politica dettata da ragioni di sicurezza. Essa impedì per oltre due secoli ai feudi (han)7 ostili ai Tokugawa di armarsi in modo tale da non poter minacciare seriamente lo shogunato, e bloccò le normali vie di sviluppo della nascente borghesia. Lo shogunato aveva anche un ben perfezionato sistema di controlli interni, il cui nucleo essenziale era il sankin kotai8. Questo sistema costringeva il

daimyō all'obbedienza e, insieme ad altre misure analoghe, garantiva ai Tokugawa il controllo delle cariche politiche oltre a dar loro, almeno in parte, il potere di regolare la politica economica. Il programma di Tokugawa fu un programma di repressione integrale della borghesia, sul piano politico, economico e culturale. Alla fine del seicento, dopo circa un secolo di dominio dei Tokugawa, la società giapponese era caratterizzata da

6 Guerriero che può dar prova di discendere dalla nobiltà. J. Halliday, op. cit., p. 535.

7 Significava originariamente «frontiera militare». Il nome indicava una ripartizione territoriale, più che un gruppo unito da legami di sangue; è meglio, quindi, renderlo con «feudo» che con «clan». Ivi, p. 533.

8 Sankin Kotai, era un sistema creato nel 1635 in Giappone, dallo shogun di Tokugawa, attraverso il quale i grandi feudatari (daimyo) avevano l‘obbligo di risiedere diversi mesi ogni anno nella capitale del tempo, Edo (la Tokyo di oggi). Quando i signori tornavano ai loro feudi, erano costretti a lasciare le loro mogli e le famiglie a Edo. Di fronte alla crescente insoddisfazione di queste politiche dello shogunato, il sistema di sankin kotai fu praticamente abolito nel 1862. E. Collotti Pischel, op. cit., p. 51.

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un quasi totale immobilismo. Ma gli shogun, pur avendo ottenuto notevoli successi nell'opprimere politicamente la classe dei mercanti, non riuscirono mai a distruggerla come forza economica.

I cambiamenti che, contemporaneamente, ebbero luogo nell'agricoltura e

fra i contadini soggetti all'oppressione portarono anch'essi

all'indebolimento e al crollo finale dello shogunato.

La classe del Giappone dei Tokugawa era divisa in strutture . Al vertice della struttura di classe si trovavano l'imperatore e lo shogun, cioè rispettivamente il sovrano e il governante. Al di sotto dello shogun venivano immediatamente i grandi signori o daimyō, il cui numero ammontava a 266 alla vigilia della restaurazione del 1868. Il resto della popolazione era diviso formalmente in quattro grandi classi (la struttura shi - nō - kō - shō): i samurai, gli agricoltori, gli artigiani e in fondo alla scala gerarchica c‘erano i mercanti. Sotto il regime feudale, il potere politico rimase saldamente in mano agli shogun e all'aristocrazia, mentre il potere economico passò gradualmente nelle mani della borghesia.

Dalla metà del XVIII secolo la società Tokugawa entrò in crisi. La classe dirigente imponeva balzelli, esazioni e ingiunzioni moralistiche alle categorie produttive, ma era indebitata al punto da trascinare al fallimento non pochi mercanti e artigiani, mentre i contadini immiseriti ricorrevano all‘infanticidio come pratica corrente. I samurai9

, divenuti intellettuali e gravemente penalizzati dagli sviluppi sociali e spesso sensibili al malessere dei poveri, cominciarono a cercare vie d‘uscita, prospettive di riforma ed

eventuali punti di riferimento alternativi alle strutture di potere10. Mentre i

giovani più intelligenti eludevano il pesante condizionamento del regime per cercare nuove strade, la situazione di crisi peggiorava: era destinata a

9 La parola designava sia coloro che nelle società feudali europee erano chiamati cavalieri, sia coloro che erano chiamati semplicemente soldati o uomini d‘arme. In altri termini, nel Giappone feudale faceva parte della classe dei samurai l‘intera aristocrazia maschile al di sotto dei daimyō. All‘interno della classe, vi erano molte differenziazioni. J. Halliday,

op. cit., p. 540.

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esplodere appena un intervento straniero avesse rotto gli ultimi equilibri di quello che i Tokugawa avevano concepito come un ―paese chiuso‖. Tra il 1616 e il 1640, lo shogun aveva infatti imposto dure leggi di proibizione del cristianesimo e aveva vietato agli straneri di entrare in Giappone e ai Giapponesi di uscire, eccezion fatta per un piccolo gruppo di mercanti cinesi e olandesi, ai quali fu consentito l‘ingresso a Nagasaki11

. Da quel momento, questi mercanti, e i libri che talvolta si permetteva loro di portare, furono per il Giappone l‘unica fonte di notizie su quanto accadeva oltremare. A seguito della chiusura, le trasformazioni sociali del periodo Tokugawa permisero l‘accumulazione di capitale all‘interno della società senza alcuna dispersione verso l‘esterno. Isolata, la classe dirigente giapponese non era però disinformata e guardava con molta preoccupazione alla penetrazione inglese in Cina e a quella russa fino alle coste del Pacifico12.

L‘8 luglio 1853 arrivarono le "navi nere" americane, e non era inattesa la richiesta di aprire porti e di avviare normali relazioni diplomatiche e commerciali. Nonostante molte tergiversazioni, la risposta della classe dirigente giapponese, sfidata nel centro del potere, fu diversa da quella data dalla burocrazia cinese che considerava Canton molto lontana dalla capitale. L'aristocrazia militare giapponese non combatté: aveva sufficienti conoscenze di strategia per prevedere una sconfitta e sapeva quanto la sconfitta era costata ai cinesi. Nel 1854 Perry concluse il trattato di Kanagawa, presto esteso a inglesi e russi per la clausola della nazione più favorita, per aprire due porti al commercio e istituire un consolato americano: non vi fu però indennità da pagare perché gli americani non

potevano vantare danni materiali13.

11 W. G. Beasley, Storia del Giappone Moderno, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1969, pp. 9-10. 12

E. Collotti Pischel, op. cit., p. 54.

13 L‘arrivo del Commodoro Perry con le 4 navi ―nere‖, l‘8 luglio 1853 nel porto di Edo (la Tokio di oggi), segnò la prima apertura del Giappone all‘Occidente. La missione di Perry fu un shock per chiunque, ad eccezioni di alcuni samurai che studiavano all‘ estero. Perry arrivò in Giappone con dei compiti ben precisi che riuscì a svolgere con

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Nel 1858 fu imposto un secondo trattato esteso a cinque potenze per aprire altri porti e consolati e abbassare i dazi giapponesi sotto il 5%: i trattati, come con la Cina, non prevedevano concessioni al Giappone su base di reciprocità ed erano quindi ―trattati ineguali‖, ma non comportavano indennità in denaro. Indennità sarebbero state chieste più tardi, dopo gli scontri militari del 1864 tra gli inglesi e gli han di Chōshu e Satsuma, ma anche allora non furono tali da depauperare sostanzialmente la società. I trattati conclusi nel 1866 confermarono però, ai tribunali giapponesi, i precedenti divieti di affrontare le vertenze con stranieri e questa impostazione venne percepita come una grave lesione alla sovranità del

paese. L'atteggiamento di prudente disponibilità del bakufu14 derivava dalla

sua debolezza interna: l'accettazione dei trattati mise in moto un processo storico latente che ebbe uno sviluppo complesso e drammatico per l'intrecciarsi di vicende accessorie, giochi di potere tra il bakufu e alcuni

han, fenomeni di mobilitazione popolare e operazioni di gruppi della classe

dirigente, raffinati sforzi di mediazione, scelte intellettuali estremistiche e successive revisioni delle stesse, ripercussioni profonde di fenomeni economici destabilizzanti. A scadenza continua incalzarono attentati, assassinii, esecuzioni, ondate di repressione, episodi di rivolta contadina e azioni dimostrative di samurai solidali tra loro: una tipica fase di trapasso destinata a concludersi nel 1867 con la caduta del regime shōgunale e nota ai giapponesi come bakumatsu, cioè fine del governo degli shogun. Di fronte alle minacce straniere, nel 1853 e soprattutto nel 1858, i rappresentanti del bakufu chiesero consiglio non solo ai daimyō, ma anche alla corte imperiale, ricevendo risposte interlocutorie oppure violentemente

l'ausilio delle maestose e moderne navi da guerra a vapore e con un personale ben addestrato. Canzoni, banchetti e regali si aggiunsero alle varie negoziazioni. J. -K. Fairbank, E. –O. Reischauer, A. –M. Craig, Storia dell’Asia orientale, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1974, pp. 233-238.

