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"Le spese militari in tempo di crisi. Progetti comuni"

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Corso di laurea specialistica in Scienze per la Pace: cooperazione allo sviluppo, mediazione e trasformazione dei conflitti

TESI DI LAUREA

Le Spese per la Difesa in tempo di Crisi. Programmi Comuni.

Candidata: Relatrice: Fabiola Cianciulli Valentina Bartolucci

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2 RIASSUNTO

Alla luce della crisi economica la sfida per l’Europa è quella di condividere necessariamente i propri assetti bellici. Pena l’isolamento. Dal punto di vista interno i Paesi sono chiamati a dover suddividere più equamente le proprie risorse o i tagli messi in campo. Pena, la recessione ad oltranza e una possibile futura rivolta degli stessi popoli europei. Stanchi di non poter decidere dei contributi che gli vengono sottratti. Una latente perdita di sovranità nazionale erosa tanto dalla crisi quanto da scelte azzardate in campo pubblico e bellico. I Paesi europei guardano però già al futuro, a quello energetico, geo-strategico ed industriale. Essi, temendo-

parallelamente ai cali interni di produttività- l’ascesa di nuove e ben salde potenze, non frenano i propri commerci armieri e tentano di esportarli anche a costo di pratiche poco legali. Tutto purchè non infici ulteriormente la dipendenza da risorse energetiche di

un’ Europa Unita a suon di pericoli.

SUMMARY

In light of the economic crisis, the challenge for Europe is to necessarily share their own military arrangements. Otherwise, isolation would be the result. From the internal point of view, Countries must divide their

resources, or cuts, fairly. If not, it would bring the recession at all costs and a possible future revolt of the European communities themselves, tired of not being able to decide about the contributions that are subtracted. A latent loss of national sovereignty, eroded by the crisis as much as risky choices in the public and military spheres. However, European countries are already looking to the future: the energetic, the geo-strategic and

industrial one. The fear - parallel to the internal drop of productivity- of the rise of new and stable authorities is the reason why they do not restrain their guns trade and try to export them, even illegally. Everything is acceptable, as long as it would not further affect the energy reliance of a “United” Europe .

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SOMMARIO

-INTRODUZIONE………..p.4

• CAPITOLO 1: L’APPROCCIO UE ALLA DIFESA MILITARE

-PARAGRAFO 1: Struttura europea della difesa e della sicurezza di tipo

istituzionale………..…p.12 -PARAGRAFO 2: La cooperazione con la Nato………..p.18 -PARAGRAFO 3: I documenti guida ad una strategia di difesa comune..…………..p.21 -PARAGRAFO 4: AED Agenzia Europea della Difesa……….p.28 -PRAGARAFO 5: Trattato di Lisbona (innovazioni)………p.31 -PARAGRAFO 6: Istituzioni comuni tra PESC E PESD……….p.36 -PARAGRAFO 7:Le capacità civili dell’Unione e le operazioni messe in campo….p.38 -PARAGRAFO 8: Finanziamento delle missioni……….…p.40 -PARAGRAFO 9: Forze multinazionali……….…p.42 -PARAGRAFO 10: L’industria e il mercato degli armamenti. Norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari………..…p.55 -PARGRAFO 11: La crisi e la necessaria condivisione degli assetti……….p.68

• CAPITOLO 2:LA CRISI I TAGLI E LE SPESE

-PARAGRAFO 1: I tagli imposti alla Difesa……….p.77 -(1.2) La crsi……….…p 84. -(1.3)Disoccupazione in Europa……….p.86 -PARAGRAFO 2:Il caso Grecia……….p.89 -(2.2) Affari poco puliti..………...p.96 -(2.3) Il caso Portogallo………..p.99 -(2.4) La situazione in Spagna……….p.112 -PARAGRAFO 3:L’industria delle armi e l’export………p.101 -PARAGRAFO 4: Focus sull’Italia..………..p. 112 -(4.2) Spesa per la Difesa….……….………..p. 118

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-(4.3) Risorse messe a bilancio……….p.121 -(4.4) Programmi bellici……….p.124 -(4.5) Disoccupazione in Italia………..p.128 -PARAGRAFO 5: Il caso F-35………p.130 -(5.2) Difetti di fabbrica………p.138 -PARGRAFO 6: La legge sull’export delle armi………..…p.142 -PARGRAFO 7: Approccio mondiale al disarmo………p.148 -(7.2): Spese militari nel mondo………..p.150

• CAPITOLO 3: CONCLUSIONI………...p.157

-Foto e Tabelle……….p.161 -Bibliografia e siti……….p.173

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PREFAZIONE

Le ragioni che mi hanno spinto ad affrontare un tema come le spese militari nei tempi attuali ruotano attorno alla personale necessità, di responsabilizzazione di fronte una questione fondamentale: l’uso della violenza per risolvere i conflitti. L’uso di una mano a mio avviso troppo ferrea per sbrogliare le difficoltà di natura geo-politica e troppo austera, per risolvere quelle di natura strategico-economica. Mi sono chiesta come mai nel 2013, la sensazione è ancora quella di una

generalizzata criticità e dispersione di energie e volontà, se tanta storia, dialogo ed esperienza ancora non hanno trasformato le potenzialità in realtà, le esperienze in insegnamenti.

Nel mio piccolo scandagliare il quadro -inevitabilmente europeo- nel quale come Governi compiamo le nostre seppur limitate scelte, ha significato fotografare la struttura della difesa del Continente e così le lacune, le opportunità.

La scelta di conoscere l’Europa dal punto di vista militare mi preme particolarmente poiché in quanto cittadina europea sento il peso della responsabilità verso l’esterno, delle scelte che ai vertici vengono compiute, soprattutto se queste altrove

comportano fame e distruzione.

Dal punto di vista interno, le mancate sinergie in termini di capacità e condivisione delle risorse militari, comportano un dispendio di energie e denaro che si

accavallano alla già febbricitante crisi economica e finanziaria quindi alla

disoccupazione ed alla cronica mancanza di denaro per le questioni sociali e di casa “nostra”. Marcata insostenibilità di rapporti di produzione consumo che proprio non possiamo permetterci.

La Difesa, la Sicurezza non sono ambiti come tutti gli altri. Ma preponderantemente latenti e sconosciuti ai più. Ambiti che non mancano di incongruenze e sprecate sinergie. Pericoli di monopolismi sono stati riscontrati nelle pratiche che sottendono all’esportazione della politica bellica, tramite l’industria degli armamenti: vero perno sul quale i Governi contano per poter accrescere la loro forza quindi, la credibilità internazionale. Unica immune alla crisi economica è risultata però lacunosa in termini di legalità e trasparenza.

Fattori quali la tutela della sicurezza nazionale e la segretezza, minano alla base la democraticità di cui ci facciamo portatori dando adito a pratiche industriali e commerciali poco chiare, affaristiche.

Istituti semi-pubblici le industrie belliche inevitabilmente vengono coinvolte nelle scelte strategiche degli Stati e tra i vertici militari: vera triade della politica estera

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europea e non solo. Ma nonostante la crisi e i tagli a vari livelli avvenuta in particolare dal 2009 gli Stati europei pure hanno visto una crescita delle loro

esportazioni d’armamenti ed in particolare verso quei paesi che poi dall’altra sponda del Mediterraneo si sono rivoltati. Una separazione va fatta tra ciò che è puro

business bellico e ciò che per fattore di sicurezza viene in essere sotto il concetto di difesa. Tra i due vi è l’industria armiera, tra i due vi è una stretto legame, poiché chi produce, esporta e mette in campo la propria politica anche in questo modo. L minacce percepite giustificano d’altro canto questo atteggiamento.

Più di tutto mi coinvolge un pensiero: una minaccia percepita, può davvero

giustificare un attacco? E se non è attacco ma difesa, perché farlo all'estero? l Oggi

siamo coinvolti nei maggiori teatri di guerra e a dir la verità la maggior parte delle nostre missioni ha il carattere del peacekeeping ossia di mantenimento della pace attraverso mezzi civili e militari con i quali cerchiamo di alleviare la sofferenza di popoli sotto conflitto. Non vi è un chiaro nemico né una necessità imminente di potenziare i propri arsenali. Se non l’ascesa di nuove potenze, che per lo più acquistano occidentale o lo hanno fatto, e che rivendicano una buona dose di sovranità territoriale e voce in capitolo nella politica internazionale.

