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L'esigenza cautelare di prevenzione speciale tra profili di strumentalità processuale e finalità sostanziali.

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INDICE

Pag.

Capitolo I

LE FINALITÀ di UNA MISURA ANTE IUDICATUM: UNA CORNICE STORICA E COSTITUZIONALE

1.1. LA “RATIO” DELLA CUSTODIA PREVENTIVA PRIMA

DELL’ENTRATA IN VIGORE DELLA COSTITUZIONE ... 6

1.1.1.Una lettura inquisitoria dell’istituto ... 6

1.1.2.Il passaggio a idee di matrice illuministica e liberale ... 7

1.1.3.L’avvento del regime fascista e una concezione maggiormente autoritaria ... 11

1.1.4.Lineamenti normativi del codice Rocco ... 14

1.2. LA CUSTODIA PREVENTIVA DOPO L’ENTRATA IN VIGORE

DELLA CARTA COSTITUZIONALE ... 20

1.2.1.L’art. 13 Cost. e l’ inviolabilità della libertà personale ... 20

1.2.2.L’art. 13 Cost. e il c.d. “vuoto dei fini”: alcune teorie a confronto ... 22

1.2.3.L’art. 27 Cost. e la tutela della c.d. presunzione di non colpevolezza ... 24

1.2.4.L’art. 27 Cost. parametro di legittimità costituzionale della custodia preventiva ... 27

1.2.5.La finalità di prevenzione speciale e l’art. 274 lett. c) ... 30

1.2.6.La c.d. presunzione di non colpevolezza nel limbo tra “essere” e “dover essere” ... 34

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2 Capitolo II

L’ESIGENZA CAUTELARE di TUTELA DELLA COLLETTIVITÀ DALL’ENTRATA IN VIGORE DELLA

CARTA COSTITUZIONALE AD OGGI

2.1. IL PERIODO DEL C.D. “GARANTISMO INQUISITORIO”: DAL

1944 AL 1974.………...38

2.1.1.La legge n. 517/ 1955 ... 38

2.1.2.Un’ambigua apertura a favore della finalità preventiva della “pericolosità processuale” ... 41

2.1.3.Conferme giurisprudenziali e legislative degli anni seguenti ... 47

2.1.4. Alcune smentite del legislatore e della Corte Costituzionale ... 50

2.1.5.La necessità di un nuovo codice di procedura penale ... 53

2.1.6.La legge delega n.108 del 1974 ... 56

2.2. LA LEGISLAZIONE C.D. DI EMERGENZA ... 59

2.2.1. La legge n. 152/1975 : la c.d. “Legge Reale” ... 59

2.2.2.La Legge Reale al vaglio della Corte Costituzionale: la sent. n. 88/1976 ... 61

2.2.3. Il Progetto preliminare del 1978 ... 66

2.2.4.Le “esigenze di tutela della collettività” nel Progetto preliminare del 1978 ... 70

2.2.5.Sent. n. 1/ 1980 della Corte Costituzionale: una sentenza interpretativa di rigetto? ... 72

2.2.6.L’apice della legislazione d’emergenza ... 76

2.3. LA STAGIONE DEL NUOVO CODICE DI PROCEDURA PENALE 79 2.3.1.Oltre l’emergenza ... 79

2.3.2.La legge delega n. 81/1987 ... 82

2.3.3.L’esigenza di tutela della collettività nel nuovo codice di procedura penale ... 87

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2.3.5.L’art. 275 comma III c.p.p.: una presunzione di pericolosità… 91

2.3.6. La sent. n. 265/ 2010: un ritorno alle garanzie? ... 94

Capitolo III LA PERICOLOSITÀ SOCIALE PRESUPPOSTO di UN INTERVENTO ANTE IUDICIUM 3.1. LA PERICOLOSITÀ SOCIALE E IL SUO RUOLO ORIGINARIO ALL’INTERNO DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ... 100

3.1.1.Il legislatore e la neutralizzazione della pericolosità ... 100

3.1.2.La pericolosità sociale nella storia e nella criminologia ... 102

3.1.3.La pericolosità sociale e le misure di sicurezza ... 106

3.2. PROBLEMATICHE VECCHIE E NUOVE IN RELAZIONE ALLA PERICOLOSITÀ SOCIALE ... 109

3.2.1.L’ammissibilità e l’accertamento della pericolosità sociale ... 109

3.2.2.L’accertamento e le presunzioni di pericolosità nel costrutto del codice penale del ’30 ... 110

3.2.3.La pericolosità sociale qualificata ... 115

3.2.4.Le difficoltà tecniche nell’accertamento della pericolosità ... 117

3.2.5.La c.d. “pericolosità situazionale” ... 120

3.2.6.Il fatto previsto dalla legge come reato ... 125

3.3. LA PORTATA ESPANSIVA DELLA PERICOLOSITÀ SOCIALE. 127 3.3.1.L’applicazione provvisoria di misure di sicurezza ... .127

3.3.2.Affinità tra applicazione provvisoria di misura di sicurezza e misure cautelari ... 132

3.3.3.La pericolosità sociale nell’art. 274 lett. c) ... 136

3.3.3.1.Gli elementi da cui desumere il concreto pericolo di reiterazione del reato ... 139

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3.3.4.La pericolosità sociale quale categoria sostanziale

irrinunciabile ... 145

Capitolo IV LA GIURISPRUDENZA di STRASBURGO E GLI ULTIMI INTERVENTI NORMATIVI IN MATERIA di MISURE CAUTELARI 4.1. LA CORTE DI STRASBURGO E LA DISCIPLINA DELLE MISURE CAUTELARI ... 150

4.1.1.La Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e la libertà personale ... 150

4.1.2.La presunzione di innocenza nella Cedu ... 154

4.1.3.Le misure cautelari e la finalità di prevenzione alla luce della Cedu ... 157

4.1.4.Le disposizioni interne in materia di misure cautelari a confronto con la Cedu: il caso Pantano ... 169

4.1.5.La sentenza Torreggiani c. Italia ... 173

4.2. LA LEGGE N. 47/2015 IN MATERIA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI ... 177

4.2.1.All’alba di una nuova riforma... 177

4.2.2.Una maggiore rigidità nell’esigenza cautelare di prevenzione speciale ... 182

4.2.3.Il requisito dell’attualità ... 184

4.2.4.La non incidenza esclusiva della gravità del reato ... 189

4.2.5.L’autonoma motivazione cautelare ... 194

4.2.6.La giurisprudenza demolitoria della Corte Costituzionale ... 199

4.2.7.La nuova dizione dell’art. 275 III comma c.p.p. ... 205

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5 CONCLUSIONI………211 BIBLIOGRAFIA………..215 GIURISPRUDENZA………...225 ATTI PARLAMENTARI………230 RINGRAZIAMENTI………...231

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Capitolo I

Le finalità di una misura ante iudicatum:

una cornice storica e costituzionale.

1.1 La “ratio” della custodia preventiva prima dell’entrata in vigore della Costituzione.

1.1.1. Una lettura inquisitoria dell’istituto

Prima dell’entrata in vigore della Carta Costituzionale il nostro ordinamento non conosceva le garanzie che oggi prevediamo a tutela del diritto fondamentale della libertà personale, qualificato come

inviolabile dall’art.13 Cost.: ciò ha costituito <<un’importante

conquista in termini di civiltà giuridica, determinata dall’opera del Costituente, il quale ha inteso porre la persona umana al centro del nuovo ordinamento1>>. L’affermazione di un principio di inviolabilità della libertà personale ha comportato un definitivo abbandono delle logiche inquisitorie che per secoli avevano fatto la storia del nostro processo penale. In passato, l’esigenza di una detenzione preventiva era pressoché ritenuta non soltanto ordinaria, ma anche fondamentale ai fini di un corretto svolgimento del processo e di una efficace ricerca delle prove.

