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Aziende famigliari e corporate governance: l'importanza di un governo consapevole.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO

DI LAUREA

MAGISTRALE IN STRATEGIA

MANAGEMENT E CONTROLLO

TESI DI LAUREA

Aziende famigliari e corporate governance:

l’importanza di un governo consapevole

.

RELATORE:

CANDIDATA:

Chiar.mo Prof. Nicola Lattanzi

Arianna Fattinnanzi

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INDICE

Introduzione ... 4

CAPITOLO 1 - Le PMI a conduzioni familiare nel più ampio quadro economico ... 8

1.1 Scenario competitivo in Italia e all’estero. ... 8

1.2 Modello capitalistico italiano ... 12

1.3 Ruolo delle imprese familiari in Italia e nel mondo ... 16

1.4 Quando locale diventa glocale: distretti industriali e PMI. ... 19

CAPITOLO 2 - LE IMPRESE FAMILIARI ... 25

2.1 Perché studiare le imprese familiari. ... 25

2.2 Le imprese familiari: possibili definizioni. ... 26

2.3 Classificazioni e percorsi evolutivi nelle aziende familiari. ... 30

2.4 Possibili rischi e conflitti di interesse nelle aziende famigliari. ... 37

CAPITOLO 3 - LA CORPORATE GOVERNANCE ... 49

3.1 Corporate governance: di cosa si tratta. ... 49

3.2 Caratteristiche della corporate governance in Italia: confronto fra PMI e grandi imprese. ... 52

3.3 La corporate governance nelle aziende familiari. ... 57

3.3.1 Rapporto fra l’assemblea dei soci e il Consiglio di Amministrazione ... 64

3.3.2 L’Amministratore Indipendente ... 69

3.3.3 Il manager esterno: perché professionalizzare. ... 77

3.3.4 Il Consiglio di Famiglia e i patti di famiglia.... 81

3.3.5 Le strutture piramidali e il loro ruolo nelle aziende familiari ... 85

3.3.6 Proposta per un codice di autodisciplina per le società non quotate a controllo familiare ... 91

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CAPITOLO 4 ... 94

4.1 La Toscana come competenza distintiva delle PMI a conduzione familiare ... 94

4.2 Perché ha senso adottare in modo consapevole una buona corporate governance ... 98

Conclusioni... 111

Bibliografia ... 118

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Introduzione

Il tema della aziende famigliari ha iniziato ad affascinarmi non appena ho iniziato a frequentare i corsi del Dipartimento di Economia & Management di Pisa e sono stata ben contenta di seguire il corso di Strategia e governo dell’azienda familiare tenuto dal Professore, nonché mio Relatore, Nicola Lattanzi.

Da quel momento ho iniziato a guardare con luce diversa i business familiari dei cugini di mio padre (seconda generazione) e negli ultimi anni ho assistito passivamente a delle vere e proprie riunioni informali che si tenevano a tavola fra il mio ragazzo e suo padre, titolare di un’impresa individuale da circa venti anni, e che due anni fa hanno perfezionato il passaggio generazionale della ditta.

Poi ci sono state le mie due prime esperienze formative: un tirocinio curriculare presso una micro impresa di Livorno e poi uno stage nel controlling team presso Costa Crociere S.p.A. – entrambe sono non family business -.

Vedere un’azienda dall’interno e non solo più attraverso i libri o di riflesso, tramite esperienze altrui, mi ha portato ad avere sempre un maggior interesse verso la corporate governance. Questo perché se da una parte l’essere umano è fisiologicamente un essere fallibile e l’impresa, essendo un’attività economica governata e gestita dall’uomo, può essere espressione di tale fallimento, ci sono comunque degli strumenti che possono aiutare l’imprenditore nel perseguire un determinato equilibrio economico a valere nel tempo.1

Tenendo conto di questi due interessi è stato elaborato il presente lavoro.

Da almeno vent’anni il tema della corporate governance è oggetto di dibattito da parte dell’ampio pubblico che partecipa con vari ruoli alla vita dell’azienda. In particolare le questioni che sono oggetto di discussione riguardano chi debba

governare le imprese e con quali modalità e come si debbano ripartire i risultati dell’attività di impresa.

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Attorno al 1985 l’espressione corporate governance era usata quasi esclusivamente nel mondo anglosassone e richiamava una problematica piuttosto circoscritta, ossia la configurazione e il funzionamento dei Consigli di Amministrazione (Board of

Directors) delle grandi imprese quotate in borsa e, in particolare, delle imprese nelle

quali si era in larga misura o totalmente affermata la cosiddetta “separazione tra proprietà e management”.2 L’archetipo di impresa in questione è la public company.

Da tale separazione nasce la teoria dell’agenzia uno dei principali filoni della letteratura che guarda le aziende in una prospettiva contrattuale. Tale teoria si focalizza sulla struttura proprietaria, con particolare riferimento ai due principali soggetti dell’impresa: gli azionisti e i manager. Il rapporto fra le due parti è stato assimilato a quello intercorrente tra principale e agente sulla base di un contratto di agenzia.

Una delle questioni più spinose derivanti dalla separazione fra proprietà e controllo è che si crei un disallineamento fra gli interessi dei proprietari e dei manager. Questi ultimi potrebbero non solo non perseguire gli interessi dell’impresa, ma anche danneggiarla se questo significasse massimizzare gli interessi personali.

Tutto ciò implica l’insorgenza dei cosiddetti “costi di agenzia” che altro non sono che una serie di strumenti di sorveglianza (monitoring) e sistemi di incentivazione volti a limitare il comportamento opportunistico dell’agente.3

Solo negli ultimi anni, l’espressione corporate governance è andata a coprire una problematica molto più ampia includendo anche i temi degli assetti proprietari ed estendendosi a tutti i tipi di imprese quotate o meno, con o senza azionisti di controllo, grandi o piccole andando quindi a includere anche le imprese familiari di qualsivoglia dimensione.

Se da una parte è vero che nelle piccole e medie imprese a conduzione familiare i costi di agenzia sono ridotti al minimo, dal momento che i ruoli di proprietario e gestore spesso si sovrappongo, è anche vero che con la crescita dimensionale dell’impresa e con il passaggio generazionale tali costi tendono a presentarsi. Di

2 A. ZATTONI, Assetti proprietari e corporate governance, Egea, Milano 2007, p. VII 3 F. DI DONATO, Gli amministratori indipendenti. Corporate governance, earnings

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solito con l’aumentare della dimensione vengono assunti manager esterni e con l’aumentare dei passaggi generazionali solo qualche membro della famiglia ricoprirà anche funzioni manageriali. Allo stesso tempo nelle imprese familiari di piccole dimensioni la corporate governance esiste da sempre seppur in veste informale, basti pensare ai Consigli di Famiglia dove spesso ha luogo la pianificazione del passaggio generazionale che è indispensabile per garantire la sopravvivenza dell’impresa.

