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La prevenzione del rischio di riciclaggio in banca. Un caso pratico: il Gruppo Carismi.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale

e Mercati Finanziari

Tesi di Laurea Magistrale

LA PREVENZIONE DEL RISCHIO DI RICICLAGGIO IN BANCA.

UN CASO PRATICO: IL GRUPPO CARISMI

RELATRICE:

Prof.ssa Elena Bruno

CANDIDATO: Silvia Mundula

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Indice

Introduzione………pag 5

Capitolo I. Il reato di riciclaggio. Cenni introduttivi.

1.1

Definizione di riciclaggio………....pag 10

1.2 Nozione penalistica di riciclaggio…………...pag 11

1.3 Fasi del riciclaggio………pag 14

1.4 L’autoriciclaggio………...pag 16

1.5 Il finanziamento del terrorismo……….pag 17

2.1 Evoluzione normativa del riciclaggio………...pag 19

2.1 Appronfimento:Gafi...…….………...pag 21

2.2 Normativa nazionale……….……….pag 26

3.1 Autorità di supervisione e strumenti di controllo…………...pag 30

Capitolo II. Il

Decreto legislativo 231/2007: contenuti e novità introdotte.

1.1 Obblighi per gli intermediari: le banche……….pag 35

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1.3 Il principio di “Collaborazione attiva”…….……….pag 42

2.1 Obbligo di adeguata verifica della clientela

2.1 Approccio basato sul rischio………..pag 44

2.2 Obblighi di adeguata verifica……….………pag 47

2.2.1 Il titolare effettivo………pag 50

• Obblighi di adeguata verifica:

semplificati o rafforzati?...pag 51

2.3.1 Esecuzione da parte di terzi……….pag 56

2.3.2Obblighi di astensione………..pag 58

• Obblighi di registrazione delle informazioni sospette……pag 59

4.1 Obblighi di segnalazione delle operazione sospette……..pag 61

4.1.1 Indicatori di anomalia………....pag 64

• Iter della segnalazione………...pag 74

4.1.3 SOS: alcuni dati……….……pag 78

5.1 Limitazione all’uso del contante e dei titoli al portatore....pag 80

CAPITOLO III. La normativa antiriciclaggio e il nuovo sistema dei controlli interni.

1.1 Premessa: il rischio di riciclaggio in Banca………….pag 86

2.1 L’antiriciclaggio alla luce del Provvedimento di Banca d’Italia……….pag 90

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2.1.1 La funzione antiriciclaggio………..pag 94

2.1.2 Il Responsabile Antiriciclaggio…………....pag 97

2.2.1 La funzione di Revisione Interna: Internal Audit….pag 98

3.1 La formazione del Personale………pag 99

Capitolo VI: Il modello organizzativo e i presidi antiriciclaggio del Gruppo Carismi.

1.1 Premessa………..pag 99

2.1 Il gruppo Carismi………pag 102

3.1 Il modello organizzativo antiriciclaggio………..pag 105

3.2 Comparto “Adeguata verifica e profilazione della clientela”………pag 110

3.3 Comparto “Registrazione in AUI”………...pag 113

3.4 Comparto “Segnalazione delle operazioni

sospette”……….pag 115

3.4.1 Modalità operative………...……….pag 116

3.4.1.1 Inoltro della segnalazione………..pag 117

3.4.1.2 Mancato inoltro della

segnalazione………...pag 118

3.4.2 Ricezione della segnalazione………....pag 119

3.4.3 Gestione della segnalazione da parte

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Appendice: GIANOS 3D……….pag 122

Conclusioni………..pag 123 Ringraziamenti………..pag 126

Bibliografia/sitografia……….pag129 Allegati.

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INTRODUZIONE.

Il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo rappresentano fenomeni criminali che costituiscono una grave minaccia per l’economia legale in grado di destabilizzare l’intero sistema bancario e finanziario. È un dato che la lotta alla criminalità economica e, quindi, anche al riciclaggio, necessiti della collaborazione di istituzioni, imprese e cittadini. Appare sempre più evidente che le banche siano più di tutti lo snodo fondamentale nella missione di contrasto e per evitare coinvolgimenti che potrebbero danneggiare la loro immagine sono chiamate ad infondere nella cultura aziendale l’impegno a contrastare il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, adottando opportune politiche di rafforzamento delle procedure, di formazione e di incentivazione del personale. Alla luce di quanto detto fino ad ora si è sviluppato questo lavoro, cercando di cogliere, seppur brevemente, le limitazioni, gli obblighi e i divieti che derivano dalla problematica in questione.

Nel primo capitolo del lavoro si è cercato di fornire una definizione di riciclaggio e di seguire il percorso che la normativa ha compiuto fino ad oggi, a livello comunitario prima e a livello italiano dopo. Un lavoro doveroso, considerati gli innumerevoli sforzi che sono stati compiuti fino ad oggi.

In particolare, nel secondo capitolo si sono approfonditi gli adempimenti che gli intermediari, più nello specifico le Banche, sono chiamati a mettere

in pratica a seguito del recepimento in Italia della Terza Direttiva

Antiriciclaggio 60/2005/CE, avvenuto con Decreto Legislativo 231/2007, cercando di evidenziare alcune novità che emergono rispetto alla legge

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n.197/91. Trattasi di misure preventive di deterrenza, quali la limitazione all’uso del contante e dei titolo al portatore, l’approccio basato sul rischio e l’adeguata verifica delle clientela, l’obbligo di registrazione e segnalazione delle operazioni sospette.

Nel terzo capitolo, invece, si è cercato di dare spazio ad un argomento ancora oscuro, molto meno trattato. Trattasi del modello organizzativo e i presidi antiriciclaggio che vengono adottati dalle banche alla luce del Provvedimento di Banca d’Italia del marzo 2011 e successive modifiche. Da questo punto di vista, si è voluto metter in evidenza il modo in cui le banche hanno impostato l’organizzazione, le procedure e i controlli al loro interno.

In ultimo, nel capitolo quarto, grazie alla collaborazione portata avanti con il Responsabile della Funzione Antiriciclaggio presso il Gruppo Carismi sono state trattate le linee metodologiche adottate dal Gruppo per adempiere agli obblighi imposti dalla normativa in materia. In particolare, un primo sguardo è stato focalizzato sugli aspetti riguardanti l’organizzazione interna, per poi passare alle scelte metodologiche adottate per rispondere in modo efficace all’obbligo di adeguata verifica della clientela ma anche le modalità operative di segnalazione delle operazioni sospette.

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CAPITOLO I. IL REATO DI

RICICLAGGIO. CENNI INTRODUTTIVI.

1.1 “Definizione di “riciclaggio”.

In un gergo ormai comune, si può definire riciclaggio come “lavaggio del

denaro sporco”, ovvero quell’attività (o insieme di attività) riguardante la

circolazione e l’occultamento di denaro, beni ed altre attività provenienti da delitti; riciclare vuol dire altresì “investire in attività lecite capitali ottenuti

illegalmente”.

Il riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali è uno dei più insidiosi canali di contaminazione tra lecito e illecito1.