<<L’affare inquisitorio - afferma Cordero - esige lunghe clausure dove

i pazienti, macerati dall’attesa, diventino comodamente

manipolabili>>, si rivela essere così un <<espediente istruttorio, tale custodia è un ferro del mestiere; in un ambiente normale l’inquisito non confesserebbe2>>. La custodia preventiva nella koiné inquisitoria era dunque orientata, in modo prevalente, alla finalità di estorcere la verità dall’imputato, essendo questi ritenuto il mezzo di ricerca della

1 C. Fanuele, La libertà personale in AA.VV., Processo Penale e Costituzione, a cura

di F. R. Dinacci, 2010, Milano, p.209.

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prova più efficace e più sicuro. L’adozione di una logica inquisitoria comportava di ritenere che all’interno del processo si potesse ricostruire a 360° gradi la verità dei fatti, verità che, invece, un sistema accusatorio ritiene perduta al momento stesso del compimento del fatto. A tale logica ed esigenza era strettamente collegata la previsione di una durata indefinita della misura, in quanto si era soliti pensare che <<il paziente si cuoce da solo; appena sia infrollito al punto giusto, basta poco a smuoverlo; ad esempio lo inteneriscono dei manierismi falso-compassionevoli; o gli saltano i nervi ed esegue gesti autodistruttivi3>>. La previsione di tempi determinati non avrebbe garantito in ugual modo il risultato : <<È un animale confessante l’inquisito o almeno dev’esserlo, e siccome l’effusione suicida ripugna ai normali, bisogna stimolarla4>>. La dottrina inquisitoria dunque lasciava ampio spazio alla custodia preventiva, quale migliore espediente per ottenere una confessione; il soggetto infatti, secondo l’opinione dominante, se lasciato libero, non sarebbe stato “stimolato” in ugual modo a parlare. Dominava l’idea che la libertà dell’imputato durante il processo dovesse considerarsi un’eccezione anziché una regola, idea contro cui si schierarono Illuministi come Beccaria che, pur legittimando l’utilizzo della carcerazione preventiva, ritenevano che andasse subordinato ad una logica di necessità.

1.1.2. Il passaggio a idee di matrice illuministica e liberale.

Beccaria sosteneva che l’istituto della carcerazione preventiva poteva esser considerato sì tollerabile e legittimo, ma solo se contenuto nei limiti della necessità processuale. Volendosi lasciare alle spalle i meccanismi di torture inquisitorie, finalizzati all’ottenimento di una confessione, occorreva trovare nuove motivazioni che giustificassero

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F. Cordero, Procedura Penale, VIII edizione, 2006, Milano, p. 468.

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una limitazione della libertà prima della condanna. Gli illuministi credevano fortemente che un soggetto non potesse esser considerato reo prima della sentenza del giudice, cosicché i presupposti di una custodia preventiva dovevano esser cercati al di fuori di quelli che comportavano una identificazione tra imputato e colpevole. Beccaria nei suoi scritti afferma infatti che << la strettezza della carcere non può essere che la necessaria o per impedire la fuga, o per non occultare le prove dei delitti5>>. Essendo legittima solo se subordinata a tali finalità, si sviluppa di lì a poco il pensiero che la custodia preventiva prima della condanna dovesse esser ritenuta un’ingiustizia necessaria6 ai fini del processo.

Francesco Carrara, uno dei più autorevoli esponenti della Scuola Classica, rappresentante del pensiero liberale dell’800, nel tentativo di seguire il criterio della “stretta necessità” di matrice illuministica, individuava quattro ipotesi che legittimassero l’applicabilità di tale istituto:

a) per garantire al giudice la possibilità di <<interrogare l’imputato ad ogni bisogno dell’istruzione7

>>, necessità che terminava quando l’assunzione di prove orali si era conclusa; b) per giungere alla <<verità, togliendo all’imputato i mezzi di

subornare o intimidire i testimoni, o distruggere le vestigia e le prove del suo reato8>>, ragione che cessa quando ormai il processo si è perfezionato;

c) per motivi di <<sicurezza, affinché l’imputato non abbia potestà, pendente il processo, di continuare nei suoi delitti, specificando altresì che questa ragione non ha luogo quando

5 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di F. Venturi, 1965, Torino, p. 48. 6 F. Carrara, Immoralità del carcere preventivo in Opuscoli di diritto criminale, IV,

Lucca, 1874, p. 300.

7 F. Carrara, Immoralità del carcere preventivo in Opuscoli di diritto criminale, IV,

Lucca, 1874, p. 300.

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F. Carrara, Immoralità del carcere preventivo in Opuscoli di diritto criminale, IV, Lucca, 1874, p. 300.

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trattasi di reati commessi per una occasione o passione speciale che non offre i caratteri dell’abitualità9

>>;

d) per consentire l’esecuzione della pena ed evitare che <<il reo si sottragga alla medesima con la fuga10>>.

La lettera c) era quella che più sembrava stonare rispetto all’impianto illuministico dell’istituto: sembrava propendere maggiormente per esigenze di natura sostanziale, lasciando da parte le esigenze meramente processuali, mettendo conseguentemente in ombra il postulato di non colpevolezza dell’imputato, a cui la coscienza liberale aveva dichiarato di aderire. Nonostante tale sfasatura, il pensiero dominante riconosceva l’esigenza sia di riscontrare concretamente, di volta in volta, i presupposti legittimanti la custodia, sia che questi non fossero previsti in modo assoluto e che trovassero concreto riscontro nella realtà processuale, così da sottolineare in modo più stringente l’idea di una presunzione di innocenza dell’imputato. A ciò si collega anche la previsione contenuta nell’ultimo inciso della lett. c) che specifica che, oltre al timore del reiteramento del reato, è necessario valutare l’abitualità, la tendenza del soggetto: se il reato è stato compiuto in modo solamente occasionale non si giustificherà l’applicazione di una misura ante iudicatum.

Il codice del 1865, pur essendo gli approdi dottrinali molto garantisti nei confronti della posizione dell’imputato, aveva fatto un ampio ricorso alla custodia preventiva, la quale tuttavia per la prima volta iniziò ad assumere funzione cautelare, dovendo essere disposta solo laddove risultasse necessaria.

Il primo vero passo in avanti si ebbe soltanto con la l. 30 Giugno 1876 n.3183, dove si scelse di ancorare la limitazione della libertà personale al parametro della stretta necessità. Fu chiaro che il legislatore volesse fare una scelta a favore delle garanzie dell’imputato e di una

9 F. Carrara, Immoralità del carcere preventivo in Opuscoli di diritto criminale, IV,

Lucca, 1874, p. 300.

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F. Carrara, Immoralità del carcere preventivo in Opuscoli di diritto criminale, IV, Lucca, 1874, p. 300.

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eccezionalità della custodia preventiva, ma ancora molti erano gli arretramenti e gli atteggiamenti ostili di parte della dottrina, che invece sosteneva che la carcerazione dell’imputato dovesse essere la conseguenza diretta della fase istruttoria, nonché il corrispettivo di quei sospetti che il delinquente aveva causato alla società11.

