Nonostante emergesse sempre maggiormente la necessità di una nuova stesura del codice di procedura penale e di una radicale modifica della disciplina attinente alla libertà personale, molta fu la strada da fare prima di arrivare alla formulazione definitiva della legge delega n.108 del 74.
L’iter iniziò dal ddl n. 2243, presentato il 6 Aprile del 1965 al termine della IV legislatura repubblicana, che, in quanto ai presupposti della carcerazione preventiva, presentava un testo omologo a quello del successivo disegno di legge che il governo ripresentò nella V legislatura. Nel n. 28 dell’art. 2, in tema di finalità della carcerazione preventiva, tale disegno prevedeva la <<possibilità di disporre le misure di coercizione personale a carico di colui che ha commesso un delitto che determini particolare allarme sociale o per la gravità di esso, o per la pericolosità dell’imputato, nonché per inderogabili esigenze istruttorie e limitatamente alla durata di essi, quando ricorrono sufficienti elementi di colpevolezza123>>. Risulta immediatamente evidente come al primo posto si richiami l’esigenza di placare l’allarme sociale, determinato dalla gravità astratta del delitto e dalla pericolosità dell’imputato e, al secondo posto, le inderogabili esigenze istruttorie: struttura che, nella rielaborazione proposta dalla Commissione Giustizia alla Camera, verrà ribaltata. Vi era la necessità di uniformarsi al dato costituzionale e, in particolar modo, alle disposizioni di cui all’art. 13 e 27 II Cost., così come sottolineato dalla
122 V. Grevi, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, 1976, Varese, p. 202. 123
G. Vassalli, Libertà personale dell’imputato e tutela della collettività, in Giust. Pen., I, 1978, p. 29.
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Relazione dell’Onorevole Valiante, tanto che, come lui stesso afferma, si cercava di ricondurre le privazioni della libertà in via normale ad esigenze istruttorie e in via solamente eccezionale ad esigenze di difesa sociale. Nonostante ciò Valiante esaltava le esigenze di difesa sociale in correlazione con degli elementi fondati di colpevolezza; sottolineava come l’opinione pubblica può essere colpita da delitti particolarmente efferati o essere turbata da latitanti o da reati di evasione: <<in tali casi si impone la necessità di provvedimenti esemplari, che soddisfino non soltanto la parte offesa ma soprattutto il generale sentimento di giustizia, che assicurino la capacità dello Stato di far fronte, con energiche e sollecite misure, a così preoccupanti manifestazioni delinquenziali. Perciò va riconosciuto al giudice il potere di emettere provvedimenti coercitivi adeguati - probabilmente, per casi del genere, può ritenersi adeguata soltanto la custodia in carcere - purché in quel momento la colpevolezza dell’imputato risulti sufficientemente probabile, non per semplici indizi ma per concreti e concordanti elementi124>>. I sostenitori di tale posizione sottolineavano inoltre come, trattandosi di un’esigenza che può andare al di là dei termini massimi della custodia preventiva, la misura coercitiva in questo caso possa, risolvendosi in un’anticipazione della pena, protrarsi fino al giudizio. Si tratta di orientamenti criticati dalle minoranze125, le quali volevano sia abolire il mandato di cattura obbligatorio, sia cercare di limitare le misure coercitive al solo presupposto delle “inderogabili esigenze istruttorie”. La dizione del n. 28, successivamente trasformatasi nel n. 38 della rielaborazione proposta dalla Commissione Giustizia, decaduto il disegno di legge per la fine della V legislatore, si traspose nel punto 46 dell’art. 2 della nuova legge delega n. 864 del 5 Ottobre 1972. Due furono i cambiamenti attuati dalla VI
124 G. Vassalli, Libertà personale dell’imputato e tutela della collettività in Giust.
Pen., 1978, p. 30. V. anche V. Grevi, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, 1976, Varese, p. 342.
125 A tal proposito v. relazione di minoranza dell’On. Guidi, in Cam. Dep., Segr.
Gen., Codice di procedura penale- Delega al Governo. Discussione in Assemblea, p. 353.
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legislatura: in primo luogo la Commissione Giustizia sostituì alla disgiunzione “o”, presente tra i due requisiti della gravità del reato e della pericolosità del soggetto, la congiunzione “e”, in secondo luogo la Commissione Affari Costituzionali abbandonò il riferimento all’ “allarme sociale” in favore di “esigenze di tutela della collettività”. Tale seconda modifica nacque dall’esigenza di subordinare la misura coercitiva solo alla gravità del delitto e alla pericolosità dell’imputato in modo da trasformare l’allarme sociale da elemento con rilievo autonomo a semplice conseguenza dei suddetti presupposti126. Il riferimento all’allarme sociale era talmente vago ed impreciso, da poter provocare implicazioni pericolose a tal punto da farlo diventare l’elemento discriminante nella scelta dell’applicazione della misura. Sia nella IV che nella V legislatura era sfuggito quanto l’utilizzo di tale espressione fosse <<un riferimento pericoloso sia per la sua soggettività che per la sua facilità a riprodurre quei criteri di esemplarità, che la maggioranza della dottrina aveva da sempre respinto dal novero delle finalità della custodia preventiva, anche in relazione al possibile conflitto con la presunzione di non colpevolezza127>>. La formula che sostituì il riferimento all’allarme sociale fu quella della “tutela della collettività”, che, secondo l’Onorevole Lospinoso Severini che la propose, era maggiormente legata a fatti, circostanze e situazioni oggettivabili e si allontanava da valutazioni soggettive ed arbitrarie, dettate da <<particolari momenti di passionalità>>. L’emendamento, approvato dalla Camera il 24 Gennaio 1974, recitava che vi era <<possibilità di disporre le misure di coercizione personale nei casi gravi in cui sussistono specificate, inderogabili esigenze istruttorie e limitatamente al tempo indispensabile per provvedervi; possibilità di disporre le misure di coercizione personale a carico dell’imputato, nei cui confronti
126 G. Vassalli, Libertà personale dell’imputato e tutela della collettività in Giust.
Pen., 1978, p. 30.
127
G. Vassalli, Libertà personale dell’imputato e tutela della collettività in Giust. Pen. 1978, p. 31.
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ricorrano sufficienti elementi di colpevolezza, quando, per la sua pericolosità e per la gravità del reato, sussistano esigenze di tutela della collettività128>>, il quale sarebbe stato poi trasposto al punto 54 del testo definitivo della delega .