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Nuove forme di cooperazione strategica interaziendale: le reti di imprese come percorsi di sviluppo economico condiviso. Considerazioni alla luce del caso di studio "Rete di Imprese Montepisano"

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

-Corso di Laurea Magistrale in

“Strategia Management e Controllo”

Nuove forme di cooperazione strategica interaziendale:

le reti di imprese come percorsi di sviluppo economico

condiviso.

Considerazioni alla luce del caso di studio

"Rete di Imprese Montepisano"

Relatore Maria Andreoli

Candidato Pasquale Burrai

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"Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme un successo”.

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INDICE

INTRODUZIONE 7

CAPITOLO 1 SCENARIO ECONOMICO E RETI DI IMPRESE 11 1.1 Le difficoltà del sistema economico italiano 11 1.2 Le reti di imprese. Opportunità di sviluppo d’impresa 13 1.3 La diffusione delle reti in Italia 17

CAPITOLO 2 LE RETI DI IMPRESE 27

2.1 La rete come scelta organizzativa 27

2.2 La rete di imprese 33

2.3 Reti di imprese e Distretti 37

2.4 Organizzazione a rete e consorzio 40

CAPITOLO 3 IL CONTRATTO DI RETE NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO 45

3.1 La rete e il contratto di rete 45

3.2 La soggettività giuridica e la personalità giuridica 53

3.3 Le categorie di reti di imprese 55

3.4 Vantaggi per le imprese agricole: assunzione congiunta, distacco e codatorialità 57

CAPITOLO 4 LE POTENZIALITA’ DELLA RETE 65

4.1 Perché costituire una rete di imprese 65 4.2 La valorizzazione delle potenzialità attraverso la rete 68

4.3 Creare una rete 72

4.4 Le reti per lo sviluppo locale/rurale 75

CAPITOLO 5 ANALISI DI UN CASO PRATICO: LA RETE DI IMPRESE MONTEPISANO 79

5.1 Premesse 79

5.2 La storia della Rete Montepisano e contesto territoriale di riferimento 81 5.3 L’analisi qualitativa della realtà aziendale 87 5.3.1 La scelta del campione di studio 87 5.3.2 Strumenti di raccolta informazioni e analisi dati 93

5.4 Discussione dei risultati ottenuti 94

5.4.1 Risultati SWOT sulle aziende retiste 94

(5)

5.4.3 Confronto dei risultati 103

5.5 Conclusioni 106

CONCLUSIONI 109

ALLEGATI 116

Allegato 1. Altri dati sulla Rete Montepisano Territorio Ospitale 116 Allegato 2. Qualche informazione su altre reti operanti in Toscana 121

Allegato 3. Il Questionario 122

Allegato 4. Il PIT Montepisano 131

BIBLIOGRAFIA 135

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INTRODUZIONE

La presente tesi analizza il fenomeno aggregativo “Reti di Imprese” e individua le op-portunità e i limiti che derivano dal fare parte di una rete.

L’idea nasce da una breve ma significativa partecipazione ad un progetto di costitu-zione e sviluppo di un’organizzacostitu-zione interaziendale nel quale sono emerse sia minacce (problematiche) che opportunità derivanti dal perseguire obiettivi comuni di sviluppo economico. Da ciò l’interesse, prima di capire il motivo che spinge un’impresa ad aderi-re ad una aderi-rete, poi di individuaaderi-re i vantaggi e gli svantaggi che si riflettono sia sul grup-po sia sulla singola impresa.

Il contratto di rete rappresenta una formula aggregativa nuova, giuridicamente ricono-sciuta per la prima volta in Italia con la Legge n. 33 del 9 aprile 2009. Tale strumento contrattuale ha lo scopo di favorire la cooperazione interaziendale coinvolgendo una pluralità di imprese che, per accrescere la propria capacità innovativa e competitiva at-traverso la definizione di un programma condiviso, condividono risorse materiali e im-materiali, al fine di ottenere benefici difficilmente conseguibili singolarmente. Attraver-so l’operare in rete si crea un nuovo modo di fare impresa instaurando relazioni a base fiduciaria con altre aziende o interlocutori, con i quali si scambiano informazioni e si condividono obiettivi, in un periodo caratterizzato da una sfavorevole congiuntura eco-nomica. Nel corso dell’ultimo secolo, infatti, si è passati da un ambiente statico, senza nessuna esigenza previsionale da parte degli operatori economici e una domanda di beni e servizi sempre superiore all’offerta, ad un ambiente più dinamico, caratterizzato da un alto grado di concorrenza alimentato dallo sviluppo di processi di globalizzazione.

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Na-scono nuovi bisogni, la tecnologia si evolve e si diffonde in maniera capillare in tutti i settori dell’economia, creando condizioni di incertezza operativa tali da indurre le aziende a mettersi continuamente in discussione, a rivedere frequentemente e critica-mente il modello di business adottato e la validità delle risorse a disposizione così da poter reagire nel minor tempo possibile alle mutevoli condizioni esterne. In un contesto economico-sociale così imprevedibile, la domanda di beni e servizi risulta fortemente elastica e sensibile ai prezzi e i tempi d’azione per un’azienda si riducono drasticamen-te. Mercati saturi che provocano una concorrenza sempre più intensa, variabilità e im-prevedibilità della domanda sono condizionamenti esterni con cui un’impresa deve con-frontarsi quotidianamente. Per poter cogliere le nuove sfide della competizione globale si richiedono al management nuove e rinnovate capacità strategiche con la consapevo-lezza che guidare l’impresa in un processo di sviluppo economico e rinnovamento in un contesto come quello di oggi è sicuramente assai più arduo che in passato. Sarebbe da ingenui, infatti, credere di poter intraprendere processi di sviluppo aziendale senza con-siderare e interpretare i continui e repentini cambiamenti dell’ambiente esterno. Ed è proprio dall’ambiente esterno che possono nascere innovative opportunità di sviluppo, anche attraverso la cooperazione a tuttotondo, sia con clienti e fornitori che con i con-correnti. Da qui l’interesse delle aziende a comprendere le potenzialità del contratto di rete e le qualità che lo rendono un nuovo mezzo per fronteggiare la crisi economica e sostenere la crescita delle piccole e medie imprese.

Ciò premesso, il lavoro di tesi è strutturato come segue.

Nel primo capitolo verrà analizzato il fenomeno aggregativo d’impresa in rapporto al particolare contesto socio-economico italiano, caratterizzato da difficoltà ma anche da

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opportunità che si dovranno cogliere per poter competere a livello globale. Verrà messo in evidenza il progressivo aumento del numero di reti negli ultimi anni, in particolare a livello multisettoriale, in tutto il territorio italiano, segno di un crescente interesse da parte degli operatori economici italiani verso un nuovo modo di fare impresa, volto alla condivisione di idee, strategie, risorse e conoscenze per l’accrescimento della propria capacità innovativa e competitiva.

Nel secondo capitolo si descrivono il concetto di rete di imprese e le sue caratteristi-che, mettendo in evidenza quello che è il suo punto di forza rispetto ad altre forme ag-gregative volte al perseguimento di economie di scala o di scopo: la flessibilità, ossia la migliore adattabilità della rete stessa alle mutevoli condizioni ambientali rispetto ad al-tre aggregazioni quali i consorzi e i disal-tretti.

Il terzo capitolo spiega come anche a livello giuridico le reti di imprese vengono prese in considerazione e riconosciute quale strumento di cooperazione interaziendale. Con il contratto di rete due o più soggetti economici possono costituire un nuovo soggetto eco-nomico, con diversi gradi di riconoscimenti giuridici (personalità e soggettività giuridi-ca), finalizzato al perseguimento di programmi comuni altrimenti insostenibili per risor-se e competenze, come nel caso delle PMI.

La PMI, viste le sue inefficienze legate alla dimensione, potrebbe beneficiare di tale strumento di cooperazione che la porterebbe a competere in ampi mercati senza rinun-ciare alla sua piccola dimensione e ai benefici che questa apporta. L’interesse sociale e giuridico nei confronti delle reti di imprese è la conseguenza anche delle mutevoli situa-zioni ambientali che portano le imprese a ricercare nuovi modelli di creazione del valore condiviso.