Un aspetto che hanno in comune tutte le imprese familiari che siano PMI o di grande dimensione è la gestione del rapporto fra famiglia e impresa con tutto ciò che ne consegue.

Dalla necessità di far collimare questi due aspetti così diversi è evidente che l’azienda familiare necessita di un sistema di regole e procedure atte a garantirne il buon funzionamento e soprattutto la sopravvivenza ai ricambi generazionali. Il contenuto di tale lavoro verrà introdotto da una prima parte descrittiva sulla situazione macroeconomica caratterizzante lo scenario internazionale e il nostro Paese, con un focus sul ruolo rivestito dalle imprese familiari. Per poi mettere alla luce il modello capitalistico in Italia e in particolare le PMI e i distretti industriali. E’ importante sottolineare fin da ora come la presenza dei distretti industriali nel nostro paese rendano meno pesante l’impatto che le limitate dimensioni delle imprese possono avere sulla competitività del nostro paese.4

Il secondo capitolo tratterà le varie definizioni di impresa familiare e i contributi dei principali autori in materia, con un excursus sulle varie peculiarità – punti di forza e debolezza, percorsi evolutivi - e sui potenziali conflitti/rischi che la caratterizzano.

Il terzo capitolo verterà sulla corporate governance iniziando con le definizioni che sono state date in dottrina, per poi soffermarsi sulle diverse configurazioni che essa assume a seconda che si tratti di una grande impresa o di una PMI.

Soprattutto si metterà a fuoco il ruolo giocato dalla corporate governance per gestire un family business: il rapporto fra l’assemblea dei soci e il CdA, il consiglio e i patti di famiglia, il manager esterno e l’Amministratore Indipendente e il ricorso

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alla struttura piramidale – e in particolare alla leva azionaria – per garantire alla famiglia le risorse finanziarie necessarie per gestire il proprio business.

Obiettivo di tale lavoro è dimostrare che la corporate governance svolge un ruolo chiave in qualsiasi azienda familiare, alla luce del fatto che ogni impresa familiare presenta proprie specificità che originano distinti fabbisogni di goverance.5

Il quarto capitolo si soffermerà sulle peculiarità della Regione Toscana e su come queste influenzino le PMI localizzate in tale Regione.

Il quarto capitolo inoltre è frutto di nostre personali considerazioni su quelle che dovrebbero essere le prerogative di una corporate governance implementata in modo consapevole da una PMI a conduzione familiare.

5 L. DEL BENE, G. LIBERATORE, N. LATTANZI, Aziende famigliari e longevità economica.

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CAPITOLO 1

Le PMI a conduzioni familiare nel più ampio quadro

economico.

1.1 Scenario competitivo in Italia e all’estero.

L’azienda è divenuta fattore portante dell’economia e ad essa compete il ruolo e la funzione di creare ricchezza e benessere sociale.6

Essa è un fenomeno all’interno del quale l’attività economica si svolge e si rinnova quotidianamente mediante le assunzioni da parte del soggetto economico o del management ad esso preposto.7

Ad oggi l’azienda – quanto meno nella parte più evoluta del mondo – quando assume delle decisioni prettamente economiche deve tenere conto degli aspetti etici delle stesse, ciò significa che scelte etiche ed economiche vanno di pari passo. Questo perché negli ultimi decenni la collettività in genere è diventata più consapevole e comportamenti che una volta venivano tollerati adesso non lo sono più.

Il consumatore, semplicemente, si è reso conto di avere nelle sue mani un potere di notevole importanza: la scelta fra più produttori.

Con la creazione dell’Unione Europea, sono state “cancellate” tutte quelle barriere che impedivano il libero scambio di merci di produttori europei. Un prodotto made

in European Union può essere tranquillamente venduto in un altro Stato dell’UE

senza incorrere in dazi e quote all’ingresso.

6 R. FERRARIS FRANCESCHI, Etica ed economicità, in << Rivista italiana di ragioneria e di

economia aziendale>>, RIPEA, Roma, n. 5/6, 2002

7 N. LATTANZI, L. DAL MASO, A. MORELLI, Azienda Familiare e Scenari Competitivi.

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Alla luce di tale scenario competitivo – e non ho accennato alla concorrenza dei paesi USA e BRIC – si capisce bene come il consumatore ormai la faccia da padrone.

Il consumatore più attento guarderà al di là del prezzo più basso, vorrà anche quello, ma allo stesso tempo desidera un buon rapporto qualità/prezzo, longevità del prodotto, ma soprattutto vorrà un prodotto che sia anche più responsabile.

Un prodotto più responsabile significa molte cose. Risiede proprio qui la nuova sfida per le aziende più lungimiranti che vedono al di là del profitto e dei dividendi nel breve termine: intercettare e capire i bisogni di più stakeholder.

Le aziende gestiscono le loro responsabilità e i loro rapporti con gli stakeholder in modo differente a seconda della specificità settoriale e culturali. In genere si possono individuare una dimensione interna ed una esterna della responsabilità sociale.

Nella prima prospettiva ci riferiamo a come l’azienda gestisce il rapporto con le risorse umane, la sicurezza sul lavoro, la capacità dell’azienda di adattarsi alle trasformazioni sociali e la gestione degli effetti scaturenti dall’attività produttiva sull’ambiente nonché sull’impiego delle risorse naturali.

Nella seconda prospettiva gli effetti delle scelte aziendali riguardano le comunità locali, le partnership commerciali, i rapporti coni fornitori e consumatori, il rispetto dei diritti dell’uomo e le preoccupazioni sulla tutela dell’ambiente - lasciando alle prossime generazioni un mondo dove sia ancora possibile vivere.

Spesso l’azienda – nell’ottica di gestire i rapporti con tutti gli stakeholder – adotta una dichiarazione di principi o un codice etico che manifesti i valori fondamentali della stessa.8

8 N. LATTANZI, L. DAL MASO, A. MORELLI, Azienda Familiare e Scenari Competitivi.

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Fra i tanti brand made in Italy con una forte vocazione alla responsabilità sociale si annoverano Tod’s S.p.A. e la Brunello Cucinelli S.p.A.