I beni che sono frutto di reato sono ripuliti e introdotti nei circuiti economici e finanziari. Si vuole, cioè, da parte del soggetto che detiene beni o denaro frutto di reato, immetterli sul mercato attraverso operazioni,

negozi giuridici ed attività perfettamente lecite, consentite

dall’ordinamento, quanto più possibile «tipiche» e «tipizzate». Questa esemplificazione ci pone subito dinnanzi alla perniciosità della fattispecie delittuosa, tanto difficile da indagare proprio perché, per dirla con una battuta, «riciclare è facile».

Dal semplice posizionamento sul mercato dei beni illeciti, senza che nessuno se ne accorga, il criminale ha già tratto un primo beneficio, non importa se con operazioni che si chiudono, contabilmente, in pari o in

1Mario Draghi, governatore Banca d’Italia, “Le mafie a Milano e nel Nord: aspetti sociali ed economici”,11

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perdita; i beni sono stati «lavati», depurati (almeno apparentemente) dalla loro origine delittuosa.

Affinché vi sia il reato di riciclaggio è indispensabile che vi sia il c.d. reato

presupposto, ossia l’esistenza di un reato da cui derivino i proventi e le

risorse da ripulire.

Possiamo dire che il reato di riciclaggio è composto da due fasi, distinte ma complementari, quali:

• commissione del reato presupposto da parte di un soggetto qualunque, reato punito dalla legge con reclusione e multa.

• intervento di un soggetto diverso dall’autore del reato presupposto, quale può essere, in genere, un congiunto ovvero una persona di fiducia (prestanome), il quale, essendo a conoscenza dell’origine illecita della disponibilità, si preoccupa di gestire tale risorsa finanziaria, occultandone la provenienza e magari reinvestendo i proventi illeciti in un’attività perfettamente legale.

1.2 NOZIONE PENALISTICA DI RICICLAGGIO.

Nell’ordinamento vigente il reato di riciclaggio è disciplinato dall’art.

648-bis e ter del codice penale.

L’art 648bis è stato introdotto nel nostro ordinamento con la Legge n.191 del 1978, con la quale si riconoscevano, nella sua prima formulazione, quattro tipologie di reato presupposto:

• rapina aggravata;

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• sequestro di persona;

• traffico di stupefacenti.

Di fatto, questa impostazione eccessivamente rigida trovava difficoltà nel processo di applicazione e di interpretazione.

A seguito della Convenzione di Strasburgo dell’8 Novembre del 1990, l’art. 648bis è stato oggetto di numerose modifiche, recepite con la Legge del 9 agosto 1993 n. 328, con la quale è stata ratificata la Convenzione e sono stati ampliati il numero dei reati presupposti cui applicare il reato di riciclaggio, ovvero “a tutti i delitti non colposi”.

Art 648bis, codice penale.

“Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce

denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648 [c.p. 648-quater] (2) (3)”.

Di fatto, il testo dell’articolo vigente prevede che vi sia reato di riciclaggio in relazione a due circostanze:

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• si punisce, fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque “sostituisce” o “trasferisce” denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo (la specificazione “non colposo” è, in realtà, inutile, giacchè non è dato ravvisare delitti colposi da cui possa scaturire, in via immediata e diretta, il conseguimento di profitti illeciti che possano anche in astratto essere oggetto di condotte di riciclaggio);

• chiunque compie in relazione ad essi “altre operazioni”, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Dunque, affinché possa esservi incriminazione, sulla base di tale norma, basta che il soggetto abbia volontariamente agito.

L’art. 648-ter, invece, è volto a contrastare e reprimere «l’impiego» di denaro, di beni o altre utilità di provenienza illecita, introdotto nel codice penale dalla Legge n. 55/1990 e successivamente modificato, anch’esso, dalla legge n.328/19932.

Con tale previsione, l’intento del legislatore è volto specificatamente a criminalizzare la fase dell’articolato processo di «lavaggio» dei capitali, cioè la reimmissione, nei circuiti finanziari, dei flussi illeciti.

Pertanto, commette il delitto di «impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita» il soggetto che:

2LEGGE 9 agosto 1993, n. 328 Ratifica ed esecuzione della convenzione sul

riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990.(GU n.202 del 28-8-1993 - Suppl. Ordinario

n. 80 )

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• fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi di ricettazione o riciclaggio «impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto»;

• agisce volontariamente e con la consapevolezza della loro provenienza delittuosa.

A tal proposito, è stato correttamente osservato che tutte le operazioni di riciclaggio, a partire dalle più semplici fino a giungere a quelle più complesse, sono accomunate tra loro da quattro elementi:

• occultamento della reale proprietà;

• modifica della «forma» del denaro;

• occultamento delle tracce;

• controllo costante sul denaro riciclato.

1.3 LE FASI DEL RICICLAGGIO.

Il procedimento attraverso il quale il riciclaggio di denaro sporco viene posto in essere individua le cosiddette «fasi del ciclo di riciclaggio». Tali fasi sono ben definite ed hanno lo scopo di far perdere le tracce dell’origine illecita del denaro e rendere profittevoli gli investimenti a fronte di questo.

Possono essere identificati tre distinti stadi:

1) immersion, detta anche fase del collocamento, il cui obiettivo primario è quello di trasformare il denaro contante (o suoi surrogati) di origine delittuosa in «moneta scritturale», cioè in un complesso di

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saldi attivi presso gli intermediari finanziari. A seguito di questa operazione i fondi vengono trasferiti elettronicamente, ma per evitare di destare sospetti all’Autorità Giudiziaria, i versamenti vengono frazionati mediante l’accensione di più conti, o presso lo stesso intermediario, oppure in banche diverse;

2) laundering, che rappresenta la fase più importante in cui si dissociano i guadagni dalla fonte (illecita), procedendo ad occultare l’origine del denaro sporco, attraverso l’eliminazione di ogni traccia contabile, ricorrendo ai trasferimenti elettronici oppure alla riconversione in denaro contante;

3) integration, che consiste nell’immissione del denaro nel sistema legale, con modalità apparentemente lecite, come, ad esempio, l’acquisto di immobili o aziende, l’esercizio di attività commerciali o finanziarie, l’investimento nel mercato borsistico, ecc.

Proprio la vasta gamma di risorse e di mezzi di cui dispongono i criminali per porre in essere operazioni illecite, unite alle molteplici attitudini e competenze in materia di dissimulazione della fonte del denaro illecito, sono le cause che rendono difficoltosa l’attività sia di prevenzione, sia di identificazione che di controllo delle Autorità investite del compito di «combattere» il preoccupante fenomeno del riciclaggio.

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Si riscontra una sostanziale differenza tra la definizione penale e quella comunitaria di riciclaggio (art 23 della Legge Antiriciclaggio), da cui si deduce che le due normative non sono perfettamente coincidenti.

Nel codice penale infatti si individua una clausola di esclusione ‹‹fuori dei

casi di concorso di reato›› che esclude dai soggetti attivi il concorrente nei

reati presupposti, non consentendo l’incriminazione del cosiddetto auto riciclaggio o auto-reimpiego. Al contrario, la Legge Antiriciclaggio nella sua innovativa definizione, non operando distinzioni tra ricettazione, riciclaggio ed impiego di denaro, di beni o utilità di provenienza illecita, elimina la clausola di esclusione.

Nell’applicazione pratica della norma l’intermediario che nutra sospetti sull’operazione compiuta da colui che è anche autore del reato presupposto, sarà tenuto a segnalare l’operazione se soggetto alla Legge Antiriciclaggio, ma la condotta non rileverà penalmente.