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Il quarto capitolo descrive come la condivisione di risorse e competenze in maniera strategica per creare sinergie e sviluppare potenzialità inespresse appare una via di cre-scita e sviluppo che non mina l’autonomia della singola azienda, ma che è in grado di apportare in essa nuove fonti di vantaggio competitivo.

Infine il quinto capitolo tratta un caso pratico, quello della Rete Montepisano Territo-rio Ospitale. Attraverso l’analisi qualitativa di un campione di aziende appartenenti alla rete di imprese in questione, che fa del territorio la principale fonte di vantaggio compe-titivo, si vuole dimostrare la validità del contratto di rete quale strumento strategico-or-ganizzativo capace di coordinare con efficacia ed efficienza un sistema di relazioni inte-raziendali finalizzato allo sviluppo congiunto azienda-territorio.

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CAPITOLO 1 SCENARIO ECONOMICO E RETI DI IMPRESE

1.1 Le difficoltà del sistema economico italiano

Una delle cause che hanno contribuito alla crisi di competitività delle nostre aziende può essere rappresentata dalla competizione asimmetrica dei Paesi Emergenti (India, Cina) che viene praticata attraverso una leadership di costo agevolata da quadri norma-tivi con carenti tutele per i lavoratori e interventi statali tali da sostenere tale vantaggio. Questo tipo di asimmetria è alimentata da fenomeni quali il dumping che consente alle 1

imprese, con il benestare dello Stato, di poter praticare prezzi di vendita finali di gran lunga inferiori rispetto ai concorrenti. Sono fenomeni talvolta legali, non proibiti a li2

-vello internazionale, ma palesemente capaci di alterare le dinamiche concorrenziali. Un altro fenomeno degno di rilievo, che rischia di intaccare seriamente lo sviluppo del cosiddetto Made in Italy, è la “concorrenza sleale” che a differenza della “concorrenza asimmetrica”, è illegale e si concretizza nella contraffazione.

Altre cause di crisi vanno ricercate in generale nello scenario dei cambiamenti che fanno riferimento a:

• Mercati globalizzati.

http://tesi.eprints.luiss.it/14169/1/villani-luigi-pio-tesi-2015.pdf 1

Come da dizionario il dumping riguarda l’esportazione di merci a prezzi molto più bassi di quelli prati-cati sul mercato interno o su un altro mercato, oppure addirittura sotto costo, da parte di trust già padro-ni del mercato interno, generalmente condotta con l'appoggio dello Stato, allo scopo d'impadropadro-nirsi dei mercati esteri.

“Nel commercio internazionale si intende per dumping una strategia con cui i prodotti di un Paese sono

immessi in commercio in un altro Paese ad un prezzo inferiore al valore normale del prodotto”. (GATT 1994)

Manodopera sottopagata, assenza di sostenibilità ambientale della produzione, artificiosi cambi valuta

2

-ri tra monete del paese di o-rigine e destinazione delle merci, sono azioni praticabili dalle imprese per spuntare prezzi inferiori ai concorrenti.

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• Integrazione tra i settori. • Pressioni dei prezzi. • Il mondo in rete.

Si delinea così il moderno quadro economico dove sopratutto le PMI , travolte da ob3

-bligati processi di internazionalizzazione e innovazione tecnologica, sono chiamate a confrontarsi a livello internazionale con concorrenti di tutto il mondo. Non basta più puntare solo su strategie di promozione del prodotto nei loro storici mercati, ma bisogna esplorarne nuovi, assumere un atteggiamento dinamico, in maniera tale che sia la stessa azienda a stimolare cambiamenti ambientali e a muoversi proattivamente, a seconda delle contingenze. 4

“Oggi le imprese di successo sono quelle che superano i propri limiti dimensionali per raggiungere la massa critica necessaria a competere a livello internazionale e che punta-no sulle competenze e investopunta-no in inpunta-novazione. Crescere e accumulare competenze per crescere, in un circolo virtuoso che si alimenta e rafforza costantemente.”5

Tuttavia passando ad una descrizione della situazione industriale italiana, alcuni stu-diosi spezzano una lancia a favore delle piccole e medie imprese e in generale del tessu-to imprenditessu-toriale italiano osservando che:

Si parla sopratutto di piccole e medie imprese in quanto nel territorio italiano sono le organizzazioni 3

economiche maggiormente diffuse.

http://www.antonioricciardi.it/materiali_spa1/Orientamento,%20gestione,%20pianificazione%20strate

4

-gica%20impresa.pdf

G. Nardozzi Tonielli, L. Paolazzi, Costruire il futuro. PMI protagoniste: sfide e strategie, Sipi, Roma,

5

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“Tra i paesi avanzati l’Italia presenta un sistema industriale del tutto peculiare, che si può così sintetizzare: un numero esiguo di grandi gruppi e un numero ancor più limitato di pilastri industriali, capaci cioè di esprimere un fatturato superiore ai venti miliardi di euro; una straordinaria costellazione di imprese piccole e medie (cioè con meno di 250 addetti) con una specializzazione manifatturiera incentrata sui settori tipici del made in Italy (moda, arredo casa, alimentare, meccanica); oltre 200 distretti industriali, spesso leader mondiali nei loro settori o nicchie di attività, fenomeno, quest’ultimo, del tutto assente in simili proporzioni negli altri paesi maggiormente industrializzati”6

1.2 Le reti di imprese. Opportunità di sviluppo d’impresa

“La distribuzione dimensionale delle imprese è stata indicata, senza non pochi dubbi, tra le principali cause di arretratezza del nostro sistema industriale. Al riguardo, se da un lato si rileva il contributo determinante delle piccole imprese allo sviluppo economico del nostro Paese negli ultimi decenni, dall’altro lato si sottolinea, per gli anni più recen-ti, l’incidenza negativa dell’eccessiva frammentazione sulla capacità di crescita della nostra economia.” 7

L’esigenza di fare rete riguarda oggi le imprese di tutte le dimensioni, ma risulta di estrema importanza in particolare per le PMI che, impossibilitate ad espandersi, sono chiamate a seguire particolari percorsi di sviluppo prevalentemente di tipo non equity.

Quadrio Curzio A. e Fortis M., Complessità e distretti industriali. Dinamiche e modelli, casi reali. Il 6

mulino, Bologna, 2002, op. cit.

A. Ricciardi, Le reti di imprese. Viaggi competitivi e pianificazione strategica, Franco Angeli, Milano, 7

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Negli ultimi decenni la crisi, dunque la perdita di competitività, ha spinto i piccoli-medi imprenditori a riflettere prima sui possibili percorsi da seguire per risollevarsi, e ad in-traprendere poi percorsi di virtuosismo economico. Percorsi di sviluppo prevalentemen-te di tipo individuale e autonomo stanno lasciando progressivamenprevalentemen-te spazio a percorsi di sviluppo condivisi tra più imprese che si esplicano nella creazione di aggregazioni più o meno formali a seconda del grado di complessità delle relazioni che intendono instaurare. 8

Nascono e si diffondono nuovi modelli di aggregazione accanto a quelli già ricono-sciuti e usati (quali Consorzi e Cooperative). Tra i nuovi strumenti in diffusione merita particolare attenzione lo strumento “Contratto di rete”, oggetto di questa tesi, il quale si configura come soluzione più flessibile e dinamica rispetto alle succitate tradizionali forme di aggregazione, in grado di conseguire maggiori livelli innovativi e qualitativi. Qualità e innovazione sono infatti i due obiettivi riconosciuti dall’ordinamento giuri-dico e ritenuti ormai imprescindibili da parte delle imprese per garantire il loro svilup-po.

In Italia, la particolare configurazione del tessuto imprenditoriale (formato in preva-lenza da PMI) pone in evidenza come sia arduo da parte di una piccola o media impresa riuscire a raggiungere alti livelli di innovazione con ridotti livelli di investimenti. Viene allora logico pensare che l’azienda stessa, se inserita in un network, potrebbe ottenere

“L’attenzione si focalizza non tanto sulla singola impresa, ma sul sistema di relazioni che si instaura fra

8

le imprese (che potrebbero anche non essere localizzate in un medesimo sistema locale), volto a costituire un vero e proprio network fra operatori indipendenti, tale da costituire il soggetto reale dell’innovazione tecnologica.”