La famosa casa produttrice delle Hogan ha deciso di investire molto nel capitale umano dell’impresa. Infatti l’azienda considera prioritarie l’attenzione verso il benessere dei propri dipendenti e la necessità di instaurare e mantenere con questi rapporti di fiducia e rispetto reciproco. La Tod’s ha avviato ormai da tempo iniziative che mirano a migliorare la qualità della vita dei dipendenti sia in azienda, sia nel proprio ambito familiare.

Accanto a servizi aziendali come la palestra, la scuola materna per i figli dei dipendenti (le cui spese, in entrambi i casi, sono interamente a carico del Gruppo), la mensa, l’auditorium, la mediateca/biblioteca, per rispondere alle necessità primarie dell’intero nucleo familiare, è stato avviato il progetto Welfare, che, anche nel 2015, si è concretizzato in una serie di iniziative di sostegno economico rivolte a favore delle famiglie dei dipendenti italiani del Gruppo. Per il dipendente è prevista anche la formazione continua perché senza di essa sarebbe impossibile raggiungere gli elevati livelli di qualità del prodotto che sono richiesti dalla clientela di Tod’s.

Non solo, ma fra le varie iniziative di Tod’s si conta anche l’impegno a sostenere il Paese: l’Assemblea dei Soci, chiamata a deliberare sulla destinazione degli utili dell’esercizio 2014, in continuità con quanto già fatto in precedenza, ha infatti destinato una parte dei profitti realizzati dal Gruppo, pari all'1% dell'utile netto, al sostegno di iniziative a favore delle fasce più deboli della popolazione residente nelle aree in cui opera, come volontariato agli anziani e il sostegno economico a quelle fasce della popolazione che versano in uno stato di disagio.

Non poteva mancare un’attenzione particolare all’ambiente infatti – nonostante l’impatto ambientale sia già stato contenuto in passato - il 2015 è stato caratterizzato dalla ideazione e implementazione di progetti volti alla riduzione del consumo energetico, mediante l’impiego di nuove risorse per la “compressione” degli impatti ambientali.9

9 Fonte: www.todsgroup.com

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Brunello Cucinelli ama descrivere i suoi dipendenti come anime pensanti: rivelando in due sole parole quei valori che caratterizzano la storia dell'impresa e rafforzano, passo dopo passo, l'identità del marchio: l'approccio umanistico allo sviluppo, in cui l’idea di lavoro è espressione dell’uomo nella sua interezza, ricerca filosofica e attenzione alle maestranze

Egli si prefigge come obiettivo il capitalismo dal volto umano, pagando i suoi dipendenti il 30% di più della media del settore e con i quali ha scelto di dividere 5 milioni di utili derivati dalla quotazione in Borsa dell’azienda.

Anche per Cucinelli la formazione dei suoi dipendenti è molto importante, per questo ha fondato la Scuola di Arti e Mestieri di Solomeo dove l’obiettivo principale è quello di formare esseri umani ridando dignità e nobiltà al lavoro e parlando all'allievo nella sua interezza.10

Un argomento che, ad oggi è tenuto in grande considerazione dalla collettività, è la tutela dell’ambiente: perché se da una parte fare business – con tutto quello che ne comporta – è un diritto ineluttabile, lasciare alle future generazioni un mondo

“vivibile” deve essere un dovere e un obbligo morale. E se si parla di rispetto

dell’ambiente, non si può fare a meno di pensare all’azienda Sofidel S.p.A. Fra le varie iniziative intraprese dall’azienda, fra cui incontrare i bisogni del cliente e motivare il personale garantendogli di lavorare in un posto stimolante e attento alle sue esigenze e diritti, risalta la dedita attenzione all’ambiente.

Infatti l’azienda è stato il primo climate savers membro italiano. Ciò significa che Sofidel collabora con il WWF dal 2008 sia a livello italiano, sia a livello internazionale, come membro attivo del programma WWF Climate Savers, che riunisce le aziende impegnate volontariamente nella riduzione dell’emissione nell’atmosfera di gas in grado di alterare il clima.

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Infatti Sofidel ricorre all’utilizzo di fonti rinnovabili, garantisce l’incremento dell’efficienza degli impianti e la riduzione dei consumi di risorse energetiche e ambientali.11

Inoltre il Gruppo Sofidel è attento al tema della gestione delle foreste e dell’approvvigionamento responsabile. Il Gruppo condanna le pratiche di taglio illegale, la conversione di foreste naturali in piantagioni e si adopera affinché i propri fornitori siano in grado di mostrare la provenienza del legname utilizzato per la produzione della cellulosa. Sofidel si impegna a verificare, per quanto possibile, l’esistenza di conflitti sociali nei luoghi di origine del legname, evitando l’acquisto da tali aree. Sofidel crede nei sistemi di gestione sostenibile delle foreste, certificati secondo schemi riconosciuti, credibili e basati sulla verifica di enti terzi indipendenti. Sofidel incoraggia i propri fornitori a certificare la fonte delle proprie risorse forestali e privilegia i fornitori in grado di esibire certificati di buona gestione forestale. Le attività di valutazione e selezione delle forniture di cellulosa, da tempo implementate dal Gruppo Sofidel allo scopo di ridurre il rischio di approvvigionamento da fonti illegali o controverse, si è dimostrato uno strumento utile ed efficace per indirizzare i produttori di cellulosa ad adottare misure di gestione sostenibile delle loro risorse forestali. Nell’ambito della propria politica di sostenibilità ambientale il tema dell’approvvigionamento responsabile delle materie prime di origine forestale è uno dei più rilevanti per il Gruppo Sofidel. 12

1.2 Modello capitalistico italiano

I modelli di governance sono strettamente legati ai modelli di capitalismo. Gli elementi considerati per classificare i sistemi capitalistici sono i seguenti:

 la dimensione delle imprese;

 il grado di concentrazione della proprietà;  le relazioni fra le imprese;

 l’ampiezza del mercato finanziario;

11 Fonte: www.sofidel.com

12 M. Rocco, Lo stato delle Foreste, gli impegni richiesti per un pianeta sempre più

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 i sistemi di finanziamento;  il ruolo degli enti pubblici.13