Nell’ordinamento italiano è pertanto rilevante sotto il profilo penale solo l’attività di riciclaggio posta in essere da un soggetto diverso dall’autore della condotta illecita che ha generato i proventi in questione.

3

Art.2.Definizioni di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e finalita' del decreto: 1. Ai soli fini del presente decreto le seguenti azioni, se commesse intenzionalmente, costituiscono riciclaggio: a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un'attivita' criminosa o da una partecipazione a tale attivita', allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attivita' a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b) l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprieta' dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attivita' criminosa o da una partecipazione a tale attivita'; c) l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attivita' criminosa o da una partecipazione a tale attivita'; d) la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione.

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Nella direzione della punibilità della condotta di chi ricicla, in prima persona, i proventi della propria attività delittuosa vanno sia le raccomandazioni di organismi internazionali quali il fondo monetario internazionale e il GAFI, sia le direttive europee susseguitesi nel tempo4, nonché le costanti indicazioni della stessa Banca d’Italia. In virtù di questa evoluzione, è sempre più impellente l’esigenza di colmare la lacuna del sistema penale italiano in materia di auto riciclaggio.

1.5 IL FINANZIAMENTO DEL TERRORISMO.

Appare doveroso, parlando di riciclaggio, fare riferimento al fenomeno del finanziamento del terrorismo per la forte relazione che può unire le diverse pratiche criminali. Inoltre si tratta dell’aspetto più recentemente interessato dalle modifiche ai testi normativi di riferimento, per tutte le categorie prese

in considerazione. In proposito nel 2001 il GAFI ha pubblicato “The Nine

Special Reccomendations” trattando specificamente l’argomento del

sovvenzionamento del terrorismo, in stretta connessione con le precedenti quaranta raccomandazioni in materia di riciclaggio.

La definizione fornita prevede che la minaccia del finanziamento del terrorismo debba essere estesa a qualsiasi persona che volontariamente fornisca o raccolga fondi con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente, con l’intento illecito di utilizzarli o nella consapevolezza che essi saranno utilizzati, interamente o in parte:

• per portare a termine uno o più atti;

4 si fa riferimento alla direttiva 2005/60/CE concernente le prevenzione dell’uso del sistema finanziario a

scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e della direttiva 2006/70/CE della Commissione, 4 agosto 2006, che ne reca attuazione.

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• da organizzazioni terroristiche;

• da singoli terroristi.

Inoltre si precisa come il finanziamento del terrorismo debba interessare qualsiasi forma di capitale, indipendentemente dall’origine lecita o illecita e come risulti irrilevante il fatto che gli stessi siano effettivamente utilizzati nell’attuare un’azione terroristica, oppure sussista una connessione tra fondi ed atto. Infine non vengono considerati finanziamento del terrorismo e perciò non criminalizzabili come tale, il solo favoreggiamento, tentativo o complotto nella realizzazione dell’attività.

Difformemente ha operato l’Unione Europea, comprendendo le disposizioni in materia nella direttiva 2005/60/CE rivolta al riciclaggio ed al sovvenzionamento delle attività terroristiche. L’approccio adottato in Italia si è contraddistinto invece per la separazione degli atti normativi riguardanti il riciclaggio ed il finanziamento del terrorismo, quest’ultimo trattato nel decreto legislativo 22 giugno 2007, n.1095 il quale, oltre a fornire la definizione, incorpora anche le disposizioni riguardanti il congelamento dei fondi e delle risorse economiche previste dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e dall’Unione Europea.

La definizione contenuta all’articolo 1 riprende nel testo quanto disposto a livello internazionale, richiamando tra le attività a scopo terroristico quelle considerate tali dalle norme del codice penale.

Resta importante sottolineare come tale minaccia possa sconvolgere la sicurezza nazionale sia rivolgendosi all’ordine interno, sia minando le basi dei sistemi finanziari internazionali.

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Rubricato “Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei

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Anche in presenza di una forte connessione con il riciclaggio rimane tuttavia una differenza importante tra i due reati: il finanziamento del terrorismo si configura a prescindere dalla provenienza dei fondi impiegati, siano essi frutto di attività illecite piuttosto che denaro “pulito”. Questa distinzione risulta essere invece fondamentale nel riciclaggio il quale ha come presupposto primario la natura illegale dei capitali impiegati, dato che nel caso contrario si realizzerebbero semplici compravendite o trasferimenti di denaro, come comunemente accade.

2. EVOLUZIONE NORMATIVA

.

In materia di lotta al riciclaggio di denaro molteplici sono gli interventi che sono stati messi in atto, soprattutto a livello internazionale, sia per identificare il fenomeno sia per contrastarlo.

Le fonti normative in materia hanno origini molto lontane, anche se è soprattutto negli ultimi anni che il fenomeno di contrasto ha ricevuto una forte spinta evolutiva.

I principali passi che sono stati compiuti verranno illustrati di seguito.

Il primo documento ufficiale risulta essere la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del giugno 1980, titolata “Misure contro il trasferimento e la custodia di fondi di origine criminale”.

Si trattava di Raccomandazioni prive di poteri vincolanti, che invitava i singoli Paesi membri a porre l’attenzione sui rischi per l’ordine pubblico e l’economia derivanti dal trasferimento di fondi in Paesi diversi provenienti per lo più da reati, quali rapine e sequestri di persona. La raccomandazione risulta essere, tuttavia, significativa poiché segna l’inizio di una indicazione

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che troviamo sino ai tempi d’oggi, riguardante l’importanza della

collaborazione del sistema bancario con l’autorità giudiziaria e le forze dell’ordine.

Uno dei principali contributi all’affermazione dei principi di prevenzione del riciclaggio si deve alla “Dichiarazione di Principi sulla prevenzione

dell’utilizzo a fini criminosi del sistema bancario per il riciclaggio di fondi di provenienza illecita”, adottata il 12 dicembre 1988 dal Comitato di

Basilea per le regolamentazioni bancarie e le pratiche di vigilanza. Pochi giorni dopo, il 19 dicembre 1988 è stato realizzato a Vienna il primo importante atto a livello internazionale in materia di antiriciclaggio, la “Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope”.

Con la suddetta Convenzione, per la prima volta si andava a criminalizzare

il riciclaggio, configurandolo come reato, anche se ancora ancorato al

traffico di sostanze stupefacenti di cui la Convenzione trattava.

Dal canto suo il Consiglio d’Europa torna ad occuparsi di riciclaggio a Strasburgo nel 1990, con la “ Convenzione sul riciclaggio, l’identificazione, il sequestro e la confisca dei proventi di reato ”. Come già trattato precedentemente, questo documento era di estrema importanza in quanto per la prima volta si obbligavano i paesi firmatari a prevedere come reato il riciclaggio.

Tra le due convenzioni si pongono le raccomandazioni del GAFI.

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Quando si acquisì la piena consapevolezza che il riciclaggio era un fenomeno transazionale che minava la stabilità dei mercati e che come tale non poteva essere affrontato esclusivamente a livello nazionale, sorse la necessità di elaborare delle strategie di lotta alla criminalità organizzata e al riciclaggio. Così nel 1987, al vertice di Parigi, venne istituita una task

force, il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale, con lo scopo di

analizzare il fenomeno del riciclaggio e di suggerire ai governi le misure più opportune per combatterlo.