Ancora un’ incongruenza sorge spontanea all’occhio dell’osservatore: i maggiori esportatori d’armi sono proprio i Paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito, Italia) gli stessi che si adoperano per la pace e lo sviluppo dei popoli. Gli stessi dai quali provengono miliardi di introiti tramite l’ industria armiera. I maggiori

produttori ed esportatori sono anche coloro che siedono il Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito). Gli stessi coinvolti poi in missione. Ecco, non è mia intenzione pretendere di risolvere i conflitti nel mondo, con altri mezzi diversi dalla guerra: lo spero, ma non lo pretendo. Tuttavia ad occhio

obbiettivo risulta chiaro un forte conflitto sì, ma di interessi; tra una volontà politica e nobile che però rimane solo sulla carta e una tutta commerciale, tattica e

strategica a fini di arricchimento e controllo.

Se prevale la seconda, si fa più chiaro il percorso che vede risorse sempre più ingenti spostarsi dal mondo dell’economia reale e sociale a quello bellico-finanziario. Che pure vacilla. I suicidi per debiti e disoccupazione in patria non si contano, e

nemmeno quelli dei soldati tornati via da guerre combattute a suon di garanzie economiche.

La conclusione è che un cambio generazionale tra bimbi che non nascono, altri che nascon malformati ed altri ancora che stentano a vivere, non renderà immune

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questa generazione dal preparare le basi per una futura guerra mondiale. Ecco perché mi sento responsabile.

A mio padre, alla mia mamma ed alla mia sorella che sangue del mio sangue, e vivi ancora per tenermi in vita con il loro affetto, mantengono alto il rispetto per ciascuno altro ed io li ringrazio, perché me lo hanno saputo trasmettere. Un Grazie particolare all’Energia benevola e coraggiosa che pervade questo mondo e di cui mi nutro per poter andare avanti.

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INTRODUZIONE

Le spese militari, comuni e necessarie in un quadro internazionale che chiede sempre di più interdipendenza e comunione d’intenti assumono un peso altresì significativo, non tanto in termini di prestigio e credibilità, come vorrebbero farci credere i nostri governanti, quanto in termini di quantità di risorse pubbliche destinate a questo settore e tolte effettivamente alla spesa sociale.

Nonostante i tempi di crisi economica e finanziaria come quelli che stiamo vivendo oggi, gli Stati europei déstinano alla difesa una quota in percentuale al Pil sempre maggiore, così come continuano a sostenere la propria industria bellica, quindi programmi e acquisti d’armamento e ciò nonostante i tagli, le misure di austerità e gli impegni fiscali sovrannazionali. Questo non può che ricadere sulle persone, in termini occupazionali, reddituali e di benessere.

Questo è ciò che sta accadendo in Europa, dove la guerra viene strategicamente preparata. Laddove la guerra viene operativamente messa in campo, significa altrettanta, anzi maggiore disgrazia: se da noi si muore lentamente (in Grecia si stimano quasi 500 mila bambini sottonutriti) altrove, là fuori, lontano dai nostri occhi e dal nostro cuore, ciò che fa la fortuna della nostra industria bellica, fa la fame, la distruzione di chi, quei potenti sistemi d’arma li subisce, sulla pelle.

La fine della guerra fredda e la globalizzazione hanno comportato un’evoluzione del normale concetto di “autodifesa” non più basato su un pericolo di invasione, ma su minacce meno visibili. La prima linea di difesa oggi è infatti all’estero.

Attualmente l’Europa non rischia imminenti attacchi, tanto è vero che tra gli

obbiettivi e i documenti dei Paesi membri, vi è quello di mettere in sicurezza le zone

limitrofe ed i rapporti internazionali a fini di sviluppo, dipendenza energetica e democraticità delle esistenze. Un concetto, quello della sicurezza, che molto

probabilmente va ampiamente ridiscusso.

La percettibilità delle minacce nei bureaux europei e nei consessi internazionali più o meno pubblici, oggi è caratterizzato da un approccio che vede ancora la

deterrenza, alla base della difesa e la prevenzione attraverso rafforzamento degli armamenti, quale fattore di sicurezza.

In termini strategici I Paesi europei cercano da un lato di agire congiuntamente quanto si tratta di intervenire, agiscono invece in maniera isolata quando si stratta di preparare le guerre e le forze pronte a combatterle. La crisi ha richiesto sinergie a fini di maggiori efficienza, integrazione di strutture e forze come una migliore

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standardizzazione operativa, eppure persiste un atteggiamento cosiddetto di monopsonio (quando esistono più venditori ed un solo compratore, in questo caso rispettivamente, le industrie e lo Stato) in cui l’industria di casa è preferita a quella europea o internazionale con tutte le conseguenze in termini di mancata

competitività. Il commercio internazionale di armi dal canto suo continua comunque a fiorire alimentando introiti da capogiro dove “la ricchezza petrolifera e lo sviluppo delle nazioni, continuano a costituire il focus primario dell’attività di vendita

all’estero di armi da parte dei fornitori di armamenti”.

Ecco, la domanda che sorge è, se effettivamente la guerra non sia un mezzo per distruggere prima, ricostruire dopo e continuare a distruggere solo per alimentare un giro di soldi che finisce sempre nelle mani di pochi. Non mancano in tutto questo circolo infatti, scandali di corruzione da parte delle industrie d’armamento e strani giochi di potere, connivenze, e sovvertimento di embarghi.

In fase di piena crisi, risorse importanti dalle tasche pubbliche, non sono altro che state spostate, verso l’alta finanza ad esempio. (Gli Usa fino al 2011 hanno dragato aiuti verso le industrie e le banche per un valore doppio rispetto alle risorse usate durante tutta la seconda guerra mondiale e gli introiti delle banche nel 2010, solo per i famosi derivati ammontano ad un quintuplo di più dell’intero Pil mondiale). L’industria bellica dal canto suo è l’altra attrice che non ha subito offese.

Qual è il responso? Disoccupazione e stenti a casa, morte e distruzione fuori. Con quali soldi? I NOSTRI.

La tesi è questa, l’antitesi è ciò che invece c’è pericolo che accada: di fronte l’ignoranza dei nostri stessi cittadini su dove vanno a finire i nostri contributi, l’inazione dei nostri Parlamenti, inabili a mettere in moto qualsiasi decisione

autonomamente e indipendentemente dalle lobby industriali, Il pericolo è quello di sommovimenti popolari simili a quelli visti “la fuori” sulle altre ma vicine sponde del Mediterraneo. Non è remota la possibilità che presto o tardi le popolazioni d’

Europa scenderanno in piazza, consapevoli di essere stati presi in giro durante tutto questo tempo. Senza lavoro e senza futuro e magari senza componenti familiari perché suicidatisi per mancanza di denaro. Scenderanno in piazza, perché un futuro con queste basi, nemmeno se lo immaginano. Perché gli erano state fatte (cattive) promesse, di “ripudio della guerra”, di un mondo più pacifico e lontano dagli

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che gridare ai propri “diritti universali” griderà alla necessità.. che ciascuno risponda ad una CARTA -ancora tutta da costruire- dei DOVERI FONDAMENTALI.

Nel seguire questo percorso l’iter documentale si è avvalso di contributi di

importanti studi di politica internazionale, documenti e direttive dell’Europa unita, articoli di giornali e testi. Partendo dalla fotografia su qual è la struttura europea della Difesa (CAPITOLO 1 paragrafo 1) quali i documenti programmatici (CAP. 1 paragrafi 2 e 3), le minacce percepite, quindi gli obbiettivi , le forze civili e militari e le risorse messe in campo, le strutture istituzionali della Difesa creata ex novo con il nuovo Trattato di Lisbona e gli aggiornati processi decisionali (Cap. 1 paragrafi 3;4; 5;6;7;8; ) si è cercato di evidenziare ciò che da anni si lamenta a livello comunitario: la mancanza di un mercato unico della difesa e di una unica forza combattente europea che mettano da parte monopolismi industriali e inefficienze dovute scarsa sinergia preparatoria perciò operativa sul campo( Cap. 1 paragrafi 10 e 11). Una nuova forza sta per emergere probabilmente quale nuova polizia internazionale ed è l’Eurogendfor, la nuova forza multinazionale con compiti di intelligence disponibile anche per altre organizzazioni internazionali. (Cap.1 paragrafo 9). Se gli Stati sono restii a creare un’unica grande forza così come pure lo sono stati di fronte ad una maggiore cooperazione tra i vari assetti militari,la Commissione europea ed il Consiglio a più riprese hanno cercato con i loro mezzi di ovviare in particolare alla lacuna di una difesa non integrata e di un mercato preminentemente nazionale che in termini generali minano la credibilità ed il peso di una voce unica europea. Nei consessi internazionali di “nuova generazione”.Misure normative atte a