14 Letteralmente, «governo della tenda». Il termine, che designava originariamente il quartier generale dell‘esercito in epoca feudale, fu poi applicato alla dittatura dei Tokugawa. L‘amministrazione centrale del Giappone sotto lo Shogun. J. Halliday, op. cit., p. 533.

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ostili agli stranieri, ma avevano comunque firmato i trattati. Di rimando i maggiori daimyō e la corte imperiale di Kyoto iniziarono un gioco complesso che aveva per oggetto principale non rapporti con gli stranieri, bensì il controllo del governo centrale, i margini di autonomia degli han e la posizione dell'imperatore. La presenza straniera ebbe subito ripercussioni sociali: le merci importate danneggiavano i grandi mercanti e i produttori rurali, mentre la speculazione drenava l‘oro dal paese; inoltre i porti, per la presenza di stranieri arroganti, divenivano rifugio di emigranti e delinquenti. In reazione a questa situazione esplose il movimento del

sonnō-jōi (onorare l'imperatore, cacciare i barbari), sostenuto da masse di

giovani samurai di basso rango che si addestravano per combattere gli stranieri e che, contro il bakufu e la sua politica autoritaria e arbitraria, volevano il ripristino dei sacri poteri imperiali. Nonostante le apparenze, anche in questo caso l'ostilità verso gli stranieri era fattore secondario rispetto all'esasperata volontà di rompere con il bakufu e quindi con gli steccati feudali e la miseria, intollerabili per chi si sentiva meritevole di emergere e decidere. Tanto è vero che i più intelligenti samurai cercarono ogni occasione per recarsi in Occidente a studiare e conoscere un mondo nuovo. Naturalmente i grandi daimyō più ostili al bakufu, come quelli di Satsuma e Chōshu, strumentalizzavano ai fini della loro politica questa massa di giovani. Seguì un continuo alternarsi di sanguinose misure repressive (decise soprattutto dagli uomini attorno allo shogun) e di assassinii di governanti, di stranieri e di traditori compiuti dai samurai, di compromessi sapientemente elaborati, di tentativi di riavvicinare le forze contrapposte, di iniziative locali e di interventi sul centro. Contro il bakufu prevalse dapprima l'iniziativa dello han di Satsuma (più disposto all'apertura verso il mondo esterno e assoluzioni concordate), poi di quello di Chōshu, dove fu organizzato un esercito (kiheitai) che reclutava anche contadini e popolani: furono proprio i samurai a guidarlo e si rivelarono

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eccellenti strateghi a comprendere per primi, soprattutto negli scontri contro le navi occidentali nel 1860, la necessità di non opporsi alle trasformazioni moderne delle quali erano portatori gli stranieri, ma anzi di favorirle e accelerarle rompendo ogni condizionamento del vecchio regime, al fine di poter meglio difendere la sovranità e l'identità del Giappone. Il potere degli shogun, sempre più isolato dalle forze produttive dei mercanti urbani e degli imprenditori rurali, tentò di avere il sopravvento con un colpo di forza militare contro Chōshu nel 1866: tra Satsuma e Chōshu si stabilì però un'alleanza patrocinata anche da mercanti inglesi e sostenuta dai loro aiuti alla politica di armamento moderno intrapresa dai due han. Le forze del bakufu furono sconfitte e la corte imperiale, pressata da alcuni principi e dai daimyō di Satsuma, Chōshu, Tosa e Hizen, assunse l'iniziativa per il trasferimento di ogni potere al giovane imperatore Mutsuhito e per la soppressione del potere degli shogun15. L'avvicinarsi delle forze ribelli permise di proclamare il 3 gennaio 1868 la "restaurazione" del potere imperiale e l'eliminazione del bakufu e dello shogun con la confisca dei beni dei Tokugawa e delle famiglie connesse. In aprile cadde Edo, presto ribattezzata Tokyo e divenuta sede del nuovo potere dell'imperatore. La resistenza dei Tokugawa fu eliminata totalmente entro un anno.

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I.2. La Restaurazione Meiji

Alla morte dell'imperatore Komei, nel 1867, i riformisti convinsero il giovane imperatore Mutsuhito ad assumere personalmente il potere e a scegliere per il suo regno la denominazione di Meiji (governo illuminato). Le funzioni di shogun furono abolite nel 1868, e la resistenza armata dei partigiani dei Tokugawa durò soltanto qualche mese. Per soddisfare le diverse forze sociali che avevano ispirato la rivoluzione del Meiji, per fortificare il Giappone contro gli occidentali, per ampliare le basi dell'attività economica nazionale, occorreva distruggere completamente l'apparato feudale dello Stato. Sul piano politico la distinzione tra i quattro «stati» (daimyō, samurai, contadini, mercati) fu abolita; il servizio militare obbligatorio costrinse i samurai a rinunciare alla loro pretesa di formare una categoria distinta. I feudi dei daimyō cessarono di costituire unità autonome e vennero trasformati in prefetture (ken), amministrate dal governo centrale. Venne introdotto il calendario occidentale e si istituì un insegnamento moderno, che concesse ampio spazio alla scienza e alla tecnica. La rivoluzione del Meiji fu una rivoluzione dall'alto. La base

sociale dello Stato non fu trasformata, ma soltanto allargata16.

Abolito lo shogunato, la condizione indispensabile per l'unificazione nazionale era l'eliminazione del feudalesimo. E ad essa si giunse attraverso l‘iniziativa presa dai quattro daimyō più influenti ( Satsuma, Chōshu, Tosa e Hizen), i quali, con una petizione comune (marzo 1869), pregarono il sovrano di accettare i propri feudi. A loro si unirono quasi subito anche gli altri. Il feudalesimo scomparve definitivamente nel 1871. Gli ex-daimyō e i

kuge costituirono la nuova nobiltà (kwazoku), mentre i samurai divennero

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pensionati dello Stato formando una categoria a sé (shizoku). Ogni privilegio di classe fu abolito e instaurata, invece, la libertà di matrimonio e di professione. L'uguaglianza dei diritti del cittadino di fronte allo Stato era, almeno in teoria, un fatto compiuto. A partire dal 1870 le innovazioni si susseguirono. Nel 1869 venne messa in funzione la prima linea telegrafica e nel 1872 la prima ferrovia, tra Tokio e Yokohama. Nel 1870 furono inaugurate le poste e, cosa molto importante, col 1 gennaio 1873 fu adottato il calendario gregoriano. Il Giappone si servì dapprima, largamente, di esperti stranieri inviati appositamente, mentre nel contempo giovani giapponesi erano mandati a studiare nelle migliori università europee e americane. Nel risveglio prodigioso della coscienza nazionale che andava verificandosi, motivo di umiliazione profondamente sentita erano le clausole dei trattati, soprattutto quella dell'extraterritorialità e quella delle tariffe doganali, imposte e non negoziate. Fu per questo motivo che una grande ambasceria, con a capo Iwakura Tomomi, partì il 23 dicembre 1871 alla volta degli Stati Uniti, dove proseguì per le capitali dei vari paesi europei, fra cui l'Italia. Essa tornò il 13 settembre 1873 avendo fallito il suo scopo e ricevuto, invece, ovunque il consiglio di procedere a radicali riforme interne prima di avanzare proposte di revisione dei trattati. In Giappone, infatti, erano ancora in vigore le vecchie leggi di ispirazione cinese, non adatte agli europei, e il cristianesimo seguitava ad essere perseguitato. Il paese capì alla fine, che se voleva raggiungere lo scopo, doveva accingersi a rivedere il corpo delle sue leggi modellandole su quelle delle nazioni occidentali. Una delle prime iniziative prese dal nuovo Giappone fu quella di riannodare le relazioni con la Corea, interrotte da oltre due secoli e mezzo. Fin dal 1868, il governo aveva dato incarico a Sō Shigemasa, daimyō di Tsushima, di inviare al re di Corea un‘ambasceria per informarlo dei mutamenti avvenuti nell'arcipelago e invitarlo a mettere