Tra le attività concrete poste in essere dal GAFI rilevano le famose “40 Raccomandazioni”. Presentate per la prima volta il 7 febbraio 1990 e successivamente aggiornate e modificate; alle quali nel 2001 si sono aggiunte 9 Raccomandazioni Speciali in materia di contrasto al finanziamento del terrorismo internazionale. La materia è stata interamente rivista nel febbraio 2012, con l'adozione degli International Standards on Combating Money Laundering and the Financing of Terrorism & Proliferation, compendiati in nuove "40 Raccomandazioni".

Le raccomandazioni del GAFI non hanno valore cogente, risultano essere suddivise in quattro sezioni, riguardanti, rispettivamente:

• l’inquadramento generale della materia, ovvero gli ordinamenti giuridici dei vari Paesi;

• l’integrazione delle legislazioni attraverso le iniziative normative necessarie;

• la prevenzione del riciclaggio nel sistema finanziario;

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Sintetizzando il contenuto di tale documento, si può dire che il GAFI raccomanda alle istituzioni finanziarie di:

• eliminare l’instaurazione di conti anonimi,

• procedere ad una completa identificazione della clientela, anche occasionale;

• conservare per almeno 6 anni le registrazioni e la documentazione relativa alle transazioni.

Raccomanda di prestare attenzione a quelle transazioni che per la loro natura risultano complesse, inusuali e ingenti ed a quelle in cui non è possibile individuare uno scopo economico legale, nonché a quelle poste in essere con persone, società e istituzioni finanziarie proveniente da Paesi sospetti. Auspica la predisposizione di meccanismi che consentano alle istituzioni finanziarie di dare comunicazione di eventuali anomalie alle Autorità di vigilanza competenti.

Il GAFI raccomanda altresì di implementare il sistema dei controlli interni, la formazione del personale e la verifica del sistema nel suo complesso.

Le principali modifiche intervenute a partire dal 2012 verranno citate di seguito.

A) lotta contro il finanziamento del commercio e proliferazione delle armi

di distruzione di massa mediante una coerente attuazione di sanzioni

finanziarie mirate quando queste sono deliberate dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU;

B) maggiore trasparenza per rendere più difficile ai criminali e ai terroristi

nascondere la loro identità o mascherare i propri beni per mezzo di entità o persone giuridiche;

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C) adempimenti rafforzati e più stringenti per l’individuazione e il controllo delle persone esposte politicamente (PEP);

D) ampliamento della sfera dei reati presupposto di riciclaggio di denaro,

ivi compresi i reati fiscali;

E) miglioramento della cooperazione internazionale, che comprende lo

scambio di informazioni tra le autorità competenti, nonché le indagini congiunte anche per il tracciamento, il sequestro e la confisca dei proventi illeciti;

F) maggiori poteri e strumenti operativi sia per le unità di informazione finanziaria sia per le forze dell’ordine, al fine di potenziare le indagini sul riciclaggio di denaro e sul finanziamento del terrorismo;

G) miglioramento dell’approccio basato sul rischio, che consente ai Governi e al settore privato di agire in modo più efficiente concentrandosi sulle situazioni ad alto rischio.

Agli inizi degli anni ’90 l’Europa sembrava ormai pronta per affrontare il problema del riciclaggio. La necessità di un fronte comune transazionale è ormai un fatto acquisito, le strutture della Comunità sono più che mai solide e la tutela del libero mercato è la bandiera della “nuova Europa”6

. Questa esigenza ha spinto il Consiglio dei ministri ad emanare la direttiva 91/308 relativa alla “ Prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo

di riciclaggio dei proventi di attività illecite”.

Si tratta di un atto vincolante, non tanto per il testo ma bensì per il risultato da raggiungere. Il testo è un modello al quale ogni stato membro deve

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ispirarsi, anche se il recepimento deve avvenire mediante regolamenti interni.

Per questa ragione tendono ad assumere maggiore importanza i considerando che gli articoli che lo compongono.

Inoltre, nella direttiva si prende coscienza della necessità di una coordinazione internazionale per ostacolare il fenomeno del riciclaggio prevedendo così l’obbligo di collaborazione tra le Autorità, sia comunicando ogni fatto che possa essere indizio di riciclaggio sia qualora venga loro richiesto.

La direttiva 91/308 prevedeva indubbiamente delle lacune, ragion per cui è stata oggetto di numerose modifiche, realizzatesi con l’adozione di un secondo documento, la direttiva 2001/97/CE del dicembre 2001,”

recante modifica della direttiva 91/308/CEE del Consiglio relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite”.

La seconda direttiva estende l’ambito di applicazione dell’azione preventiva sia da un punto di vista soggettivo che oggettivo, andando ad ampliare i soggetti a cui si rivolge e affinando ed aggiornando i contenuti della precedente direttiva. L’intento del legislatore era sicuramente quello di fornire una definizione più ampia del fenomeno oggetto di analisi.

Degno di nota risulta essere l’intervento del legislatore al punto E dell’art.1, laddove viene fornita una definizione di “attività criminosa”. Infatti, se, nella prima direttiva, per attività criminosa doveva intendersi “qualsiasi coinvolgimento criminale nella perpetrazione di un reato

grave”, ora la definizione si estende sino a ricomprendere la corruzione, la

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con una severa pena detentiva in base al diritto penale dello Stati membro”.

Le disposizioni delle prime due direttive del 1991 e del 2001 sono state oggetto di rivisitazione il 26 ottobre 2005, data in cui è stata emanata la terza direttiva antiriciclaggio, la direttiva 2005/60/CE.

Il provvedimento7, più ampio ed articolato dei precedenti, raccoglie ed elabora le raccomandazioni del GAFI e presenta aspetti talmente innovativi da costringere il legislatore nazionale ad effettuare una revisione della legislazione vigente entro il 15 dicembre 2007.

Analizzeremo la terza direttiva brevemente, lasciando un’analisi degli aspetti più operativi nel capitolo successivo – all’interno del D.lgs n.231/2007. Sintetizzeremo le novità nei punti seguenti.

Tra le novità di maggior rilievo vi è sicuramente l’equiparazione del riciclaggio al finanziamento del terrorismo, due fenomeni apparentemente molto diversi ma che trovano il loro comune denominatore nell’insidia che entrambi arrecano alla stabilità del settore finanziario.

Importante risulta essere l’adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela, intendendo con ciò una serie di attività che vanno al di là di una semplice identificazione del cliente, presupponendo analisi più approfondite e controlli costanti per tutta la durata del rapporto.

Si rileva il nuovo approccio volto alla verifica dell’identità della clientela(customer due diligence). In questo senso la direttiva distingue tra obblighi semplificati ed obblighi rafforzati. I primi fanno riferimento ai rapporti con i clienti gravati da un obbligo di verifica, mentre i secondi, gli obblighi rafforzati, riguardano le situazioni considerate a maggior rischio di

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riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, ad esempio, quando si fa riferimento ad un cliente che non è fisicamente presente.

La terza direttiva non è da considerarsi un punto di arrivo. È vero infatti che il 5 febbraio 2013 la commissione ha adottato una proposta di direttiva che sostituirà la direttiva 2005/60/CE.

2.2- NORMATIVA NAZIONALE.