pubblicizzare gli appalti della difesa e a dare maggiore trasparenza alle transazioni di armi sono state per questo analizzate e riportate. Conformemente alla politica

multilivello che caratterizza la struttura europea mi sono inoltrata ad analizzare le scelte di policy degli Stati al loro interno, in particolare conseguentemente alla crisi economica del 2009 (Cap.2 paragrafo 1). Come pure le scelte necessarie di condivise di assetti e capacità sotto spinta Nato. Dal punto di vista interno non potevano mancare dati e fatti riguardo alle ricadute che le scelte di politica industriale- militare comportano ma soprattutto in termini di fatturato interno dovuto all’export, nei maggiori teatri di conflitto (Cap. 2 paragrafo 3). In patria,

disoccupazione e mancanza di risorse che dragate dal sociale al militare proprio non si giustificano in tempi come questi. Un caso particolarmente esemplare è la Grecia (Cap.2 paragrafo 2) seconda solo agli Stati Uniti per spese militari ancora nel 2009 . Il Paese è stato al centro dei media internazionali per i prestiti al contempo ricevuti e per il giro di tangenti che ha siglato le industrie (europee) che nel frattempo gli

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vendevano i sistemi d’arma. Non poteva mancare un focus sull’Italia in termini di spese, tagli e d acquisti (Cap. 2 paragrafo 4). Mai mancati. Programmi congiunti di natura made in Usa che pure tolgono sovranità decisionale e operativa, come i caccia bombardieri F-35 di ultima generazione. Il programma ha subito perciò una discreta analisi (Cap. 2 paragrafo 5), così come il generale approccio europeo al programma tra chi ha deciso di comprare e chi di ripensarci. Infine al vaglio è il recentissimo Trattato sul commercio d’armi dell’Onu che pure risulta ancora indebolito da chi per il momento ancora non vi aderisce e quei cavilli di tipo

normativo che ancora non permettono un pieno controllo su tutte le armi. (Cap. 2. Paragrafo 7). A passare al vaglio sono stati poi quei Paesi che risultano essere tra i maggiori esportatori ed importatori; infine un monito su nucleare e d armi chimiche (Cap. 2 paragrafo 7); Diverse tabelle e qualche foto sono state inserite in modo da illustrare un po’ più succintamente dati e fatti.

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CAPITOLO 1: L’ APPROCCIO UE ALLA DIFESA MILITARE:

PARAGRAFO 1: Struttura europea della difesa e della sicurezza di tipo istituzionale.

<<La politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune. Essa assicura che l'Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. L'Unione può avvalersi di tali mezzi in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L'esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri>>.

Art. 42. co 1 della Versione consolidata del trattato sull'Unione europea

Il 7 febbraio 1992 viene firmato a Maastricht il Trattato che istituisce l’Unione Europea (Tue). Nasce così anche la Politica estera e di sicurezza comune (Pesc)1. Quest’ultima in realtà, origina dalla trasformazione della precedente Cooperazione politica europea (Cpe) che attraverso iniziativa dei Ministeri degli Esteri prevede dal 1970, la possibilità per gli Stati membri della Comunità Europea (Ce) di intessere una comunicazione, prima saltuaria poi sistematica (con l’Atto Unico Europeo del 1987) di politica estera quindi di coordinarsi sulle rispettive posizioni in materia. Il Trattato che auspica il futuro sviluppo di una politica di difesa comune richiede quindi

all’Ueo2 “di elaborare e di porre in essere le decisioni e le azioni dell’Unione aventi implicazioni nel settore della difesa”.3

Pochi mesi dopo, nel giugno del 1992 riunitisi a Petersberg presso Bonn, il Consiglio dei ministri dell’Ueo definisce le “Missioni di Petersberg” e decide di mettere a disposizione dell’organizzazione stessa, dell’Ue e della Nato unità militari

provenienti dalle forze armate degli Stati membri.

1

La base giuridica della Politica estera e di sicurezza comune è costituita dal Titolo V del Trattato che istituisce l’Unione europea, consacrato appunto alla politica estera e di sicurezza comune. Al Trattato furono allegate cinque dichiarazioni sulla PESC, in particolare le n. 2 e n. 3 relative all'Unione europea occidentale (UEO).

2

L’Ueo o Unione Europea Occidentale è un’organizzazione internazionale regionale di sicurezza militare e cooperazione politica, creata nell’ottobre del 1954. Nasce in seguito al fallimento del Trattato che istituisce la Comunità europea di difesa (Ced), stipulato nel 1952 da Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo con l’intento di creare un esercito di difesa europeo, posto sotto comando Nato e gestito da un ministro della difesa europeo. Bocciata questa iniziativa su istanza del Parlamento francese, si opterà per l’ organizzazione due anni dopo; ad essa si legheranno anche Germania e Italia. Prima del Trattato di Maastricht l’Ueo non intratteneva relazioni istituzionali con la Comunità Europea e l’Atto unico europeo non menzionava gli aspetti militari della sicurezza, ma solo le sue dimensioni, politiche ed economiche. Si Cfr: http://www.europarl.europa.eu/factsheets/6_1_3_it.htm

3

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In base all’Art. 43 Tue4, le Missioni di Petersberg prevedono:

“azioni congiunte in materia di disarmo, missioni umanitarie e di soccorso, missioni di consulenza e assistenza in materia militare, missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti. Tutte queste missioni possono contribuire alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio”

Il 2 ottobre 1997 il Trattato di Amsterdam istituzionalizzerà le Missioni di Petersberg dell’Ueo (art. 17 paragrafo 3) ed è con esso (entrato in vigore nel 1999) che è

prevista per la prima volta che l’Ue, anche se tramite il braccio operativo dell’Ueo e la cooperazione con la Nato5, intraprenda missioni militari

Lo stesso, crea poi la figura dell’Alto rappresentante per la Pesc (art. 26), attribuendone le funzioni al Segretario Generale del Consiglio e introduce al

contempo un altro strumento normativo, le strategie comuni6. “Al fine di temperare la rigidità del metodo di adozione delle decisioni per consenso”, il trattato introduce o richiama (art.23) la cosiddetta “astensione costruttiva”, ossia quello strumento “che consente ad uno Stato membro di astenersi dal partecipare ad un’iniziativa comune nel settore della Pesc senza impedire agli altri stati membri di portarla avanti”7.

Un anno dopo, nel dicembre 1998, il Vertice franco-britannico di Saint-Malo, sancisce l’inizio della cooperazione in materia di sicurezza e di difesa a livello comunitario: è il punto di origine dell’allora Politica europea di sicurezza e di difesa

4

Si Veda La “Versione consolidata del Trattato sull’Unione europea”

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2008:115:0047:019:it:PDF

5

Nel giugno del 1996 nel Vertice di Berlino la Nato decide di sviluppare un’Identità europea in materia di sicurezza e difesa (European Security and Defence Identity, Esdi) che consente ad ufficiali europei della Nato di occupare in parallelo posizioni di comando nella struttura dell’Ueo. Viene inoltre deciso che le strutture ed i mezzi della Nato, siano disponibili per future missioni militari dirette dall’Ueo. Si Veda: Francesca Capano, Federico Ruzzi, Carolina De Simone, Nicolò Sartori e a cura di Federica Di Camillo e Valérie Miranda “L’Unione europea e la politica di sicurezza e di difesa comune: elementi” aprile 2012 Istituto Affari Internazionali (IAI) http://www.iai.it/pdf/DocIAI/IAI1204.pdf

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La strategia (o posizione) comune è uno strumento attraverso il quale si attua la politica europea estera e di sicurezza. Consiste di indicazioni molto dettagliate elaborate dal Consiglio europeo (che delibera a maggioranza qualificata), in termini di obbiettivi, durata e mezzi.