I modelli più diffusi e maggiormente studiati in letteratura sono il modello

anglosassone – market oriented o outsider system – e il modello renano-nipponico

– network oriented o insider system-. A questi modelli si aggiunge il modello italiano che appartiene al cosiddetto sistema latino comprendente Belgio, Spagna, Francia, Portogallo e Grecia.14 Il modello italiano, sebbene presenti delle

somiglianze col modello renano-nipponico è caratterizzato da elementi del tutto peculiari:

 un’ampia presenza di piccole e medie imprese in cui domina un modello di gestione familiare e poche grandi imprese a proprietà concentrata con prevalenza, anche in questo caso, di una gestione e controllo di tipo familiare;  un’elevata presenza di incroci azionari tra le maggiori imprese;

 un mercato finanziario di dimensioni molto ridotte e un sistema di finanziamento orientato principalmente all’autofinanziamento o al ricorso al capitale di debito, ma con assenza di ingerenze nella gestione da parte degli istituti di credito. Quest’ultimo aspetto caratterizza invece il sistema capitalistico tedesco, dove le banche sono finanziatori e, al contempo, soci di numerose imprese: si assiste a una vera e propria commistione fra imprese creditizie ed industriali;

 una forte presenza dello Stato e degli enti locali, proprietari, fino a pochi anni fa, di quote rilevanti delle maggiori imprese nazionali.

L’impresa più rappresentativa del modello capitalistico italiano è la piccola media impresa, caratterizzata da forme societarie semplici e dalla sovrapposizione dell’imprenditore con il conferente del capitale di rischio e con la figura del manager. Tuttavia, le imprese che troviamo nel nostro sistema economico sono le seguenti:

13 F. DI DONATO, Gli amministratori indipendenti. Corporte governance, earnings management,

op. cit., p.22

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a. piccole e medie imprese familiari indipendenti;

b. piccole e medie imprese aggregate in costellazioni e localizzate all’interno di distretti;

c. gruppi piramidali controllati da singole famiglie o da coalizioni di azionisti; d. grandi imprese e grandi gruppi controllati dallo Stato e dagli enti locali; e. cooperative e consorzi;

f. filiali delle multinazionali estere; g. istituti no profit (dagli anni ’90).

a. Piccole e medie imprese familiari indipendenti.

Sono il tipo di impresa più diffusa in Italia. In tale classe riscontriamo le imprese individuali, le società di persone e le società di capitali. Quest’ultime sono per il 90% circa S.r.l. Le caratteristiche – a parte la piccola e media dimensione – sono le seguenti:

 un piccolo team al vertice;  ambiti competitivi ristretti;

 sovrapposizione Famiglia-Impresa, che può essere totale o parziale.

b. Piccole e medie imprese aggregate in costellazioni e localizzate all’interno di distretti

Le aggregazioni di imprese possono essere definite come insiemi di imprese legate

da relazioni di collaborazione. Le più diffuse sono la subfornitura e il distretto:

i. subfornitura: si riferisce a una situazione in cui un’impresa (subfornitore) si impegna a produrre un particolare componente per conto di un’altra impresa (committente).

Questo rapporto non va confuso con la mera fornitura di merci, in quanto questo non solo implica uno scambio di beni e di informazioni, ma anche una dipendenza del subfornitore sotto il profilo tecnico e finanziario. Questo fenomeno si sviluppa principalmente nei settori della lavorazione dei metalli, del legno, delle materie plastiche e dell’abbigliamento;

ii. distretti: sono aree geografiche limitate caratterizzate dalla presenza di un numero molto elevato di piccole e medie imprese che operano nella stessa filiera produttiva.

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c. Gruppi piramidali controllati da singole famiglie o da coalizioni di azionisti

In Italia la grande impresa assume spesso la forma di gruppo, cioè un insieme di imprese o società giuridicamente indipendenti, connesse da legami azionari. I gruppi italiani sono caratterizzati da imprese societarie con un elevato numero di livelli: oltre alla holding capogruppo - società in cui avviene la formulazione della strategia dell’intero gruppo – esistono delle subholding che si collocano fra la capogruppo e le società operative – le quali presentano una libertà strategica limitata da vincoli e direttive imposte dalla capogruppo.

La struttura piramidale consente all’azionista di controllo della capogruppo di controllare ingenti investimenti con una modesta quota di capitale.

d. Grandi imprese e grandi gruppi controllati dallo Stato e dagli enti locali

In Italia, l’intervento statale non si è esaurito nel dopoguerra ma è continuato attivamente fino al 1992.

Prima del 1992 lo Stato Italiano svolgeva l’attività produttiva attraverso la figura di enti pubblici economici, vale a dire enti – di diritto pubblico – dotati di personalità giuridica ed operanti secondo le norme del diritto privato.

Nel 1992 una Legge ha trasformato i principali enti pubblici economici (IRI, ENI, INA e ENEL) in società per azioni.

Nello stesso anno sono state poste le basi per un processo di privatizzazione e nel ’93 è divenuto operativo.

Ad oggi, le grandi imprese e gruppi controllati dallo Stato e dagli enti locali rappresentano parti importanti del sistema economico italiano.

e. Cooperative e consorzi

Le cooperative sono imprese in cui importanti stakeholder – come prestatori di lavoro, consumatori, finanziatori o fornitori – possiedono parte del capitale di rischio dell’impresa ed esercitano il diritto di governo economico.

Si caratterizzano per una sovrapposizione fra socio e stakeholder, limite delle quote possedute dal singolo socio, attribuzione di un voto ad ogni socio –

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indipendentemente dall’entità della quota posseduta – e limiti al trasferimento delle quote.

f. Filiali delle multinazionali estere

Sono imprese controllate da società che hanno la loro sede in altri paesi.

Gli obiettivi sono determinati dalla casa madre e il loro grado di autonomia decisionale è basso, tanto che il Consiglio di Amministrazione svolge un ruolo prettamente formale.

g. Istituti no profit

Si tratta di imprese private che sono obbligate a reinvestire il risultato residuale, per garantire il raggiungimento delle finalità sociali. Operano in numerosi settori come l’educazione, la sanità, l’arte e i servizi sociali. Sono molto diffusi negli USA visto che lo Stato è carente nell’erogazione di molti servizi sociali.15

1.3 Ruolo delle imprese familiari in Italia e nel mondo

Le aziende a controllo familiare non sono una rarità e non sono nemmeno in via di estinzione in Europa, anzi. La percentuale, da Paese a Paese, varia dal 30 al 40% circa e anche a livello mondiale il numero è in incremento rispetto al 2005: si è passati dal 15% al 19% nelle imprese del Fortune Global 500. L’aumento di imprese familiari a livello mondiale è dovuta soprattutto alla crescita di economie emergenti come Cina, India, Brasile e Corea del Sud, dove è la forma prevalente di azienda. In Europa, comunque, le percentuali restano rilevanti: 36,7% in Germania, 36% in Francia, 35,6% in Spagna e 32,9% in Svezia. Supera tutti gli altri paesi l’Italia con il suo 40,7% tra le 300 imprese più grandi del Paese.16

Le imprese a conduzione familiare in Italia rappresentano il 92% delle aziende italiane.