Vi erano ancora sostenitori di una carcerazione preventiva a titolo meramente punitivo o esemplare, i quali si lamentavano non tanto delle ingiuste carcerazioni, quanto del fatto che le leggi in molti casi imponevano al magistrato di procedere a immediata scarcerazione12. Questa la teoria della Scuola Positiva che sosteneva la necessità di una restrizione della libertà personale anche al fine di placare l’allarme sociale: la misura doveva essere funzionale a impedire la commissione di reati, andando così a trascurare completamente la presunzione di innocenza, tanto promossa dalle correnti illuministiche. Queste diatribe tra le diverse scuole si mantennero fino al codice del 1913, che risultò pertanto essere il punto di approdo di due concezioni opposte. All’art. 312 del Codice si previde un mandato di cattura che esigeva sufficienti indizi, i quali, una volta venuti meno, imponevano al giudice una revoca della misura: il legislatore in tal modo sottolineava la volontà di subordinare l’operatività di quest’istituto a esigenze processuali e a chiari indizi di colpevolezza. Ci fu un chiaro segnale di volersi allontanare il più possibile dall’ equiparazione, fino ad allora operata, tra imputato e colpevole: si affermava che <<nessuno può esser ritenuto colpevole finché una sentenza irrevocabile non lo ha condannato>> e che la libertà personale <<deve essere limitata il meno possibile, ossia nella misura strettamente necessaria perché la giustizia non sia defraudata nei suoi legittimi intenti13>>. Queste parole risuonavano forti in un contesto dove, tuttavia, continuavano a convergere diverse concezioni e dove il codice di rito penale

11 V. Grevi, Libertà personale dell’Imputato e Costituzione, 1976, Varese, p. 29. 12 V. Grevi, Libertà personale dell’Imputato e Costituzione, 1976, Varese, p. 31. 13

L. Mortara , Discorso al Senato (5 Marzo 1912) in Commento al codice di procedura penale, a cura di Mortara, III, Torino, 1915, p. 153 .

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continuava ad esser uno strumento di tutela della difesa sociale contro il delitto. Non vi è dubbio che il codice del 1913 , nonostante dette luogo a delle soluzioni normative dai caratteri spesso ibridi, costituì il maggior punto di arrivo delle istanze liberali14. Sotto il profilo della disciplina della libertà personale il legislatore previde la scarcerazione per decorrenza dei termini imposti dalla legge, intervento normativo ancora una volta sintomatico della volontà di voler ancorare la custodia preventiva al soddisfacimento di esigenze processuali e non di una finalità preventiva che, in quanto tale, avrebbe continuato a sussistere anche dopo. Nonostante ciò il legislatore scelse di limitare l’operatività di tale previsione, rispondente alla finalità di allontanare la carcerazione preventiva dalla logica di repressione ante iudicatum, alla sola fase istruttoria. Pertanto, una volta approdati al dibattimento, il giudice avrebbe potuto nuovamente applicare una custodia svincolata da limiti temporali e, di conseguenza, dai criteri di stretta necessità, recuperando ancora una volta quella logica punitiva ante iudicatum15.

1.1.3. L’avvento del regime fascista e una concezione maggiormente autoritaria.

Il codice del 1913 rappresentò un punto di approdo normativo che non ebbe molta fortuna. Il motivo maggiore di tale sorte fu l’avvento del regime fascista, che mutò significativamente i rapporti tra Stato e individuo. In breve tempo l’attenzione a livello processuale si spostò dalle istanze liberali alla necessità di <<affermare la prevalenza, in ogni caso, degli interessi collettivi impersonati dallo Stato, su quelli eventualmente in contrasto dei singoli individui16>>. Il regime

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V. Grevi, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, 1976, Varese, p. 13.

15 V. Grevi, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, 1976, Varese, p. 12. 16 U. Aloisi, Gli studi di diritto penale e processuale penale in Italia nel ventennio

fascista in Il pensiero giuridico italiano (Bibliografie del ventennio), Roma, 1941, p. 22.

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influenzò il nuovo codice che, venuto alla luce nel 1930, presentava una matrice autoritaria ben accentuata, in particolare in alcuni settori come la disciplina della libertà personale. Secondo quanto risulta dalla Relazione sul progetto preliminare del Codice di procedura penale due erano i principi a cui doveva ispirarsi tale settore: <<da un canto al principio della più inflessibile severità per gli immeritevoli d’ogni riguardo e, dall’altro, a quello di una illuminata umanità per coloro verso i quali, per particolari condizioni personali o per le circostanze del fatto, l’equità consiglia un trattamento più mite17

>>. L’avvento del regime fascista volle così segnare la fine delle istanze liberali e uguagliatrici provenienti dalla Rivoluzione Francese , promuovendo invece l’idea di subordinare la tutela della libertà a parametri discrezionali quali le condizioni individuali e sociali. Due furono gli interventi del codice Rocco sulla carcerazione preventiva: in primo luogo si stabilì un automatismo per cui, alla presenza di determinate imputazioni ritenute particolarmente gravi, vi era un obbligo di custodia in carcere, ottenendo in tal modo, al fine di far prevalere una tutela delle esigenze di difesa sociale, un concetto di pericolosità sociale agganciato a fattispecie astratte e svincolato da un accertamento in concreto; in secondo luogo si abrogò l’istituto della scarcerazione per decorrenza dei termini, ritenendo assolutamente ingiustificato la previsione di termini massimi per la restrizione della libertà personale, che non punivano tanto l’inerzia del magistrato quanto l’interesse pubblico. Si sviluppa così l’idea della prioritaria importanza di tutelare la difesa della collettività a scapito delle esigenze individuali del soggetto, tanto che il regime fascista segnò il punto di maggior allontanamento dall’idea liberale secondo cui la libertà personale poteva esser limitata solo in presenza di esigenze strettamente necessarie agli scopi del processo. Tornarono fortemente in auge le idee della Scuola Positiva, venne abbandonata l’ipotesi di

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una presunzione di innocenza e si posero alla base della carcerazione preventiva esigenze di difesa sociale. Ponendosi l’obiettivo di arginare la commissione di ulteriori delitti e volendo prevenire la pericolosità sociale del soggetto, si evidenziò una stretta affinità tra le misure di sicurezza e la custodia preventiva, tanto da soprannominare quest’ultima <<misura di sicurezza processuale18

>>, idonea a isolare il soggetto ritenuto pericoloso, pur in assenza di un accertamento definitivo della colpevolezza.

Nonostante ci fosse chi, durante gli anni del fascismo, continuasse ad evidenziare l’importanza, ai fini dell’applicazione della custodia preventiva, di esigenze di carattere meramente processuale, tese a soddisfare bisogni istruttori o a garantire l’esecuzione della pena, è indubbio come questo periodo storico abbia segnato la rivalsa e la preponderanza di finalità di tipo sostanziale. Evidenti erano i vantaggi che venivano fuori da tale applicazione dell’istituto: non solo si raggiungeva un risultato intimidatorio, che persuadeva ad astenersi dal porre in essere condotte criminose attraverso l’espiazione di un’ esecuzione esemplare, ma si otteneva altresì un effetto sedativo, in quanto la restrizione della libertà personale del soggetto risultava essere particolarmente efficace a ripristinare il senso di sicurezza nei cittadini e a placare i loro bisogni di vendetta19. In questa prospettiva si può affermare che la custodia preventiva trova giustificazione nelle esigenze politico-sociali di difesa della società e che alcuni degli scopi che persegue si sovrappongono agli scopi propri di alcune misure appartenenti al diritto penale sostanziale. Possiamo notare che la scelta di far aderire la custodia preventiva a logiche autoritarie di protezione e sicurezza della società ha influenzato a lungo l’operatività di questo istituto. A tal proposito, particolarmente interessante è l’affermazione di Cordero, il quale sostiene che <<le macchine repressive sono meno riformabili degli Stati, perché toccano un metabolismo sociale

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V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale, III, 1931, Torino, p. 476.

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profondo20>>. Risultò difficile negli anni successivi andare a scardinare un istituto da presupposti che a lungo gli consentirono, anche a danno di esigenze di legalità e di rispetto dei diritti dell’imputato, di dare ampie garanzie alla collettività e di placare gli animi dell’opinione pubblica. Finalità di prevenzione connotano spesso istituti come questi e, nonostante le aperture verso un maggiore garantismo, risulta periodico il ritorno ad esigenze giustizialiste da cui difficilmente si riesce ad allontanare il pensiero della collettività. E’ innegabile infatti come gli istituti giuridici possano risultare il frutto di stratificazioni storiche, delle quali talvolta può esser negato il perdurante valore positivo, mentre talaltra ciò non è possibile, trattandosi di concezioni ed idee ben insite nella coscienza della collettività21.