Da Camera di Commercio Firenze, Febbraio 2015, “Il sistema di relazioni sviluppato da un’impresa

rap-presenta una risorsa di gran valore, alla stregua di un vero e proprio investimento.

Il ruolo delle reti d’imprese in un’economia alle soglie della ripresa: base di partenza o punto di arrivo per un rilancio della crescita locale?” op. cit. pag 5

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risultati maggiori in termini di competitività e innovazione, rispetto ad una che opera individualmente senza condividere alcun tipo di attività o investimenti in genere, e di conseguenza che l’assetto organizzativo a rete potrebbe ben adattarsi alla realtà italiana fatta di aziende magari anche efficienti nel mercato in cui operano ma incapaci di com-petere nel mercato globale con aziende più strutturate e di maggiori dimensioni.

Dall’analisi del contesto economico in continua evoluzione si osserva che il fenomeno

reti di imprese non nasce in questi anni, anche se è stato inserito solo di recente tra gli

strumenti riconosciuti e previsti dall’ordinamento giuridico italiano. E’ già da qualche decennio infatti che si assiste a cambiamenti organizzativi che lasciano intendere una maggiore disponibilità e apertura, da parte dei singoli imprenditori, verso organizzazio-ni reticolari. Le grandi imprese di stampo Fordista si scompongono in uorganizzazio-nità più piccole attribuendo loro maggiore autonomia operativa ed economica. Da grande impresa inte-grata verticalmente (grandi gruppi aziendali secondo logiche di controllo proprietario) si passa ad un nuovo paradigma produttivo che vede piccole imprese autonome organizza-te in forma di reorganizza-te secondo logiche fiduciarie e collaborative. Anche le PMI organizza-tendono a 9

specializzarsi sempre di più in quello che meglio sanno fare e creano intere filiere pro-duttive nelle quali le singole imprese, altamente specializzate, possono dare un signifi-cativo contributo alla creazione dell’output di filiera.

“In questi ultimi anni il ricorso sempre più diffuso alle tecnologie informatiche e la ricerca dell’efficien

9

-za mediante assetti organiz-zativi più flessibili, hanno favorito lo sviluppo di strutture produttive meno integrate verticalmente e quindi di dimensioni più ridotte rispetto al passato. In particolare, le ITC ( TIC tecnologie informatiche e della comunicazione) hanno indotto la trasformazione delle imprese verso strutture organizzative orizzontali, con maggiore decentramento delle decisioni all’interno delle imprese, una diminuzione dei livelli gerarchici e un più esteso ricorso all’outsourcing.” da “Nuove tecnologie e cambiamento organizzativo: alcune implicazioni per le imprese italiane" di Trento S. e Warglien M.,

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La specializzazione rende più efficienti i processi interni di produzione, riducendo gli sprechi, i difetti e i costi. Ciò si riflette positivamente sui risultati economici aziendali, e porta ad una rinnovata capacità di ottenere nuovo capitale, avviando così un percorso di sviluppo virtuoso. La specializzazione però comporta anche la necessità di collaborare con altre aziende per creare un prodotto finale di alto livello qualitativo. “Viene abban-donato così il vecchio paradigma economico-produttivo secondo cui la crescita dimen-sionale è l’unica via possibile per competere in un mercato globale.” Prende piede un 10

nuovo modo di fare impresa e di competere nei mercati, facendo leva sulla condivisione di risorse e informazioni talvolta anche tra gli stessi concorrenti, pensiero, questo, rite-nuto assolutamente un errore in passato. Si pensa ora, con sempre più fermezza, che in-novazioni e standard qualitativi sempre più alti si possano raggiungere attraverso pro-getti di ricerca e sviluppo condivisi, così da condividere anche gli alti costi e rischi di investimenti, quasi impossibili da sopportare individualmente. Ne consegue una conce-zione di rete come sistema di relazioni di tipo collaborativo-fiduciario tra imprese e soggetti in generale autonomi giuridicamente, economicamente e imprenditorialmente, in grado di raggiungere e sostenere un vantaggio attraverso un continuo scambio di idee, risorse e informazioni.

Cfr. Ferraris Franceschi R. (1993) Linee metodologiche nella ricerca economico aziendale applicata 10

alla piccola e media dimensione. Op. cit. pag. 68-69.

In merito alla crescita dimensionale la Ferraris Franceschi scrive: “l’aumento dimensionale è da vedere

solo come effetto possibile di un processo di crescita piuttosto che come un segno tangibile di questa. D’altra parte, se la crescita/sviluppo implica il miglioramento delle condizioni di esistenza dell’azienda e quindi dei suoi connotati gestionale di ordine economico, finanziario e competitivo, ciò può aversi anche in assenza di un aumento dimensionale rilevabili in termini quantitativi (…) se pensiamo alle direzioni lungo le quali un processo di sviluppo può trovare compimento dobbiamo notare che esso può oltrepassa-re i confini della singola unità produttiva ed arrivaoltrepassa-re ad assumeoltrepassa-re forme interaziendali.”

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Come rileva il Sicca , l’osservazione di casi di successo mostra un progressivo ab11

-bandono della cosiddetta sindrome di Newton, vale a dire la convinzione circa la neces-sità di una gestione interna delle attività funzionali alla generazione di innovazione, a favore di una maggiore tendenza alla cooperazione. L’individualismo imprenditoriale lascia il posto alla nuova imprenditorialità condivisa. In effetti, un’economia basata sul-la conoscenza e sul trasferimento di informazioni fa si che le aziende che operano in rete siano più competitive rispetto alle aziende autonome e integrate verticalmente. Un’impresa che entra in rete avrà la possibilità di superare quei gap di indisponibilità di risorse per lo sviluppo di innovazioni e il conseguimento di un vantaggio competiti-vo. 12

1.3 La diffusione delle reti in Italia

Rispetto ad altri modelli aggregativi, il modello a rete risponde meglio ad esigenze di innovazione, poiché non pone limiti alla compartecipazione di aziende appartenenti a diversi settori (multisettorialità), favorendo così la condivisione di risorse e competenze tra loro complementari. Questo si evidenzia principalmente nel settore agricolo dove negli anni va crescendo la partecipazione di imprese agricole in reti multisettore. La fi-nalità di questa strategia di cooperazione, tra imprese operanti in diversi settori dell’e-conomia, è essenzialmente quella di sostenere lo sviluppo proprio aziendale attraverso lo sviluppo del contesto locale (contesto giuridico-economico-sociale territoriale nel

L. Sicca, La gestione strategica dell’impresa. Concetti e strumenti, Cedam, Padova, 2001. 11

M. Calabrese, G. Bosco, Reti d'imprese: nuovo approccio manageriale per la gestione della complessi

12

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quale l’azienda produce) e la valorizzazione di settori strategicamente connessi (ad esempio agricoltura-turismo). Si può, quindi, parlare di sviluppo condiviso e sostenibile. 13

Le seguenti tabelle, elaborate dal Centro Studi Confagricoltura su dati Infocamere, schematizzano il fenomeno della crescita della partecipazione delle imprese agricole in reti di imprese in Italia, per anno e per Regione (tempo e spazio).

Tabella 1.1 Reti di imprese con partecipazione di imprese agricole. 14

Anno Reti Imprese

agricole Imprese totali %agricole su totali 2011 14 81 100 81% 2012 31 111 276 40% 2013 37 99 305 32% 2014 66 336 692 49% Totale 148 627 1373 46%

CS Confindustria. Imprese agricole e Contratti di Rete.

13

Fonte: elaborazione del Centro Studi Confagricoltura su dati Infocamere.

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Tabella 1.2 Reti di imprese con partecipazione di imprese agricole per anno e

prevalen-te settore di attività. 15

La tabella in questione evidenzia come anche nel comparto agricolo, il complicato scenario nazionale e internazionale ha stimolato un profondo ripensamento sulle strate-gie di sviluppo possibili, che ha portato le aziende a collaborare tra loro per trovare so-luzioni rapide e innovative al mutevole contesto socio economico attraverso strategie individuali. Su 148 reti alle quali partecipano imprese agricole, 88 reti svolgono preva-lentemente attività agricola, 10 reti svolgono prevapreva-lentemente attività connesse all’agri-coltura, 21 attività turistiche e 29 operano in più settori (Tabella 1.2).

