• Non ci sono risultati.

La crisi e la necessaria condivisione di assetti.

La recessione economica e in particolar modo la crisi del debito sovrano, hanno comportato una scossa sostanziale alle fondamenta della governance economica Europea almeno negli ultimi quattro anni. Fino al 2009 la spesa per la difesa

europea234 è rimasta sostanzialmente prerogativa degli Stati Membri. Nonostante

232

Cfr. “Economia a mano armata. Libro bianco sulle spese militari 2012” a cura della campagna

Sbilanciamoci! www.sbilanciamoci.org Per un’analisi sulle caratteristiche dell’industria militare nazionale, le spese ed in particolare il rapporto con lo Stato ed ancora per le difficoltà di controllo Parlamentare alle esportazioni si veda infra.

233

Cfr. http://www.eeas.europa.eu/non-proliferation-and-disarmament/arms-export-control/index_it.htm

234

La spesa per la difesa dei Paesi Europei, è stata pesantemente influenzata prima che da programmi e missioni militari congiunte, dal contesto strategico della Guerra fredda e dal periodo post Guerra Fredda. Prima della crisi odierna, i Paesi Europei sono stati caratterizzati e influenzati da tre elementi in particolare: l’acquisizione di capacità militari, tutta “insulare”, la partecipazione, soprattutto per quei Paesi già capaci di acquisire certe capacità, a programmi multilaterali e bilaterali; l’affidamento nella produzione (quando l’industria nazionale non era in grado di produrre autonomamente il bene), per le compensazioni

Statunitensi attraverso la fornitura di piattaforme e armamenti già sviluppati (cosiddetti “off-the-shelf”) a prezzi spesso competitivi. Queste scelte hanno implicato non solo duplicazione dei fattori produttivi (fondi per ricerca e sviluppo, linee di montaggio) ma anche differenti standard di utilizzo o ricambio. Aspetti “strategici” che dal 1950 in poi hanno caratterizzato l’approccio militare di spesa e programmazione dei Paesi Occidentali e con l’integrazione nella Nato e nell’Europa Unita i paesi dell’est Europa. Aspetti che i cambiamenti geopolitici mettono in evidenza come obsoleti. Tuttavia le capacità in termini di forza militare,

69

questi abbiano condotto congiuntamente un’ ampia gamma di operazioni militari negli ultimi vent’anni, in tempi di “pace” hanno continuato a equipaggiare i loro militari in modo “insulare”235, ossia indipendente dai programmi, dagli acquisti e dalle iniziative dei loro vicini. Ciò ha causato un’inefficienza nell’uso delle risorse con duplicazione degli sforzi e una bassa interoperabilità degli equipaggiamenti militari europei236. Marcando così il forte contrasto tra il modo cooperativo in cui essi combattono le guerre e la prerogativa nazionale nel prepararle237.

E’ proprio alla luce della crisi economica in corso che molti Paesi, in diversa misura e in tempi diversi hanno dovuto affrontare tagli, cambi o posticipazioni di programmi, annullamenti. Ciò detto, è aumentato di conseguenza l’interesse per gli Stati Membri per una necessaria razionalizzazione dei costi (risparmio o cost saving) attraverso la cooperazione reciproca in materia di difesa.

E’ già a partire dagli anni ‘80 che i Paesi europei hanno intrapreso una serie di programmi d’appalto multilaterali, miranti ad acquistare congiuntamente capacità militari, complesse, costose e ad alta tecnologia: in assenza di questi programmi congiunti (anche fuori dall’Europa) bilaterali come multilaterali -nonostante i frequenti ritardi e l’ aumento dei costi- forti capacità militari e potenti sistemi d’arma sarebbero stati impensabili238.