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fine anche lui all'isolamento del suo paese17. Ma il reggente, padre del re minorenne, si rifiutò di ricevere la delegazione, e uguale risultato ebbero altri tentativi, finché la corte coreana non si decise a rispondere con una lettera insolente diretta all'imperatore del Giappone, il che suscitò grande risentimento. Il gabinetto aveva già deciso una spedizione punitiva, ma l‘intervento di Iwakura, giunto proprio allora dalla sua missione all'estero, riuscì a scongiurare una misura che avrebbe sicuramente avuto ripercussioni internazionali. Due anni dopo tuttavia, quando il 20 settembre 1875 un forte coreano danneggiò una nave giapponese, Tokio poté agire con una spedizione dimostrativa sul tipo di quella di Perry, risultato della quale fu il Trattato nippo-coreano di Kang-hwa del 26 febbraio 1876, il quale segnò la fine dell'isolamento della penisola. La Corea, in forza del trattato, veniva dal Giappone riconosciuta nazione indipendente e a sua volta riconosceva, fra l'altro, il porto di Fusan come concessione giapponese, mentre stabiliva di aprire al commercio estero il porto di Gensan nel 1880 e quello di Chemulpho nel 1883.

Altre questioni erano aperte con la Russia per l‘isola di Sakhalin, e con la Cina per Formosa e Ryukyu. Nel 1875 Tokio cedette tutta l'isola alla Russia, la quale in cambio riconobbe la sovranità giapponese su tutte le Kurili. Quanto a Formosa, l'uccisione di alcuni isolani delle Ryukyu e di naufraghi nipponici da parte di indigeni formosani, portò a contrasti con la Cina, che aveva declinato ogni responsabilità per l'incidente, dato che gli indigeni erano di razza malese e selvaggi. Ma quando nel 1874, Saigō Tsugumichi sbarcava nell'isola a capo di una spedizione punitiva, Pechino protestò qualificando l'intervento come un‘invasione. Con la mediazione del ministro americano T. F, Wade si riuscì a ricomporre la vertenza: la Cina pagò un‘ indennità di 500.000 tael, riconobbe la legittimità dell'azione giapponese e s'impegnò a controllare in futuro le popolazioni indigene

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dell'isola. All'interno intanto gravi eventi andavano maturando, a causa del malcontento di molti di coloro che avevano sostenuto il sovrano e che ora vedevano i vecchi ordinamenti crollare sotto i colpi di riforme rivoluzionarie, mentre il loro sogno era stato un ritorno al vecchio

Giappone prefeudale18. Fra costoro, la figura di maggior rilievo era Saigō

Takamori, uno dei ministri dimissionari a causa della Corea, il quale, visto che il governo mirava alla occidentalizzazione del paese, si ritirava a Kogoshima dove aveva aperto una scuola militare che diventò presto un forte richiamo per la gioventù. Il governo, conscio del pericolo, tentò, ma invano, di attirare a sé il dissidente e quando, il 28 marzo 1876, venne abolito l'uso delle due sciabole, simbolo sacro dei samurai, il conflitto fra il vecchio e il nuovo ordine di cose scoppiò. Diverse rivolte di minor entità vennero prontamente represse, ma quella capeggiata da Saigō fu la più vasta e dolorosa, costò molto sangue e richiese una campagna durata sette mesi, che si concluse con la sconfitta di Saigō. La campagna era servita anche a dimostrare che il contadino, se adeguatamente addestrato, era un soldato tanto buono quanto il samurai, che nel vecchio Giappone solo godeva dei privilegi delle armi.

Per oltre un decennio dopo questo avvenimento, le energie furono indirizzate a promuovere lo sviluppo delle industrie e il benessere della nazione, mentre i problemi politici, grazie alla diffusione della stampa e dell'istruzione, andavano imponendosi sempre più all'attenzione del popolo. Il principale di questi problemi era l'istituzione del regime costituzionale, in favore del quale si era determinata, già da prima della rivolta di Saigō, una vasta agitazione, frenata con tutti i mezzi dal governo, il quale si rendeva conto che il paese, da troppo poco tempo liberato dai ceppi del feudalesimo, non era ancora maturo per l'esercizio di quei diritti che la costituzione avrebbe sancito. Tuttavia, dovette alla fine cedere. Nel 1881

18 G. Tucci, op. cit., pp. 1219- 1220.

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un editto imperiale prometteva la graduale adozione del regime costituzionale entro 10 anni e fissava la prima seduta del futuro parlamento al 1890. Intanto Itō Hirobumi veniva mandato all'estero per studiare le costituzioni dei vari Stati. Al suo ritorno venne messo a capo di una commissione incaricata della stesura della carta costituzionale. La commissione assolse il suo compito in cinque anni e l'11 febbraio 1889, in mezzo al giubilo nazionale, la costituzione venne ufficialmente proclamata; l'anno dopo, il 25 novembre, la Dieta imperiale (Teikoku Gikwai) teneva la sua prima assemblea. I primi anni di vita parlamentare furono turbati dall'intransigenza di tre partiti costituitisi regolarmente a partire dal 1882: Jiyu-tō (Liberale), Kaishin-tō (Progressista) e Teisei-dō (Partito del Governo)19.

Dal punto di vista economico e della industrializzazione, il nuovo regime aveva stabilito un saldo controllo su tutto il paese. Ma molto di più si doveva fare per dare al Giappone la sicurezza dall‘aggressione esterna e la parità con l‘Occidente, che dipendevano in ultima analisi dalla forza economica del paese nonché dalle conoscenze e dal progresso tecnologico del suo popolo. Il successo dei dirigenti del Periodo Meiji fu probabilmente maggiore e più rapido di quanto essi stessi sperassero. In mezzo secolo soltanto, trasformarono in una potente nazione moderna un paese tecnologicamente arretrato e diviso in feudi.

L'industrializzazione, che fu un aspetto estremamente importante dalla modernizzazione del Giappone, ci offre un‘importante riflessione. La questione è complessa; ma, in sostanza, il governo seppe dare al paese la stabilità politica e sane istituzioni monetarie, ossia le condizioni indispensabili per l'industrializzazione. Esso svolse inoltre una azione pionieristica in molti settori industriali e patrocinò lo sviluppo di altri, ma fu l'iniziativa privata a promuovere la maggior parte dello sviluppo

19 G. Tucci, op. cit., pp.1221- 1222.

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industriale del paese. Le comunicazioni e le industrie strategiche furono il punto di forza degli uomini di governo, che cercarono soprattutto di sviluppare le industrie dalle quali dipendeva la moderna forza militare. Questa necessità era già apparsa evidente allo shogunato e ad alcuni dei principali han, che avevano compiuto passi in questa direzione ancor prima del 186820. Nel corso degli anni ‗70, il cantiere di Yokosuka costruì due vascelli di più di 1000 t. Nel 1883 quello di Nagasaki fornì al nuovo governo dieci vapori e quello di Hyogo ventitre. Le ferrovie, una volta costruite, si rivelarono un investimento estremamente proficuo. La linea Tokio - Yokohama, lunga 19 miglia e completata nel 1872, trasportò, nel 1877, 40.000 tonnellate di merci, a un settimo dei costi precedenti (è da dire che trasportare 1 tonnellata di merci per 50 miglia all'interno del paese

costava di più che lungo tutta la rotta dall'Europa al Giappone)21. Nel 1800

viaggiarono sulla stessa linea circa 2 milioni di passeggeri.22 Un altro tronco, che univa Kobe a Osaka, fu terminato nel 1874 ed esteso fino a Kyoto nel 1877. Ma la costruzione di ferrovie era estremamente difficile e costosa sul territorio montuoso del Giappone, e nel 1881 la rete era lunga complessivamente 76 miglia soltanto. Le linee telegrafiche, meno costose e più importanti per il controllo amministrativo del paese, si estesero più rapidamente. Nel 1880 la maggior parte delle grandi città erano collegate

da linee governative23. L'industrializzazione non poteva essere limitata alle

comunicazioni e alle industrie strategiche. La produzione di beni di consumo, specialmente i tessuti, doveva essere meccanizzata se il Giappone voleva competere con successo con l'Occidente ed eliminare il