7

E’ il caso della Danimarca che ricorre alla clausola dell’ “opting-out” al fine di non partecipare alle iniziative aventi implicazioni militari e/o nel settore della difesa. Si Veda: “L’Unione europea e la politica di sicurezza e di difesa comune: elementi” Doc. cit. Cit p.7

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(Pesd). Su iniziativa del presidente della Repubblica francese Jacques Chirac e del

primo ministro britannico Tony Blair viene espressa la volontà dell’ Ue di “avere la capacità di intraprendere azioni autonome, supportate da forze militarti credibili, gli strumenti per decidere di usarle e la relativa preparazione, e ciò allo scopo di far fronte alle crisi militari”8

Nel Consiglio europeo di Colonia nel giugno del 1999 la Pesd viene ufficialmente istituita. Javier Solana viene nominato Segretario generale/Alto rappresentante per la Pesc (Sg/Ar) ed inoltre è sancito il trasferimento di tutte quelle competenze “che saranno necessarie all'UE per far fronte alle sue nuove responsabilità

nell'ambito dei compiti di Petersberg.

A questo proposito, l'obiettivo perseguito è l'adozione delle necessarie decisioni entro la fine del 2000. In tale circostanza, l'UEO in quanto organizzazione avrebbe esaurito il suo scopo. “Ciò non recherà pregiudizio alle diverse posizioni degli Stati

membri rispetto alle garanzie di difesa collettiva”.9

La Ueo resta operativa per funzioni residuali (Vedi trattato Bruxelles modificato artt.

V e IX) per poi estinguersi nel 2011.

Le Agenzie dell'Unione Europea nell'ambito della PESC, che l’Unione Europea Occidentale erediterà sono: l'Istituto dell'Unione europea per gli studi sulla sicurezza (ISS); Il Centro satellitare dell'Unione europea (CSUE) e la nuova Agenzia europea per la difesa (AED).

E’ nel dicembre dello stesso anno che a Helsinki, il Consiglio europeo, per dotare l’Ue delle capacità militari necessarie ad attuare le Missioni di Petersberg, si propone entro il 2003 di attuare il progetto noto come Helsinki Headline Goal (Hhg) che prevede la creazione di una Forza di reazione rapida europea10, composta da circa 50-60 mila soldati, schierabile entro 60 giorni (dalla decisione politica), militarmente autosufficiente e sostenibile per almeno un anno11. Con la

8

“Franco-British Summit joint declaration on European defence” :

http://www.atlanticcommunity.org/Saint-Malo%20Declaration%20Text.html

9

Allegato III “Dichiarazione del Consiglio europeo sul rafforzamento della politica europea comune in materia di sicurezza e di difesa”. Consiglio di Colonia 3-4 giugno 1999

http://www.europarl.europa.eu/summits/kol2_it.htm

10

Gli Hhg sono noti per contenere una lista a tutti gli effetti, delle forze a reazione rapida, gestite dall’Unione Europea ma sotto controllo delle nazioni di appartenenza che le forniscono. Lo scopo del progetto è quello di dare credito e forma alle richieste del Trattato di Amsterdam all’Ue di una <<definizione progressiva di una politica di difesa comune>>.

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2007:306:0042:0133:IT:PDF

11

Con un anno di ritardo sul programma, a causa della diffidenza di molti Stati membri rispetto all’idea di creare una forza armata unica europea, nel 2004 è stato raggiunto un accordo formale sull’attivazione. (Vedi infra) Cfr. Martina Paone “Le politiche di difesa dell’Unione Europea; Evoluzione e limiti della sicurezza

(15)

15

caratteristica di essere “non permanente ma attivabile su richiesta, e finanziabile su base volontaria, valutando di volta in volta la propria partecipazione”12. Ciò che caratterizza il Consiglio di Helsinki, è quindi la creazione ad interim di nuove

strutture politiche e militari, che possano dotare l’Unione -per condurre le predette

missioni- della necessaria guida politica e direzione strategica. Vengono creati: un Comitato politico e di sicurezza (Cops o Political and Security Committee, Psc), il Comitato militare dell’ Unione europea (European Union Military Committee,

Eumc)13 e lo Stato maggiore interinale dell’Unione Europea (EU Military Staff,

Eums)14.

Questi apparati prenderanno decisioni in merito allo sviluppo delle capacità operative delle forze europee sulla scia del nuovo processo europeo di pianificazione della difesa, ma, nel dicembre del 2001 l’Ue rende pubblici i primi risultati di questo processo mettendone in evidenza delle gravi lacune.15 Un mancato raggiungimento in termini qualitativi è quello che caratterizza il nuovo profilo militare. Ritardi rilevanti si registravano in settori, come il trasporto tattico e strategico, il reperimento delle informazioni, la protezione delle forze. Così -già nel maggio del 2004- il Consiglio Affari generali e relazioni esterne (CAGRE)

comune” per Iri (Istituto di ricerche internazionali) Archivio disarmo, giugno 2012. Consultabile presso:

http://www.archiviodisarmo.it/siti/sito_archiviodisarmo/upload/documenti/35396_Le_politiche_di_difesa _Unione_Europea-_Martina_Paone.pdf

12

Si Veda: “L’Unione europea e la politica di sicurezza e di difesa comune: elementi” Doc. cit. Cit p. 45

13

Organo permanente dal gennaio 2001, è il vertice militare dell’Ue. il presidente del Comitato risponde direttamente all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza e vice presidente della

Commissione Ar/Vp. E’ la sede di discussione e di cooperazione militare tra gli stati membri in materia di prevenzione dei conflitti e di gestione delle crisi; su aspetti militari e politici ad essi connessi, fornisce consigli e raccomandazioni al Cops, intrattiene relazioni militari con organizzazioni internazionali e paesi terzi; fornisce stime di rischio e finanziarie sulle missioni. Fornisce direttive strategiche allo Stato Maggiore dell’Ue (Eums) e valuta le opzioni propostegli da quest’ultimo. Fornisce istruzioni al comandante delle missioni sulle prime direttive di opzione militare fornitegli dal Consiglio. Infine fornisce consigli al Cops in merito alla conclusione di un’operazione. Si Cfr Francesca Capano, Federico Ruzzi, Carolina De Simone, Nicolò Sartori e a cura di Federica Di Camillo e Valérie Miranda “L’Unione europea e la politica di sicurezza e di difesa comune: elementi” Doc. citato

14

Organo permanente dal gennaio 2001, è costituito da 200 esperti militari degli Stati membri distaccati presso il Seae (Servizio per l’azione sterna) e lavora alle dipendenze dell’Eumc, tra le sue funzioni principali: early warning/allarme tempestivo; situation assessment/valutazione delle situazioni e pianificazione

strategica per le missioni Ue. Garantisce il collegamento tra l’Eumc e le risorse militari a disposizione dell’Ue, monitora e valuta le competenze delle forze; coordinandosi con la Nato (con cui è in relazione permanente) identifica le forze europee nazionali e multinazionali idonee alle operazioni condotte dall’Ue. Predispone la cellula permanente dell’ Ue presso il Quartier generale supremo delle potenze alleate in Europa (Supreme Headquarters Allied Powers Europe, Shape). Per rinforzare la cooperazione tra le componenti militari di Ue e Onu, l’Eums si avvale di un ufficiale di collegamento presso la sede delle Nazioni Unite, a New York. Come gli altri due organi militari più importanti, l’Eumc e il Cops non si occupa della pianificazione operative , né del Comando operativo. Si Cfr. Ibidem

15

(16)

16

approva, l’Headline Goal 2010 (Hg 2010) nell’intento di implementare le capacità militari dell’Unione attraverso l’Ess (European Security Strategy da poco costituita) e grazie a questa, sfruttare, il maggiore consenso raggiunto. Una componente essenziale dell’ Hg 2010 è la capacità per rispondere ad una crisi, di schierare forze

di reazione rapida basata sui gruppi tattici: i battlegroups . “Queste sono unità di

reazione rapida, composte da circa 1.500-2.500 soldati, formate da contingenti nazionali oppure multinazionali poste sotto la responsabilità di una nazione-quadro”16.