Dagli anni 90 una cooperazione multilaterale, esterna al sistema di governance europeo ha preso piede in modo da aumentare comunque la cooperazione tra gli

Stati Membri in ambito “difesa”. E’ il caso dell’OCCAR nel 1996 o della Lettera d’intenti/ Accordo quadro (LOI/FA) del 1998 stabilito tra Francia, Germania, Italia, Svezia e Regno Unito, per creare il terreno politico e normativo e facilitare la ristrutturazione industriale, anche attraverso l’armonizzazione negli acquisti da parte dei sei Paesi. Tuttavia non sembra che queste iniziative abbiano giocato un ruolo d’impatto nel modo in cui gli Stati Membri hanno gestito gli appalti per la difesa. L’armonizzazione delle esigenze militari non ha fatto determinanti progressi

acquisita col tempo attraverso questi processi, da altri Paesi prima nell’ombra ( come India, Brasile,

Giappone) rimangono rilevanti tutt’oggi. Cfr. “Defence spending in Europe” Doc cit.

235

“Insular manner”. Si Cfr. “Surviving austerity. The case for a new approach to EU military collaboration” Doc. Cit.

236

Questo è il motivo per cui, gli Stati Europei non sono in grado di impiegare più del 10% delle loro truppe, all’estero. Insieme le forze armate europee impiegano in tutto 1,7 milioni di soldati. Vedi: “Defence

spending in Europe in light of the economic crisis” Doc. cit

237

Da quando l’Inghilterra combatté l’Argentina nel 1980, nessun Governo europeo ha combattuto una guerra da solo; le truppe europee, dai Balcani all’Iraq, dal Chad all’Afghanistan han combattuto sempre quale parte di missioni Europee, Statunitensi o per la Nato, o per una “coalizione d’intenti” come è stato per l’Iraq. Si Cfr. “Surviving austerity” Doc. cit

238

E’ il caso delle fregate FREMM –il più importante programma navale europeo- prodotte congiuntamente da Italia e Francia o dei Tornado e degli Eurofighter fighter aircraft sostenuti da Germania, Italia, Spagna e Regno Unito.

70

e così i fondi gestiti dall’OCCAR, rimasti molto bassi, se messi a confronto con le spese effettuate a livello nazionale239

.

Il bisogno di una maggiore cooperazione nelle spese per la difesa a livello

prettamente europeo, viene affermato con l’ ”Headline Goal Process” iniziato nel

1999 con l’ Helsinki Headline Goal e rilanciato con la Dichiarazione sul rafforzamento delle capacità attraverso il Consiglio Europeo, nel 2008. Il rafforzamento istituzionale ed operativo dell’Eda con il Trattato di Lisbona e l’intervento della Commissione (per la prima volta) nel campo della (spesa per la) difesa con il “Pacchetto Difesa” -che con le due direttive mira da un lato a limitare l’esenzione dalle regole del mercato europeo degli acquisti d’armamento (in modo da aumentare la standardizzazione negli acquisti e la competitività degli stessi) dall’altro, alla facilitazione nel trasferimento intra-comunitario di prodotti, tecnologie e servizi (snellendone e facilitandone i controlli burocratici, previamente effettuati dalle autorità nazionali)- hanno certo concretizzato a livello europeo il tentativo di una maggiore coerenza e sinergia nel campo della (spesa per la) difesa e del mercato della stessa tra i vari paesi europei. Le due direttive avranno però, un impatto importante e di lungo periodo se nel campo della difesa si assisterà ad una maggiore integrazione del mercato europeo della difesa e si avvii un cambiamento in come gli appalti stessi per la difesa vanno ad operare. Il loro impatto dipenderà proprio dagli Stati Membri, tanto nell’implementazione di questa integrazione che

nella sua traslazione nella legislazione nazionale.