1.1.4. Lineamenti normativi del codice Rocco

Se nel codice Rocco prevalse la concezione autoritaria, dobbiamo vedere come questa andò specificatamente a delineare la disciplina della libertà personale dell’imputato. Tra i molti interventi normativi, chiaro segno della subordinazione dell’interesse individuale a quello statale fu l’assegnazione al Pubblico Ministero del potere di disporre la carcerazione preventiva, allora gerarchicamente e strettamente subordinato all’Esecutivo, allontanando in tal modo l’operatività dell’istituto da esigenze di garanzia e imparzialità.

I provvedimenti restrittivi della libertà trovavano il loro spazio all’interno del libro dell’ “istruzione”, essendo questa la fase dove <<lo status naturale dell’imputato era quello detentivo, costituendo la carcerazione preventiva il mezzo attraverso cui il giudice istruttore o il pubblico ministero si assicuravano uno spazio incontrastato

20 F. Cordero, Procedura Penale, VIII ed., 2006, p. 471. 21

G. Vassalli, Libertà personale dell’imputato e tutela della collettività, in Giust. Pen., 1978, I, p. 6.

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nell’attività di ricerca della prova, non ultima, della prova che poteva discendere dall’apporto confessorio del detenuto22

>>. Tuttavia, ciò non significa che l’istituto non potesse trovare applicazione anche in seguito al rinvio al giudizio, ma semplicemente che l’utilità del mandato di cattura fosse massima nello stadio dell’istruzione preparatoria. Nel costrutto del codice la custodia preventiva si risolveva sostanzialmente in un provvedimento formale dell’autorità giudiziaria, che poteva assumere la forma del mandato o dell’ordine di cattura, a seconda che fosse emesso dal Pubblico Ministero o dal Giudice Istruttore, a cui conseguiva una restrizione della libertà illimitata, dal momento che venne abolita la scarcerazione per decorso dei termini. Gli art. 253 e 254 del Codice Rocco elencavano rispettivamente le ipotesi di una cattura obbligatoria e facoltativa, mentre l’art. 252 stabiliva i sufficienti indizi di colpevolezza, quale requisito comune a entrambe le fattispecie. L’accusa che subito venne rivolta al codice Rocco fu quella di agnosticismo: in primo luogo subordinava la custodia preventiva a un requisito vago quale i sufficienti indizi di colpevolezza, il medesimo richiesto per disporre un ordine di accompagnamento o comparizione, non prevedendo dunque alcun requisito più grave e stringente per procedere a una restrizione della libertà personale; in secondo luogo, “dimentico” delle esigenze strettamente necessarie al processo dell’età liberale, svincolava l’operatività dell’istituto dalla presenza di scopi definiti, lasciando così un’ampia discrezionalità all’Autorità procedente.

Ai sensi dell’art. 253 la cattura è obbligatoria quando si tratta <<1) di delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a dieci anni, o una pena più grave; 2) di omicidio volontario consumato o tentato, di lesioni personali volontarie gravi o gravissime, di rapina, di estorsione o di sequestro di persona a scopo di rapina o di

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E. Marzaduri, voc. Misure cautelari personali (principi generali e disciplina), in AA.VV., Digesto delle discipline penalistiche, 1994, Torino, p. 61.

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estorsione; 3) di ogni delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni o una pena più grave. Deve esser parimenti emesso il mandato di cattura contro l’imputato di delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione, quando l’imputato è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza o si trova nelle condizioni richieste dall’art. 102 del codice penale per la dichiarazione di abitualità nel delitto, ovvero è assegnato a una colonia agricola o ad una casa di lavoro o sottoposto a libertà vigilata23 >>.

Le ipotesi elencate all’interno dell’art. 253 appaiono prive di una coerenza interna e giustificano la limitazione della libertà personale, anche in assenza di qualsiasi prospettiva teleologica, alla sola presenza di sufficienti indizi di colpevolezza per reati particolarmente gravi24. Il legislatore ha operato una selezione di fattispecie in base alla ritenuta gravità, ma se per alcune di esse si può operare un giudizio di gravità oggettiva o si può desumere questo dalla particolare gravità edittale della pena prevista, difficilmente si potrà fare lo stesso ragionamento per quello che riguarda l’ultimo inciso della disposizione. Mentre nella prima parte della disposizione il legislatore sceglie di ancorare ad alcune fattispecie una presunzione assoluta di pericolosità, la scelta finale dell’art. 253 sembra aprire ad un ampia operatività dell’istituto, consentendolo per qualsiasi delitto non colposo per cui è prevista la pena della reclusione e subordinandolo soltanto a un grado di sospetto e pericolosità gravante sull’imputato. In ogni caso risulta evidente la volontà di rendere prioritaria l’esigenza di tutela della collettività e di placare l’allarme sociale, rispetto agli interessi individuali del singolo. L’applicazione della custodia preventiva in base all’art. 253 si traduceva in una restrizione senza tempo, dal momento che, non

23 Il nuovo Codice Penale e di Procedura Penale, Roma, 1931. 24

E. Marzaduri, voc. Custodia Cautelare nel diritto processuale penale, in Digesto delle discipline penalistiche, p.284.

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essendo concedibile per queste ipotesi nemmeno una libertà provvisoria, la carcerazione poteva venir meno solo per una modifica del titolo di reato o per la sopravvenuta mancanza dei sufficienti indizi di colpevolezza. La stessa concezione autoritaria sta alla base della stesura dell’art. 254, il quale afferma che può esser disposta la cattura quando si tratta <<1) di delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a un anno o nel massimo a tre anni; 2) di delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione, quando l’imputato è stato più di due volte condannato per delitto non colposo o è stato altra volta condannato per delitto della stessa indole, ovvero non ha residenza fissa nel territorio dello Stato o risulta che si è dato o è per darsi alla fuga; 3) di delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a cinque anni; 4) di contravvenzione per la quale la legge stabilisce la pena dell’arresto, quando l’imputato è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero contravventore abituale o professionale. Il giudice nel decidere se debba valersi della facoltà di emettere il mandato di cattura, deve tener conto delle qualità morali e sociali della persona e delle circostanze del fatto25>>. Dalla lettura della norma emerge chiaramente come, oltre alla eterogeneità delle ipotesi per cui può esser disposto un mandato di cattura facoltativo, vi sia un’enorme discrezionalità dell’Autorità Procedente. Nella totale assenza di finalità della custodia preventiva, il Giudice Istruttore o il Pubblico Ministero dovranno operare un giudizio che tenga conto delle circostanze del fatto, nonché delle condizioni sociali e morali della persona26. Tale previsione se da un lato sembra richiamare l’idea di differenziare il trattamento dei soggetti in base alle loro differenti condizioni sociali e personali, dall’altro

25 Il nuovo Codice Penale e di Procedura Penale, Roma, 1931. 26

E. Marzaduri, voc. Custodia cautelare nel diritto processuale penale, in Digesto delle discipline penalistiche, 1989, Torino, p.284.

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appare privo di un significato preciso. Per risolvere questa problematica la Giurisprudenza iniziò a riempire di contenuto il giudizio richiamato dall’ultimo inciso dell’art. 254 attraverso i parametri previsti dall’art. 133 del codice penale riguardo la capacità a delinquere del soggetto. Si diffuse infatti la tendenza di <<assumere lo schema dell’art. 133 c.p. come modello per l’espletamento delle valutazioni imposte dall’art. 254 II comma c.p.p.: le quali vengono, quindi, convogliate su binari di diritto sostanziale, riducendo il tutto a una prognosi sulla pericolosità criminale dell’imputato che fosse lasciato in libertà, con l’effetto di una completa svalorizzazione del profilo della cautela processuale27>>. In tal modo sembra chiaro come la necessaria previsione di esigenze processuali, unica ragione di legittimazione della custodia preventiva, sia stata sostituita da un giudizio di pericolosità sociale dell’imputato.

