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Conferme giurisprudenziali e legislative degli anni seguenti

L’ambiguo approdo giurisprudenziale dettato dalla Corte

Costituzionale con la sent. 64/1970 trova conferme in sentenze emanate negli anni successivi. Fin da subito nelle sue pronunce successive la Corte richiama i principi affermati nella sent. 64/1970, pur trattandosi di sentenze che non originano dalla volontà di andare a chiarire le finalità per cui possa esser disposta una custodia preventiva, ma che ne parlano in chiave meramente strumentale. Lungo la tendenza di voler affermare un’ applicazione rigorosa della custodia preventiva in ottica di risposta ai pericoli processuali si collocano sia la sent. n. 96 del 1970 dove la Corte afferma che la custodia preventiva <<ha un compito essenzialmente processuale>> e pertanto <<non è

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equiparabile alla misura di sicurezza detentiva105>> sia la sent. n. 135/1972 dove la Corte mette in luce come la carcerazione dell’imputato debba tendere a <<soddisfare concrete esigenze del processo106>>. Il terzo caso che possiamo richiamare è quello della sent. 147/ 1973 che prende origine da un caso di un cittadino italiano, arrestato in Nuova Zelanda, il quale, dopo esser stato condannato a pena di morte, successivamente mutatasi in ergastolo, viene rilasciato dopo dieci anni di reclusione e ricondotto in Italia dove, su ordine di cattura per il medesimo reato, veniva nuovamente arrestato. Il difensore presenta istanza per ottenere la scarcerazione per decorrenza dei termini della custodia preventiva, in quanto il suo imputato li aveva già scontati interamente in Nuova Zelanda. Dopo la risposta favorevole della Corte di Appello di Palermo, la Corte di Cassazione annulla la decisione ritenendo che nei termini di custodia preventiva non potessero esser computati quelli scontati in Nuova Zelanda. Da qui la questione di legittimità costituzionale degli art. 137 e 138 c.p. nei confronti degli art. 2, 3, 13 Costituzione laddove consentono di tener conto del tempo scontato all’estero di carcerazione preventiva ma solo ai fini dello scomputo della pena e non della custodia preventiva stessa. La Corte dichiara la questione non fondata, ribadendo quanto già affermato nella sent. 64/1970 che la <<carcerazione preventiva ha scopi connessi al processo e natura prevalentemente cautelare107>>. Da ciò ne discende che per ciò che riguarda i suoi effetti sia limitata al processo nel cui ambito è disposta e la sua funzione non potrà esser assolta da una custodia emessa precedentemente in altro processo, in questo caso in quello tenutosi in Nuova Zelanda. La Corte ribadisce quello che è un approccio di funzionalità processuale e, pur riconoscendo la carcerazione preventiva come parte anticipata della pena, ne contesta la diversità degli scopi sottolineando che <<la

105 Corte Cost., sent. 96/ 1970 in Giur.Cost., 1970, p.1147. 106

Corte Cost., sent. 135/1972 in Giur. Cost., 1972, p.1376.

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cautela processuale che in essa si estrinseca ha scopi propri in ciascuno dei due processi108>>. La Corte, con la sent. n. 74 del 1973, continua a sottolineare la finalità istruttoria della custodia preventiva, anche al solo fine di evidenziare che <<le misure di sicurezza detentive sono volte ad esigenze diverse da quella “tipicamente processuale” della custodia preventiva109>>, così come con la sent. n. 146/ 1975 dove, richiamando le sue precedenti sentenze, non fa altro che ribadire e riaffermare che <<la custodia preventiva e pena, ancorché producono entrambe l’effetto di privare l’individuo della sua libertà personale, hanno scopi diversi. Infatti - come questa Corte ha già affermato in altre occasioni - la prima prescinde completamente da quelle finalità di carattere rieducativo che caratterizzano la seconda e può esser predisposta solo in vista della soddisfazione di esigenze di carattere cautelare e strettamente inerenti al processo110>>.

In questo periodo di c.d. “garantismo”, volto a ampliare le tutele e ad allontanarsi dai costrutti autoritari del codice Rocco, si inserisce anche la legge n.773 del 15 Dicembre 1972, c.d. “legge Valpreda”, che abolì finalmente <<la correlazione tra la obbligatorietà del mandato di cattura e la concedibilità della libertà provvisoria111>>. Finora era sopravvissuto un sistema imperniato sull’obbligatorietà della cattura e la conseguente custodia preventiva che si protraeva per tutto il procedimento, essendo impedito al giudice sia di concedere in questi casi la libertà provvisoria, sia di valutare la presenza di esigenze processuali. Tale situazione fu alleggerita appunto dalla legge 773/1772 che <<stemperò il rigido automatismo imperniato sull’obbligatorietà della cattura, chiamando l’autorità giudiziaria a valutare, anche con riferimento ai reati per i quali la legge imponeva la cattura, la reale sussistenza di esigenze cautelari che giustificassero il

108 Corte Cost., sent. 147/1973 in Giur. Cost., 1973, p.1465. 109

Corte Cost., sent. 74/1973 in Giur. Cost, 1973, p. 848.

110 Corte Cost., sent. 146/1975 in Giur. Cost. 1975, p. 1372.

111 G. Vassalli, Libertà personale dell’imputato e tutela della collettività in Giust.

Pen., 1978, p. 26. Sul punto v. anche E. Marzaduri, voc. Custodia cautelare nel diritto processuale penale, in Digesto delle discipline penalistiche, 1989, Torino, p. 284.

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protrarsi della custodia preventiva dell’imputato112>>. Tale legge, aprendosi alla possibilità di concedere la libertà provvisoria anche al soggetto sottoposto a custodia preventiva obbligatoria, non aveva però in alcun modo influito sulla previsione del mandato di cattura obbligatorio, che restava ancora in vigore, né aveva previsto in modo tassativo dei criteri a cui dover ancorare la concessione della libertà provvisoria, restando il giudice libero di concederla per cessate esigenze istruttorie, per inesistente pericolosità del soggetto, per assenza del pericolo che l’individuo si sottraesse all’esecuzione della pena. Il giudice poteva ovviamente rifarsi nella valutazione ai parametri di cui all’art. 254 c.p.p. delle “qualità morali dell’individuo” e delle “circostanze di fatto”, così come confermato anche da alcuni orientamenti della Giurisprudenza di merito. A tal fine si può ricordare la sent. della Corte di Cassazione n. 946 del 13 Ottobre 1973 dove si afferma che <<la valutazione delle cosiddette esigenze processuali non può avere che carattere sussidiario rispetto alle qualità morali dell’imputato e alle circostanze del fatto113

>>.

Tuttavia, nonostante una progressione verso un maggiore rispetto della Costituzione e verso il delineamento di un processo con caratteri civili e umani meglio definiti, la Corte non ha mai totalmente rinunciato al riconoscere una pluralità di fini alla custodia preventiva.