Si assiste negli anni ad una sempre maggiore partecipazione di imprese agricole a reti turistiche e multisettore.

Il fatto che sempre più aziende, qualunque sia la loro principale attività, adottino strumenti organizzativi interaziendali come i contratti di rete viene evidenziato anche a livello statistico. A partire dal 2008, anno in cui sono stati previsti e disciplinati dal

no-Anno Agricoltura Attività connesse

Turismo Plurisettore TOTALE ANNUO 2011 12 2 0 0 14 2012 16 2 2 11 31 2013 24 1 3 9 37 2014 36 5 16 9 66 Totale per settore 88 10 21 29 148

Fonte: elaborazione del Centro Studi Confagricoltura su dati Infocamere.

(20)

stro ordinamento giuridico, i contratti di rete si sono diffusi progressivamente in tutto il territorio italiano.

Tabella 1.3 Contratti di rete ordinari con partecipazione di imprese agricole (agric.,

sel-vic. e acquacolt.) 2016. 16

Su 568 reti a cui partecipano imprese agricole, più del 50% ha un’azienda leader (ca-pofila) che appartiene al settore agricolo. Le restanti reti hanno un’azienda capofila spe-cializzata in altri settori.

Anno Contratti di rete N. medio di imprese agricole per rete Reti con azienda di riferimento agricola % di reti di riferimento agricole su totale Coltivazione e allevamento 529 4,7 296 55,9% Selvicoltura 32 1,8 9 28,1% Acquacoltura e pesca 7 4,2 5 71,0% Totale 568 4,5 310 54,6%

Fonte: elaborazione del Centro Studi Confagricoltura su dati Infocamere.

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Tabella 1.4 Reti di imprese per anno di costituzione al 31/12/2014. 17

Tabella 1.5 Reti di imprese per anno di costituzione. 18

Al 5 marzo 2018, le reti sono 4511 di cui 676 con soggettività giuridica. Ciò testi19

-monia la propensione da parte delle nostre imprese ad instaurare stabili relazioni (rico-nosciute pubblicamente) per il perseguimento di obiettivi comuni.

E’ interessante rilevare che i contratti di rete, 3386 nel 2016 (Tabella 1.5), vengono sottoscritti principalmente da imprese operanti nel settore manifatturiero, agricolo e dei

ANNO N° RETI % RETI SU TOTALE

2010 24 1,2 2011 211 10,9 2012 410 21,4 2013 711 36,9 2014 571 29,6 TOTALE 1927 100

ANNO N° RETI % RETI SU TOTALE

2010/14 1927 56,9%

2015/16 1459 43,1%

TOTALE 3386 100%

Fonte: elaborazione del Centro Studi Confagricoltura su dati Infocamere.

17

Fonte: elaborazione del Centro Studi Confagricoltura su dati Infocamere.

18

http://contrattidirete.registroimprese.it/reti/ Fonte: Infocamere.

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servizi (Tabella 1.6). Si nota inoltre che, nel triennio 2014-2016 le imprese agricole che partecipano a un contratto di rete hanno registrato un significativo aumento passando da circa 570 nel 2014 (tabella 1.4) a 2966 nel 2016 (tabella 1.7), confermando così un cre-scente interesse verso questa forma di cooperazione.

*Agricoltura, selvicoltura, acquacoltura e pesca.

Tabella 1.6 Imprese che partecipano ad un contratto di rete, classificate per settore

(di-stribuzione %). 20 SETTORE 2014 2016 Agricoltura* 5,9% 15,6% Attività manifatturiere 32,7% 22,2% Costruzioni 10,8% 9,3% Commercio 9,9% 9,4% Turismo 4,2% 6,2% Trasporti 2,7% 3,9% Servizi 25,0% 30,3% Altri settori 8,8% 3,1% TOTALE 100% 100%

Fonte: elaborazione del Centro Studi Confagricoltura su dati Infocamere.

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Tabella 1.7 Imprese agricole (agricoltura, selvicoltura, pesca e acquacoltura) che

parte-cipano a un Contratto di Rete (2016). 21

Guardando alla distribuzione territoriale delle imprese agricole nelle varie Regioni, si nota che più di 400 imprese agricole, su 2485 aziende agricole totali che partecipano a

reti, svolgono la loro attività in Toscana (Tabella 1.8), che si aggiudica così un primato

che dimostra la propensione da parte delle imprese toscane a coltivare relazioni.

Coltivazione e allevamento Selvicoltura Acquacoltura e pesca TOTALE In reti ordinarie 2485 58 30 2573 In reti con soggettività giuridica 386 6 1 393 TOTALE 2871 64 31 2966

Fonte: elaborazione del Centro Studi Confagricoltura su dati Infocamere.

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Tabella 1.8 Imprese agricole (agricoltura, selvicoltura, pesca e acquacoltura) che

parte-cipano a Contratti di Rete ordinari (2016). 22 REGIONI Coltivazione e allevamento Selvicoltura Acquacoltura e pesca TOTALE Toscana 400 14 0 414 Lazio 335 0 0 335 Friuli V. G. 318 9 0 327 Campania 275 0 0 275 Veneto 172 2 9 183 Sardegna 148 2 6 156 Lombardia 129 13 0 142 Emilia R. 107 3 15 125 Piemonte 114 2 0 116 Marche 101 1 0 102 Puglia 92 1 0 93 Calabria 72 1 0 73 Abruzzo 48 4 0 52 Liguria 49 2 0 51 Sicilia 38 1 0 39 Basilicata 28 2 0 30 Umbria 27 1 0 28 Trentino 24 0 0 24 Valle d’Aosta 5 0 0 5 Molise 3 0 0 3 TOTALE 2485 58 30 2573

Fonte: elaborazione del Centro Studi Confagricoltura su dati Infocamere.

(25)

Tabella 1.9 Variazione della partecipazione delle imprese alle reti nel triennio 2014-2016, per Regione. 23 2014 2016 Variazione Lombardia 2110 2837 +34,4% Toscana 996 1685 +69,2% Lazio 675 1630 +141,5% Emilia Romagna 1162 1606 +38,2% Veneto 789 1521 +92,8% Campania 386 1193 +209,1% Puglia 514 1022 +98,8% Piemonte 421 842 +100,0% Friuli Venezia Giulia 253 814 +221,7% Abruzzo 584 813 +39,2% Marche 344 572 +66,3% Liguria 212 564 +166,0% Sicilia 194 464 +139,2% Sardegna 274 434 +58,4% Calabria 179 413 +130,7% Umbria 223 360 +61,4% Trentino Alto Adige 167 290 +73,6% Basilicata 137 206 +50,4% Valle d’Aosta 3 39 +1200,0% Molise 39 38 -2.6% TOTALE 9662 17343 +79,5%

Fonte: elaborazione del Centro Studi Confagricoltura su dati Infocamere.

(26)

Ad oggi le reti risultano così distribuite:

(27)

CAPITOLO 2 LE RETI DI IMPRESE

2.1 La rete come scelta organizzativa

La concezione della rete come forma organizzativa ha iniziato a diffondersi in maniera crescente dalla fine degli anni Ottanta . Da questo periodo in poi viene abbandonata la 24

tradizionale visione dell’azienda come mera funzione di produzione a favore di una nuova, che vede l’impresa e il mercato come due strutture alternative ai fini del coordi-namento delle transazioni (Bonti, 2012). 25

A partire dagli anni Ottanta si è progressivamente diffusa una modalità di sviluppo, di tipo qualitativo e per linee esterne, fondata sulla interazione fra le catene del valore di PMI diverse che, a vario titolo, decidono di cooperare fra loro pur restando giuridica-mente autonome. La nascita di questa nuova alternativa di sviluppo può essere ricondot-ta alla crisi delle forme organizzative più tradizionali: da un lato troviamo la gerarchia, con le sue strutture organizzative ciclopiche che per naturale conformazione risultano troppo ingessate e burocratizzate e quindi poco adatte a rispondere in modo tempestivo e adeguato agli stimoli di un contesto socio-economico in continua evoluzione, dall’al-tro lato dall’al-troviamo il mercato, con i suoi costi di transazione non sempre sostenibili. La rete, collocandosi come forma organizzativa intermedia, è un intreccio di risorse e com-petenze interne ed esterne che, se opportunamente calibrato, consente alla piccola-me-dia impresa di realizzare la propria idea di business, anche in condizioni di bassa

Coase, nel 1937, indagando sulla natura delle imprese, mette in luce come impresa e mercato si confi

24

-gurino quali strutture alternative ai fini del coordinamento delle transazioni. Williamson nel 1975, par-tendo dal lavoro di Coase, elabora la teoria dei costi di transazione.