Per completare il quadro della custodia preventiva nel Codice Rocco bisogna far riferimento alla disciplina della libertà provvisoria, la quale non può esser disposta nelle ipotesi indicate dall’art. 253. Ai sensi dell’art. 277 la disciplina della libertà provvisoria si caratterizza per presentarsi come un beneficio che può esser concesso all’imputato: essendo possibile disporre una custodia preventiva al di là di finalità espressamente tipizzate dal legislatore attinente al processo, tale norma non avrebbe mai potuto prevedere che, una volta venute meno le esigenze processuali, si dovesse necessariamente riespandere la libertà del soggetto28. Se poi leggiamo il combinato disposto degli art. 282 e 292 possiamo vedere come la finalità preventiva torni fuori anche in base alla disciplina della libertà provvisoria. Ai sensi dell’art. 282 infatti il giudice con l’ordinanza che concede la libertà provvisoria in ogni caso può <<vietare all’imputato di dimorare in un dato luogo ovvero può imporgli l’obbligo di dimorare in un determinato Comune,

27 V. Grevi, Libertà Personale dell’Imputato e Costituzione, 1976, Varese, p. 176. 28

G. Amato, Individuo e Autorità nella disciplina della libertà personale , 1967, Milano, p.367.

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lontano dai luoghi dove fu commesso il reato o nei quali il denunciante, il querelante o la persona offesa dal reato o alcuno dei suoi prossimi congiunti o lo stesso imputato ha residenza29>> e, ai sensi dell’art. 292, nei confronti dell’imputato che viola gli obblighi impostigli con l’ordinanza può essergli revocato il beneficio ed emesso mandato di cattura. Emerge chiaramente come la custodia preventiva, riemessa in seguito alla revoca del beneficio, sia concepita non solo allo scopo di evitare la fuga come espressamente previsto dall’art. 292 II comma, ma anche per assicurarsi che l’imputato non compia nuovi reati. Sarebbe altrimenti difficile spiegare il ripristino della custodia in favore del soggetto che abbia violato l’obbligo di dimorare in una dato luogo o di tenersi lontano dalla vittima30.

L’analisi delle disposizioni del codice Rocco rivela che nelle ipotesi dell’art. 253 l’automatismo della cattura obbligatoria, fondato su una presunzione legale di pericolosità, assorbe in sé il problema delle finalità della custodia preventiva31, mentre sia nelle ipotesi di mandato di cattura facoltativo sia in quelle di concessione della libertà provvisoria il magistrato ha un’operatività talmente ampia, da configurare il suo potere come equitativo, del tutto svincolato da condizioni e presupposti. Quella del codice del 1930 fu una chiara scelta di rimanere silente in ordine alle finalità della custodia preventiva, in modo da non incorrere in alcun limite e poter sempre assicurare la prevalenza degli interessi di sicurezza sociale della collettività e la conservazione dell’ordine politico del regime32.

29 Il nuovo Codice Penale e di Procedura Penale, Roma, 1931.

30 V. Grevi, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, 1976, Varese, p. 45. 31

L. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, 1996, Bari, p. 564.

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1.2. La custodia preventiva dopo l’entrata in vigore della Carta Costituzionale.

1.2.1. L’art. 13 Cost. e l’inviolabilità della libertà personale.

L’entrata in vigore della Costituzione segnò un evidente cambiamento di rotta rispetto ai precedenti approdi del Codice Rocco: si proponeva, infatti, l’obiettivo di ribaltare quel rapporto, tanto enfatizzato durante il periodo fascista, di subordinazione della libertà personale agli interessi istituzionali. La scelta del Costituente, indubbiamente pro libertate poteva esser adeguatamente compresa non tanto per mezzo di un generale richiamo a un principio di favor o di benignitas legis, ma attraverso il complesso delle rigorose garanzie che le norme costituzionali avevano predisposto33.

L’art. 13 della Carta Costituzionale, dettato in materia di libertà personale, non si limitò soltanto ad affermarne l’inviolabilità, ma previde anche la possibilità di procedere a una limitazione di questa solo in specifici casi e modi previsti dalla legge, andando a stabilire con quali limiti e presupposti l’autorità poteva utilizzare i propri poteri coercitivi.

La previsione dell’attributo “inviolabile” voleva così esprimere la volontà del Costituente di abbandonare le tradizioni del passato che subordinavano la libertà personale durante il processo a delle ipotesi di “bontà” residuale del giudice ed affermare la priorità giuridica di questa libertà rispetto ad ogni evenienza che poteva metterla in dubbio34. Da qui la necessità di prevedere al II comma dell’art. 13 Cost. un apparato di garanzie costituito da una riserva di legge, di giurisdizione ed un obbligo di motivazione: dal momento che la premessa era l’inviolabilità non si poteva far altro che subordinare la

33 V. Grevi, Libertà personale dell’Imputato e Costituzione, 1976, Varese, p. 22. 34

G. Amato, Individuo e Autorità nella disciplina della libertà personale, 1967, Milano, p. 369.

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limitazione della libertà a questa triplice ordine di garanzie. Il sacrificio della libertà personale dunque poteva avvenire solamente se disposto con un provvedimento motivato dall’autorità giudiziaria e solo nelle ipotesi e nei modi stabili dalla legge, tant’è che poi il legislatore, in apertura del libro IV del codice di procedura penale dell’88, all’art. 272 andò a sancire che <<le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo>>. Tale disposizione non solo andava a soddisfare tutti i criteri posti dalla Costituzione, ma riferendosi alle “libertà della persona” sottolineava come l’attenzione del legislatore non fosse più limitata alla sola libertà fisica intesa in senso stretto come libertà di movimento, ma anche alle ulteriori facultas che da essa discendono35. Diversi sono infatti gli orientamenti che si contrappongono riguardo il concetto di libertà: la stessa giurisprudenza costituzionale ha talvolta ritenuto che la libertà personale consista nell’assenza di coercizioni sul corpo36

, mentre talaltra sostiene che nella formula dell’art. 13 vi debba rientrare non solo la libertà fisica, ma anche quella morale37. Secondo quest’ultimo orientamento, fondato su una lettura estensiva del concetto di libertà personale, la norma costituzionale vuole andare a limitare in chiave eccezionale anche quelle misure che incidono sulle facoltà e sulla personalità morale del soggetto. <<Tuttavia, anche secondo l’orientamento più restrittivo, la mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale38>>.

35 C. Fanuele, Libertà personale in AA.VV., Processo Penale e Costituzione, a cura

di Filippo Raffaele Dinacci, 2010, Milano, p. 214.

36 In questi termini Corte Cost., sent. n. 471 del 22 Ottobre 1990, in Giur. It., 1991, p.

622.

37 In questo senso Corte Cost., sent. n. 419 del 7 Dicembre 1994, in Cass. Pen., 1995,

p. 509.

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C. Fanuele, Libertà personale in AA.VV., Processo Penale e Costituzione, a cura di Filippo Raffaele Dinacci, 2010, Milano, p. 215.

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1.2.2. L’art. 13 Cost. e il c.d. “vuoto dei fini”: alcune teorie a confronto.