“I Governi europei giocano il ruolo centrale rispetto agli appalti per la difesa e

vecchie abitudini sono dure a morire: la maggior parte degli Stati Membri cercano ancora di mantenere quante più capacità militari possibili. Ma molti acquisti avvengono prevalentemente a livello nazionale (individuale) e dove possibile la preferenza, è per fornitori nazionali”.240

Oggi, i tagli alla “difesa” (che pure ci sono stati) hanno rinnovato comunque l’interesse degli Stati europei per una maggiore sinergia in campo della spesa militare. E’ di fronte la crisi economica e finanziaria in atto, che essi, non hanno dunque altra scelta che la condivisione delle capacità militari a livello internazionale, oppure perderle gradualmente e definitivamente per incapacità di spesa.

Il più importante esempio di accordo di cooperazione militare a fini di cost saving (fuori dal quadro istituzionale europeo) è rappresentato dall’accordo tra Francia e

Regno Unito del 2010. Questo prevede un pacchetto di iniziative d’appalto

239

Si Cfr. Defence spending in light of economic crisis” doc. Cit.

240

La spesa per la difesa, prima della crisi è rimasta fermamente di competenza nazionale degli Stati Membri nonostante il processo di integrazione Europea. L’acquisizione delle capacità militari essendo in un primo momento esentata dalle regole del mercato comune ha comportato che nessuna istituzione europea internazionale o soprannazionale abbia avuto potere regolativo o politico in questo campo. Si Veda Ibidem. Cit. p. 8

71

congiunte, in materia di difesa, incluso l’investimento nella ricerca e nello sviluppo (R&S) di nuove capacità militari come lo UAS (Unmanned Aerial System, Sistema Aereo senza Pilota); studi su missili, sottomarini e comunicazioni satellitari. Anche

Germania e Italia hanno firmato una lettera d’intenti nel novembre 2011, per la

cooperazione negli appalti, in materia UAS, costruzione di sottomarini, munizioni a lungo raggio ed esercitazioni pilota. Su questa scia, le associazioni industriali sulla difesa di ambo i Paesi, nel dicembre 2011, hanno segnato un accordo di cooperazione, che copre appunto gli UAS, i veicoli terrestri senza pilota, munizioni guida, satelliti e missili.

Altri recenti iniziative per favorire la cooperazione tra piccoli gruppi di Stati Membri a fini di cooperazione e risparmio, include il Weimar Triangle (Francia, Germania, Polonia); il Nordic Group nel quale rientrano i Paesi Scandinavi; il Benelux Group (Belgio, Lussemburgo e Norvegia) e il Visegrad Four (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovenia). Questi gruppi “mini-laterali” hanno raggiunto qualche risultato, in particolare in relazione alle capacità logistiche delle loro forze militari, ma, in termini di efficacia come di efficienza nella spesa europea per la difesa, i risultati sono stati limitati.241

Esiste quindi un grande e grave contrasto (in termini di efficienza) tra il modo cooperativo in cui i Paesi Europei combattono le guerre e il modo indipendente in cui essi si preparano per combatterle. Ventisette differenti governi, gestiscono,

equipaggiano e comandano ventisette truppe militari diverse, un’economia di scala

in tal modo non è possibile.

Un eccesso di strutture, duplicazione di forze e spese rendono l’Europa suddivisa nei suoi territori nazionali, debole e fondamentalmente incapace di rispondere con convinzione e sinergia alle missioni militari in auge. La mancata cooperazione in termini strutturali o la reticenza alla condivisione di informazioni (utili all’economia di scala) uniti ai tagli alla difesa dimostrano l’inefficacia dei Paesi a condurre spedizioni e gestire capacità militari integrate e senza il supporto di quelle statunitensi242.