M. Bonti. Una, nessuna, centomila. Varietà dei percorsi di sviluppo nelle piccole e medie imprese,

25

(28)

pensione al rischio, di carenza di capitali e know-how specifici, usufruendo dei vantaggi della integrazione e della differenziazione senza perdere la propria flessibilità. (Loren-zoni, 1990).

L’evoluzione delle strutture organizzative ha comportato un abbandono delle strutture di tipo “gerarchico” a favore di altre più flessibili, caratterizzate da legami di tipo “oriz-zontale” secondo una logica cooperativa o di mercato. Tuttavia non si tratta di abbrac-ciare l’una o l’altra modalità di governo delle transazioni, ma di soddisfare l’esigenza delle PMI di ristabilire nuovi confini organizzativi facendo maggiormente leva sulle re-lazioni interaziendali piuttosto che sui legami proprietari. Analizzando il contesto so26

-cio-economico negli ultimi decenni e rivisitando alcune teorie organizzative nelle quali vengono considerate anche le reti quali forme di “governo delle transazioni”, si può pire come lo strumento rete sia stato sviluppato in risposta ad esigenze aziendali di ca-rattere strutturale e organizzativo, emerse con l’aumento della competitività e della complessità dei mercati. Un contributo notevole alla comprensione e alla progettazione delle forme organizzative più convenienti è dato dalla alla Teoria dei costi di transazione di Williamson (1975) . La teoria può essere applicata per stabilire la convenienza deri27

-vante dall’adozione di nuove soluzioni organizzative, che assumono connotati ibridi, collocate in un continuum tra gerarchia (make, controllare all’interno) e mercato (buy). In questo senso le reti di imprese possono essere rappresentabili come forme “ibride” di coordinamento tra mercato e gerarchia, plasmabili a seconda del dinamismo

A. Ricciardi, Le reti di imprese. Viaggi competitivi e pianificazione strategica, Franco Angeli, Milano,

26

2004, pag. 113.

M. Bonti. Una, nessuna, centomila. Varietà dei percorsi di sviluppo nelle piccole e medie imprese, 27

(29)

tale. Dunque, col mutare delle condizioni esterne, l’impresa è chiamata a rispondere 28

con altrettanti mutamenti strategici e organizzativi al fine di mantenere efficienza inter-na e competitività. 29

Le forme tecniche mediante le quali una rete può svilupparsi sono numerose ed etero-genee, in continua evoluzione e non sempre formalizzate; per questo, la crescita per li-nee esterne, a differenza della crescita per lili-nee interne, non è sempre facilmente rico-noscibile.

Riassumendo, in base alla teoria dei costi di transazione, il mercato e la gerarchia pos-sono essere considerati come due soluzioni organizzative poste agli estremi di un conti-nuum, all’interno del quale la rete, a seconda della convenienza, può collocarsi di volta in volta più o meno vicino all’uno o all’altro estremo.

I percorsi di cambiamento intrapresi dalle aziende si traducono in percorsi di sviluppo di tipo qualitativo che non per forza devono essere sostenuti da aumenti delle dimensio-ni aziendali. Esistono infatti percorsi strategici sia di crescita dimensionale (è il caso di integrazioni verticali e orizzontali) sia di “non crescita dimensionale”. E’ quest’ultimo il caso di aziende che decidono di cooperare tra loro stipulando accordi più o meno forma-li per il raggiungimento di obiettivi comuni di ordine economico. Proponendo l’aggr-egazione in rete, come possibile alternativa alla crescita dimensionale delle PMI italia-ne, si è cercato anche di smentire l’idea anglosassone secondo cui “il grande cresce ed il

Richardson, 1972; Williamson, 1991.

28

“La rete è forma organizzativa distinta dal mercato, che coordina i nodi senza connetterli e distinta

29

dalla gerarchia, che connette tutti i nodi ad uno centrale attraverso sistemi di regole che valgono per tutti.” L. D’Amico, T. Di Cimbrini, “Le aggregazioni di imprese e la formazione dei gruppi”, in L.

Mar-chi, M. Zavani, S. Branciari, Economia dei gruppi e bilancio consolidato, Giappichelli, Torino, (2010), p. 17.

(30)

piccolo rimpicciolisce” . Infatti, la Rete di Imprese è una forma di collaborazione che 30

non compromette le peculiarità delle aziende, che nel caso delle PMI italiane si traduce nella piccola dimensione, poiché si è consapevoli che si tratta talvolta di caratteristiche in grado di apportare alti livelli di flessibilità ed adattabilità all’ambiente circostante. La rete è composta da intrecci relazionali fra imprese distinte, atti a far raggiungere risultati altrimenti irraggiungibili dalle singole aziende. Tali relazioni possono essere di diversa natura e struttura ma tutte implicano uno scambio di elementi sia fisici sia immateriali. Si configurano così relazioni di tipo verticale (logica sequenziale fornitore-cliente) o di tipo orizzontale (logica di condivisione).

Nel 1996 Boldizzoni-Serio formalizzarono una mappa delle modalità di crescita delle

PMI elaborata usando due variabili : 31

-

la modalità di crescita per linee interne (attraverso rapporti di controllo proprietario) o per linee esterne (attraverso rapporti di tipo collaborativo e fiduciario).

-

La natura delle relazioni (formali o sociali) .

M. Bonti. Una, nessuna, centomila. Varietà dei percorsi di sviluppo nelle piccole e medie imprese,

30

FrancoAngeli editore, 2012.

D. Boldizzoni, L. Serio. Il fenomeno piccola impresa. Una prospettiva multidisciplinare, 1996.

(31)

Figura 2.1 Mappa delle modalità di crescita delle PMI (Boldizzoni, Serio, 1996).

Le due variabili incrociate tra loro creano 4 quadranti che rappresentano quattro diffe-renti vie di sviluppo possibili:

-

Crescita interna attraverso relazioni formali. E’ il caso in un’impresa che decide di crescere attraverso la creazione di nuove unità o l’acquisizione di nuove imprese. Le-gami di controllo garantiscono un forte coordinamento.

-

Crescita interna attraverso relazioni sociali. Questa forma di crescita presuppone un minor livello di coordinamento. Tra i pochi casi riscontrati nella realtà si può citare il fenomeno degli spin-off.

(32)

-

Crescita esterna mediante relazioni formali-contrattuali. Questa modalità di crescita presuppone la formazione di aggregazioni di imprese coordinate tramite strumenti contrattuali che formalizzano le gerarchie e le divisioni di poteri all’interno dell’or-ganizzazione interaziendale. Esempi riscontrati nella realtà sono i consorzi, le asso-ciazioni, il franchising e le reti di imprese (rete-soggetto).

-

Crescita esterna mediante legami sociali-interpersonali. In questo caso il coordina-mento è meno formale e viene messo in risalto l’aspetto fiduciario del rapporto tra imprese che stipulano accordi e sviluppano progetti comuni. Le reti di imprese sono un esempio di tale modalità di crescita.

E’ importante sottolineare che, ad oggi, vi è una sempre maggior propensione da parte delle PMI ad intraprendere percorsi di crescita per linee esterne, attraverso la rete, che appare uno strumento di cooperazione più flessibile e dinamico rispetto a quelli tradi-zionali (ad esempio ai consorzi), in grado di rispondere meglio alle mutevoli condizioni dell’ambiente esterno attraverso lo sfruttamento di sinergie derivanti dalla composizione di risorse provenienti da imprese operanti in settori diversi dell’economia, per lo svilup-po di programmi comuni. La rete si dimostra dunque un efficace strumento di collega-mento tra imprese eterogenee che sfruttano nessi di complementarietà per creare e sfrut-tare sinergie in comune.