“L’Hg 2010 pone al centro degli sforzi europei17 tre elementi qualitativi:

interoperabilità, schierabilità e sostenibilità”18:

nell’ utilizzo delle risorse disponibili19 e col potenziamento della forza europea di reazione rapida attraverso l’introduzione dei battlegroups20. Le tappe stabilite dall’Hg 2010 prevedono scadenze diluite nel tempo.21 In particolare, l’intento, è trasformare le truppe dell’Ue in forze mobili più flessibili, capaci di affrontare nuovi tipi di minacce e in maniera più tempestiva. Per favorire “una valutazione dei risultati raggiunti dall’Unione europea nell’ambito delle capacità militari oltre che per favorire una lista di priorità per il futuro”22, l’Eda nel 2008 elabora il Capability Development Plan (Cdp). Lo scopo principale del Cdp è, quello “definire le future necessità e priorità militari a supporto della Politica di sicurezza e difesa comune e guidare lo sviluppo delle relative capacità”23. Questo Piano, tenta di favorire cooperazioni e collaborazioni intergovernative (anche attraverso programmi ad hoc), fornire linee guida per le attività di Ricerca e Sviluppo

16

Si Veda: Ettore Greco, Nicoletta Pirozzi e Stefano Silvestri “L’Unione europea e la gestione della crisi. Istituzioni e capacità” per l’Istituto Affari Internazionali (IAI) novembre 2010. Doc. citato. Cit. p. 8 consultabile presso: http://www.iai.it/pdf/DocIAI/iai1027.pdf

17

L’Hhg si adattava ai conflitti dei Balcani ed era indirizzato principalmente ad obiettivi quantitativi. Ivi

18

Si Veda: “L’Unione europea e la gestione della crisi” Doc. cit p. 45

19

“Tra le iniziative fin’ora intraprese al fine di assicurare una gestione migliore delle risorse disponibili si situa il Military Satellite Communications Project. A questo si aggiunge la nomina nel febbraio 2008 di un Team per lo sviluppo dell’European Air Transport Fleet (Eatf) da parte dell’Eda, allo scopo di creare un network tra gli stati membri per un migliore utilizzo delle risorse disponibili nel campo dei trasporti militari (terrestre, aereo e marittimo)”. Si Veda: L’Unione europea e la politica di sicurezza e di difesa comune: elementi” Doc. citato. Cit. p. 46

20

A partire dalla loro costituzione e per tutto il 2012 l’Ue ha avuto a disposizione ogni semestre due

battlegroups multinazionali. Tutto il loro addestramento cade sotto la responsabilità degli Stai partecipanti.

21

Si Veda “L’Unione europea e la politica di sicurezza e di difesa comune: elementi” Doc. cit.

22

Ibidem Cit. p. 46

23

(17)

17

(R&S) e monitorare costantemente i progressi per quanto riguarda lo sviluppo delle capacità24.

I Battlegroups sono forze nazionali o multinazionali che fanno da supporto alle forze di reazione rapida, in grado di agire autonomamente o come forza d’ avanguardia per tamponare situazioni di crisi prima che arrivi il contingente maggiore. “Dispiegabili entro 10 giorni dalla decisione politica e sostenibili fino a 120 giorni”, 25 sono elementi di supporto tattico e logistico (in particolare gli Operational Headquarters, ossia quartier generali pienamente operativi grazie ai quali è stato possibile sviluppare una buona capacità di comando e controllo) e possono intervenire anche a supporto di missioni non Ue26 e formalmente queste hanno raggiunto la loro piena capacità operativa già nel 2007, da quando dal 2005 Francia Regno Unito e Italia hanno fornito su base nazionale i primi tre battlegroups. L’unica lacuna? Nonostante la loro operabilità e nonostante il ripetersi di crisi umanitarie e di sicurezza nessun battlegroups è stato fin’ora mai schierato in missione.27

L’Ue attraverso i suoi Stati membri, preferisce mettere in moto processi ad hoc per la creazione di forze da combattimento e non solo, cosicché sostanzialmente:

“il processo di generazione delle capacità rimane dunque distinto dal processo di generazione delle forze”28 dove gli Stati sono restii a trasformare queste soluzioni ad hoc in istituzioni durature. Le esperienze sul campo poi, in verità, sono “raramente prese in considerazione per lo sviluppo di capacità”29, pur tuttavia dal punto di vista politico i gruppi tattici sembrano aver messo in moto un maggior dialogo e una più stringente cooperazione tra i decision makers degli Stati europei in materia di difesa30.

E ancora, i maggiori deficit in riferimento alle capacità militari riguardano il reperimento delle informazioni, il trasporto tattico e strategico e la protezione delle

24

Il documento è stato successivamente aggiornato, nel 2011 e prevede nelle top-priorities dell’Eda -tra le quali viene contemplato un maggiore collegamento con gli Headline Goals- pianificazioni di medio periodo e attività volte ad identificare lessons learned dal recente passato. Cfr. Ivi

25

Ibidem Cit. p. 47

26

Cfr. Ivi

27

“Ciò è dovuto ad una serie di problematiche legate a differenti concezioni del ruolo dei BG, al processo politico-decisionale europeo, alla frammentazione della catena di comando, a capacità mancanti ma anche semplicemente alla ridotta dimensione numerica di questi, il che li rende inadatti a tutta una gamma di operazioni.” Si Veda: Valerio Briani. “I costi della non-Europa della difesa” per l’Istituto Affari Internazionali, Aprile 2013 Cit. p. 15 http://www.iai.it/pdf/CSF-IAI_nonEuropadifesa_aprile2013.pdf

28

Cfr. “L’Unione europea e la gestione della crisi” Doc. cit., Cit. p.10

29

Si Veda Ivi

30

(18)

18

forze31. A novembre 2010, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sullo “sviluppo delle capacità civili-militari, attraverso la quale chiede agli stati membri di mantenere fede agli impegni precedentemente presi in questo ambito”.32

Processi decisionali.

La Politica di Sicurezza e Difesa Comune viene definita una “politica multi-livello”33 : mentre le decisioni di lanciare una missione Pesd sono prese a Bruxelles a livello di Unione Europea34, la loro attuazione avviene a livello nazionale, facendo ricorso a capacità nazionali, in termini di dispiegamento truppe (non avendone l’Ue di proprie) e di finanziamento delle missioni. “Questo ‘gioco’ multilivello rende le decisioni in materia di Psdc difficili da controllare - sia a livello nazionale sia europeo”35

Dipende dai parlamenti nazionali valutare le decisioni dei propri governi in merito allo schieramento di truppe -anche quando queste sono destinate a far parte di

missioni multilaterali guidate dall’Ue, o da un’organizzazione internazionale-

tuttavia il loro è un potere, per lo più limitato “all’approvazione annuale dei fondi per le operazioni esterne, come parte del bilancio nazionale generale per la

difesa”36. A livello europeo, la difficoltà si riscontra nel non avere una visione d’insieme dell’intero processo decisionale della Pesd. “Infatti, essi [i Parlamenti nazionali] non sono né associati in maniera congiunta a questo processo, né sono in grado di esercitare uno scrutinio generale riguardo all’attuazione delle decisioni del Consiglio”37

PARAGRAFO 2: La cooperazione con la NATO

Lo sviluppo di maggiori capacità di comando e controllo sul piano tattico-quantitativo per l’Unione, è stato dovuto in particolare agli accordi di cooperazione con la Nato (North Atlantic Treaty Organization) sanciti con la Dichiarazione

Nato-UE sulla Pesd del 16 dicembre 2002. Denominati Accordi di Berlin-Plus, questi

31

Si Cfr. “L’Unione europea e la politica di sicurezza” Doc. cit

32

Ibidem Cit. p. 46

33

Si Veda: “L’Unione europea e la gestione delle crisi: istituzioni e capacità” Doc. cit. Cit p. 65

34

“La decisione del Consiglio di lanciare una missione viene presa attraverso un’Azione Comune Pesc, redatta dal Comitato politico e di sicurezza (Cps), che comprende: il mandato della missione, i suoi obiettivi, gli scopi, la durata e la catena di comando, oltre ai mezzi che il singolo Stato Membro mette a disposizione dell’Ue”. Mentre, in generale, le decisioni in materia Psdc vengono prese “dai Ministri degli esteri dei paesi dell’Ue riuniti nel Consiglio Affari Esteri, in base alla regola dell’unanimità”. Si veda Ivi

35

Si Veda ivi

36

Si Veda Ibidem cit. p. 66

37

(19)