Passando all’analisi delle disposizioni nazionali è opportuno considerare che l’Italia, così come gli altri stati compresi nell’Unione Europea, ha recepito all’interno del proprio ordinamento le direttive in materia di antiriciclaggio e finanziamento del terrorismo, con la finalità di attuare il più ampio disegno comunitario di creazione del sistema armonizzato di contrasto. La normativa italiana ha perseguito per la prima volta l’intento di contrastare il fenomeno con la legge n. 197/1991, in attuazione della prima direttiva antiriciclaggio. Essa prevedeva obblighi solo in capo ad enti creditizi e finanziari, coinvolgendo così solo il sistema bancario e parabancario. La legge prevedeva nei primi tre articoli, le tre misure principali:

• La limitazione all’uso del contante, in modo da canalizzare le transazioni più rilevanti verso il sistema degli intermediari finanziari. Il divieto di trasferimenti di denaro o di titoli al portatore riguardava operazioni con valore complessivo superiore ai 20 milioni di lire (art. 1);

• Gli obblighi di identificazione della clientela e di registrazione di dati concernenti operazioni superiori a determinate soglie (nella legge si indica come soglia i 20 milioni di lire), anche se frazionate (art 2). Allo

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scopo di raccogliere i suddetti dati viene prevista l’istituzione dell’Archivio unico informatico (AUI) presso ciascun intermediario;

• L’obbligo di segnalazione delle operazione sospette all’Ufficio Italiano dei Cambi– UIC (art 3), introducendo la c.d. “collaborazione attiva” da parte degli intermediari.

Per quanto riguarda la normativa di secondo livello, alla legge seguirà nel 1993 la prima versione del «Decalogo» della Banca d’Italia, per riempire di contenuti operativi la norma e in particolar modo per dettagliare la nozione di operazione sospetta. L’intervento legislativo successivo si ha con il D.lgs. n. 153/1997, la cui previsione più importante è la «segretezza delle

segnalazioni», risolvendo il problema della segretezza del segnalante che si

era posto già all’entrata in vigore della precedente legge.

Numerose sono state poi le norme correlate che hanno originato modifiche in ambiti dell’ordinamento toccati indirettamente dalle direttive. Attualmente il testo di riferimento in materia di prevenzione del riciclaggio e finanziamento del terrorismo è il decreto legislativo 21 novembre 2007, n.231 che recepisce nell’ordinamento italiano le disposizioni contenute nelle direttive comunitarie 2005/60/CE e 2006/70/CE. Le disposizioni citate verranno ampiamente trattate nel capitolo successivo.

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Seguendo il modello “a cascata” si giunge alla normativa secondaria predisposta da Banca d’Italia caratterizzata da un elevato grado di specificità e circoscritta agli enti e soggetti sui quali esercita la vigilanza.

Le previsioni della legge antiriciclaggio nazionale hanno affidato agli organismi di vigilanza una posizione centrale che si caratterizza per il ruolo attivo che sono chiamati a svolgere. In particolare Banca d’Italia – che si occupa di vigilanza nel settore degli istituti di credito – ha costituito con riferimento al proprio ambito l’Unità di Informazione Finanziaria, equivalente per il nostro paese alla Financial Intelligence Unit richiamata dalle direttive europee e destinata nello specifico all’analisi delle operazioni sospette pervenute.

Con il supporto di quest’ultima e delle altre autorità di vigilanza, Banca d’Italia ha emanato le disposizioni attuative per la tenuta dell’archivio unico informatico indicando le modalità attraverso le quali vengono registrati i rapporti e le operazioni che le banche intrattengono con la propria clientela.

Gli elementi innovativi riguardano la tenuta dei dati relativi al titolare effettivo dei rapporti, l’obbligo di registrazione nell’archivio a carico degli intermediari presso cui sono incardinati i rapporti continuativi o a cui le operazioni sono riferibili e nuove modalità di inserimento per operazioni intrattenute con altri intermediari insediati in paesi a regime normativo non equivalente.

Altra pubblicazione nata di recente dalla collaborazione tra Banca d’Italia ed UIF ha portato allo sviluppo di indicatori di anomalia attraverso i quali gli intermediari possono individuare più accuratamente le operazioni potenzialmente sospette.

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L’allegato inoltre riporta una serie di fattispecie esemplificative che identificano eventi quantomeno sospetti in grado di generare riciclaggio o finanziamento del terrorismo, suddividendoli in relazione alla tipologia di cliente, alle operazioni ed ai rapporti in essere, ai mezzi ed alle modalità di pagamento, agli strumenti finanziari e contratti assicurativi, al finanziamento del terrorismo.

Tuttavia il documento che – ai fini dell’analisi in corso – risulta essere di maggiore impatto è il “Provvedimento recante disposizioni attuative in

materia di organizzazione, procedure e controlli interni volti a prevenire l’utilizzo degli intermediari e degli altri soggetti che svolgono attività finanziaria a fini di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, ai sensi dell’art. 7 comma 2 del Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231”.

Le norme in questione sono rivolte a delineare un assetto organizzativo ottimale che gli enti dovrebbero adottare al fine di realizzare un sistema coerente con le disposizioni sul controllo interno dettate dal decreto.

Le regole hanno come scopo la rivisitazione della best practice in tema di organizzazione, alla luce della nuova legge antiriciclaggio ed in particolare delineano i ruoli degli organi di supervisione strategica, gestione e controllo, nonché suggeriscono le unità organizzative adatte per la gestione della funzione antiriciclaggio sottolineandone compiti, inquadramento organizzativo,responsabilità, esternalizzazione e rapporti con altre funzioni aziendali.

Da ultimo vengono considerate peculiarità riguardanti le strutture di gruppo e l’esercizio di specifiche attività. Al momento è possibile considerarlo come il principale riferimento a cui le banche devono attenersi nella predisposizione di un’ottimale struttura aziendale di gestione del rischio di riciclaggio.

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3- LE AUTORITÀ E GLI STRUMENTI DI CONTROLLO.

Le autorità di controllo competenti per quanto riguarda la prevenzione del riciclaggio e il finanziamento del terrorismo sono diverse. Di seguito, si riporteranno in modo sintetico ma esaustivo le principali.

Il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze) è responsabile delle politiche di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario e quello economico per fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Avvalendosi del Comitato di sicurezza finanziaria8, esso promuove la collaborazione tra l’unità di informazione finanziaria(UIF), le autorità di vigilanza, gli Ordini professionali, la DIA(Direzione Investigativa Antimafia) e la Guardia di Finanza.

Il MEF, inoltre, ha potestà di controllo in materia di limitazioni all’uso del contante nonché poteri sanzionatori amministrativi che gli vengono attribuiti dalla normativa.

L’UIF esercita le proprie funzioni in piena autonomia ed indipendenza. È istituita presso la Banca d’Italia che le fornisce le risorse umane e strumentali al funzionamento. La UIF svolge innumerevoli funzioni nell’ambito della prevenzione del rischio di riciclaggio, tra le quali possiamo menzionare: analizza i flussi finanziari al fine di individuare e prevenire fenomeni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo; effettua l’analisi finanziaria delle segnalazioni di operazioni sospette ricevute; può sospendere, su richiesta del Nucleo di polizia valutaria, della

8 Il CSF svolge funzione di analisi e coordinamento in materia di antiriciclaggio; deve presentare entro il

30 maggio di ogni anno, al MEF, una relazione contenente la valutazione dell’attività di prevenzione, nonché proposte dirette a renderla più efficace; effettua attività di consulenza nei confronti del MEF.

