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La pericolosità sociale nella storia e nella criminologia

La pericolosità sociale è un concetto risalente nel tempo: sebbene, sporadicamente, trovava il suo spazio anche nel diritto penale arcaico. Già in epoca romana esisteva la coercitio vinculis, che si sostanziava nella custodia presso i parenti del prosciolto per infermità di mente al fine di tutelare la collettività, ma anche la Chiesa nei secoli successivi

228 F. Bricola, Forme di tutela “ante delictum” e profili costituzionali della

prevenzione” in Politica Criminale e scienza del diritto penale, 1997, Bologna, p. 74.

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O. Mazza, Le persone pericolose ( in difesa della presunzione di innocenza), p. 2, in www.penalecontemporaneo.it, 20 Aprile 2012 .

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conobbe il concetto di pericolosità: veniva invocato per giustificare l’uccisione del peccatore periculosus al fine di tutelare il bonum

commune.230. Tuttavia, solo con l’avvento del Positivismo il concetto

di pericolosità sociale trovò espressa definizione all’interno del codice come categoria della scienza e del diritto penale. Il Positivismo nacque sulla scia della crisi della Scuola penale Classica e del crollo del dogma del libero arbitrio: si sviluppano le scienze statistiche e, prendendo a riferimento alcuni soggetti in carcere, si evidenzia come si possano rinvenire dei minimi comuni denominatori. I delinquenti avevano in comune la provenienza da un medesimo contesto sociale, la maggioranza di loro viveva in povertà, motivo per cui si sviluppa l’idea che, forse, commettere un reato non è frutto di una libera scelta, ma di alcuni condizionamenti socio culturali. Cresce la convinzione che non tutti gli uomini sono liberi allo stesso modo e in questo modo crolla il dogma del libero arbitrio. La scuola Positivista, inserendosi in tale contesto, incentrò la sua attenzione sulla personalità dell’autore e suoi motivi del suo agire, si focalizzò sulla pericolosità sociale del delinquente, accogliendo la concezione deterministica che si era sviluppata a partire da Lombroso. Costui, autorevole esponente del Positivismo e fondatore dell’antropologia criminale riteneva che l’autore del reato fosse di per sé pericoloso, non avendo avuto la possibilità di agire diversamente: si interpretava il delitto come espressione di una patologica devianza231. Lombroso scrive la sua prima monografia, dal titolo “L’uomo delinquente” e parla della figura del “delinquente nato”: l’origine del comportamento criminale era per lui insita nelle caratteristiche anatomiche del soggetto, che determinavano esse stesse il reato. Secondo il suo pensiero i

230 A. Calabria, voc. Pericolosità sociale in Digesto delle discipline penalistiche,

Torino, 1995, p. 452.

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M. T. Collica, La crisi del concetto di autore non imputabile “pericoloso” del reato, in Libertà dal carcere. Libertà nel carcere. Affermazione e tradimento della legalità nella restrizione della libertà personale, 2013, Torino, p. 264. Sul punto v. anche C. Lombroso, L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, la giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, 1889, Torino.

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delinquenti avevano tutti dei tratti fisiognomici comuni, quali le grandi mandibole, i canini forti, gli zigomi sporgenti, le prominenti arcate sopraccigliari, egli esaminò inoltre la dimensione e la forma dei crani di molti briganti e dedusse che erano tali tratti somatici a determinare il comportamento socialmente deviante. L’idea di un determinismo lineare faceva sì, secondo Lombroso, che tra i delinquenti o quelli creduti tali vi fossero alcuni da sempre alienati, per i quali la prigione costituiva un’ingiustizia, mentre la libertà un pericolo232

. Tale pensiero sfociò nel sistema del doppio binario creato dal Codice Rocco, che prevedeva accanto alla pena il sistema delle misure di sicurezza, che doveva essere la risposta più efficace nei confronti della pericolosità del delinquente. Infatti, <<l’intento originario del legislatore era quello di riformare il sistema penale in conformità alle tendenze politico- criminali dell’epoca, favorevoli al potenziamento della difesa sociale mediante l’introduzione – in aggiunta alle tradizionali pene – di nuove misure destinate a neutralizzare la pericolosità sociale di determinate categorie di rei233>>. Le misure di sicurezza erano pertanto la soluzione più lineare, dal momento che il determinismo lineare non poteva considerare il soggetto, non ritenendolo dotato di libero arbitrio, colpevole e meritevole di una pena, ma semmai bisognoso di una cura. Gli studi statistici su cui si basava la concezione di Lombroso erano, scientificamente parlando, scarsamente attendibili: il gruppo di controllo era costituito solo da soggetti detenuti all’interno del carcere, mentre non venivano presi in considerazioni quei delinquenti che, seppur tali, non erano mai stati arrestati. Enrico Ferri, giurista e criminologo, allievo di Lombroso, sviluppò ulteriori teorie sulla delinquenza e sulle cause del crimine, ma egli, a differenza del

232 P. Di Nicola, La chiusura degli opg : un’occasione mancata, p. 2, in www.penalecontemporaneo.it, 13 Marzo 2015.

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maestro, pur ritenendo la natura del delitto necessitata234, si incentrò sui condizionamenti socio ambientali. Riteneva che la genesi della delinquenza potesse essere ritrovata nel disagio economico e nel “gap” esistente tra povertà e ricchezza: si era sviluppato un dinamismo tra classi sociali che comportava che il soggetto, che si accorgesse di non riuscire a far il salto sociale con mezzi legali, lo facesse illegalmente. In realtà anche le teorie di Ferri verranno abbandonate dalla scienza del diritto penale e dalla criminologia moderna, che invece accoglieranno un concetto di causalità circolare, che ritiene il reato determinato da una pluralità di fattori, che si plasmano vicendevolmente e si influenzano tra di loro. Tali teorie c.d. multifattoriali postulano un rapporto di proporzione inversa tra predisposizione ed ambiente: più il soggetto è predisposto a determinati comportamenti criminali, meno saranno necessari i condizionamenti socio ambientali e viceversa235. Le scienze moderne riconoscono pertanto alla base del comportamento socialmente deviante fattori di tipo biologico, psicologico, nonché socioculturali e situazionali236. Il multifattorialismo, sebbene appaia più capace di comprendere la realtà, in vero non riesce a individuare adeguatamente la causa della criminalità anche perché <<tesi antropologiche, sociologiche, multifattoriali, sono tormentosi approcci per l’irrinunciabile comprensione di un fenomeno che la scienza umana non potrà, però, mai interamente cogliere e dominare: il pensiero umano non può uscire da se stesso e giudicare, coi suoi stessi strumenti, della sua validità e pervenire ad una totale introspezione237>>.

234 C. Peluso, voc. Misure di sicurezza ( profili sostanziali) in Digesto delle discipline

penalistiche, 1994, Torino, p. 147. Sul punto v. anche E. Ferri, la teorica dell’imputabilità e la negazione del libero arbitrio, 1978, Firenze.

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F. Mantovani, Diritto Penale, 2013, Padova, p. 628.

236 M. T. Collica, La crisi del concetto non imputabile “pericoloso” del reato, in

Libertà dal carcere. Libertà nel carcere. Affermazione e tradimento della legalità nella restrizione della libertà personale, 2013, Torino, p. 271.

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