20 Il dominio di Hizen, che ad anni alterni aveva la responsabilità della difesa di Nagasaki, era riuscito nel 1850 con l‘aiuto di un libro olandese a costruire una fornace a riverbero per la fusione del ferro e, tre anni dopo, a fabbricare cannoni col ferro prodotto, sostituendo in tal modo, la antiquata artiglieria di bronzo. Nei cinque anni che seguirono, lo shogunato, Mito e Satsuma seguirono l‘esempio dell‘Hizen e costruirono fornaci a riverbero. Il Satsuma divenne il centro di una fiorente industria del ferro. J. -K. Fairbank, E. –O. Reischauer, A. –M. Craig, op. cit., p 288.

21 J. -K. Fairbank, E. –O. Reischauer, A. –M. Craig, op. cit., pp. 288 – 289. 22 Ibidem.

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pericoloso squilibrio che aveva colpito il suo commercio con l'estero. Il governo dedicò particolari attenzioni all‘industria mineraria, che poteva migliorare la sfavorevole bilancia commerciale. Nel 1873, alle dipendenze dell'ufficio delle miniere vi erano già 34 stranieri. Il dominio di Hizen aveva messo in funzione, nel 1869, con l'aiuto tecnico e finanziario inglese, una moderna miniera di carbone. Nel 1874 essa passò nelle mani del governo, che liquidò interessi inglesi. Nel 1880, altre otto moderne miniere di carbone erano state messe in attività dal governo, che nel 1881 fece grandi investimenti in una moderna miniera di ferro e, nel corso dello

stesso anno, produsse il 90% dell'oro e dell'argento immessi in Giappone24.

Il governo aprì inoltre a Tokio una fabbrica di macchine utensili nel 1871, una fabbrica di cemento nel 1875, una di vetro nel 1876 e una di mattoni bianchi nel 1878. Le ultime tre dovevano fornire materiali per la costruzione di edifici in stile occidentale, dato che la politica ufficiale tendeva, per quanto possibile, alla costruzione di edifici governativi di questo tipo in gran parte per impressionare l'Occidente con la modernizzazione del Giappone. I tessuti costituivano il più importante settore industriale, poiché rappresentarono più della metà delle importazioni giapponesi tra il 1868 e il 1882 e poiché il modo migliore per pareggiare la bilancia dei pagamenti consisteva nell'arrestare l'afflusso di merci straniere con lo sviluppo di tessuti nazionali fabbricati a macchina e

messi in circolazione a basso prezzo25. Il primo impianto tessile moderno fu

costruito nel dominio di Satsuma nel 1868, con 100 telai e 2.640 fusi importanti dall'Inghilterra26. Nella zona di Osaka, sempre nel Satsuma, si costruì nel 1870 un secondo opificio, che due anni dopo fu rilevato dal governo centrale, il quale ne aprì altri due nel 1881 e 1882. Nel 1878, il governo lanciò un prestito di dieci milioni di yen al fine di fornire alle

24 J. -K. Fairbank, E. –O. Reischauer, A. –M. Craig, op. cit., p. 290 - 291. 25 Ivi, pp. 290-292.

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compagnie private, con agevolazioni di pagamento, macchinari per la filatura importati dall‘estero. Gli impianti governativi rappresentarono soltanto una piccola parte degli aspatoi meccanici del Giappone; il resto fu opera degli imprenditori privati. Nel 1880, circa il 30% delle esportazioni

di seta giapponese 27erano rappresentate da prodotti innaspata a macchina,

di gran lunga superiori alla seta innaspata 28a mano del resto dell'Asia e reggevano bene la concorrenza con quella europea. L'industria che diede il maggior contributo al pareggio della bilancia commerciale giapponese fu sviluppata in gran parte dai capitali della iniziativa privata. Nel 1881, il 99% del carbone, il 94% del ferro, il 77% del rame prodotti in Giappone

erano estratti in miniere possedute da privati29. L'introduzione della

tecnologia industriale fu la più spettacolare innovazione economica dopo l'arrivo del Perry, ma all'inizio venne effettuata su scala ridotta. Nello stesso periodo, la crescita di altri settori dell'economia, come l'agricoltura, il commercio e le attività artigianali tradizionali che non erano state distrutte dalle importazioni occidentali, fu infatti molto maggiore. Mentre il capitale privato fu all'inizio riluttante a dirigersi verso il settore poco familiare e finanziariamente rischioso dell'industria meccanizzata, non vi fu penuria di capitali o di iniziative nei settori più tradizionali della vita

27 Secrezioni proteiche delle ghiandole da seta dei bachi da seta, che si solidificano al contatto con l‘aria in una fine fibra doppia. Si distingue tra seta naturale, che deriva dal baco da seta addomesticato, e seta selvaggia o tussah, che si ricava dal baco da seta semi-selvaggio da quercia o cinese. Il bruco crea la seta naturale durante la sua trasformazione, processo nel quale forma un bozzolo. La fibra sulla superficie del bozzolo, che non può essere innaspato, viene utilizzata nella produzione del filato pettinato; filato di seta chappé, cascami e scarti secondari sono adatti al filame bourette. Il centro del bozzolo contiene una fibra preziosa, che viene avvolta insieme al cosiddetto grége. La sua lunghezza varia tra 900 e 1000m. La fibra di seta è costituita per il 76 % dalla sua fibra proteica fibrosa e per il 22 % dall‘involucro, simile alla colla, di proteina setosa; il restante è composto da grassi, cera e sali minerali. Tra le fibre naturali la fibra di seta naturale è la più nobile, la più resistente e la più fine; ha un‘elevata lucentezza ed è molto plastica. La madrepatria della seta naturale è la Cina, dove era nota già 5000 anni fa. Circa 2000 anni fa venne diffusa in Corea, Giappone ed India. Oggi i principali produttori di seta naturale sono il Giappone, la Cina, gli Stati dell‘Ex Unione Sovietica, l‘Italia, la Spagna e l‗India. Negli ultimi tempi la seta naturale è spesso sostituita con fibre sintetiche. La seta naturale viene utilizzata nei tessuti per abiti da donna, camicie e cravatte da uomo, fili da cucito e paracaduti. http://it.texsite.info/Seta_%28naturale%29_%282%29

28

Nella torcitura della seta, operazione consistente nel sottoporre i rocchetti all‘azione del vapore d‘acqua, in uno stanzino chiamato brova, per evitare che il filo si arricci quando viene svolto dal rocchetto per essere binato o innaspato. http://www.treccani.it/vocabolario/brovatura/

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economica. Il risultato fu una costante e rapida crescita di tutta l'economia giapponese, non soltanto della moderna industria agevolata dal governo. Infatti, il successo del governo e degli interessi privati nell'opera di industrializzazione può essere spiegato soltanto tenendo conto della crescita delle resto dell'economia. Questa fu probabilmente una delle principali differenze tra la rapida industrializzazione del Giappone e gli sforzi, coronati da minor successo, della Cina e di altri paesi asiatici, dove la moderna industria avviata dall'alto sprofondò spesso nel pantano della

stagnante economia locale30.