Un caso è quello della Libia, dove i paesi Europei hanno dimostrato di non essere in grado di condurre una no-fly zone senza il supporto di quelle statunitensi. “Durante l’Operazione Odissey Dawn, gli assetti statunitensi hanno provveduto all’80% delle missioni di rifornimento in volo, al 75% di quelle di sorveglianza aerea, al 100% di quelle di guerra elettronica ed al 52% di quelle da bombardamento”243. Senza l’appoggio statunitense -dunque- l’operazione sostanzialmente, non avrebbe potuto avere luogo. Operazioni a trecentosessanta gradi non sono permesse

all’Europa, essa non dispone di risorse sufficienti: 70 mila uomini e un budget

complessivo ragguardevole non assicureranno in futuro dal punto di vista strategico-

241

Ibidem

242

Si Veda: “I costi della non-Europa della difesa” Doc. cit

243

72

operativo quanto economico, autonomia all’Europa, costretta anche per imporre un

no-fly zone, a dipendere dall’assistenza degli Stati Uniti.

Dalla Guerra Fredda fino ad oggi, gli Stati Uniti hanno mantenuto e cercato di mantenere una forte voce in capitolo nella sicurezza dell’ Europa244 e indotto un’influenza non indifferente per il rafforzamento delle sue forze militari. Un tacito assenso degli Stati Uniti rispetto alla relativa debolezza dell’Europa ha permesso alla prima di mantenere la sua leadership. Oggi le cose sono differenti. L’interesse dell’America per la sicurezza del continente Europeo è diminuita. Dopo gli attacchi dell’ undici settembre l’attenzione si è spostata in Medio Oriente245. Così come la recente ascesa della Cina ha spinto il Pentagono a spostare la sua attenzione e le sue risorse verso l’Asia. Per cui all’Europa ora è chiesto di prendersi le sue responsabilità nella gestione dei propri confini. E’ questo un altro motivo che chiama i paesi europei alla collaborazione, a formare quelle “isole di cooperazione”246che possano - prima di affrontare le minacce stesse- sormontare la crisi economica ed i tagli che essa impone. E tuttavia, questo tipo d’approccio da solo, non garantisce che dal loro canto i singoli Paesi siano in grado poi di fornire le loro truppe quando necessario. Esiste un concetto, in auge dal 2003 e diffuso a partire da quel documento strategico che fa della sicurezza in Europa (Ess) un baluardo per un “mondo

244

Cfr. “Surviving austerity” Doc. cit

245

Certo questo non ha contratto la visione e l’utilizzo dell’Europa da parte degli Usa, quale efficace porto strategico. Numerose sono le basi militari Usa (basi aeree, terrestri, navali -e di comunicazione e

sorveglianza) in Italia, 107: dai centri di deposito di armi e munizioni (come Camp Derby a Pisa, dove si trova il più grande deposito logistico del Mediterraneo), alle stazioni radar e di telecomunicazioni, a stazioni di comunicazione e deposito di bombe nucleari (come a Ghedi in Lombardia o ad Aviano in Friuli Venezia Giulia dove si trova la più grande base avanzata, deposito nucleare e centro di telecomunicazioni della forza aerea americana, in Italia) a basi aereo-navali come quella di Sigonella in Sicilia, principale base terrestre dell'Us Navy nel Mediterraneo centrale. In Europa, gestite e coordinate dal Comando generale statunitense della NSA (National Security Agency) di Fort Meade (nel Maryland), organizzate in cooperazione con i servizi segreti britannici, canadesi, australiani e neo-zelandesi, sono le “Basi Echelon”: basi d'ascolto, elaborazione dati e di spionaggio elettronico coprono praticamente l’intero pianeta, con all’incirca 4'000 “antenne” disseminate nei diversi Paesi. Sono in grado di intercettare, registrare e controllare qualsiasi

comunicazione radio, telefonica, fax, cellulare ed internet, e persino fotografare e decifrare -con una risoluzione di meno di 10 cm. come nel caso dei satelliti «Advanced KH-11» e «KH-12» - l’indirizzo di una cartolina postale. Tra le altre basi, ne troviamo 10 in Belgio, 73 in Germania, 31 in Grecia, 13 in Portogallo. E’ difficile in ogni caso avere stime precise e dettagliate delle basi Americane in Europa. Troppa segretezza avvolge le basi e così il loro accesso. Le basi americane, non hanno uno status completamente

indipendente dalla Nato. Esse sono strumentali all’assolvimento dei compiti dell’organizzazione, come si evince dall’art. 3del Trattato Nato che obbliga gli stati membri a prestarsi mutua assistenza e a mantenere ed accrescere la loro capacità individuale o collettiva di resistere ad un attacco armato. Si veda “Le basi americane in Italia - problemi aperti” A cura Natalino Ronzitti dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), Senato della Repubblica Italiana, Servizio Affari Internazionali, giugno 2007; e