L’art.13 della Costituzione, nonostante le garanzie previste al suo interno, lasciava aperto un problema di non facile risoluzione, tanto da venire accusato di esser caratterizzato da un c.d.“vuoto dei fini39”. Indipendentemente dalle interpretazioni restrittive od estensive del concetto di libertà personale, per lungo tempo l’opinione prevalente ritenne che l’art. 13 Cost. non soddisfacesse completamente le esigenze di tutela: il Costituente aveva sì sancito che non erano più consentite limitazioni della libertà ad opera di chiunque, ma al tempo stesso continuava ad essere possibile qualsiasi limitazione purché disposta dal giudice e prevista dalla legge. Per quali scopi dunque era consentito ed era lecito applicare una misura coercitiva? L’art. 13 della Carta Costituzionale su ciò rimaneva silente. Sul tema si erano già dibattute le dottrine degli anni precedenti: dai sostenitori di un sistema inquisitorio che ritenevano la custodia preventiva determinante ai fini dell’accertamento della verità, agli Illuministi che la ritenevano lecita solo per esigenze strettamente processuali, per arrivare infine alla dottrina autoritaria ai tempi del fascismo che la riteneva necessaria soprattutto per attuare scopi di difesa sociale e tutela della collettività. La Carta Costituzionale non aveva risolto questo problema perché, pur andando a porre una riserva di legge, aveva lasciato un c.d. “vuoto dei

fini”, che permetteva al legislatore una discrezionalità operativa e dava

luogo, al tempo stesso, ad ampie discussioni in dottrina. Singolare la posizione di coloro che ritenevano legittima la custodia preventiva per il suo contenuto essenzialmente etico, sostenendo che il soggetto, indipendentemente dal fatto che fosse colpevole o innocente, aveva il dovere di porsi a disposizione della collettività per contribuire alla giustizia, dovere che nei casi più gravi poteva ben configurarsi come

39

L. Elia, Le misure di prevenzione tra l’art. 13 e l’art. 27 della Costituzione , in Giur. Cost.,1964, p. 951.

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una privazione della libertà personale40. Questo l’orientamento della Scuola Positiva Italiana, la quale riteneva la difesa sociale la finalità dell’intero sistema penale e credeva che la custodia preventiva dovesse assolvere esigenze diverse, tra cui <<quelle di difesa sociale, cui deve sottostare l’imputato quale membro della società>>. Dicevano si trattasse <<di un problema di “limiti”, fra le esigenze individuali e quelle collettive, limiti che tendono a spostarsi a favore della collettività sociale, tanto più quanto va spostandosi nello stesso senso la mentalità moderna in tutti gli aspetti della vita e in quasi tutto il mondo41>>.

Coloro che invece si affidavano ad una lettura letterale e maggiormente garantista dell’art. 13 della Costituzione sostenevano che questa norma, tramite un’affermazione chiara dell’inviolabilità, voleva ribadire la priorità della libertà personale rispetto ad altri interessi che potevano ostacolarla. Ciò comportava di aderir nuovamente a quel criterio di stretta necessità di origine liberale- illuministica, un criterio che per la sua generalità continuava a lasciare incertezza, dovendo rimandare per ulteriori specificazioni alla volontà del legislatore o del giudice, seppur ora, a differenza del passato, poteva contare sull’enucleazione di un principio positivo contenuto all’interno della Carta Costituzionale42

. Secondo un altro orientamento la legittimità dell’istituto invece riposava nel fatto che il legislatore poteva prevedere ipotesi discrezionali di restrizioni di libertà <<purché strumentali al perseguimento di fini costituzionalmente espressi coincidenti con quelli della giustizia penale (art. 25 Cost.), dell’educazione minorile (art. 30 Cost.), della tutela riguardante la

40 A. Marucci, Polemiche vecchie e nuove sulla custodia preventiva, in Giur. It.,

1971, p. 147.

41 A. Marucci, Polemiche vecchie e nuove sulla custodia preventiva, in Giur. It.,

1971, II, p. 145.

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G. Amato, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, 1967, Milano, p, 374.

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salute43>>. Altro orientamento ancora riteneva invece che il legislatore potesse legittimamente perseguire anche finalità ulteriori, purché sempre tutelate in via costituzionale, come il perseguimento di obiettivi economici e fiscali, di giustizia civile e di sicurezza pubblica44. Il dato indubbio è che l’art. 13, così confezionato, lasciava spazio, oltre che a diatribe e discussioni, a una ampia discrezionalità del legislatore, che doveva individuare delle finalità, rispetto a cui la norma costituzionale non si era espressa, lasciando così scoperto quello che da anni era l’interrogativo di fondo riguardante il rapporto tra il processo penale e la libertà personale. In tale contesto, dal momento che la riserva di legge dell’art. 13 Cost. prescindeva dalla individuazione delle finalità per cui era possibile autorizzare le restrizioni, il c.d. “vuoto dei fini” andava colmato attraverso altri disposizioni della Carta Costituzionale e la soluzione fu individuata nell’art. 27 II comma.

1.2.3. L’art. 27 Cost. e la tutela della c.d. presunzione di non colpevolezza.

Francesco Carrara riteneva che la scienza processuale penale dovesse fare della presunzione di non colpevolezza <<la sua bandiera per opporla all’accusatore ed all’inquisitore, non al fine di arrestare i movimenti dei medesimi, ma al fine di restringere quei movimenti nei modi, incatenandoli in una serie di precetti che siano freno all’arbitrio, ostacolo all’errore, e per conseguenza protezione di quello individuo45>>.

43

C. Fanuele, La libertà personale in AA.VV., Processo Penale e Costituzione a cura di Filippo Raffaele Dinacci, 2010, Milano, p.217.

44 A. Barbera, I principi costituzionali della libertà personale, 1967, Milano, p.219. 45

F. Carrara, Il diritto e la procedura penale, in Opuscoli di diritto criminale,V, Prato, 1881, p.17.

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L’art. 27 II comma è la disposizione che inserisce nel nostro ordinamento la tutela della c.d. presunzione di non colpevolezza, sancendo che <<l’imputato non è considerato colpevole fino alla

condanna definitiva>>. Il Costituente ha scelto senza alcun dubbio una concezione normativa di tale principio: <<quale che sia>>, infatti, <<il convincimento che l’autorità giudiziaria precedente avrà potuto formarsi sulla scorta del materiale probatorio raccolto, l’imputato non dovrà esser considerato colpevole sino alla pronuncia della sentenza di condanna definitiva46>>. L’art. 27, tramite questa affermazione, diviene il limite attorno a cui ruotare la disciplina delle misure ante

iudicatum: se esiste un principio per cui si presume che l’imputato non

sia colpevole fino all’esito del processo, sicuramente la custodia preventiva non potrà sostanziarsi in una anticipazione della pena. Nonostante le discussioni sorte attorno alla formulazione di tale principio, non sembra senza significato la particolare scelta dell’Assemblea Costituente di optare per la formula negativa, anziché affermare una presunzione di innocenza: infatti solamente la presunzione di non colpevolezza pare consentire e legittimare entro determinati limiti l’applicabilità di un istituto come la carcerazione preventiva, che comporta una restrizione della libertà durante il processo47. Lo stesso Onorevole Giovanni Leone nel suo intervento all’Assemblea Costituente sottolineò come la presunzione di innocenza sarebbe stata <<di natura romantica>>, mentre la presunzione di non colpevolezza avrebbe potuto porsi come <<espressione di esigenze concrete>>, tanto che poteva essere letta come <<un’esigenza diretta a

delimitare la carcerazione preventiva in modo da evitare che un

46

E. Marzaduri, Accertamenti non definitivi sulla responsabilità dell’imputato ed attenuazione della presunzione di non colpevolezza, in Presunzione di non colpevolezza e disciplina delle impugnazioni, 2000, Milano, p. 215.

47

G. Amato, Individuo e Autorità nella disciplina della libertà personale, 1967, Milano, p. 379.

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cittadino, fino a quando non sia definitivamente dichiarato colpevole, possa veder ristretta la sua libertà personale48>>.