15 A. ZATTONI, Assetti proprietari e corporate governance, op. cit., pp.193-212 16 M. D’ASCENZO, Imprese familiari in crescita, Il Sole 24 ore 2016

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Più singolare è il fatto che la leadership famigliare continui ad essere la forma gestionale dominante tra le imprese più grandi, come si rileva da un’analisi dei dati forniti da Mediobanca S.p.A. che evidenziano come ben il 60% dei primi cinquanta gruppi industriali del paese siano da considerarsi a diretto controllo famigliare.17 La settima edizione dell'’Osservatorio Aub dispone di informazioni dettagliate e aggiornate relative alla proprietà, alla governance, al management e alle performance economiche e finanziarie di tutte le 15.722 aziende italiane a proprietà familiare con un fatturato pari o superiore a 20 milioni di euro. Si focalizza poi in maggiore dettaglio sulle 10.231 aziende a controllo familiare.

L’Osservatorio, realizzato da Bocconi, AIdAF, Unicredit e Camera di Commercio di Milano in collaborazione con Borsa Italiana e Allianz, fornisce dati interessanti:

“Le aziende familiari vincono il confronto con le non familiari in termini di crescita, di redditività e di creazione di posti di lavoro considerando sia l’ultimo anno, sia il medio periodo e tornano a indicatori di performance simili a quelli pre-crisi, ma la loro sostanziale passività in termini di acquisizioni e l’invecchiamento dei responsabili d’azienda fanno suonare un campanello d’allarme per il futuro”.

Ci sono tuttavia delle criticità e le principali che emergono da questa ricerca, secondo Guido Corbetta, sono:

 la scarsa capacità di crescita esterna attraverso acquisizioni;

 l’elevata età di chi dirige le aziende familiari;

 gli investimenti diretti all’estero riguardano una minoranza delle imprese: spesso la principale barriera all'internazionalizzazione è infatti rappresentata – semplicemente – dalla scarsa o nulla conoscenza della lingua inglese.18

In Italia solo il 25% dei gruppi a guida famigliare pianifica in tempo gli interventi necessari a favorire il ricambio ai vertici. Percentuale ben inferiore a quella media europea, che si attesta sul 70%. “C'è anche una correlazione – spiega Augusto

17 A. COLLI, Capitalismo famigliare, Il Mulino, Bologna 2006, p.41

18 G.CORBETTA, A. MINICHILLI, F. QUARATO, Osservatorio AUB sulle aziende familiari

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Balestra, uno dei soci di Orienta Partners - tra l'età di chi guida l'impresa e le performance economiche. Le aziende che sono guidate da un dirigente over 70 hanno generalmente ricavi netti inferiori rispetto a quelle che vengono gestite da persone più giovani”. Se poi si pensa che ben il 67% delle imprese sono ancora dirette in prima persona dalle famiglie fondatrici, senza aperture verso figure manageriali, si ha il quadro di una resistenza di tipo culturale che inficia anche l'opportunità di una espansione all'estero. Interessante inoltre la maggiore complessità della governance: la presenza maggiormente diffusa di più amministratori delegati rappresenta il bisogno di avere a disposizione competenze diverse oltre che la necessità di affiancamento delle giovani generazioni.19

Appare strategico un attento bilanciamento tra leadership familiare e CdA non familiare pur con qualche criticità nell’inserimento di consiglieri e manager non familiari.

Il crollo del mercato interno degli ultimi anni ha indotto molte aziende a ripensare struttura societaria e organizzazione, senza ovviamente tralasciare la pianificazione

del passaggio generazionale: passaggio fondamentale per assicurare la

sopravvivenza e lo sviluppo di un’azienda familiare.

Le imprese familiari hanno resistito alla crisi meglio di altre, anche per il forte legame con il territorio di origine, per la capacità di innovare e affrontare la sfida internazionale. Da sempre nella rete di PMI un ruolo chiave è giocato dai distretti industriali. La competitività di queste piccole imprese non si è mai fondata sulla capacità gestionale e strategica del singolo artigiano o del piccolo imprenditore, quanto piuttosto sulla forza complessiva dei distretti industriali in cui queste aziende hanno conosciuto il loro sviluppo. La piccola impresa è cresciuta e ha saputo conquistare i mercati internazionali proprio perché inserita all’interno di distretti che hanno goduto della straordinaria mobilitazione di comunità locali che ne hanno sostenuto il percorso di crescita attraverso l’offerta dei servizi nel campo della formazione e della finanza; senza contare le competenze e le conoscenze che

19 N. RONCHETTI, Più deboli le imprese a gestione famigliare: ma costituiscono il 92% delle aziende italiane, Il Sole 24 ore 2016

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si sono stratificate e diffuse all’interno dei distretti e che generano valore nel processo di trasformazione tecnico-fisico dei fattori produttivi specifici.20

Resta ancora complesso il tema del passaggio generazionale che non sempre riesce a garantire nuove energie e una nuova capacità di visione nelle PMI a conduzione familiare.

Indipendentemente dalla loro dimensione, i principali temi che le imprese familiari probabilmente si troveranno a dover affrontare sono:

 la governance della famiglia e dell’azienda;

 definizione del processo di formulazione della strategia della famiglia e dell’azienda;

 la possibile apertura del capitale a investitori terzi e la diversificazione del patrimonio di famiglia;

 il rafforzamento dell’orientamento imprenditoriale nelle nuove generazioni;

 la scelta di consiglieri indipendenti, amministratori delegati e direttori generali non familiari.21

1.4 Quando locale diventa glocale: distretti industriali e PMI.

Le aziende familiari hanno un rapporto peculiare con il territorio in cui sono nate e si sono sviluppate.22 Tali legami spesso si fondano su alcuni fatti che riguardano la famiglia proprietaria e tali fatti hanno fatto sì che si venissero a creare dei legami economici e affettivi con molte persone che vivono nel territorio.