“Basi militari USA al di Fuori degli statisti Uniti”: http://www.kelebekler.com/occ/bas_it.htm e

http://www.disinformazione.it/basiusa.htm

246

73

migliore” 247: è il concetto di “Pooling and sharing” ossia la “messa in comune e

condivisione” di strutture, unità e attrezzature militari simili, cooperare

nell’approvvigionamento di armi e servizi. Un altro ambito di coordinamento è quello della specializzazione di un determinato Paese: gli altri poterebbero sceglierne uno in particolare e pagarlo –perché più idoneo- per sviluppare e impiegare le sue unità speciali quando necessario.

Lo scopo è di creare quella “cooperazione strutturata permanente” sancita nel Trattato di Lisbona248, ma allo stesso tempo cercare di ovviare parzialmente ai costi delle duplicazioni249.

Il presupposto è quello che dall’esercitazione, alla creazione di unità multinazionali congiunte, ne possa derivare un’ispirazione per gli Stati che partecipano, spingendoli al rafforzamento, alla qualificazione ed alla competitività delle rispettive forze e di quella collettiva così creata.

Ma gli Stati a tutt’oggi hanno difficoltà e poca predisposizione ancora una volta a

mettere in moto tale possibilità:

dalla divergenza in termini di scelta di chi è qualificato a creare un’unità militare d’appartenenza, a quella relativa alla necessità -imposta dall’aderirvi- di dispiego delle proprie forze -così fuse con quelle altrui- nel momento in cui uno di questi decidesse di prender parte ad una missione. Una paura dell’isolamento in caso di visioni divergenti si accompagna da un lato al timore della perdita di sovranità

decisionale dall’altro250.

247

“L'uso sistematico di strumenti comuni e condivisi ridurrebbe le duplicazioni, le spese generali e, a medio termine, aumenterebbe le capacità”. Si Veda: “Un’Europa sicura in un mondo migliore” Bruxelles 12 dicembre 2003. Doc. cit.

248

(Art. 42.6, Art. 46 del Tue e Protocollo sulla cooperazione strutturata permanente). Si tratta di un meccanismo specifico in materia di difesa, avente lo scopo di migliorare le capacità militari degli Stati coinvolti, attraverso un’integrazione più stretta. Consente il rafforzamento dei vincoli di solidarietà fra i paesi dell'Unione, con l'introduzione delle due clausole di difesa e solidarietà collettiva. Attraverso questo meccanismo permanete si cerca infatti, di sopperire alla scarsa flessibilità dello strumento difensivo dell’Ue, in cui le differenze in termini di capacità e di volontà di intervento in missioni militari, creano spesso una paralisi in fase operativa. È aperta a tutti gli stati membri che soddisfino determinati criteri in materia di capacità militari e che sottoscrivano impegni più vincolanti per la realizzazione delle missioni dell’Ue. La valutazione delle capacità militari si basa su una forma di certificazione, stabilita nell’apposito protocollo sulla cooperazione strutturata permanente. Si Cfr. “Le politiche di difesa dell’Unione” Doc. cit