(33)

2.2 La rete di imprese

Una rete di imprese è definita da Bastia (1989), “un insieme di aziende giuridicamente autonome che attraverso reciproci impegni di cooperazione realizzano in modo consa-pevole e finalizzato una coordinazione produttiva, sfruttando gli aspetti di complemen-tarietà tecnica ed economica delle rispettive gestioni in vista del conseguimento di obiettivi economici congiunti, da cui ritrarre indirettamente dei vantaggi individuali.”32

Dalla definizione emergono una serie di elementi chiave: • La presenza di due o più nodi connessi in rete.

• L’autonomia giuridica e decisionale dei soggetti coinvolti.

• La necessaria instaurazione di relazioni che legano gli attori coinvolti. • La presenza di meccanismi di coordinamento più o meno formali.

Una rete di imprese è uno strumento - riconosciuto dal nostro ordinamento giuridico attraverso il contratto di rete - che “connette” due o più operatori per creare sinergie tramite la condivisione e combinazione di risorse e competenze messe a disposizione per lo sviluppo di attività comuni di rilevanza economica che porti ad “accrescere la re-ciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato”. 33

Previsto e regolato come fattispecie contrattuale a partire dalla Legge n. 33 del 9

apri-le 2009 e s.m.i., il contratto di rete permette ai diversi soggetti interessati di sviluppare programmi condivisi di rilevanza economica, senza sacrificare la propria autonomia in nome di un obiettivo comune. Gli operatori partecipanti rappresentano i nodi della rete e P. Bastia, Gli accordi tra imprese. Fondamenti economici e strumenti informativi, Clueb, Bologna,

32

1989. Op. cit. pag 69.

TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE n. 5 del 10 febbraio 2009, art. 3, comma 4ter.

(34)

le relative relazioni configurano la rete nella sua forma e complessità. Le relazioni che si formano tra i nodi possono essere di natura collaborativa o contrattuale, più o meno formali a seconda del grado di fiducia reciproca e della complessità della relazione. In base alla tipologia di relazioni, che potrebbero far emergere anche imprese leader o

dominanti, configurando così reti centrate (asimmetriche) o acentriche (simmetriche), le

reti assumono strutture più “verticali” o più “orizzontali”. Le reti di imprese asimmetri-che sono composte da attori asimmetri-che incidono con un “peso” diverso sull’operato della rete, per le differenti funzioni svolte all’interno dell’aggregazione reticolare. Queste imprese possono assumere posizioni “centrali” o di “leader”, in quanto per risorse, spirito d’ini-ziativa e competenze sono in grado di svolgere funzioni di coordinamento e rappresen-tano il nucleo centrale della rete. Le altre imprese, definite “nodali”, in base alle capaci-tà possedute e a seconda delle circostanze, supportano l’attivicapaci-tà dell’unicapaci-tà centrale, met-tendo a disposizione della rete le competenze distintive, e talvolta svolgendo anche un ruolo più attivo affiancando l’unità centrale nella gestione dell’attività di coordinamen-to. 34

Nelle reti simmetriche, pur in presenza di un soggetto che fa o ha fatto inizialmente da promotore della rete, le imprese sono in ruoli più paritari e mantengono ampia autono-mia decisionale sul programma condiviso.

Le imprese, relazionandosi continuamente tra di loro, condividono risorse che posso-no essere, materiali, immateriali, e finanziarie in base alle esigenze che il programma oggetto del contratto di rete richiede. Occorre allora individuare e mettere a

A. Ricciardi, Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica. FrancoAngeli, Mila

34

(35)

ne della rete delle risorse che dovranno avere un carattere strategico, cosicché ogni azienda possa partecipare in modo sinergico con le altre per ottenere benefici altrimenti non conseguibili.

I benefici ricercati attraverso forme di cooperazione come quella a rete variano e pos-sono riassumersi, con la consapevolezza che tali benefici non pos-sono circoscritti al se-guente elenco, in:

• Sviluppare nuove competenze o nuovi prodotti in modo condiviso. • Condividere i rischi.

• Ridurre i costi di transazione.

• Creare sistemi di apprendimento e diffusione delle informazioni. • Condividere attività comuni.

• Ottenere maggiori livelli di innovazione di prodotto e di processo. • Migliorare il rating delle aziende in rete.

• Agevolazioni fiscali sugli utili derivanti dall’attività di rete. 35

Le rete viene definita un’organizzazione flessibile perché nella concezione di rete non esistono confini territoriali o settoriali, anzi la partecipazione di imprese operanti in più settori e variamente collocate nel territorio può costituire un fattore critico di suc-cesso. Inoltre ogni impresa è libera di partecipare o meno alle singole iniziative della rete in base alle sue autonome considerazioni riguardo costi o benefici che ne potrà trarre. In generale ogni rete può assumere diversi gradi di flessibilità in base alle

http://www.un-industria.it/Public/ImgInf/Brochure%20-%20Le%20reti%20di%20impresa.pdf

(36)

plessità delle attività condivise, assumendo configurazioni più o meno burocratiche e formalizzate a seconda delle esigenze delle partecipanti.

“Per reti d’imprese si intende un insieme di aziende giuridicamente autonome, i cui rapporti si basano su relazioni fiduciarie e in qualche caso su contratti, che si impegnano a realizzare congiuntamente la produzione e a condividere investimenti in ricerca e svi-luppo, formazione e marketing.” 36

Le reti si possono classificare in base ai meccanismi di coordinamento dalle stesse adottati, distinguendole in reti proprietarie, reti burocratiche o reti sociali.

Le reti sociali sono caratterizzate da meccanismi di coordinamento informali e svilup-pano relazioni basate sulla fiducia e sul rispetto di valori culturali condivisi. E’ il caso di reti interpersonali nelle quali relazioni stabili e durature creano solide alleanze tra im-prese minori. Anche i distretti sono un esempio di rete sociale nata dall’esigenza di rela-zionare imprese ubicate in una data area locale. Col passare del tempo però anche in quest'ultimo caso sono sfumati i confini territoriali nel quale il distretto era circoscritto, coinvolgendo imprese ubicate in diverse aree territoriali. Da qui l’esigenza di adottare meccanismi di coordinamento sempre più formali, in grado di dare maggior certezze ai meccanismi di governance di tali organizzazioni sempre più complesse.

Si formano così le reti burocratiche dotate di norme interne ben definite e condivise e di meccanismi regolazione basati sui prezzi del mercato. I consorzi sono un esempio di reti burocratiche.

M. S. Fiorelli, Dinamiche organizzative nei network dell'eccellenza tra tradizione e innovazione: L'e

36

(37)

“Le reti burocratiche fondano il loro coordinamento su contratti di associazione o di scambio che, oltre agli obblighi economici, definiscono anche le modalità di decisione e di controllo.” (Ricciardi). 37

Le reti proprietarie invece riguardano organizzazioni di imprese legate tra loro da rapporti di compartecipazione proprietaria come le joint-venture.

In definitiva, la flessibilità della rete consente di assumere forme di coordinamento che meglio rispondono alle esigenze dettate dalle condizioni ambientali e dai singoli partecipanti, configurandosi così come sovrastruttura interaziendale altamente flessibile.

2.3 Reti di imprese e Distretti

La Legge n. 317 del 5 ottobre 1991 (Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle pic-cole imprese), all’art. 36, comma 1, definisce i distretti industriali come “aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese, con particolare rife-rimento al rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione residente nonché alla specializzazione produttiva dell’insieme delle imprese”. 38

Becattini (1989, p. 112) descrive il distretto industriale come “un'entità socio-territo-riale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un'area territosocio-territo-riale circoscritta, naturali-sticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione

A. Ricciardi, Le reti di imprese. Viaggi competitivi e pianificazione strategica, FrancoAngeli, Milano,

37

2004.

http://www.sinab.it/sites/default/files/share/DISTRETTI_BIOLOGICI_E_SVILUPPO_LOCALE.pdf

38

(38)

di imprese industriali”. Diversamente dalla tipica concezione dei distretti, il modello 39

reticolare supera i confini territoriali e grazie anche allo sviluppo di tecnologie informa-tiche consente lo scambio continuo di risorse, competenze e informazioni tra imprese variamente dislocate. 40

“L'autocontenimento e la progressività del processo di divisione del lavoro, insieme 41

alla specializzazione produttiva che vi si realizzano, producono un crescente surplus di prodotti che non possono essere venduti nel distretto. Da ciò un problema di dimensione inarrestabilmente crescente di collocazione di tale surplus sul mercato esterno, sostan-zialmente mondiale. Questa condizione di sopravvivenza del distretto (la presenza di un problema di sbocchi sempre più grande) impone la nascita di una rete stabile di colle-gamenti del distretto coi suoi fornitori e coi suoi clienti.