Tutto ciò produce un radicamento territoriale che si attenua ma non scompare anche quando l’azienda diventa un grande gruppo e comincia ad operare in varie aree del mondo. E quando un prodotto locale riscuote un successo internazionale in virtù

20 S. MICELLI, Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani, i Grilli Marsilio,

Venezia 2011

21 Fonte: www.aidaf.it

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delle sue specifiche peculiarità locali ecco che allora, quel determinato prodotto locale, diventa glocale.

Infatti, una delle principali caratteristiche del vantaggio competitivo del prodotto italiano si sostanzia per l’appunto nell’originalità produttiva e nell’autenticità strategica delle produzioni, che avvengono in molte circostanza in presenza di aziende famigliari inserite e radicate in territori a forte vocazione produttiva. In un certo senso, il territorio si configura in misura sempre maggiore come patrimonio non solo ambientale, ma soprattutto come espressione di valori intangibili che l’azienda fa propri e che essa è chiamata a interpretare, valorizzare e sfruttare per lo sviluppo del disegno strategico.23

Le piccole aziende nostrane si organizzano in network per affrontare e vincere la grande sfida della globalizzazione: cooperative, consorzi e talvolta distretti industriali.

Nel mondo è ormai un dato pacifico che il prodotto italiano sia sinonimo di buon gusto e di ricercatezza produttiva, così come è un dato consolidato che il made in

Italy venga realizzato, per la più grande parte, da una moltitudine di aziende di

piccole e media dimensione in cui la componente familiare è storicamente inscindibile dalla realtà di impresa.

Quando si pensa la made in Italy vengono subito in mente la moda e gli artigiani. Tuttavia è riduttivo. Made in Italy è sinonimo di valore.24

Possiamo menzionare il Prosciutto di Parma, le cui esportazioni crescono a ritmo costante: le esportazioni nel 2015 sono aumentate del 3.9% (100,000 prosciutti) rispetto all’anno precedente, per un fatturato stimato di 260 milioni di euro circa.

“Il bilancio delle nostre esportazioni è molto positivo – commenta Vittorio

Capanna presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma. La scelta strategica di

23 L. DEL BENE, G. LIBERATORE, N. LATTANZI, Aziende famigliari e longevità economica.

Modalità di analisi e strumenti operativi, op. cit., p.50

24 W. ZOCCHI, Il Family Business. Famiglia, azienda di famiglia e patrimonio dell’imprenditore, Il

(21)

21

puntare su uno sviluppo equilibrato si sta rivelando vincente e, al di là del dato annuale, è l’analisi di medio-lungo periodo che evidenzia i risultati conseguiti: nell’ultimo decennio le nostre esportazioni sono cresciute del 50% e oggi rappresentano il 32% della produzione annuale.

Tutto questo è il frutto di un’ottima diversificazione geografica dei mercati e di un efficace gioco di squadra che il comparto ha saputo mettere in campo e che ha consentito al Prosciutto di Parma di affermarsi come marchio leader della salumeria a livello mondiale.”

Gli Stati Uniti consolidano i brillanti risultati dell’anno precedente e si confermano primo mercato estero di sbocco con 582,000 prosciutti (+3%); seguono Francia e Germania al secondo posto (454,000) che registrano una crescita rispettivamente del 4% e del 2%.25

Il Prosciutto di Parma è ad oggi un prodotto glocale: è famoso ed esportato in tutto il mondo, ma il suo valore risiede nel fatto che il processo produttivo avvenga nel comparto di Parma. E questo è un fatto imprescindibile per il suo successo globale. Le piccole imprese rientrano nella categoria delle aziende più diffuse in Italia e nel vasto mondo delle piccole imprese possiamo trovare profili strutturali e comportamenti strategici totalmente differenziati, sulla base di:

 variabili esterne, come i caratteri del settore di appartenenza, le dimensioni del mercato di riferimento, l’appartenenza a Distretti Industriali e via dicendo;  scelte attuate dall’imprenditore, crescita dimensionale, collaborazione con

altre imprese, gestione dei rapporti azienda-famiglia, ecc.

Questa varietà e articolazione del sistema produttivo rappresenta un patrimonio imprenditoriali perché assicurano efficacia ed efficienza, creatività e flessibilità, produttività e sviluppo.

Tuttavia è importante cercare di dare una definizione di sintesi di piccola impresa, solo così sarà possibile elaborare riflessioni che ne garantiranno la sopravvivenza e lo sviluppo nel tempo. A tal fine si è espressa la Commissione Europea, con la

25 Fonte: www.prosciuttodiparma.com

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22

pubblicazione di una raccomandazione in data 6 maggio 2003 in merito alla definizione microimprese, piccole e medie imprese:

 microimpresa: occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR;

 piccola impresa: un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR;

 media impresa: un’impresa che occupa meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR.

I distretti industriali sono un sistema produttivo costituito da un insieme di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, caratterizzate da una tendenza all’integrazione orizzontale e verticale e alla specializzazione produttiva.

Sono concentrate in un determinato territorio e legate da una comune esperienza storica, sociale, economica e culturale.

Le imprese del distretto industriale, pur essendo nella maggior parte dei casi di dimensioni limitate, mostrano spesso una capacità tecnologica e innovativa medio-alta, soprattutto grazie all’elevato livello di specializzazione, che consente a ognuno di concentrarsi su un numero ristretto di fasi produttive e di adottare sistemi produttivi avanzati.

La realtà distrettuale è contraddistinta da una elevata densità imprenditoriale. Anche se la numerosità dei soggetti può favorire un aumento del livello di competitività tra le imprese e il verificarsi di comportamenti opportunistici, nel caso dei distretti ciò non si verifica, o meglio, si verifica secondo modalità non distruttive. I rapporti fra soggetti sono il risultato della combinazione di concorrenza sui mercati di

riferimento e di contemporanea consuetudine alla cooperazione reciproca. È il

corretto bilanciamento tra le due opposte tensioni verso la collaborazione e la competizione che crea lo stimolo a un continuo rinnovamento e permette lo sviluppo di nuove opportunità.