249

“Le duplicazioni dei programmi di sviluppo e di acquisizione di armamenti rappresentano il secondo importante fattore di duplicazione dei costi, legati alla mancanza di uno strumento militare continentale”. Ciò comporta un aumento non solo nel settore della ricerca e dello sviluppo, ma anche nelle catene di montaggio, nelle decisioni amministrative, nelle decisioni logistiche. Il rapporto tra il numero di grandi progetti in produzione (parallela) in Europa e in Usa è di 3 a 1, ossia per ogni programma maggiore sviluppato dagli Stati Uniti, in Europa se ne producono 3. Si parla di “geometrie variabili” poiché vi è un ordine sparso nella produzione di sistemi d’arma, che dividono e disperdono risorse, aumentano la reciproca concorrenza, producono differenti caratteristiche per modelli uguali consentendo così “ai

competitors statunitensi e israeliani di mantenere il vantaggio di cui godono attualmente”. Cfr. “I costi della non-Europa della difesa” Doc. cit. Cit. p. 15 e 19.

250

74

L’espressione “Pooling and Sharing”indica tre tipi diversi di condivisione251: -“l’acquisto in comune e la successiva condivisione di beni e servizi. L’alto costo e la difficoltà di realizzazione degli armamenti di ultima generazione pone grosse difficoltà d’acquisto e di produzione così, programmi internazionali di sviluppo come per la creazione degli aerei A400M -quadrimotori a turboelica per il trasporto strategico militare- o l’Eurofighter Thypoon252 -cacciabombardiere bimotore di quarta generazione e mezza- si fanno sempre più frequenti.

-l’integrazione di parti delle strutture militari: da qui la creazione di unità multinazionali253 o la costituzione di strutture addestrative e educative, oppure

centri per la manutenzione, messi in comune.

-la specializzazione: gli Stati europei, particolarmente quelli più piccoli possono concentrare le proprie risorse limitate su una capacità specifica- ad esempio la costituzione di reparti di sminatori- da condividere poi con gli altri, in cambio di assistenza per la creazione e/o il mantenimento delle capacità.

La prima tipologia di pool and sharing, quindi attiene all’ambito industriale e di mercato. Per quanto riguarda l’integrazione delle strutture, questa è già avvenuta a partire dagli anni ’70, ma precondizioni quali, alti livelli di fiducia reciproca, stessa ambizione militare o “postura” internazionale, fanno sì -date le particolarità- che non sempre si sia storicamente raggiunto il successo in questa iniziativa.

La costituzione dei Battlegroups poi, ha costituito il tentativo di superare l’approccio bilaterale alla condivisione e all’integrazione strutturale delle unità militari europee, ma la difformità delle procedure nazionali così come anche la difficoltà nella misurazione di certi standard, non hanno assicurato- seppur nel raggiungimento di

251

Cfr. “I costi della non-Europa della difesa” Dic. cit.

252

In fondo alla pagina si veda l’immagine N°1. “Il cacciabombardiere bimotore costruito dal Consorzio europeo Eurofighter è in dotazione alle forze aeree tedesche, britanniche, spagnole, austriache, saudite e omanite. E' stato impiegato nella guerra in Libia del 2011. L'Italia ne ha ordinati 96 ancora in fase di consegna ma i primi 24 sono stati offerti ad altri Paesi tra i quali Serbia, Romania e Bulgaria, finora senza successo”. Si Veda: “Grande svendita delle armi (usate) italiane“ 1 giugno 2013

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-06-01/eurofighter-typhoon- 141347.shtml?uuid=AbN7jI1H#navigation

253

“Le forze armate italiane ed in particolare l’Esercito, sono coinvolte in molteplici iniziative multinazionali (…) La South Eastern European Brigade o SEEBRIG, è centrata su un reggimento di fanteria italiano più contributi aggiuntivi di Albania, Grecia, Bulgaria, Ex Repubblica Yugoslavia di Macedonia, Romania e Turchia. Un esempio di unità multinazionale nel cui Comando permanente erano presenti staff italiano, francese, spagnolo e portoghese, sciolta nel 2011 senza mai essere stata impiegata è la European Rapid Operational Force o EUROFOR . Il Comando non disponeva di unità permanentemente assegnate, “che