G. Antonelli, Sistemi produttivi locali e cluster di imprese. Distretti industriali, tecnologici e proto-di

39

-stretti, FrancoAngeli, Milano, 2012.

https://www.impresaprogetto.it/sites/impresaprogetto.it/files/articles/ipejm_1-2013_vernizzi_martini.p

40

-df Pag. 2

Con il termine autocontenimento si intende un territorio dove si concentrano attività produttive e di

41

servizi in quantità tali da offrire opportunità di lavoro e residenziali alla maggior parte della popolazione che vi è insediata; capacità di un territorio di comprendere al proprio interno la maggior parte delle re-lazioni umane che intervengono fra le sedi di attività di produzione (località di lavoro) e attività legate alla riproduzione sociale (località di residenza). Un territorio dotato di questa caratteristica si configura come un sistema locale, cioè come una entità socio-economica che compendia occupazione, acquisti, relazioni e opportunità sociali; attività, comunque, limitate nel tempo e nello spazio, accessibili sotto il vincolo della loro localizzazione e del la loro durata, oltreché delle tecnologie di trasporto disponibili, data una base residenziale individuale e la necessità di farvi ritorno alla fine della giornata (relazione spazio - tempo). http://www.unioncamere.gov.it/Atlante/info/sll.htm

(39)

Una definizione economica adeguatamente comprensiva del distretto industriale, quindi, deve aggiungere alle caratteristiche «locali» sopra specificate (territorio, comu-nità, imprese), tale rete stabile, nonché le interazioni di essa con gli altri elementi.” 42

In Italia i distretti per anni hanno rappresentato un modello economico vincente, in grado di risollevare le economie locali depresse da fenomeni di crisi, facendo leva sul-l’efficienza della coordinazione e collaborazione tra imprese altamente specializzate e collocate nello stesso territorio. Ad oggi emerge tuttavia il bisogno di adottare una logi-ca “transterritoriale” e “multisettoriale” che spinga le imprese ad operare e competere in modo efficiente in un contesto globale, pur mantenendo un certo grado di

“attacca-mento territoriale”, nella convinzione che il territorio rimane sempre un serbatoio di

conoscenze e competenze radicate su cui le imprese locali possono contare. Il modello organizzativo reticolare può essere allora visto come un rinnovato concetto di distretto, integrato nelle sue debolezze con nuovi elementi. 43

I due modelli, di rete e di distretto, presentano dunque elementi in comune, ma anche elementi di differenziazione così riassumibili.

http://concorsoeconomia.it/wp-content/uploads/2015/11/Il-distretto-industriale-marshalliano-come-42

concetto-socio-economico.pdf

G. Becattini, Il distretto industriale marshalliano come concetto socio-economico, in Distretti industriali

e cooperazione fra imprese in Italia, Supplemento a Studi e Informazioni, Banca Toscana, Firenze;

Bru-sco, 1991, Pag. 53.

E. Rullani, “Osservatorio sui distretti industriali e i sistemi produttivi locali”, Economia e politica in

43

-dustriale, vol. 37, n. 4, pp. 141-165.

“le reti infatti, trans-territoriali e trans-settoriali, consentono di aprire il distretto al sapere e alle capaci-tà presenti in altri luoghi e in altri settori creando nuovi circuiti di scambio della conoscenza” (Rullani,

(40)

Legenda: * Poco estese dato il ristretto numero dei contraenti, ** Molto estese data la numerosità delle imprese distrettuali.

Tabella 2.2 Differenze tra il modello a rete e il modello distrettuale. 44

Se ne deduce che distretti e reti non sono forme organizzative così diverse tra loro, infatti hanno molte caratteristiche in comune.

In particolare la rete è una forma organizzativa molto simile ai distretti ma integrata da elementi che la rendono altamente flessibile e plasmabile, senza vincoli (territoriali e settoriali).

2.4 Organizzazione a rete e consorzio

Il modello organizzativo reticolare si sta affermando anche in agricoltura accanto agli strumenti tradizionali di associazione delle imprese, come i consorzi, le cooperative, le organizzazioni di produttori.

VARIABILE CONTRATTI DI RETE DISTRETTI

Prossimità territoriale Non sempre Si

Specializzazione produttiva Non sempre Si

Relazioniinterpersonali Si* Si**

Condivisione di attività Si Formalizzata in un contratto Si Generalmente informale

Fonte: Martiniello L. e Tiscini R., Contratti di rete e distretti: relazioni sotto i profili organizzativo,

44

(41)

“A differenza del consorzio, dove lo scopo della partecipazione è mutualistico, e della società lucrativa, nella quale lo scopo, almeno lo scopo-fine, è la divisione degli utili, nelle reti lo scopo è l’aumento dell’innovazione e della competitività dei partecipanti, mentre nulla è detto circa la divisione degli utili o la natura mutualistica dell’aggrega-zione” ed è quindi demandato all'interprete ricorrere opportunamente alle norme sulle società di persone e capitali, se lo scopo è più lucrativo, o alle norme sui consorzi e a quelle sulle cooperative, se lo scopo è più mutualistico” (Nitti 2015). 45

Il consorzio rappresenta una particolare aggregazione aziendale all’interno della quale diverse imprese, giuridicamente ed economicamente autonome, si associano per regola-re determinate attività comuni d’impregola-resa; si raggiunge, così, un’organizzazione comune, che coordina e indirizza l’attività dei singoli aderenti. 46

Si tratta per esempio di svolgere in modo condiviso attività di ricerca, attività di pro-duzione e commercializzazione del prodotto attraverso un marchio comune (doc, dop, ecc.), per potenziare il proprio potere contrattuale nei confronti degli interlocutori. A lungo andare, però, gli obiettivi del consorzio, riconosciuto come soggetto autonomo (e anche come proprietario del marchio, come spesso accade), rischiano di divergere da quelli dei singoli associati, penalizzando così la singola impresa. Il rischio è dunque quello di creare una struttura che mette nell’ombra le imprese aderenti.

D. Nitti, Il contratto di rete, Rivista per la consulenza in agricoltura, Euroconference, 2015.

45

Nello specifico, si distinguono: i consorzi con sola attività interna, quando operano esclusivamente per 46

regolare i rapporti tra le imprese associate; i consorzi con attività esterna, nel caso in cui, oltre a regola-re i rapporti interni, si erogano servizi alle impregola-rese aderegola-renti e svolgono in comune tutta una serie di atti-vità di produzione e/o commercializzazione di prodotti/servizi

(42)

Il contratto di rete, rispetto al consorzio, non presentando prescrizioni sulla natura mu-tualistica o lucrativa, appare uno strumento meglio adattabile alle esigenze delle impre-se che insieme vogliono raggiungere un risultato condiviso.

“A differenza del consorzio, dove vengono messe in comune alcune attività del pro-cesso produttivo, unendo una fase dell’attività tra i consorziati, nella rete le imprese svolgeranno attività in comune al fine di migliorare la competitività, ma non è richiesta l’unificazione - e di conseguenza la rinuncia al presidio - di una parte della propria atti-vità commerciale/produttiva, da parte della singola impresa. Entrambi sono pensati per una cooperazione tra imprese, tuttavia soltanto con il Contratto di rete è possibile perse-guire anche scopi lucrativi e non soltanto consortili come avviene per i consorzi”. 47

Lo scopo delle reti, perseguibile attraverso lo sviluppo di un programma comune, è quello di conseguire obiettivi strategici condivisi che permettono, sia all'insieme dei partecipanti alla rete, che alla singola impresa:

1) La crescita della capacità innovativa: in termini generali, viene intesa come la possi-bilità che l'impresa possa accedere, grazie al fatto di appartenere ad una rete, allo svi-luppo delle proprie o nuove opportunità tecnologiche.

2) L’accrescimento della competitività: è intesa come volta ad aumentare la capacità concorrenziale dei membri della rete o della rete stessa, sia nel mercato nazionale che in quello internazionale.