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I.3. I Qing

Le operazioni di conquista della Manciuria da parte della Cina durarono soltanto 12 anni, dal 1640 al 1652. Tuttavia, la costituzione e il consolidamento della dinastia Qing occuparono un tempo molto più lungo, dalla conquista di Fushun da parte dei Mancesi nel 1618 alla sconfitta dei tre feudatari e di Zheng Chenggong a Taiwan negli anni Ottanta del 1600. A quel tempo l'imperatore Kangxi era sul trono. Il suo regno, dal 1662 al 1722, stabilì il carattere del governo mancese in Cina. Gli successe il quarto figlio che regnò come imperatore Yongzheng fra il 1723 e il 1735. A lui seguì Qianlong, il quale, dopo aver regnato per sessant'anni, abdicò nel 1795 piuttosto che superare il record del nonno. Durante questi tre regni la Cina arrivò alla sua massima estensione, la popolazione raggiunse la sua omogeneità, e la sua cultura acquisì quelle caratteristiche che avrebbero

determinato la sua trasformazione moderna31.

Sebbene una conquista mancese della Cina fosse stata anticipata di molte, le incursioni maggiori al Nord si fossero verificate a partire dal principio

del regno di Abahai32, l'opportunità di assoggettare derivò dalla situazione

che si presentò negli ultimi anni della dinastia Ming. La risposta del resto del paese alla conquista Qing fu una complessa mescolanza di resistenza e di condiscendenza. Una volta che le forze mancesi avevano convogliato le

31 J. A. G. Roberts, Storia della Cina. La politica, la realtà sociale, la cultura, l’economia dall’antichità ai nostri

giorni, Roma, Newton & Compton editori S.r.l., 2002, pp. 249-250.

32 Abahai (1592-1643), fu il primo imperatore della dinastia Qing. Asceso al trono nel 1636 dopo la morte del suo padre Nurhaci. Durante il suo regno, i Mancesi furono in grado di espandere il loro territorio a nord della Grande Muraglia cinese e consolidare la loro supremazia militare nella zona. Dopo la sua morte nel 1643, al Hung Taiji gli succede il nono figlio, Fulin, conosciuto come l'imperatore Shunzhi, sotto il cui regno la corte Qing fu trasferita definitivamente a Pechino. http://www.dartmouth.edu/~qing/WEB/ABAHAI.html

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truppe di Li Zicheng33, il loro successivo obiettivo fu l'azione della valle dello Yangzi, poiché la corte Ming era sfuggita, in prima istanza, a Nanchino. Dopo la caduta di Nanchino, le autorità Qing avevano ordinato ad altri centri amministrativi nella regione di consegnare i loro registri fiscali e demografici, il che costituiva il primo passo verso la conquista della cooperazione dell‘élite locale nel pacifico trasferimento di potere34

. Dopo la presa di Nanchino, i regimi dei Ming che succedettero fuggirono a

sud. Nel 1650 gli eserciti Qing comandati da Shang Kexi, presero Canton35

dopo un assedio prolungato e ne massacrarono gli abitanti. La resistenza Ming continuò, ma fu confinata ai limiti dell‘impero. L'ultimo imperatore fu inseguito fino in Birmania, catturato e giustiziato lì nel 1662.

L'imperatore Kangxi fu descritto come" probabilmente il sovrano migliore di tutta l'ultima parte dell'epoca imperiale"36.

Il suo impegno nelle responsabilità fu sorprendente. Essendo un sovrano mancese, era inevitabile che Kangxi fosse interessato alle questioni militari

e nel periodo della rivolta dei Tre Feudatari37 aveva assunto il suo ruolo di

comandante in capo molto seriamente. Al principio Kangxi si affidò soprattutto alle formazioni degli stendardi e nel 1684 il numero di tali

33 Li Zicheng, era un importante capo ribelle, il cui il padre, un ricco contadino che aveva lavorato nel servizio postale governativo, emerse come pretendente del trono. Li si mostrava amico dei poveri e ordinò l‘esenzione delle tasse; nei luoghi che aveva conquistato, il popolo sarebbe stato esentato dalle tasse per tre anni. J. A. G. Roberts, op. cit., pp. 245-248.

34

Nel luglio del 1645, il governo Qing aveva emanato un editto che richiedeva che gli uomini portassero i capelli nella foggia mancese – cioè dovevano radersi la testa sulla fronte e farsi crescere un codino dietro. J. A. G. Roberts, op. cit., p. 253.

35 Canton, capitale del Guangdong, nel sud della Cina. Il centro città si trova vicino alla testa del Fiume delle Perle (Zhu Jiang) Delta, più di 145 km dalla costa del Mar Cinese Meridionale. A causa della sua posizione nel punto d'incontro dei fiumi navigabili interne e il mare, è stato a lungo uno dei principali centri commerciali del commercio della Cina. Ha servito come una porta per influenza straniera da quando nel III secolo d.C. ed è stato il primo porto cinese ad essere regolarmente visitato da commercianti europei, che gli hanno messo il nome Canton. http://www.britannica.com/EBchecked/topic/93196/Guangzhou

36 J. A. G. Roberts, op. cit., p. 259.

37 I Tre Feudatari erano tre generali (Wu Sangui, Shang Kexi e Geng Jimao) che controllavano il Sud ed il Sud Ovest, le loro aree di controllo erano Sichuan, Yunnan, Guangdong, Hunan, Guizhou, Fujian. Le tasse delle regioni erano trattenute dai tre e inoltre tali posizioni erano ereditate dai loro figli. Proprio per questo scoppiò la rivolta, e questo scatenò la reazione di Kangxi che intimò di lasciare liberi i loro posti. La ribellione fu presto soffocata, sia per la mancanza del coordinamento dei ribelli sia per il coraggio e la capacità dei generali e delle truppe Qing. Il Sud si riunì all‘impero. http://docenti2.unior.it/doc_db/doc_obj_18157_16-01-2011_4d33653161698.pdf.

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truppe era aumentato fino a circa 315.000 uomini38. Ma poiché la

campagna continuò, fu fatto un uso maggiore delle forze cinesi conosciute come gli eserciti dagli Stendardi Verdi, che a un certo punto raggiunsero un totale di 900.000 uomini. La ragione per la quale gli inviati di Kangxi avrebbero dovuto rapidamente negoziare il trattato di Nerchinsk con lo zar era la paura del sostegno russo agli Dzungar, i mongoli occidentali che, sotto la guida di Galdan, minacciavano di unire le altre tribù mongole sotto il proprio controllo. Tuttavia essi fallirono nei loro sforzi di persuadere i Khalkha o mongoli orientali, e inoltre erano divisi al loro interno e ciò dette a Kangxi un'opportunità per sistemare la questione. Sotto molti punti di vista la pratica di governo sotto Kangxi continuò sulle linee stabilite durante i Ming.

Il successore di Kangxi fu il suo quarto figlio, Yinzhen, che regnò come imperatore Yongzheng. Il suo regno fu molto più breve rispetto a quello del padre, e fu anche più controverso. Si suppone che avesse usurpato il trono e poi si fosse liberato dei suoi fratelli e dei rivali spietatamente39. L'argomento secondo cui Yongzheng usurpò il trono era basato sul suggerimento che il successore designato fosse Yinti, il quattordicesimo figlio di Kangxi, che fu incapace di far rispettare le sue pretese perché assente da Pechino nel momento cruciale della malattia terminale del padre. Secondo alcuni resoconti la morte di Kangxi fu improvvisa e persino accelerata da Yinzhen che creò ad arte delle prove le quali testimoniassero che l‘imperatore aveva nominato lui come suo successore in presenza di molti dei suoi figli. La tesi dell'usurpazione fu contestata: un'opinione fu che Yinzhen ebbe la successione perché i suoi atti furono più astuti di quelli dei suoi rivali, un'altra che esistesse una prova a dimostrazione del

38 J. A. G. Roberts, op. cit., p. 260.

39 Thomas S. Fisher, Autocracy at Work: A Study of the Yung-cheng Period, 1723-1735, The Journal of Asian Studies, Vol. 35, No. 4 (Aug., 1976), pp. 670-672.