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DIA e dell’Autorità giudiziaria, per un massimo di 5 giorni lavorativi, operazioni sospette di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

Le Autorità di vigilanza di settore (Banca d’Italia, Consob e Ivass) sovraintendono all’osservanza degli obblighi da parte dei soggetti rispettivamente vigilati. D’intesa tra loro, emanano disposizioni circa le modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica del cliente, l’organizzazione, la registrazione, le procedure e i controlli interni volti a prevenire l’utilizzo dei soggetti obbligati a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

La DIA e il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza sono gli organi competenti a sviluppare gli approfondimenti investigativi delle segnalazioni di operazioni sospette, avvalendosi anche dei dati contenuti nell’Archivio Unico Informatico allocato nell’apposita sezione dell’anagrafe tributaria.

Tutte le notizie relative all’attuazione della disciplina antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo sono coperte dal segreto d’ufficio, che non può essere opposto all’Autorità giudiziaria quando le informazioni richieste siano necessarie per le indagini.

In deroga all’obbligo del segreto d’ufficio, le Autorità di vigilanza di settore collaborano tra loro e con la UIF, anche mediante scambio di informazioni, al fine di agevolare l’esercizio delle rispettive funzioni.

La UIF può scambiare dati e notizie in materia di operazioni sospette e collaborare con analoghe Autorità di altri Stati che perseguono le medesime finalità.

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CAPITOLO II. IL DECRETO LEGISLATIVO

231/2007: CONTENUTI E NOVITÀ

INTRODOTTE

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1.1 Obblighi per gli intermediari: le banche.

Il d.lgs 231/2007 è la normativa di riferimento in materia di prevenzione del riciclaggio, meglio noto come Legge Antiriciclaggio, che ha recepito nell’ordinamento italiano le disposizioni contenute nelle direttive comunitarie 2005/60/CE e 2006/70/CE.

Il decreto legislativo n. 231, ha riordinato l’intera normativa di prevenzione del riciclaggio di denaro, rivisitando il ruolo della Banca d’Italia sotto molteplici profili:

- attraverso la costituzione, nel suo ambito, dell’Unità di Informazione Finanziaria, dotata di requisiti di autonomia e indipendenza e deputata all’analisi dei flussi finanziari e, più in particolare, delle segnalazioni di operazioni sospette trasmesse da tutti i destinatari della disciplina antiriciclaggio;

- attraverso l’attribuzione alla Vigilanza Bancaria e Finanziaria di facoltà regolamentari, di poteri di controllo e di poteri sanzionatori nei confronti dei soggetti vigilati. In particolare, nel mutato quadro legislativo, la Vigilanza è chiamata a emanare disposizioni in tema di :

• adeguata verifica della clientela; • di registrazione dei relativi dati;

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• di organizzazione, procedure e controlli interni finalizzati all’assolvimento degli obblighi antiriciclaggio.

La nuova disciplina attribuisce particolare rilevanza alla collaborazione tra le autorità, anche attraverso l’attribuzione al Comitato di sicurezza finanziaria (CSF) - composto da tutte le autorità coinvolte a livello nazionale nella prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo - di un ruolo di analisi e coordinamento. Hanno trovato in tal modo accoglimento le indicazioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI) che, nel 2005, in sede di valutazione del sistema italiano, ha sottolineato la necessità di un sistema di controlli basato sulla chiara attribuzione di compiti e responsabilità e su meccanismi efficaci di collaborazione e coordinamento tra Autorità.

L’obiettivo generale delle nuove disposizioni è la protezione dell’integrità

del sistema bancario e finanziario e, indirettamente, la protezione della

stabilità dello stesso.

Secondo l’approccio tradizionale le norme sono dirette a preservare il sistema dal rischio di essere, anche inconsapevolmente, strumentalizzato per il compimento di attività illecite, chiamando i destinatari a condotte di c.d. collaborazione attiva vale a dire a segnalare le operazioni che destano sospetto circa la provenienza illecita dei fondi trasferiti. Rispetto al passato l’impostazione della regolamentazione realizza un’anticipazione della soglia di tutela: le regole imposte alle imprese a presidio della piena e “adeguata” conoscenza del cliente vengono dettagliate e rafforzate, sino a prevedere che, nelle ipotesi in cui non si verifichi una completa disclosure tra le parti, il rapporto non debba essere instaurato o debba essere interrotto.

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L’azione di prevenzione e contrasto del riciclaggio si esplica attraverso l’introduzione di presidi volti a garantire la piena conoscenza del cliente, la tracciabilità delle transazioni finanziarie e l’individuazione delle operazioni sospette.

1.2 Le diverse categorie di destinatari: in particolare le

banche.

Il d.lgs 231/2007 individua i soggetti destinatari in base a specifiche categorie omogenee, i quali sono, inoltre, chiamati ad adeguare il proprio modello organizzativo in base all’art.7.

I destinatari risultano essere classificati in base a quattro categorie: intermediari finanziari(art.11);

professionisti(art.12); revisori contabili(art 13); altri soggetti(art 14).

L’art. 11 enumera quali soggetti o attività formano la categoria identificata come “intermediari finanziari” e definisce le specifiche modalità di comportamento e le procedure che devono essere eseguite per rispettare gli obblighi previsti dal decreto.

Le presenti disposizioni sono rivolte ai seguenti soggetti : a) banche;

b) istituti di moneta elettronica; c) istituti di pagamento;

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e) società di gestione del risparmio (SGR);

f) società di investimento a capitale variabile (SICAV);

g) succursali insediate in Italia dei soggetti indicati alle lettere precedenti aventi sede legale in uno Stato estero;

h) intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 106 del TUB;

i) le società fiduciarie di cui all’art. 199 del TUF;

j) Poste italiane S.p.A.;

k) Cassa depositi e prestiti S.p.A; l) agenti di cambio;

m) soggetti disciplinati dagli articoli 111 e 112 del TUB;

n) mediatori creditizi iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 128-sexies del TUB;

o) agenti in attività finanziaria iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 128-quater, comma 2, del TUB e gli agenti indicati nell’articolo 128- 128-quater, comma 7, del medesimo TUB.

L’articolo 12 elenca quali soggetti o attività possano essere inclusi nella classe identificata come “professionisti” e specifica delle peculiarità relative agli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette. Da questa categoria sono stati esclusi i revisori contabili a cui è stato dedicato un articolo specifico, il 13.

Art.12 Professionisti.

1. Ai fini del presente decreto per professionisti si intendono:

a) i soggetti iscritti nell'albo dei ragionieri e periti commerciali, nell'albo dei dottori commercialisti e nell'albo dei consulenti del lavoro;

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soggetti che svolgono in maniera professionale attività in materia di contabilità e tributi;

c) i notai e gli avvocati quando, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e

quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:

1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;

2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;

3) l'apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;

4) l'organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all'amministrazione di società;

5) la costituzione, la gestione o l'amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi;

d) i prestatori di servizi relativi a società e trust ad esclusione dei soggetti indicati dalle lettere a), b) e c).