19

consentono all’Unione di avere accesso ai mezzi ed alle capacità di pianificazione e comando dell’Organizzazione Atlantica per la gestione delle crisi e poter condurre proprie missioni, mentre da parte sua l’Unione è chiamata ad integrare al massimo nell’ambito della Pesd, i paesi non europei della Nato38. Firmati nel dicembre del 2002, prevedono questo tipo di cooperazione nel solo ambito di missioni militari. In questa tipologia di operazioni la pianificazione operativa, è svolta dagli appositi

organi dell’Alleanza. La sede del comando operativo della missione è situata presso

il Quartier generale supremo (Nato) delle potenze alleate in Europa (Supreme

Headquarters Allied Powers in Europe, Shape) a Mons (Belgio). A comandare

l’operazione è il Vicecomandante supremo delle forze alleate (atlantiche) in Europa (D-Saceur), che per prassi è un europeo e che riferisce solo alle autorità Ue (al Consiglio che lo nomina). Il controllo politico e la direzione strategica -mantenuti

dagli organi Ue- sono assicurati da una cellula di collegamento Ue presso lo Shape e

il comandante D-Saceur. La disponibilità di assetti e capacità da parte della Nato avviene su base collettiva, non dal singolo membro. Tale modello organizzativo si basa su, sistemi cosiddetti C3 (Comando, Controllo e Comunicazione) e di Airborne

Warning and Control System (Awacs o Sistema di Allarme e Controllo

Aviotrasportato)39

. Ad oggi, gli accordi Berlin Plus sono stati attivati in due

occasioni: con l’operazione Concordia nell’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia (Fyrom) nel 2003 e con l’operazione Eufor Althea in Bosnia Erzegovina nel 200440. La Nato ha tradizionalmente costituito, la pietra miliare della difesa Europea, a partire dalla Guerra Fredda fino al suo superamento. “Stella Polare” del Governo italiano41, l’Alleanza Atlantica ha costituito un significante motore di armonizzazione

38

Si Cfr. “L’Unione europea e la politica di sicurezza e difesa” Doc. cit.

39

Indica un sistema radar aviotrasportato utilizzato per la sorveglianza aerea e per tutte le

funzioni C3 (Comando, Controllo e Comunicazioni). I moderni sistemi AWACS possono rilevare aerei distanti fino a 400 chilometri, ben al di là del raggio d'azione di qualunque arma antiaerea. Un AWACS in volo ad un'altezza di 9.150 metri ha una copertura radar di 312.000 chilometri quadrati, quasi quanto la superficie della Polonia, che è di 312.685 chilometri quadrati. Tre aerei in orbita sovrapposta possono coprire l'intera Europa centrale. Questi aerei sono usati dall'USAF(United States Air Force, l’aereonautica militare

statunitense), dalla NATO, dalla RAF (Royal Air Force, l’aereonautica militare inglese ) nonché dall'Armée de l'air (ALA, è la forza aerea militare francese, tra le più antiche del mondo), dalla Royal Saudi Air Force (RSAF, l’aereonautica militare dell’Arabia Saudita, la seconda forza aerea del Medio Oriente), dall'Israeli Air Force (IAF, l’aereonautica militare –la più potente del Vicino Oriente- dello Stato di Israele), dall'Indian Air Force (IAF, la aereonautica militare indiana) e dalla Forza aerea di autodifesa giapponese(Japan Air Self-Defense Force ed abbreviata JASDF, è l'attuale aeronautica militare del Giappone). Fonte:

http://it.wikipedia.org/wiki/Airborne_Warning_and_Control_System

40

Si Cfr. “L’Unione europea e la politica di sicurezza e difesa” Doc. cit.

41

“L’ancoraggio del nostro strumento militare all’evoluzione euro-atlantica deve rappresentare la nostra Stella Polare” parole dell’ex Ministro della Difesa Di Paola Di Paola (audizione del 15 febbraio 2012 nelle Commissioni Difesa congiunte di Camera e Senato). Si Veda: “Economia a mano armata. Libro bianco sulle

(20)

20

riguardo a dottrina, tattica e procedure per tutta l’Europa; come pure la standardizzazione di certe capacità militari garantite da oltre 1300 Accordi di Standardizzazione Nato (Nato Standardization Agreements STANAGs). E’ all’incirca dal 1990 che la Nato conduce un numero sostanziale di operazioni militari con il contributo e il coinvolgimento dei singoli Stati dell’ Europa. In tal senso l’ Alleanza ha fornito così un indiretto contributo alla standardizzazione ed alla convergenza delle capacità militari Europee. Un diretto contributo invece, è potuto venire in auge, attraverso la gestione di pochi ma sostanziali programmi d’appalto transazionali42. Come già detto dal 1999 esiste la possibilità per l’Ue di effettuare missioni militari proprie, con o senza la cooperazione con la Nato. In quest’ultimo caso, può essere adottato il modello della “nazione quadro” (framework nation)43 che prevede l’utilizzo del Quartier generale di uno degli Stati membri, il quale designa anche il comandante dell’operazione, prescindendo quindi dall’utilizzo di strutture o comandi dell’Alleanza Atlantica44.

In entrambe le tipologie di missioni militari, comunque, il controllo politico e la

direzione strategica dell’operazione restano affidate alle autorità Ue nella figura del Comitato politico e di sicurezza (Cops o Psc), che si riunisce a livello di ambasciatori ed è posto sotto l’autorità del Consiglio dell’Unione45.

Nella convinzione che le forze europee siano “separabili ma non separate”46 dalle strutture e dai comandi della Nato, gli Accordi si attivano qualora la Nato non sia già

spese militari” della campagna Sbilanciamoci! cit. p.8:

http://www.sbilanciamoci.org/wp-content/uploads/2012/06/economia_a_mano_armata_web.pdf

42

E’ il caso del Programma Airborne of early warning and control stabilito nel 1978 e che attualmente coinvolge 17 membri della Nato; l’acquisizione da parte di nove Paesi Europei attraverso la NATO Helicopter Management Agency (NAHEMA) degli elicotteri multiruolo NH90 e del Medium Extended Air Defence System (MEADS, un sistema di difesa aerea missilistico e mobile di terra). Ma nonostante tali esempi, la Nato come l’Europa, non ha giocato un importante ruolo nel campo della spesa per la difesa rimasta dagli anni 50, prerogativa delle scelte nazionali (vedi infra). Fonte: Alessandro Marrone “Defence spending in Europe in light of the economic crisis” per Istituto Affari Internazionali di cui è Ricercatore nell’area “Sicurezza e Difesa”, ottobre 2012: http://www.iai.it/pdf/DocIAI/iaiwp1227.pdf

43

E’ la nazione quadro che agisce da principale contributore della forza multinazionale poi messa in campo, prendendosi la responsabilità di guidare tutto il processo.

44

Cfr.”Prospettive della politica europea di sicurezza e difesa. Le missioni e l’Agenzia Europea di Difesa” a cura di Istituto Affari Internazionali, autori Michele Comelli, Federica Di Camillo e Giovanni Gasparini in Senato della Repubblica Italiana, Servizio per gli Affari internazionali:

http://www.iai.it/pdf/Oss_Transatlantico/08.pdf

45

Cfr. “L’Unione europea e la politica di sicurezza e difesa” Doc. cit.

46

Attraverso il Combined Joint Task Forces (CJTF) elaborato nel Consiglio Atlantico di Bruxelles del 10-11 gennaio 1994, la N.A.T.O. ha reso le proprie forze e strutture militari condivisibili dall’U.E.O., anche per quelle operazioni di mantenimento della pace che dovesse intraprendere in cooperazione con Paesi non N.A.T.O., secondo appunto, il principio di forze "separabili ma non separate" che mira ad evitare inutili

(21)

21

presente nell’area dove l’Ue vorrebbe intervenire e qualora vi sia l’interesse degli Stati Uniti ad avere una certa influenza nella zona di schieramento della missione Pesd47 (dal 2009 Psdc ovvero Politica di Sicurezza e Difesa Comune; vedi infra).