Molte furono le posizioni prese dalla dottrina riguardo il valore da attribuire al principio contenuto nell’art. 27 II comma Cost.: da una parte c’era chi voleva negargli un valore giuridico positivo e gli riconosceva solamente un valore politico oppure chi, pur riconoscendone una incidenza sulle prove e sul metodo decisorio del giudice, negava ogni rapporto di questo con gli istituti incidenti sulla libertà personale; dall’altra chi invece riteneva che la presunzione di non colpevolezza fosse idonea ad influenzare gli istituti riguardanti le restrizioni di libertà49. Tra i sostenitori di quest’ultima posizione possiamo poi differenziare tre diversi orientamenti: chi riteneva che il principio di cui all’art. 27 II comma dovesse meramente influenzare questi istituti; chi postulava una necessità di bilanciamento delle restrizioni della libertà con le esigenze nascenti da questo principio e, infine, chi riteneva che le funzioni e finalità esplicate dalla custodia preventiva non dovessero mai risultare in contrasto ed essere incompatibili con la presunzione di non colpevolezza. Quest’ultimo fu ritenuto l’orientamento vincente50

e maggiormente in linea con il dato costituzionale, tanto che da qui in avanti avrebbe dovuto influenzare l’operatività e l’applicabilità delle misure ante iudicatum. <<Orbene, che il Costituente nell’includere la tradizionale “presunzione di innocenza” tra i principi fondamentali della Costituzione in materia penale non abbia inteso vincolare in certa misura l’attività legislativa (e non solo questa) nel campo della libertà personale dell’imputato nel corso del processo, è tesi che a noi sembra decisamente

48 G. Leone , Atti dell’Assemblea Costituente, 1951, Roma, p. 2559.

49 Per i diversi orientamenti sul ruolo dell’art. 27 II comma Cost. vd. G. Vassalli,

Libertà personale dell’Imputato e tutela della collettività, in Giust. Pen., 1978, I, p. 9.

50 Per questa interpretazione v. G. Amato, Individuo e autorità nella disciplina della

libertà personale, 1967, Milano; v. anche E. Amodio, La tutela della libertà personale dell’imputato nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in Riv. It. Dir. Proc. pen.. 1967.

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insostenibile51>>. Nel campo della libertà personale questo principio trova la sua massima operatività: <<il limite “sino alla condanna definitiva” sancito nell’art. 27 Cost. collega la presunzione in modo strettissimo con il processo e le sue varie fasi, nelle quali appunto il tema della libertà personale dell’imputato si pone in modo preminente e addirittura drammatico52>>.

L’introduzione di questo principio all’interno del nostro ordinamento comportò la necessità di andar a vedere sulla base di quale ratio fosse consentito andare a limitare la libertà della persona, ratio che doveva rispettare il limite di non incorrere in una equiparazione tra imputato e colpevole fino alla condanna definitiva.

L’inserzione dell’art. 27 II comma nella Costituzione sembra così aver segnato un cambiamento ideologico forte dal punto di vista etico rispetto agli approdi autoritari del Codice Rocco, costituendo <<il prodotto di una scelta tra sistemi di valori, che rinvia a un tipo di organizzazione politica della società, orientata a privilegiare la protezione dell’innocente di fronte all’interesse collettivo alla repressione dei reati53>>.

1.2.4. L’art. 27 Cost. parametro di legittimità costituzionale della custodia preventiva.

La presunzione di non colpevolezza tutelata all’art. 27 Cost. diviene, insieme all’art. 13 Cost., parametro di legittimità costituzionale della custodia preventiva: in questo modo non avrebbe dovuto essere più possibile estendere l’operatività di tale istituto in modo da soddisfare esigenze di allarme sociale o altri interessi che presuppongono e danno

51 G. Vassalli, Libertà personale dell’imputato e tutela della collettività, in Giust.pen,

1978, I, p. 10.

52 G. Vassalli, Libertà personale dell’Imputato e tutela della collettività, in Giust.pen,

1978, I, p. 10.

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P.P. Paulesu, La presunzione di non colpevolezza dell’imputato, II, 2009, Torino, p. 8.

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già per accertata la colpevolezza del soggetto. In nessun caso la carcerazione dell’imputato, dice la Corte Costituzionale con la sent. 4/70, potrà andare a svolgere la funzione di anticipazione della pena, perché questo sarebbe contrario alla presunzione ex 27 II comma. Infatti, <<nell’art. 27, secondo comma, è espresso il principio fondamentale di civiltà e di giustizia che vieta di considerare colpevole, sotto qualsiasi aspetto e per ogni effetto, l’imputato prima della condanna definitiva, di guisa che il rispetto della presunzione di non colpevolezza, pur avendo una sua dimensione autonoma e ben più ampia, viene a riflettersi, in rapporto generale e permanente, sulle finalità ed i limiti del regime delle restrizioni della libertà personale dell’imputato nel corso del processo penale54

>>. L’applicazione di questo principio fa sì che si debba ritenere in contrasto con il dato costituzionale tutte quelle ipotesi di custodia comminata per destare l’allarme sociale, nonché per dar luogo a pratiche esemplari o intimidatrici, dal momento che si sarebbero potute giustificare soltanto se si fosse supposto la colpevolezza dell’imputato55. Del tutto inaccettabile infatti, alla luce della Carta Costituzionale, risulta la finalità c.d. “esemplare”, la quale è strettamente connessa a concetti di intimidazione e di prevenzione generale, che appartengono alla funzione della pena. Una restrizione della libertà inflitta a chi non sia colpevole, ma sia soltanto, in mancanza di un accertamento definitivo, soggetto a un imputazione, seppur con gravi elementi a carico, non potrà mai essere esemplare. <<Quale esempio può mai trarsi dalla sofferenza inflitta a persona che si è trovata ad essere oggetto di sospetto e di processo ma che potrebbe non essere colpevole?>>56 Considerazioni analoghe possono esser fatte riguardo la finalità di placare l’allarme sociale: alcuni gravi delitti possono indubbiamente

54 G. Canzio, La libertà personale nella legislazione dell’emergenza degli anni

1974-1980, in Giust. Pen., III, 1981, p.360.

55 G. Vassalli, Libertà personale dell’Imputato e tutela della collettività, in Giust.

Pen., 1978, I, p. 16.

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G. Vassalli, Libertà personale dell’imputato e tutela della collettività, in Giust. Pen. 1978, I, p. 16.

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destare insicurezza nella collettività, ma non risulta costituzionalmente legittimo reagire all’allarme sociale con l’applicazione di una misura

ante iudicatum, emessa senza aver condotto un accertamento definitivo

della colpevolezza. In tal modo saremo di fronte a una possibilità di restringere la libertà personale per una finalità propria della pena e della misura di sicurezza, ma non della carcerazione preventiva, dimentichi nuovamente del postulato di non colpevolezza dell’imputato.

Oltre ai loro profili di illegittimità costituzionale, si può ben apprezzare come possa essere pericoloso subordinare la libertà personale alla possibilità di soddisfare gli animi e i bisogni dell’opinione pubblica, in quanto si tratta di esigenze fondate su presupposti, quali il grado di impressione o di eccitamento della società di fronte al reato, del tutto svincolati da una logica di stringente legalità e tassatività, che si prestano ad esser facilmente manipolati e implementati dall’esterno. Per salvaguardare e in qualche modo giustificare la legittimità costituzionale della carcerazione preventiva in queste ipotesi “limite” parte della dottrina ricorreva ad un espediente : sosteneva che si dovesse rafforzare il rispetto di un’altra norma della Carta Costituzionale, ovvero l’art. 24, che sancisce come inviolabile il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento. Laddove la carcerazione preventiva venga giustificata sulla base di sospetti gravanti sul soggetto, per ragioni che quindi esulano dalle esigenze probatorie e processuali, vi è la necessità di qualificare il grado e la forza dei sospetti che consentano ciò. Attraverso questa teoria si tendeva ad ammettere una parziale equiparazione tra imputato e colpevole, a patto di rispettare e incrementare le garanzie dell’art. 24 della Costituzione57.

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G. Amato, Individuo e Autorità nella disciplina della libertà personale, 1976, Milano, p. 380.

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1.2.5. La finalità di prevenzione speciale e l’art. 274 lett. c).