2. L'obbligo di segnalazione di operazioni sospette di cui all'articolo 41 non si applica ai soggetti indicati nelle lettere a), b) e c) del comma 1 per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il

procedimento stesso.

3. Gli obblighi di cui al Titolo II, Capo I e II, non si osservano in relazione allo svolgimento della mera attività di redazione e/o di trasmissione della

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dichiarazione dei redditi e degli adempimenti in materia di amministrazione del personale di cui all'articolo 2, primo comma, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.

Rispetto alla disciplina previgente, che le includeva nei professionisti, il decreto introduce una norma ad hoc che qualifica come destinatari degli obblighi sia le società di revisione vigilate dalla Consob, sia le persone fisiche iscritte nell'apposito registro.

Per i revisori contabili valgono gli obblighi indicati nell'articolo 12 comma 2.

Art. 13 Revisori contabili.

1. Ai fini del presente decreto per revisori contabili si intendono:

a) le società di revisione iscritte nell'albo speciale previsto dall'articolo 161 del TUF;

b) i soggetti iscritti nel registro dei revisori contabili.

2. I soggetti indicati nel comma 1 osservano le disposizioni di cui all'articolo 12, comma 2.

L'articolo 14 riunisce una serie di destinatari eterogenei tra i quali: recupero crediti conto terzi; gestione di case da gioco; agenzie di affari in

mediazione immobiliare.

Art. 14. Altri soggetti

1. Ai fini del presente decreto per «altri soggetti» si intendono gli operatori che svolgono le attività di seguito elencate, il cui esercizio resta

subordinato al possesso delle licenze, autorizzazioni, iscrizioni in albi o registri, ovvero alla preventiva dichiarazione di inizio attività

specificatamente richieste dalla norme a fianco di esse riportate: a) recupero di crediti per conto terzi, in presenza della licenza di cui all'articolo 115 del TULPS;

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b) custodia e trasporto di denaro contante e di titoli o valori a mezzo di guardie particolari giurate, in presenza della licenza di cui all'articolo 134 del TULPS;

c) trasporto di denaro contante, titoli o valori senza l'impiego di guardie particolari giurate, in presenza dell'iscrizione nell'albo delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l'autotrasporto di cose per conto di terzi, di cui alla legge 6 giugno 1974, n. 298;

d) gestione di case da gioco, in presenza delle autorizzazioni concesse dalle leggi in vigore, nonché al requisito di cui all'articolo 5, comma 3, del

decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30;

e) offerta, attraverso la rete internet e altre reti telematiche o di

telecomunicazione, di giochi, scommesse o concorsi pronostici con vincite in denaro, in presenza delle autorizzazioni concesse dal Ministero

dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, ai sensi dell'articolo 1, comma 539, della legge 23 dicembre 2005, n. 266;

f) agenzia di affari in mediazione immobiliare, in presenza dell'iscrizione nell'apposita sezione del ruolo istituito presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, ai sensi della legge 3 febbraio 1989, n. 39.

1.3 Il principio di collaborazione attiva.

La prevenzione e il contrasto dei fenomeni di riciclaggio e finanziamento del terrorismo si realizzano mediante controlli, rivolti ad un ampia platea di destinatari individuati dal d.lgs 231/2007, di natura organizzativa,

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tecnologica e formativa che hanno come fine ultimo la creazione di un iter che si fonda su tre pilastri:

• la piena conoscenza del cliente;

• la tracciabilità delle transazioni finanziarie con archiviazione e conservazione dei dati;

• l’individuazione e la segnalazione delle operazioni sospette e di finanziamento del terrorismo.

Mentre i primi due si possono denominare forme di collaborazione

passiva, il terzo è da inquadrarsi come collaborazione attiva a tutti gli

effetti.

La collaborazione passiva è intesa come l’insieme dei comportamenti collaborativi per adempiere agli obblighi relativi alla identificazione dei soggetti, alla registrazione di operazione e alla tenuta di archivi anagrafici ed informatici. Al contrario, la collaborazione attiva è da sempre considerato il “fulcro” nell’assolvimento degli adempimenti a contrasto del riciclaggio di capitali e richiama, immediatamente, all’attenzione la segnalazione di “operazioni sospette”.

Di fatto, con l’obbligo di collaborazione attiva ai destinatari delle disposizioni antiriciclaggio è richiesto qualcosa di più dell’offerta del loro patrimonio informativo raccolto mediante l’adempimento dell’obbligo di trasparenza, dovendo essi farsi parte attiva nella ricerca di quegli elementi che possano permettere alle autorità inquirenti di perseguire fattispecie criminose altrimenti non individuabili.

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2.1 Il risk based approach.

Figura1:l’adeguata verifica della clientela.

Il primo contatto con il cliente è un momento focale per l’applicazione degli obblighi antiriciclaggio. Obblighi che rispetto al passato appaiono ampliati, dal momento che si è passati dal principio di “Know your

customer”, cioè un principio in base al quale era necessaria la semplice

conoscenza del cliente, ad un principio di “Customer due diligence” (CDD), strettamente legato al concetto di risk based approach (approccio basato sul rischio, art 20 del decreto in esame), in base al quale l’intensità e

l’estensione degli obblighi di adeguata verifica della clientela vanno modulati secondo il grado di rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, cioè, detto in parole più semplici, l’obbligo di ordinare l’attività

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riciclaggio associato al tipo di cliente, al rapporto di affari, prodotti o transazioni di cui trattasi (profilo oggettivo).

Nello specifico, quando si parla di profilo soggettivo si considera: • natura giuridica del cliente;

• attività prevalentemente svolta;

• comportamento tenuto al momento dell’operazione o

dell’instaurazione del rapporto continuativo;

• area geografica di residenza, sede del cliente o della controparte.

Per profilo oggettivo, invece, intendiamo:

• tipologia del rapporto continuativo o dell’operazione;

• le modalità di instaurazione e di svolgimento del rapporto continuativo o dell’operazione;

• ammontare;

• la frequenza delle operazioni e la durata del rapporto continuativo; • la ragionevolezza del rapporto continuativo o dell’operazione in

rapporto all’attività svolta dal cliente;

• l’area geografica di destinazione dei fondi o degli strumenti finanziari oggetto del rapporto continuativo o dell’operazione;

• l’effettuazione dell’operazione in contanti.

Determinare il profilo di rischio del cliente ha lo scopo di individuare potenziali incoerenze nell’operatività dello stesso. Va precisato che l’obbligo di adeguata verifica va applicato a tutti i nuovi clienti, come

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previsto dall’ art 229

del decreto, mentre per la clientela già acquisita i suddetti obblighi si applicano al primo contatto utile.

Con provvedimento del 3 aprile 2013, dunque dopo cinque anni dall’entrata in vigore del decreto, la Banca d’Italia, d’intesa con la Covip e l’Ivass, ha emanato le prime disposizioni in materia, rivolte agli intermediari e agli altri soggetti svolgenti attività finanziarie, che riprendono, arricchiscono e sviluppano la scarna elencazione dell’art 2010

, corredandone i contenuti con

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ART 22 D.LGS 231/2007:Gli obblighi di adeguata verifica della clientela si applicano a tutti i nuovi clienti, nonche' previa valutazione del rischio presente, alla clientela gia' acquisita.