PARAGRAFO 3: I documenti guida ad una strategia di difesa comune

Il riferimento alla cooperazione con la Nato è stato inserito quale priorità strategica, nel piano A secure Europe in a better world del 2003 e nella relazione Providing security in a changing word del 2008 che rinnova le sfide dell’Ue nell’ottica dei grandi cambiamenti internazionali. La medesima percezione di minacce ed obbiettivi, rendono sostanzialmente, il dialogo Ue-Nato possibili. Definito quale primo documento strategico autonomo in materia di sicurezza e difesa, Un’Europa

sicura in un mondo migliore è il titolo della Strategia Europea in materia di Sicurezza (European security strategy, Ess) approvata dal Consiglio europeo il 12

dicembre 2003. L’elaborazione del documento -curato da J. Solana, Alto

rappresentante fino al 2009- si situa in un contesto storico di profonda frattura internazionale, in merito all’intervento in Iraq: nonostante gli obblighi di

consultazione previsti dal secondo pilastro del Trattato di Maastricht48, i paesi avevano scelto linee d’azioni differenti (come altre volte accaduto di fronte conflitti imminenti) rispetto al dispiegamento dei contingenti, minacciando una paralisi nella politica estera nascente. Il documento così, fornendo linee guida e priorità

strategiche comuni e parallele con gli Stati Uniti -anzi riconoscendo nella sinergia con questi <<una forza formidabile per il bene del mondo>>- sembra lenire le fratture createsi al momento. L’obbiettivo è proprio quello di <<realizzare un

partenariato efficace ed equilibrato con gli Stati Uniti>> perché ciò costituisce <<una ragione di più per indurre l'UE a sviluppare ulteriormente le proprie capacità e

aumentare la sua coerenza>>49

Il documento mette subito in evidenza il carattere globale delle sfide che incombono

duplicazioni, a rafforzare e sviluppare quell’identità di Sicurezza e Difesa Europea (ESDI, vedi nota 5) che la N.A.T.O. ha auspicato nel vertice tenutosi a Berlino il 3 giugno 1996. Cfr. Comitato Atlantico Italiano “N.A.T.O. Dal confronto alla cooperazione” http://www.nato.int/related/italata/fwl.htm

47

Vedi “Le politiche di difesa dell’Unione” doc. Cit., cit. p.27

48

Il secondo pilastro instaura la Pesc, prevista al titolo V del trattato sull'Unione europea. Esso sostituisce le disposizioni contenute nell'Atto unico europeo e consente agli Stati membri di avviare azioni comuni in materia di politica estera. Tale pilastro prevede un processo decisionale intergovernativo, che fa ricorso all'unanimità. La Commissione e il Parlamento svolgono un ruolo modesto e tale settore non rientra nella giurisdizione della Corte di giustizia. Cfr “Le politiche di difesa dell’Unione” doc. Cit., cit. p. 4

49

Cfr. “Un’Europa sicura in un mondo migliore” Bruxelles 12 dicembre 2003 cit. p.14:

(22)

22

e riconosce che <<la sicurezza è una dei prerequisiti dello sviluppo>>50.

Tra le sfide globali: la dipendenza energetica (l’Europa è tra i principali importatori di petrolio e gas al mondo. Circa il 50% del consumo energetico dipende

attualmente dalle importazioni; percentuale prevista in salita del 20% al 2030)51; le conseguenze della globalizzazione, con un’indissolubile interconnessione, alla

maggiore apertura delle frontiere, di aspetti interni ed esterni della sicurezza, che se non gestiste adeguatamente, comportano sperequazione in termini di accesso a risorse naturali (soprattutto idriche), mezzi di informazione, strutture sanitarie e quindi fame, malattie e conflitti.

Cinque minacce di fondo vengono poi tracciate, per poter trovare una risposta

comune ed efficace: terrorismo52; proliferazione delle armi di distruzione di massa; conflitti regionali; fallimento dello Stato (failing State) e conseguente vulnerabilità territoriale; criminalità organizzata con particolare riferimento al traffico di droga, al commercio sessuale e alla pirateria marittima.

Tre obbiettivi strategici vengono delineati per far fronte a tali minacce: 1) un

superamento del tradizionale concetto di autodifesa militare contro l’invasione, attraverso un nuovo modello di difesa “dinamico”, in cui la prima linea di difesa sarà spesso all'estero e verrà affrontata con mezzi sia civili sia militari53;

2) la costruzione della sicurezza nelle vicinanze intendendo per vicinanze i Paesi a Est dell’Unione e lungo il Mediterraneo; 3)un ordine internazionale fondato sul multilateralismo istituzionale efficace e sul diritto, prendendo come quadro di riferimento delle relazioni internazionali, la Carta delle Nazioni Unite. Particolare attenzione è riservata alla cooperazione con la Nato e con le organizzazioni regionali e le istituzioni finanziarie internazionali. L’Unione sottolinea che è possibile

aumentare la sicurezza mediante regimi di rafforzamento della fiducia e di controllo

50

Ibidem. Cit. p.2

51

La maggior parte delle importazioni di energia proviene dal Golfo, dalla Russia e dal Nord Africa. Si Cfr. Ibidem

52

In seguito agli attacchi dell’ 11 settembre 2001 gli Stati Uniti hanno seguito a dare una risposta altamente militarizzata che ha incluso l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan. <<La guerra globale al terrorismo>> è stata perciò considerata il fattore chiave per (e del)la architettura della “sicurezza” “globale” dell’ultimo decennio; nonché motivo di influenza delle spese militari di molti Stati. Si Cfr. in proposito “Sipri Yearbook 2012. Armament, Disarmament and International Security. Summary”:

http://www.sipri.org/yearbook/2012/files/SIPRIYB12Summary.pdf

53

la fine della guerra fredda e il contesto della globalizzazione hanno comportato un’evoluzione del concetto tradizionale di autodifesa, non più basata sul pericolo di un’invasione, ma su minacce meno visibili, spesso lontane, le quali <<richiedono che la prima linea di difesa sia spesso all’estero>>. La prevenzione dei conflitti e delle minacce assume un carattere prioritario. Poiché <<nessuna delle nuove minacce è di natura puramente militare né alcuna di esse può essere affrontata con mezzi solamente militari>> occorre una combinazione di strumenti militari, civili e politici. Cfr. “Un’Europa sicura in un mondo migliore” Doc. cit., cit. p.8

(23)

23

degli armamenti:

<<La qualità della società internazionale dipende dalla qualità dei governi che ne

costituiscono le fondamenta. La miglior protezione della nostra sicurezza è un mondo di stati democratici ben amministrati>>54.

Perché tutto ciò sia possibile, il documento in chiusura, confida nelle politiche di

commercio e sviluppo quali strumenti potenti per la promozione delle riforme. Tra

le implicazioni politiche richieste c’è quella di un ruolo più assertivo dell‘ Ue nel settore della difesa che favorisca una cultura strategica sostanzialmente più incline all’intervento militare integrato, esortando gli Stati membri a dedicare a tal fine, maggiori risorse alla difesa e, soprattutto, a renderle più efficienti (razionalizzandole). Si ritiene l’Europa debba essere più attiva: nella gestione delle crisi e nella prevenzione dei conflitti attraverso iniziative politiche, diplomatiche, militari e civili, commerciali e di sviluppo che in caso di crisi dovranno seguire gli stessi orientamenti55; Più capace: tramite la trasformazione delle forze armate in forze mobili più flessibili, che possano essere rese più efficaci attraverso un maggior utilizzo delle risorse civili; Più coerente: è necessario coordinare meglio i diversi strumenti e le diverse capacità, poiché <<siamo più forti quando agiamo insieme>, prediligendo in caso di conflitti, interventi su scala regionale. L’Europa deve continuare a cooperare con i propri partner, soprattutto nelle relazioni transatlantiche, definite insostituibili.

La relazione, Garantire sicurezza in un mondo in piena evoluzione redatta nel dicembre 2008 (con l’intento di attuare la Ess del 2003) si situa in un contesto di ulteriore trasformazione: nell’organicità stessa dell’Unione (passata dal 2003 da 15 a 27 membri); nella sua operatività, con la conduzione rispetto al 2003 di 20 missioni a carattere civile, militare e misto, in contesti che vanno dai Balcani all’Africa e al Medio Oriente; nella percezione stessa delle minacce (con gli attentati terroristici di Madrid nel marzo 2004 e Londra nel luglio del 2005); mutamenti nelle relazioni internazionali, con la ferma opposizione russa allo scudo spaziale, l’elezione alla presidenza Usa di Barak Obama, le difficoltà associate alla conduzione della guerra in Iraq ed Afganistan; non da ultimo il programma nucleare civile iraniano

54

Ibidem cit. p. 11

55

(24)

24

considerato <<un pericolo per la stabilità nella regione e per l'intero sistema di non

proliferazione>>56 e la crisi finanziaria internazionale.

E proprio la crisi emersa nello stesso 2008 ha messo alla berlina le capacità comunitarie dell’Europa. Volenti o nolenti i Paesi sono stati poi chiamati a cooperare in termini di strutture e mezzi militari, al fine di ridurre i costi e mantenere le capacità. Pena - in termini economici- di dispendio di denaro dovuto a mancata sinergia e - sotto il profilo politico- il riemergere di vecchie accuse di incapacità per gli Stati Europei di far sentire militarmente, il loro peso57.