Anche il consorzio, come la rete, viene creato per realizzare obiettivi che nessuna im-presa consorziata sarebbe in grado di realizzare da sola; tuttavia il suo scopo non è volto

L. Antonello, M. Ferraro, G. Martinelli, L. Mason, F. Muraro, R. Ranalli, E. Sestini, D. Toson, Reti di 47

Imprese in Le reti di imprese, Commissione di Studio Societario dell'Ordine dei Dottori Commercialisti e

degli Esperti Contabili di Padova, Gruppo di lavoro Reti di imprese. Cortellazzo & Soatto (2011), pag. 17.

(43)

alla realizzazione di un profitto, ma alla realizzazione di vantaggi per i consorziati (sco-po mutualistico).

Di seguito viene riportata una tabella contenente i tratti essenziali di alcune delle prin-cipali forme organizzative interaziendali, confrontati con quelli tipici di una rete di im-prese.

(44)

Tabella 2.3 Forme organizzative per il networking vs il contratto di rete. 48 Connotati della forma

organizzativa Differenze rispetto al contratto di rete A.T.I. • Forma occasionale e temporanea di associa-zione. • Raggiungimento dei requisiti minimi e ne-cessari per partecipare

alle gare d’appalto.

• Accordo stabile di lungo pe-riodo.

• Favorisce la collaborazione tra PMI allo scopo di elevar-ne individualmente e colletti-vamente la competitività sul mercato e le capacità di in-novazione, ricerca e

svilup-po.

Distretto

• Le sedi delle imprese sono concentrate nella medesima area

geogra-fica.

• Le PMI lavorano ad una o più fasi della

produ-zione.

• Le imprese possono essere localizzate in aree differenti. • Le PMI possono operare in

settori differenti. • E’ un contratto

espressamen-te disciplinato dal legislatore.

Consorzio

• Fusione di una fase specifica della produ-zione o della

commer-cializzazione. • Le PMI rinunciano alla

loro autonomia impren-ditoriale. • Organizzazione

comu-ne in vista dello scopo mutualistico.

• Le PMI non fondono le fasi della produzione. • Le PMI conservano la loro

autonomia imprenditoriale. • Valorizzazione dell’attività svolta dalle imprese indivi-dualmente e colletivamente.

Franchising • Posizione forte del fran-chiser sul franchisee.

• Rapporto equilibrato tra i partner della rete.

G.E.I.E.

• Identità giuridica auto-noma.

• I partner rinunciano alla loro autonomia

giuridi-ca.

• Le PMI possono scegliere tra 3 tipologie di rete. La rete debole e quella pesante con-sentono ai partner di conser-vare la propria autonomia

giuridica. Vi è poi la rete-soggetto che è dotata di

au-tonomia giuridica.

L. Compagnucci, A. Cavicchi & F. Spigarelli, L’efficacia del contratto di rete nel settore agroalimetare

48

(45)

CAPITOLO 3 IL CONTRATTO DI RETE

NELL’ORDINA-MENTO GIURIDICO

3.1 La rete e il contratto di rete 49

La prima nozione giuridica di rete è stata introdotta nel nostro ordinamento con il D.L. 112/2008, all’art. 6-bis, comma 1 e 2 , che definisce le reti come “libere aggregazioni 50

di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali, anche al fine di migliorare la presenza nei mercati internazionali (….) attraverso azioni di rete che ne rafforzino le misure organizzative, l'integrazione per filiera, lo scambio e la dif-fusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno”.

Nel 2009 il legislatore ha dunque provveduto a definire lo strumento organizzativo

contratto di rete, quale strumento giuridico di raccordo tra imprese organizzate per lo

svolgimento di programmi comuni. Esso non dà origine ad un ulteriore e diverso sog-getto rispetto alle imprese partecipanti, salvo la possibilità di acquisire la personalità giuridica a determinate condizioni.

Dopo varie modifiche e integrazioni , oggi il contratto di legge è regolato in Italia dal 51

D.L. n. 5 del 10 febbraio 2009 e s.m.i. .

L. Antonello, M. Ferraro, G. Martinelli, L. Mason, F. Muraro, R. Ranalli, E. Sestini, D. Toson, Le reti di 49

imprese. Commissione di Studio Societario dell'Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti

Conta-bili di Padova – Gruppo di lavoro Reti di imprese. Cortellazzo & Soatto Il Decreto fu convertito con Legge n. 133/2008.

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La disciplina, oggi vigente, è il risultato della seguente evoluzione legislativa: la norma è stata intro

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-dotta con l’art. 3 commi 4 ter e ss. del D.L.10 febbraio 2009, n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n.33, modificata ed integrata con la L. 23 luglio 2009 n.99 e con L. 30 luglio 2010 n.122, che ha convertito il D.L.n.78/2010, nonché modificata in forza di L. n. 134/2012 (che ha convertito con modifiche il D.L.n. 83/2012) e di D.L.n.179/2012, convertito con modifiche dalla Legge 17 dicembre 2012 n.221, in vigore dal 19 dicembre 2012.

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In particolare il quadro normativo utile alla comprensione dello strumento “Contratto di rete” è contenuto nell’art. 3, dedicato ai “Distretti produttivi e Reti di imprese”, il quale descrive in modo esaustivo i principali aspetti di questa nuova fattispecie contrat-tuale.

Art. 3, comma 4-ter. “Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di

accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la pro-pria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma co-mune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio del-le proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriadel-le, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa.

Il contratto può anche prevedere l'istituzione di un fondo patrimoniale comune e la no-mina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso.

Il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, salvo la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-qua-ter ultima parte . Se il contratto prevede l'istituzione di un fondo patrimoniale comune 52

e di un organo comune destinato a svolgere un'attività, anche commerciale, con i terzi : 53

2) al fondo patrimoniale comune si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615, secondo comma, del codice civile; in ogni caso, per le

La frase è stata inserita in forza dell’art. 36 comma 4 D.L. n.179/2012 (Sviluppo bis) convertito con 52

Legge n. 221/2012.

Punto 1): numero soppresso in forza dell’art. 36 comma 4 D.L. n. 179/2012 (Sviluppo bis), convertito 53

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bligazioni contratte dall'organo comune in relazione al programma di rete, i terzi posso-no far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune;

3) qualora la rete di imprese abbia acquisito la soggettività giuridica ai sensi del comma 4-quater , entro due mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale l'organo comune redige 54

una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio della società per azioni, e la deposita presso l'ufficio del registro delle imprese del luogo ove ha sede; si applica, in quanto compatibile, l'articolo 2615-bis, terzo comma, del codice civile. Ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma degli articoli 24 o 25 del codi-ce di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e succodi-cessive modificazioni, da cia-scun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti, trasmesso ai compe-tenti uffici del registro delle imprese attraverso il modello standard tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, e deve indicare : 55

a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante per origi-naria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva, nonché la denominazione e la sede della rete, qualora sia prevista l'istituzione di un fondo patrimoniale comune ai sensi della lettera c);

Il periodo da “qualora” a “4-quater” è stato inserito dall'art. 17 della Legge n.154 del 28 luglio 2016.

54

Si vedano il Decreto del Ministero della Giustizia del 10 aprile 2014, n. 122, recante la tipizzazione del 55

modello standard per la trasmissione del contratto di rete e il Decreto direttoriale del Ministero dello Svi-luppo Economico (MiSE), 7 gennaio 2015.

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b) l'indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate con gli stessi per misurare l'ava-nzamento verso tali obiettivi;

c) la definizione di un programma di rete, che contenga l'enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante; le modalità di realizzazione dello scopo comu-ne e, qualora sia prevista l'istituziocomu-ne di un fondo patrimoniale comucomu-ne, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo, nonché le regole di gestione del fon-do medesimo; se consentito dal programma, l'esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato, costituito ai sensi dell'articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile;

d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l'esercizio del relativo diritto, ferma restando in ogni caso l'applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo;

e) se il contratto ne prevede l'istituzione, il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l'ufficio di organo comune per l'esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto . L'organo comune agisce in rappresentanza della rete, quando 56

essa acquista soggettività giuridica e, in assenza della soggettività, degli imprenditori,

Tutto l’articolato dalle parole “Se il contratto prevede l’istituzione del fondo...” è stato inserito con 56

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