Nel nostro panorama codicistico la limitazione della libertà personale

ante iudicatum è ammessa per esigenze processuali di carattere

probatorio, in modo da evitare che il soggetto possa inquinare la prova; per impedire il pericolo di fuga, affinché non sussista il timore che possa sottrarsi a un’eventuale futura condanna e, infine, per soddisfare esigenze di difesa sociale, in modo da prevenire che l’imputato possa commettere, durante il tempo del processo, nuovi ed ulteriori reati. Appare abbastanza evidente che tali esigenze cautelari vanno da un minimo ad un massimo di identificazione tra il soggetto imputato e il colpevole58 e che, in conseguenza a ciò, l’esigenza cautelare che più ci preoccupa per i suoi potenziali conflitti di legittimità costituzionale con l’art. 27 II comma sia quella prevista alla lett. c) dell’art. 274 c.p.p. Fino alla recente legge n.47 del 16 Aprile 2015 in tema di misure cautelari, che si propone, tra i molti scopi, anche l’obiettivo di restringere l’operatività dell’esigenza di c.d. pericolosità sociale, la disposizione di cui all’art. 274 lett.c) c.p.p. recitava che si poteva applicare una misura limitativa della libertà personale <<quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede>>.

È ovvio che si tratta di un’ipotesi molto delicata che assegna alle misure cautelari una finalità di prevenzione immediata dalla commissione di futuri delitti, ancorata ad un giudizio di pericolosità sociale: finalità di prevenzione speciale che non pare potersi conciliare

58

G. Amato, Individuo e Autorità nella disciplina della libertà personale, 1967, Milano, p. 376.

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adeguatamente con la Carta Costituzionale e la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 II comma Cost. Attraverso tale esigenza cautelare si dà la possibilità di far fronte alle richieste di tutela della collettività per mezzo di un giudizio prognostico e probabilistico di recidiva, che dà per sottinteso che l’imputato sia colpevole del reato che gli è attribuito e per il quale si sta ancora svolgendo il processo. La preoccupazione di fondo è che tale esigenza consenta di applicare una misura limitativa della libertà più che per ragioni processuali, per motivazioni penali sostanziali, facendole quasi assolvere un compito che appare maggiormente proprio delle misure di sicurezza59. Quest’ultime, a differenza della custodia preventiva, non contrastano con la presunzione di non colpevolezza: sono infatti basate su un accertamento definitivo della pericolosità sociale e della responsabilità del soggetto. Una parte della dottrina60 cercò di legittimare, alla luce della Carta Costituzionale, prima dell’entrata in vigore del codice Vassalli, la funzione di prevenzione speciale connessa alla custodia preventiva attraverso un’interpretazione particolare che le assegnava il ruolo di impedire sì la commissione di ulteriori reati, ma soltanto quelli che turbavano lo svolgimento del processo, come <<quelli rivolti ad occultare le prove od a sopprimere i testimoni nel proprio delitto61>>. In questo modo si arrivava a disegnare una “non autonomia” dell’esigenza cautelare legata a finalità di prevenzione speciale, dovendo questa, per sussistere e legittimare la misura ante iudicatum, esser collegata ai presupposti dell’esigenza di carattere probatorio. Secondo questa interpretazione una restrizione di libertà fondata solo sulla necessità di prevenzione speciale non poteva esser legittimamente adottata e nell’ipotesi che venisse a mancare l’altra esigenza non poteva continuare a sussistere: in tal modo soltanto una funzione

59 V. Grevi, Libertà personale dell’Imputato e Costituzione, 1976, Varese, p. 49. Sul

punto v. anche F. Cordero, Procedura Penale, VIII, 2009, Bologna, p. 482.

60 G. Vassalli, Scritti Giuridici: il codice penale e la sua riforma, criminologia,

politica criminale e legislazione straniera, giuristi del passato, 1997, Milano, p.141.

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G. Vassalli, Scritti Giuridici: il codice penale e la sua riforma, criminologia, politica criminale e legislazione straniera, giuristi del passato, 1997, Milano, p.141.

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accessoria ed occasionale di prevenzione speciale risultava costituzionalmente possibile62.

La finalità preventiva, legittimante una restrizione della libertà personale anche al fine di impedire la perpetrazione di nuovi reati da parte del soggetto, faceva comunque parte del nostro ordinamento ancor prima dell’emanazione del Codice dell’88. Se il Codice Rocco poté dirsi il fautore di tali logiche di prevenzione, la l. 22 Maggio 1975 n.152 ( disposizioni a Tutela dell’ordine pubblico), rientrante nella c.d.

legislazione d’emergenza, non fece altro che ribadirle anche in seguito,

andando ad impedire al giudice di lasciar in libertà provvisoria il soggetto che poteva nuovamente commettere reati che ponessero in pericolo le esigenze di tutela della collettività. La previsione di tali possibilità fa comprendere come fosse consentito, anche grazie al silenzio del Codice Rocco in ordine ai fini della custodia preventiva, limitare la libertà personale per difendere la collettività da una temuta pericolosità del soggetto, pur trattandosi di una esigenza assai lontana da canoni di stringente necessità processuale, dove il sacrificio imposto all’indagato “poteva” trovare bilanciamento soltanto sul piano di tutela della società. Una parte della dottrina interpretando la norma dell’art. 27 della Costituzione sostenne che l’unica motivazione possibile e costituzionalmente legittima [della custodia preventiva] sarebbe la pericolosità dell’imputato e che <<il sacrificio così imposto alla sfera di libertà del singolo ante sententiam troverebbe ampia compensazione, sul piano degli interessi sociali, nella riconosciuta necessità di salvaguardare i beni della collettività dai probabili attacchi di un pericoloso criminale63>>. La dottrina più garantista negava queste concezioni e riteneva inconciliabile con una presunzione di non colpevolezza la privazione della libertà ancorata ad una colpevolezza fondata soltanto su indizi e prove, in mancanza di un accertamento

62 G. Vassalli, Libertà personale dell’Imputato e tutela della collettività, in Giust.

Pen., 1978, I, p. 19.

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definitivo64. L’art. 27 della Costituzione non sembra infatti lasciare spazio a una concezione della custodia preventiva in termini di prevenzione speciale, funzione che invece pare esser maggiormente legittimata in altri istituti cd. precautelari come l’arresto in flagranza, ugualmente limitativi della libertà personale ed operativi prima della condanna definitiva. Nell’ipotesi dell’arresto in flagranza si consente una limitazione della libertà del soggetto al fine di evitare che il reato possa esser portato a conseguenze ulteriori, sulla base di una ridotta operatività della presunzione di non colpevolezza, che trova giustificazione nel fatto che l’autore viene colto nel momento di commissione del delitto65. Ovvio è che tale interpretazione si basa su una lettura della flagranza in senso stretto e non tiene conto di quelle che sono le odierne evoluzioni giurisprudenziali e legislative che hanno ampliato tale concetto per estenderlo ad una cd. quasi flagranza. Possiamo infine considerare che, in quelle situazioni rare in cui l’imputato risulti socialmente pericoloso per motivi e circostanze indipendenti dall’ipotesi di colpevolezza per il fatto che gli è ascritto, la restrizione della libertà per finalità preventive non sarebbe del tutto incompatibile con la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 II comma Cost.66. Tuttavia, <<c’è da domandarsi, però, se in situazioni del tipo di quelle ipotizzato sia necessario ricorrere a restrizioni più o meno intense della libertà personale, e soprattutto se sia legittimo far luogo alla carcerazione preventiva, che è l’istituto tipicamente riferito alla posizione dell’imputato nel processo67

>>.

Andando ad analizzare la legittimità costituzionale della custodia preventiva in funzione di difesa sociale, vediamo come, oltre al profilo di contrasto con l’art. 27 II comma Cost., il Costituente, avesse voluto escluderla attraverso la previsione di cui all’art. 13 Cost. ultimo

64 G. Amato, Individuo e Autorità nella disciplina della libertà personale, 1967,

Milano, p. 376.

65 Per questa teoria V. Grevi, Libertà personale dell’Imputato e Costituzione, 1976,

Varese, v. nota 127, p.49.

66

V. Grevi, Libertà personale dell’Imputato e Costituzione, 1976, Varese, p. 50

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