In un tale mutato contesto, si afferma la necessità che l’Europa guidi, su scala mondiale un processo di rinnovamento dell’ ordine multilaterale:

<<Dobbiamo affermare con chiarezza che il rispetto della sovranità, dell'indipendenza e dell'integrità territoriale degli Stati nonché la pacifica risoluzione delle controversie non sono negoziabili. Non si può permettere che la minaccia o l'uso della forza militare risolva le questioni territoriali, in nessuna parte del mondo>>58

Il vertice del sistema internazionale continua a ruotare attorno alle Nazioni Unite ed il partenariato con la Nato rimane <<fondamento irrinunciabile>>. La Relazione ridisegna la gerarchia delle minacce mettendo in primo luogo quella della proliferazione delle armi di distruzione di massa (ADM): vedendo nella posizione di Iran e Corea del Nord delle minacce, da chiarire. Terrorismo e criminalità organizzata viene messa al secondo posto, rimanendo comunque <<una notevole minaccia per

la nostra sussistenza>>: la Strategia Antiterrorismo dell'UE adottata nel novembre

del 2005 si articola in quattro linee d’azione. <<Prevenire la radicalizzazione e il

reclutamento e i fattori che vi contribuiscono; proteggere gli obiettivi potenziali; perseguire i terroristi; rispondere alle conseguenze di un attacco>>59

Un particolare riferimento è all’ azione di contrasto della pirateria informatica quale fonte di criminalità organizzata.

56

Si Veda: “Relazione sull'attuazione della strategia europea in materia di sicurezza - Garantire sicurezza in un mondo in piena evoluzione” Bruxelles, 11 dicembre 2008 cit. p. 1:

http://www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressdata/IT/reports/104641.pdf

57

Cfr. “Sipri Yearbook 2012. Armament, Disarmament and International Security. Summary”. Documento citato.

58

Ibidem cit. p. 2

59

(25)

25

“Sicurezza all’approvvigionamento energetico”, è la quarta minaccia delineata, la cui preoccupazione è in crescita soprattutto in considerazione delle stime sulla

produzione europea (nel 2030 fino al 75% del petrolio e del gas dovrà essere importato). I cambiamenti climatici vengono definiti “moltiplicatori di minacce”: le calamità naturali, il degrado ambientale e la competizione per le risorse

inaspriscono i conflitti con conseguenze soprattutto in situazione di povertà, in termini sanitari, umanitari, politici, migratori e di sicurezza.

Creare stabilità all’interno e all’esterno dell’Europa si presenta quindi come

l’obbiettivo strategico60 per eccellenza. Generare un nesso tra lo sviluppo e la

sicurezza -sancendo il concetto di “responsibility to protect”61- quale imperativo che deve fare da contorno al contesto multilaterale: nelle ultime pagine della relazione infatti si legge che:

<<uno sviluppo sostenibile non è possibile senza pace e sicurezza così come senza

sviluppo ed eliminazione della povertà, non sarà possibile una pace duratura>>62

Più efficacia è richiesta all’Ue, attraverso mezzi diplomatici e politici per risolvere; i conflitti63 (ad es. mediazione dei rappresentanti speciali o European Union Special

Representatives, Eusrs); più rapidità di reazione nel crisis management delle

missioni tanto militari quanto civili, combinandole insieme, soprattutto migliorando il comparto civile nella sua formazione e professionalità. In quest’ottica di miglioramento delle relazioni, è necessario un maggiore impegno nei confronti dei

60

Attraverso il processo di allargamento, la Politica Europea di Vicinato; l’ Unione per il Mediterraneo, il Partenariato orientale, il processo di pace in Medio Oriente e la Mediazione in Iran. Si cfr. Ibidem

61

“L’espressione ‘responsabilità di proteggere’ è stata presentata per la prima volta nel rapporto della Commissione sull'intervento e sulla sovranità dello Stato -Iciss-, istituita dal governo canadese nel dicembre 2001, in risposta alla domanda di Kofi Annan sulla legittimità dell’intervento della comunità internazionale per scopi umanitari. L’Iciss ha rilevato che, qualora uno Stato non fosse in grado di proteggere il suo popolo, per mancanza di capacità o volontà, la responsabilità sarà assunta dalla più ampia comunità internazionale. Questo criterio è stato recepito nel Summit mondiale delle Nazioni Unite del 2005, acquisendo i criteri fondamentali che legittimano l'autorizzazione dell'uso della forza da parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU”. Si Veda: “Le politiche di difesa dell’Unione Europea” Doc. cit. Cit. p.12

62

Report Pesd 2008 Doc. cit. Cit., p.8

63

Per quanto riguarda il conflitto legato alla fragilità degli stati, le misure finora adottate sono: assistenza allo sviluppo; riforma del settore di sicurezza (Ssr); programmi Ddr (Disarmament, Demobilization and Reintegration ossia Disarmo, Smobilitazione e Reintegro); strategia per combattere l’accumulazione e il traffico illeciti di armi leggere e

di piccolo calibro (Small Arms and Light Weapons, Salw).Per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse naturali quale origine dei conflitti, le misure finora adottate sono: il Kimberley Process (accordo di

certificazione inteso a garantire che i profitti ricavati dal commercio di diamanti non vengano utilizzati per finanziare guerre civili) e l’iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive. Si Cfr. “L’Unione europea e la politica di sicurezza e di difesa comune: elementi” Doc. cit

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vicini o con le Organizzazioni regionali64; quindi favorendo un rafforzamento dei legami bilaterali e regionali per incrementare la cooperazione per la sicurezza, tanto energetica, commerciale, quanto militare. Un “multilateralismo efficace” che vada dall’Onu alla Nato, dagli Usa alla Cina, passando per la Russia e l’India65. Insomma i

colossi del potere mondiale.

In fine si cerca un miglioramento nella legittimità e nell’efficacia del processo decisionale dei consessi multilaterali e un ruolo più efficace della Corte Penale

internazionale nel rafforzamento di giustizia e diritti umani a livello internazionale. Nonostante i rapidi cambiamenti, o il mutare delle minacce intervenute dalla redazione della Ess nel 2003, oggi l’Ue deve dare voce alle capacità istituzionali ad essa insiste e sviluppare quella flessibilità programmatica necessaria, di fronte le nuove sfide, in un mondo in cui i media e l'opinione pubblica svolgono un “ruolo cruciale nella definizione delle politiche” e l'appoggio dei cittadini sembra essenziale, per continuare ad onorare gli impegni all'estero e dimostrare tanto

credibilità, quanto -soprattutto- tempestività:

<<Dispieghiamo forze di polizia, giuristi e soldati nelle zone instabili del mondo.

Spetta ai governi, ai parlamenti e alle istituzioni dell'UE comunicare in che modo ciò

contribuisca alla sicurezza interna>>

Il Consiglio ha approvato nel dicembre 2008 una “Dichiarazione sul rafforzamento

della sicurezza internazionale”, concepita come strumento complementare alla

Strategia di sicurezza europea e alla relazione sulla sua attuazione. Tale documento66 fornisce ulteriori dettagli in merito a principi e obiettivi già stabiliti nei documenti precedenti. Un appuntamento fondamentale perché l’agenda europea possa progredire, è costituito dal Consiglio Europeo di Difesa previsto per il dicembre 2013.

In un nuovo documento, pubblicato nel maggio 2013 da quattro centri studi europei su mandato dei Ministri degli esteri di Italia, Polonia, Spagna e Svezia, un approccio

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Come l’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico) o l’UA (Unione Africana) o la Saarc (Associazione Sud-Asiatica per la cooperazione regionale).

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Ma anche più stretti legami con Canada, Giappone, Brasile, Sudafrica, Norvegia e Svizzera. Restano da individuare le modalità con cui approfondire i rapporti con l’India: attualmente il partenariato strategico con l’India, che si basa su un piano di azione comune adottato nel 2005 e aggiornato nel 2008, si concentra su quattro priorità: pace e sicurezza globale, sviluppo sostenibile, ricerca e tecnologia, scambi culturali.

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Consiglio dell’Unione europea, Dichiarazione sul rafforzamento della sicurezza internazionale (1671/08), Bruxelles, 3 dicembre 2008, http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/08/st16/st16751.it08.pdf

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