(23)

23

Sono incentivati:

 l’investimento in macchinari innovativi, grazie alla parziale copertura del rischio garantita dalla rete di rapporti interpersonali;

 la specializzazione permette al singolo di limitare il numero di macchinari necessario;

 è favorita l’iniziativa imprenditoriale e così via.26

Giusto per dare un’idea della competitività dei distretti industriali, prendiamo come esempio l’Emilia Romagna – di cui se ne è parlato anche sopra citando Il Prosciutto

di Parma. Dall’immagine sottostante notiamo quali sono i distretti della Regione:

meccanica, arredo e alimentare.

Fonte: “impresalavoro.eu”

26 G. DEI OTTATI, Distretto industriale, problemi delle transazioni e mercato comunitario: prime

considerazioni, in rivista «Economia e Politica Industriale», 51, 1986

Figura 1: I Distretti Industriali in Italia.

(24)

24

In Emilia Romagna, le esportazioni nel secondo trimestre del 2016 hanno evidenziato una crescita del 6.6 %. Molto positivo anche il dato complessivo del primo semestre che vede l'export dei distretti della Regione in crescita del 3.5%. Positivi i dati di 15 distretti su 19: emerge dunque una situazione quasi totalmente favorevole, seppur con livelli di crescita diversi, dalla meccanica all'alimentare, dall'ortofrutta romagnola alle piastrelle; rallenta il polo biomedicale di Mirandola, in calo i mobili imbottiti di Forlì.27

27 Fonte: www.regione.emilia-romagna.it

(25)

25

CAPITOLO 2

LE IMPRESE FAMILIARI

2.1 Perché studiare le imprese familiari.

Nell’immaginario comune quando si parla di impresa familiare, si pensa – semplicisticamente – a una famiglia coinvolta nella conduzione di una piccola attività economica.

Tale famiglia – sempre nell’ottica del grande pubblico - potrà essere coinvolta nelle attività più disparate, basta che non siano troppo complesse e che siano di modeste dimensioni: falegnameria, riparazioni di scarpe, parrucchieri, abbigliamento e sartoria.

Insomma, chi non conosce una famiglia che non gestisce e manda avanti un pizzeria, un ristorante o un bar.

Quello a cui la nostra società post terza rivoluzione industriale assiste è la proliferazione di un vero e proprio fenomeno. Un fenomeno tutto familiare, dove la mamma fa la parrucchiera e insegna il mestiere alla figlia che poi prenderà in gestione il negozio. Il passaggio di consegna all’erede appare del tutto automatico, come se fosse stato scritto da qualche parte. Questo perché l’uomo è per natura abitudinario e conservatore.

Questa tipologia di impresa familiare che incarna l’archetipo più essenziale e anche più diffuso nell’immaginario collettivo, nasce dalla nostra storia.

Per conservare la memoria della nostra storia è nato un gemellaggio fra Roma, Firenze e Genova per promuovere in Italia e nel mondo il nostro patrimonio culturale: le cosiddette Botteghe Storiche.

Alcune di queste sono ancora in mano agli eredi, è questo il caso dell’Argenteria

Gismondi. I fiorenti commerci della Repubblica di Genova permettono nei secoli

un vivace sviluppo di arti e mestieri. Nel 1248 nasce la Corporazione dei Fraveghi – artigiani e artisti della lavorazione dell’oro e dell’argento – per secoli sviluppatasi intorno a Nostra Signora delle Vigne. E proprio alle “Vigne”, Giovanni Gismondi inizia l’apprendistato nel 1763. Il mestiere diventa “di famiglia” e il figlio Pietro, a inizio Ottocento, sposta l’attività nella più centrale zona “delle Fucine”. Nel 1880

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26

sarà Giuseppe, a traslocare definitivamente aprendo bottega nelle scuderie di palazzo Centurione, nella “barabiniana” via Galata. Da allora è rimasta quasi inalterata: esterni e interni in legno laccato nero lucido, banconi e vetrine lineari, forse in origine semplici scaffali ove riporre gli argenti; le ante vetrate aggiunte al mutare delle esigenze. Per discendenza diretta da Giovanni si arriva oggi, attraverso sette generazioni, alla “F.lli Gismondi”. È stato Ferdinando con la moglie Giuseppina e la figlia Giorgia a festeggiare i 250 anni di attività alla “Torretta” – il punzone dei genovesi per oltre sette secoli – di cui si cura ancora oggi il restauro28.

Il punto è che quando si parla di impresa familiare, parliamo di un fenomeno molto complesso dalle tante sfaccettature. Come ha fatto l’Argenteria Gismondi a rimanere in attività e nelle mani di una stessa famiglia per così tanto tempo? E poi c’è un altro aspetto da considerare, impresa familiare significa necessariamente “piccola dimensione” e “perseguire strategie di focalizzazione”? Certo che no. Basti pensare ad esempi illustri come Ikea, Lego e Luxottica.

L’impresa familiare ha delle proprie peculiarità che derivano dalla coesistenza di due istituti apparentemente antitetici: famiglia e azienda, affetti e affari.

E se da una parte la famiglia è un punto di forza, è anche vero che può rappresentare un ostacolo perché i legami emotivi non possono essere analizzati e categorizzati. Per non implodere l’azienda di famiglia ha bisogno di regole e solo la corporate governance può aiutarla in questo senso.

E’ dalla complessità e dalla proliferazione di tale fenomeno che, nel corso degli ultimi decenni, la dottrina si è impegnata nello studio delle imprese familiari, cercando di capirne le evoluzioni e le peculiarità che sembrano presentarsi nei vari stadi di crescita delle stesse – seppur con diverse sfaccettature – tanto da permetterne delle classificazioni.

2.2 Le imprese familiari: possibili definizioni.

Innanzitutto non esiste una definizione univoca di azienda familiare.

Per molti anni – soprattutto fra gli studiosi americani – si è ritenuto che l’avvento della globalizzazione avrebbe determinato un declino progressivo delle imprese

28 Fonte: www.botteghestorichegenova.it

(27)

27

familiari e la naturale transizione alle imprese manageriali.29 Così non è stato, basti

pensare ad aziende familiari come Ferrero e Luxottica.

Quando si parla di aziende familiari sono molti i parametri di cui tenere conto. Secondo Demattè e Corbetta, si può parlare di azienda familiare quando i membri di un nucleo familiare o più nuclei familiari mettono a disposizione dell’impresa capitali finanziari a pieno rischio o rischio limitato, garanzie personali o reali e skill manageriali. In questo caso assistiamo a una vera e propria sovrapposizione fra dimensione famigliare e imprenditoriale.30

Parlando di impresa familiare in questi termini uno degli esempi che può venire in mente è un ristorante/pizzeria a conduzione familiare, dove il figlio prepara le pizze, la madre gestisce la cucina e il padre si occupa della sala. E’ questa un’azienda familiare? Certo che sì, ma ciò non esaurisce la definizione di azienda familiare. In dottrina non esiste per l’appunto, una definizione di impresa familiare univoca e accettata da tutti.