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fatto che fosse davvero il successore scelto da Kiangxi40. Tuttavia durante il

regno di Yongzheng otto dei suoi fratelli morirono e Yinti fu tenuto in prigionia per la maggior parte del tempo. L'incidente più enigmatico fu la fine dell‘ottavo e nono figlio di Kangxi che morirono entrambi in prigione in circostanze sospette.

Senza dubbio durante il suo regno fu introdotto un certo numero di riforme preziose. Nel 1723 egli dette l'avvio a un nuovo sistema per la nomina dell'erede legittimo41. Altri due ambiti di riforma furono più complessi e più difficili da valutare. Uno riguardava l'effettivo operato degli uffici del governo centrale. Negli ultimi anni del regno di Kangxi venne introdotto il sistema dei memoriali di palazzo e ciò permetteva all'imperatore di ricevere informazioni confidenziali. Sotto Yongzheng, in risposta al crescente volume di lavoro e alla necessità di affrontare rapidamente le emergenze militari, fu introdotta una forma di reazione a tali memoriali.

Conosciuta come la «lettera di corte»; essa era una comunicazione informale e segreta. Lo sviluppo successivo fu la creazione di un organismo consolidato per gestire gli affari della corte interna, l'istituzione nota come Gran Consiglio. Un'altra riforma fondamentale promossa nel regno di Yongzheng riguardava la tassazione. Questi aveva ereditato un sistema fiscale che impoveriva i contadini, arricchiva i facoltosi proprietari terrieri e lasciava sia il governo centrale che locale dotati di fondi insufficienti per assolvere alle proprie responsabilità. Il provvedimento chiave promosso da Yongzheng riguardava ciò che era conosciuto come la

tassa di fusione42. In teoria si trattava di una soprattassa imposta per coprire

le perdite provocate dalla fusione dell'argento vile usato per il pagamento

40 J. A. G. op. cit., p. 266.

41 Con questo sistema il sovrano selezionava il successore tra i suoi figli eleggibili e poi, senza rilevare la sua scelta, inseriva il nome in una scatola sigillata che sarebbe stata aperta solamente alla sua morte. Un tale metodo poteva impedire la crescita delle fazioni incentrare su quei principi mancesi che avevano diritto al trono. Un obbiettivo simile era alla base di una riforma del sistema degli stendardi sotto il quale il comando dei cinque inferiori, quelli fedeli ai principi imperiali, fu tolto dalle loro mani e posto sotto il controllo burocratico. J. A. G. op. cit., p. 266.

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dei tributi e trasformato in lingotti da inviare al governo centrale. Le riforme sostenute da Yongzheng legalizzarono la tassa di fusione a quote più basse e proibirono o ridussero le largizioni ordinarie. È stato sostenuto che le riforme fatte da Yongzheng consolidarono il suo potere e migliorarono le finanze dello Stato che accrebbero il benessere della gente comune43.

Se si può dire che Yongzheng abbia consolidato la posizione mancese sul

trono cinese, fu il suo quarto figlio, che regnò come imperatore Qianlong44,

che trasse vantaggio dei suoi sforzi. Il suo regno fu il più lungo, e in qualche modo il più glorioso, nella storia cinese. Durante quegli anni i confini della Cina si spinsero alla loro massima estensione, la sua popolazione raggiunse un nuovo punto supremo, si verificò un prolungato periodo di pace interna, e furono registrate imprese accademiche e artistiche memorabili.

Dall'altro canto, è stato argomentato che sotto Qianlong iniziò anche il declino dinastico e cominciarono a emergere minacce ancora più serie al

tema imperiale e alla società tradizionale della Cina45. La prima decade del

suo regno fu guidata abbastanza bene poiché fece affidamento su statisti esperti per perseguire obiettivi modesti. Ma negli anni centrali il suo primo ministro, Yu Minzhong, non osava mai essere in disaccordo con lui, e Qianlong assunse un ampio ruolo personale nel prendere decisioni politiche. Nei suoi ultimi anni Qianlong cadde sotto l'influenza del suo

43 Ivi, pp. 265 – 269.

44 Durante il governo di quest‘ultimo la funzione della burocrazia restò del tutto invariata. Al centro, gli affari giornalieri erano gestiti da dei consiglieri o ministri, che godevano di un‘autorità limitata perché i funzionari provinciali di grado superiore rispondevano direttamente all‘imperatore, Qianglong continuò la politica consolidata di fare tali nomine senza distinzione tra Cinesi e Mancesi. Durante il regno e sotto il suo patronato, le arti e la letteratura prosperarono. Lo stesso imperatore praticava la pittura e la calligrafia. Sosteneva di essere un arbitro del gusto, chiedendo che i quadri della collezione imperiale gli fossero mostrati così che lui avrebbe potuto approvarli con le proprie iscrizioni e sigilli. Tra gli artisti che approvò vi fu il gesuita italiano Giuseppe Castiglione, che diventò pittore di corte. Per la stessa ragione scrisse prosa e poesia, lasciando circa 42.000 versi che gli sono stati attribuiti. Commissionò grandi iniziative accademiche, delle quali la più ampia fu il Siku quanshu, la Biblioteca completa delle quattro branche

della letteratura, compilata tra il 1773 e il 1782. J. A. G. Roberts, op. cit., pp. 270 – 271.

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favorito, Heshen46, e tutta la parvenza di mettere in pratica ciò che gli era

stato insegnato sembrò svanita. Tuttavia la sua abdicazione nel 1796, un gesto di rispetto verso il nonno, la lunghezza del cui regno non desiderava superare, fu una notevole conferma della continua forza del concetto di un monarca confuciano. Sotto Qianlong l‘impero Qing acquisì la massima estensione. Nel 1800 l'Asia interna cinese comprendeva quattro aree

principali: la Manciuria, la Mongolia, il Xinjiang e il Tibet47. Jiaqing aveva

assunto una pesante eredità. La corruzione di Heshen aveva invaso tutti i rami dell‘amministrazione. La ribellione del Loto Bianco era diventata una cancrena che corrodeva l‘impero. Le forze imperiali al comando dell'onesto generale manciù Eldemboo impegnarono ancora quattro anni per reprimerla.

Quando nel 1803 tutto fu finito si presentò il problema delle smobilitazione

dell'esercito. Ma la fine del Loto Bianco non diede pace all‘l'impero48. Nel

1813 scoppiava la congiura della setta della Legge Celeste. Un gruppo di

46 Heshen sfruttò la sua alta posizione e la fiducia dell‘imperatore per riempire gli uffici di corte con proprie creature e per ammassare enormi ricchezze. Sotto la sua egida la corruzione e la venalità dei funzionari dilagarono sfrenate come sotto gli ultimi Ming. Dopo la morte dell‘imperatore Heshen fu subito arrestato e costretto al suicidio, la sua enorme sostanza fu confiscata. É stato spesso sostenuto che il suo rapporto con imperatore fosse del tipo omosessuale, se bene non sia stato mai provato. G. Tucci, op. cit., pp. 1079 – 1080.