10

Gli obblighi di adeguata verifica della clientela sono assolti commisurandoli al rischio associato al tipo di cliente, rapporto continuativo, prestazione professionale, operazione, prodotto o transazione di cui trattasi. Gli enti e le persone soggetti al presente decreto devono essere in grado di dimostrare alle autorita' competenti di cui all'articolo 7, ovvero agli ordini professionali di cui all'articolo 8, che la portata delle misure adottate e' adeguata all'entita' del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Per la valutazione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, gli enti e le persone soggetti osservano le istruzioni di cui all'articolo 7, comma 2, nonche' i seguenti criteri generali: a) con riferimento al cliente:

1) natura giuridica; 2) prevalente attivita' svolta; 3) comportamento tenuto al momento del compimento dell'operazione o dell'instaurazione del rapporto continuativo o della prestazione professionale; 4) area geografica di residenza o sede del cliente o della controparte;

b) con riferimento all'operazione, rapporto continuativo o prestazione professionale: 1) tipologia dell'operazione, rapporto continuativo o prestazione professionale posti in essere; 2) modalita' di svolgimento dell'operazione, rapporto continuativo o prestazione professionale; 3) ammontare; 4) frequenza delle operazioni e durata del rapporto continuativo o della prestazione professionale; 5) ragionevolezza dell'operazione, del rapporto continuativo o della prestazione professionale in rapporto all'attivita' svolta dal cliente; 6) area geografica di destinazione del prodotto, oggetto dell'operazione o del rapporto continuativo.

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opportune esemplificazioni. Il provvedimento della Banca d’Italia disciplina le modalità, che comportano, nell’ordine :

• l’identificazione e la verifica dell’identità del cliente, dell’esecutore e del titolare effettivo;

• l’acquisizione di informazioni sullo scopo e sulla natura del rapporto continuativo instaurato e, se il rischio è elevato, dell’operazione occasionale posta in essere;

• il controllo costante sul rapporto.

In esito alla profilatura, ciascun cliente è incluso in una delle classi di rischio predefinite dai destinatari. A ciascuna classe di rischio è associato un coerente livello di profondità ed estensione degli adempimenti agli obblighi previsti dalla normativa di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo (adeguata verifica e valutazione delle operazioni sospette). La segmentazione della clientela si avvale di procedure strutturate di raccolta e di elaborazione dei dati e delle informazioni. Se la raccolta delle notizie può avvenire attraverso percorsi guidati o questionari, l’elaborazione del profilo di rischio può essere effettuata anche avvalendosi di algoritmi predefiniti e procedure informatiche, in grado di assegnare in automatico la classe di rischio. In tutti i casi di modalità automatiche, gli operatori devono applicare classi di rischio più elevate ove le ritengano appropriate. Se la modifica dell’operatore abbassa il livello di rischio o dei controlli, essa va motivata per iscritto. Modalità di elaborazione in automatico e in tempo reale possono risultare particolarmente adatte nel caso di singole operazioni non riconducibili a un rapporto continuativo (operazione occasionale), di importo tale per cui la normativa richiede l’adeguata verifica.

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2.2 L’obbligo di adeguata verifica della clientela.

Ogni intermediario finanziario, ai sensi dell’art.1511

del decreto in esame, è chiamato ad adempiere all’obbligo di adeguata verifica della clientela. Tale obbligo non sostituisce quello di identificazione, ma bensì lo va ad inglobare.

L’obbligo riguarda i seguenti casi:

a) quando si instaura un rapporto continuativo; all’atto dell’accensione del rapporto, ad esempio al momento dell’apertura di un conto andrà obbligatoriamente richiesto al cliente di sottoscrivere, dopo averla debitamente compilata, una scheda per l’adeguata verifica;

b) quando venga eseguita un’operazione occasionale, disposta dal cliente che comporti la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che sia effettuata con un’operazione unica o con più operazioni frazionate. Rientrano in tale fattispecie i casi in cui le banche, gli istituti di moneta elettronica, gli istituti di pagamento o le Poste Italiane SpA agiscano da tramite o siano comunque parte nei trasferimenti di denaro contante o titoli

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Art 15: Gli intermediari finanziari e gli altri soggetti esercenti attività finanziaria di cui all'articolo 11 osservano gli obblighi di adeguata verifica della clientela in relazione ai rapporti e alle operazioni inerenti allo svolgimento dell'attività istituzionale o professionale degli stessi ed, in particolare, nei seguenti casi: a) quando instaurano un rapporto continuativo; b) quando eseguono operazioni occasionali, disposte dai clienti che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro,

indipendentemente dal fatto che siano effettuate con una operazione unica o con più operazioni che appaiono collegate o frazionate;

c) quando vi e' sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile; d) quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull'adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell'identificazione di un cliente.

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al portatore effettuati a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, laddove l’importo complessivo sia pari o superiore a 15.000 euro.

c) quando vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia fissata;

d) quando sorgano dubbi sulla completezza, attendibilità o veridicità delle informazioni o della documentazione precedentemente acquisite dalla clientela (ad esempio, nel caso di mancato recapito della corrispondenza all’indirizzo comunicato; in caso di incongruenze tra documenti presentati dal cliente o comunque acquisiti dal destinatario).

Ma in che cosa consiste effettivamente quest’obbligo di adeguata verifica della clientela?

L’adeguata verifica potrebbe essere rappresentata graficamente come un bersaglio a cerchi concentrici, quindi, con superficie crescente dal centro verso la periferia. Il centro rappresenta il livello informativo più concentrato e significativo, che potrebbe perciò soddisfare, con l’ausilio di idonei strumenti informatici, l’adeguata verifica della stragrande maggioranza dei rapporti e delle operazioni. I cerchi concentrici costituiscono eventuali progressivi ampliamenti dell’area informativa. All’interno di ogni area è poi possibile approfondire le informazioni ulteriori e le relative verifiche per ottenere valutazioni più valide12. Il processo di adeguata verifica può, in conclusione, definirsi come quel complesso di attività attraverso le quali l’operatore evidenzia il livello di esposizione del cliente a potenziali fenomeni di riciclaggio e individua il set di informazioni da acquisire e da approfondire in relazione alla

12 L’adeguata verifica della clientela bancaria e il recente provvedimento della banca d’italia, Giovanni

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specificità del caso concreto nonché la frequenza e la gamma dei controlli da effettuare sull’operatività svolta.

In sostanza, l’adeguata verifica consiste:

a) identificazione del cliente e dell’eventuale esecutore;

b) identificazione dell'eventuale titolare effettivo;

c) verifica dell’identità del cliente, dell’eventuale esecutore e dell’eventuale titolare effettivo sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente;

d) acquisizione di informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto continuativo e, quando rilevi secondo un approccio basato sul rischio, dell’operazione occasionale;

e) esercizio di un controllo costante nel corso del rapporto continuativo.

2.2.1 Il titolare effettivo.

L’identificazione del titolare effettivo, nell’ambito delle attività di adeguata verifica della clientela, rappresenta forse una delle fasi più delicate, che non può essere sicuramente sottovalutata. Per la normativa antiriciclaggio, il titolare effettivo è la persona fisica per conto della quale è realizzata un’operazione o un’attività, ovvero, nel caso di entità giuridica, la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedono o controllano tale entità, ovvero ne risultano beneficiari. Il cliente invece, è il soggetto al quale i professionisti rendono una prestazione professionale in seguito al conferimento di un incarico.

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