47 J. A. G. Roberts, op. cit., pp. 269 – 280.

48 L'insurrezione ebbe luogo negli anni 1796 - 1804 nella regione montuosa di confine tra l'Hupei, lo Szechwan e lo Shensi, area relativamente inaccessibile tra il corso superiore del fiume han e le gole dello Yangtze. Una migrazione dei coloni poveri delle pianure affollate aveva creato in questa zona nuove comunità che riuscivano stentatamente a sopravvivere sul suolo montuoso e brullo. Il malcontento, suscitato evidentemente dalle esazioni di piccoli collettori fiscali, trovò la sua espressione sotto la guida di uomini che si richiamavano all'antica Società del Loto Bianco. Questo culto religioso, che era stato attivo nel tardo periodo Yuan e nel periodo Ming, prometteva ora ai suoi seguaci l'avvento del Buddha, la restaurazione dei Ming e la salvezza personale dalle sofferenze in questo mondo e nell'altro. Durante i primi anni l'insurrezione non fu che una lotta inconcludente tra le male organizzate bande ribelli e le inefficienti forze imperiali inviate a reprimerle. Le due parti si batterono per il controllo dei villaggi di montagna e quindi per il nerbo del potere militare locale, i rifornimenti di uomini e materiali. La repressione della ribellione, dopo che le due parti combattenti ebbero devastato per parecchi anni la regione, mostrò molti elementi classici. Anzitutto, fu necessario ristabilire la disciplina e il morale delle bandiere, e ciò fu possibile solo quando l'imperatore Qianlong cominciò realmente a esercitare il potere, nel 1799, appoggiando i più energici comandanti manciù, come il generale E-le-teng-pao, un rude soldato della Manciuria che non conosceva il cinese. La vittoria del governo era stata ottenuta con l'impegno di circa 300.000 uomini della milizia locale, che successivamente si dovette cercare di disarmare. La ribellione del Loto Bianco, pur protraendosi per nove anni, rimase sempre una congerie di bande vaganti e non costruì una amministrazione governativa, né rivendicò un titolo dinastico contro il potere dei Qing. J. -K. Fairbank, E. –O. Reischauer, A. –M. Craig, op. cit., pp. 134 – 135.

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duecento congiurati penetrò perfino nel palazzo imperiale, e si dovette soprattutto al coraggio del principe Min-ning se essi poterono essere respinti; la ribellione contemporaneamente iniziata nel Hunan fu repressa in breve tempo. La repressione sanguinosa di queste rivolte a sfondo sociale provocò il lento risorgere di un sentimento nazionale cinese e dell'odio contro i manciù, considerati di nuovo come l'oppressore straniero. Jiaqing era un uomo onesto e animato di buone intenzioni, che tentò di ridurre le spese e di introdurre economie spesso fuori luogo; ma non aveva l'energia sufficiente per stroncare la corruzione e meno che meno per introdurre delle riforme49.

L'imperatore rinunziò alla grande politica imperiale dei suoi avi, per la quale l'impero non aveva più i mezzi né le forze; nessuna guerra esterna fu

più intrapresa50. La chiusura della Cina verso l'esterno era diventata ormai

completa dopo l'espulsione di tutti i missionari, anche di quelli fino ad allora impegnati nel servizio imperiale. Intanto gli interessi commerciali europei a Canton crescevano in modo tale che un intervento decisivo dei governi occidentali era da attendersi prima o poi. Ma ciò non veniva neppure sospettato a Pechino, dove il disprezzo per gli europei era uguagliato solo dall'ignoranza sui loro mezzi di guerra.

Daoguang, secondogenito di Jiaqing, dovette pagare per le omissioni ed i peccati dei suoi avi. Nel suo regno cominciò la fine della vecchia Cina, ma la colpa non fu sua, se non in minima parte. Come suo padre, egli era un uomo modesto, frugale e lavoratore, ma tradizionalista, timido e senza larghe vedute. I suoi primi anni furono abbastanza tranquilli all'interno. Il fermento che aveva contrassegnato il regno precedente sembrava essersi calmato. Il problema finanziario ed economico era sempre più assillante. La popolazione era in continuo aumento, ma il livello di vita si abbassava,

49 G. Tucci, op. cit., p. 1081. 50 Ibidem.

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le entrate erano insufficienti, ed una riforma del monopolio del sale,

sebbene avesse buon successo, fu insufficiente a colmare il deficit51.

Nel frattempo i commercianti inglesi avevano diffuso largamente nella Cina meridionale l'uso dell'oppio, importato dall'India. Oltre a minare la salute pubblica, l'oppio, pagato in argento, rappresentava una forte passività sulla bilancia commerciale. Tentativi di ovviare a questo stato di cose diedero l'ultima spinta alla frana, provocando l'intervento armato europeo e, a lunga scadenza, il crollo della vecchia Cina52.

51 Ivi, p. 1082.

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I.4. Guerra dell‘oppio

Tra il 1839 e il 1842 la Cina combatté la Prima guerra dell'oppio con la Gran Bretagna. Essa fu conclusa dal trattato di Nanchino, il primo di quelli

che sarebbero stati descritti come i ―Trattati Ineguali‖53. La prima

preoccupazione della dinastia Qing nei suoi rapporti esteri fu la protezione della frontiera dell'Asia Interna. Un passo verso il suo raggiungimento fu la legalizzazione del commercio delle giunche che si era sviluppato tra la Cina e l'Asia sud orientale. Poiché la maggior parte era nelle mani di mercanti cinesi, o almeno di persone che navigavano su giunche cinesi, ciò non coinvolse i rapporti diretti con Stati stranieri. La stessa politica fu applicata al crescente traffico con la Gran Bretagna, che parimenti non implicava un contatto diretto con una potenza straniera poiché il commercio era gestito per la parte inglese dalla Compagnia delle Indie Orientali. Cionondimeno, esso comportava qualche rischio per la sicurezza, come la crescita della pirateria e l'intrusione dei missionari occidentali. Il traffico marittimo si era sviluppato al di fuori dei rapporti tributari ed era soggetto ad un controllo separato. Tutto il commercio estero, compreso quello delle giunche e quello con l'Europa, era limitato da ciò che è

diventato noto come il Sistema di Canton54. A partire dalla fine del XVIII

53 Il trattato di Nanchino fu il primo di una serie di accordi fatti tra la Cina e gli Stati dell'Occidente ed esso ne prefigurava di simili conclusi dalle potenze occidentali con il Giappone, la Corea, il Vietnam e la Thailandia. Tali intese sono collettivamente conosciute come i "Trattati Ineguali" perché apportavano benefici all'Occidente, senza offrirne di reciproci tra gli Stati asiatici che erano costretti a ratificarli. Essi avevano quattro aspetti caratteristici: l'apertura di porti secondo accordo al commercio costituiva la residenza straniera; l'assegnazione della extraterritorialità, che sottraeva gli stranieri dalla giurisdizione delle corti cinesi; la determinazione di dazi doganali esterni che diventò noto come la "clausola della nazione più favorita", un articolo che garantiva che anche se dopo la ratifica del trattato la Cina avesse conferito privilegi aggiuntivi a un altro stato, essi si sarebbero accomodati su quello occidentale che aveva ottenuto per primo l'accordo. J. A. G. Roberts, op. cit., p. 331.

54 Il sistema Canton limitava i porti in cui i commercianti europei potevano fare degli affari con la Cina. Era proibito qualsiasi commercio diretto tra mercanti europei e civili cinesi. Il sistema di Canton era basato sulla logora teoria

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Secolo alcuni avvenimenti minacciarono la continuazione dell'indirizzo politico mancese verso il commercio marittimo. La pirateria, spesso

collegata all'attività di Società Segrete55, era diventata un problema grave e

la sua repressione costituiva in quel momento la maggiore preoccupazione sia per la corte che per i funzionari provinciali. Un nuovo timore riguardava il contrabbando di oppio in Cina. Il suo valore come medicina era conosciuto in questo paese da tempo, ma fu solo durante il regno di Yongzheng che il pericolo del suo uso come droga, che provoca assuefazione, fu riconosciuto e la vendita e il consumo resi illegali. Dal 1773 la Compagnia delle Indie Orientali fu coinvolta nella coltivazione del papavero da oppio sui suoi territori in India. Dopo la lavorazione, la droga era spedita in Cina, non a bordo di proprie navi, ma di quelle gestite da mercanti privati che agivano tra l'India e questo paese, che diventarono noti come " mercanti del paese"56.

Le difficoltà per gli stranieri e la corruzione nel porto di Canton sono un dato di fatto, ma secondario rispetto a un motivo di scontento ben più essenziale per i commercianti inglesi e in primo luogo per la Compagnia delle Indie Orientali: la Cina era un paese scarsamente importatore e prevalentemente esportatore di prodotti di lusso e di tè, la cui richiesta in Inghilterra andò progressivamente aumentando a partire dalla metà del

secondo la quale i paesi stranieri potevano stabilire con la Cina solo rapporti tributari. J. -K. Fairbank, E. –O. Reischauer, A. –M. Craig, op. cit., pp. 147 – 148.

55 Laddove nella Cina settentrionale le sette religiose associate al Loto Bianco erano la forma più comune di attività clandestina ed eterodossa, a sud quel ruolo era più comunemente interpretato dalle società segrete conosciute in Occidente come Triade e in cinese come Società del Cielo e della Terra e con molti altri nomi. È probabile che abbiano avuto origine da Taiwan alla fine del XVII secolo. Non vi era un'organizzazione centrale, ma ognuna di esse condivideva un'ideologia comune e un rituale simile. Il loro dichiarato obiettivo politico era di rovesciare i Qing e restaurare i Ming. Coloro che si univano alle logge della Triade erano sottoposti a completi rituali di iniziazione e diventavano membri di una fratellanza che nel suo aspetto positivo forniva un sistema di sostegno reciproco per molti il cui ambiente sociale, come braccianti e barcaioli e lavoratori di città disoccupati, non dava la sicurezza di una grande famiglia. Era anche una sorellanza, poiché le donne vi erano spesso reclutate. In tempi di pace le società segrete erano profondamente coinvolte in attività criminali, come associazioni di contrabbando o pirateria, più in generale occupazioni criminose organizzate. J. D. Spencer, The Search for Modern China, London, Hutchinson, 1990, p.169. 56 Dagli anni novanta del 1700 all'incirca 4000 casse d'oppio venivano spedite in territorio cinese ogni anno. Qui era usato come droga, e normalmente fumato con un pipa. Il pericolo del suo abuso fu riconosciuto dalla corte e nel 1796 la sua importazione diventò illegale. J. A. G. Roberts, op. cit., pp. 319-320.

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settecento. I prodotti esportati dalla Cina andavano pagati in valuta d'argento. Fortemente indebitata, la Compagnia delle Indie Orientali aveva bisogno di controbilanciare le importazioni di tè dalla Cina con l'esportazione lucrosa di altri prodotti. Per un certo periodo era ricorsa all'esportazione massiccia di cotone indiano, prodotto a bassissimo prezzo da manodopera sottopagata, ma questa risultò insufficiente, tanto più quando venne meno l'afflusso di argento dal Messico in seguito alla

rivoluzione americana57. La soluzione fu l'esportazione in Cina dell'oppio,

di cui la Compagnia deteneva il monopolio nel Bengala. La bilancia commerciale, che all'inizio dell'Ottocento era largamente favorevole alla Cina, intorno al 1830 si era già rovesciata pesantemente al suo sfavore58. Dai divieti di fumare oppio il governo cinese passò a misure dirette contro gli importatori per evitarne l'ingresso nel paese. Quando gli inglesi si rifiutarono di sottoscrivere un impegno a non importare più oppio in Cina salvo risponderne davanti a tribunali cinesi, il commissario imperiale Lin Zexu chiuse il porto di Canton al commercio straniero e indusse il governatore portoghese di Macao a espellere gli inglesi, rifiutando i loro

rifornimenti59. La tensione aumentò fino a quando alla fine del 1839

scoppiò la cosiddetta "guerra dell'oppio". La superiorità navale inglese ottenne facili e rapidi successi con la conquista dei forti dell'estuario Hsi-chiang, di Ning-po e di Shang-hai. L'imperatore, testardo ma avaro, non si decise in tempo utile né a fare la pace né a procurarsi i mezzi per condurre la guerra con decisione. La guerra dell'oppio si concluse il 29 agosto 1842 con una dura sconfitta per la Cina, ratificata nelle condizioni pesanti del trattato di Nanchino: oltre alla cessione di Hong Kong all'Inghilterra e al pagamento di un indennizzo di 21 milioni di dollari d'argento, l‘apertura

57

E. Masi, Breve storia della Cina contemporanea, Roma, Laterza, 1979, p. 11. 58 Ivi, p. 12.

59 Il funzionario Lin Zexu, inviato come commissario imperiale a Canton, confiscò e distrusse 20.283 casse d‘oppio appartenenti a commercianti inglesi. G. Tucci, op. cit., p. 1082.

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dei porti di Canton, Shanghai, Ningbo, Fuzhou, Amoy al commercio degli stranieri, col diritto per questi ultimi di residenza di consoli e di extraterritorialità, di aprire scuole e di acquistare terreni, e di accesso di navi da guerra; i diritti doganali cinesi furono limitati al 5%60. Con l'apertura dei porti un fiume di nuove idee penetrò in Cina. La geografia, la matematica, le scienze esatte vennero gradualmente rimodellate secondo i criteri occidentali. Letterati di valore della vecchia scuola, come Wei Yuan, non disdegnarono di prestare la loro opera a questo allargamento dello scibile tradizionale. Ma la maggior parte della burocrazia confuciana, incapace per formazione e per mentalità di adeguarsi ai tempi nuovi, continuò a mantenersi freddamente e sprezzantemente ostile.

L'aggressione anglo - francese61 nella cosiddetta Seconda guerra dell'oppio

(1856-1860), cominciata al Sud e poi combattuta nel Nord, si concluse con l'occupazione e il sacco di Pechino e l'incendio appiccato al Palazzo

d'estate (Yuan-Ming-yuan) per ordine di Lord Elgin62. La convenzione di

60 La guerra dell'oppio segnò il momento in cui l'Europa capitalistica per la prima volta aggredì direttamente l'impero cinese con un'azione militare a sostegno del banditismo economico. Fu l'inizio di un processo che contribuì alla disgregazione della società e dello Stato e alla bancarotta dell'economia cinese. Tuttavia la Cina non fu mai acquisita per intero nel mondo capitalistico porgesse. L'opera di colonizzazione intrapresa dall'Inghilterra, seguita da Francia, Germania, Russia, non arrivò a compimento in Cina, a differenza di quel che avvenne in gran parte dell'Asia, in Africa e in America Latina. E. Masi, op. cit., p. 14.

61 Nel 1854, l'Inghilterra, Stati Uniti e Francia cercarono di negoziare con Pechino una revisione dei trattati, col pretesto della applicazione della clausola della nazione più favorita: il trattato americano del 1844 doveva infatti essere riveduto dopo dodici anni; poiché il secondo trattato inglese del 1843 prometteva all'Inghilterra un trattamento egualmente favorevole, il primo trattato inglese del 1842 avrebbe dovuto essere riveduto nel 1854, e di conseguenza anche il trattato americano del 1844. Durante i negoziati che si svolsero a Canton, a Shangai e nei pressi di Tientsin, questa interpretazione letterale dei trattati non portò tuttavia ad alcun risultato. I negoziati furono respinti o elusi, mentre occasionali attacchi popolari contro gli occidentali sollevarono il problema del prestigio degli stranieri. Tutto ciò rimise discussione il vecchio problema: che tipo di relazione doveva prevalere tra la Cina e l'estero, quello cinese o quello occidentale? Convinto che il sistema dei trattati in Cina si sarebbe presto deteriorato se non fosse stato riaffermato ed esteso, Palmestron trovò infine una occasione nel 1856, quando l'insolente governatore generale di Canton Yeh Mingchen rifiutò di dare soddisfazione al console Harry Pakes per un insulto alla bandiera inglese, ammainata dalla polizia da una nave di proprietà cinese registrata a Hong Kong, l'Arrow. Nello stesso anno un missionario francese, catturato come sovversivo straniero fuori dei limiti stabiliti, in una zona percorsa dai ribelli, secondo la procedura giudiziaria cinese, fu torturato e poi messo a morte nel Kwangsi. L'episodio fornì al governo di Napoleone III una base di intesa con l'Inghilterra per attacare l'impero cinese. La spedizione anglo francese ebbe origine da questi incidenti abbastanza insignificanti, nei quali i diritti in questione erano accertamenti discutibili. Le vere motivazioni erano nondimeno chiare ma: si trattava di un conflitto di potenze per spartirsi le risorse dell'antico regno. J. -K. Fairbank, E. – O. Reischauer, A. –M. Craig, op. cit., pp. 195-197.

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