Un elemento discriminante che ci consente di arrivare a una seconda definizione di azienda familiare è se questa sia stata in grado o meno di sopravvivere ad un passaggio generazionale.

Sulla base di tale criterio, si parla di azienda familiare in senso lato quando una famiglia o più nuclei familiari legati da vincoli di parentela, detengono una quota che gli consenta di esercitare il controllo sull’azienda. L’intento definitorio si complica laddove oltre alla variabile proprietà, si tenga conto del coinvolgimento della famiglia nel management. Questa definizione raccoglie in sé diverse manifestazioni della proprietà e diversi gradi del coinvolgimento della famiglia nella gestione, andando sì ad incrementare il numero di manifestazioni riconducibili

29A. BERLE, G.C. MEANS, The modern corporation and private property, MacMillan, 1932 30 C. DEMATTE’, G. CORBETTA, I processi di transizione delle imprese familiari, Mediocredito

(28)

28

alla definizione di azienda familiare, ma riducendo dall’altro la possibilità di delimitare i confini di tale fenomeno.31

A tali caratteristiche possiamo adesso inserire l’elemento discriminatorio del passaggio generazionale. Possiamo parlare di azienda familiare in senso stretto quando, ferme restando le condizioni, l’azienda è sopravvissuta ad almeno un passaggio generazionale.

Come già detto non esiste una definizione univoca e risulta molto complesso anche limitare il campo di indagine delle aziende famigliari, in quanto queste ultime sono in continua evoluzione, e – come detto da Walter Zocchi – ogni family business è un sistema a se’.32

A tale proposito in letteratura è stato teorizzato l’indice F-PEC (power, experience e culture). Esso rappresenta un valido strumento di quantificazione del grado di coinvolgimento della famiglia, che, pur non rappresentando una soluzione alla distinzione fra ciò che è un family business e ciò che non lo è, ne individua delle possibili classificazioni sulla base di tre grandezze che possono qualificare il business famigliare:

1. power: esprime il grado di coinvolgimento della famiglia nella proprietà e nella gestione. In altri termini, indica l’intensità con cui la famiglia è coinvolta economicamente nell’impresa e occupa posizioni di comando;

2. experience: indica il grado di coinvolgimento di più generazioni nella proprietà e nella gestione;

3. culture: esprime il grado di sovrapposizione tra valori aziendali e famigliari, nonché il grado di impegno dei famigliari tanto nel supportare una gestione improntata al perseguimento degli obiettivi economici del business, quanto nel garantire lo sviluppo di interrelazioni reciproche fra famiglia, organizzazione e ambiente. La culture è frutto dell’interazione di molteplici fattori come: i valori economici e personali a cui si ispirarono i fondatori

31L. ANSELMI, Aziende familiari di successo in Toscana, Angeli, Milano 1999, p 1-15

32 W. ZOCCHI, Il Family Business. Famiglia, azienda di famiglia e patrimonio dell’imprenditore,

(29)

29

dell’impresa, la cultura del paese di origine del business e della famiglia, le condizioni competitive che l’impresa si trova ad affrontare nel suo settore industriale, ecc.33

Interessante è anche la definizione di azienda familiare data da Montemerlo e Preti:

un’impresa si definisce famigliare quando una o poche famiglie, legate da vincoli di parentela, affinità o solide alleanze, detengono una quota del capitale di rischio sufficiente a garantire il controllo dell’impresa.

Con questo tipo di definizione i due autori spiegano che è previsto un reciproco condizionamento fra azienda di consumo e produzione, e si vuole ricomprendere l’impresa familiare anche laddove:

 una o poche famiglie esercitano i poteri di governo, pur non detenendo la maggioranza assoluta del capitale di rischio. Ci riferiamo ad esempio a quelle imprese di grandi e grandissime dimensione dove le famiglie, stringendo alleanze con soci di minoranza determinano con le decisioni prese nell’ambito famigliare, le scelte di sviluppo dell’impresa controllata;

 i membri della famiglia non sono presenti o non costituiscono la maggioranza degli organi di governo. In tali casi le famiglie proprietarie potranno esercitare il potere di condizionamento attraverso la nomina di amministratori di fiducia;

 nessun familiare è impegnato nella gestione dell’impresa. Molte imprese di terza o quarta generazione controllano l’impresa grazie alla nomina di direttori di fiducia;

 quando viene detto “da più famiglie legate da solide alleanze” – quindi siamo in assenza di un vincolo di parentela fra le due – l’esempio che descrive tale fattispecie è quello di due colleghi di lavoro che lasciano la loro occupazione per fondare un’impresa. Anche qui la funzionalità economica duratura

33 J.H. ASTRACHAN, S.B. KLEIN, K.X. SMYRNIOS, The F-PEC scale of family influence: a

proposal for solving the family business definition problem, in Family Business Review, March 2002, pp.45-57

(30)

30

dell’impresa dipenderà dall’evoluzione dei nuclei famigliari e dalle decisioni prese al loro interno.34

2.3 Classificazioni e percorsi evolutivi nelle aziende familiari.

La combinazione dei vari aspetti sovraesposti, uniti alle possibili configurazioni di corporate governance che un’impresa familiare può presentare nel corso della sua vita, possono dar luogo a differenti tipologie di aziende famigliari presenti nella realtà, contraddistinte, per quanto possibile, da caratteristiche omogenee.

Per quanto possibile, la letteratura ha tentato di delineare delle classificazioni di imprese familiari sulla base di alcune variabili come:

 l’assetto proprietario e il grado di controllo da parte della famiglia sul capitale proprio dell’impresa;

 il peso della famiglia sulle funzioni imprenditoriali-manageriali;  la dimensione dell’organismo personale dell’impresa.

L’azienda è un sistema e in quanto tale è in costante mutamento, e anche una famiglia nel ciclo della vita si trasforma. Quindi è chiaro come questi due sistemi che sembrano essere antitetici si fondano e confondano, influenzandosi a vicenda. Nelle prime fasi di vita le funzioni di governo sono concentrate nella mani del fondatore, con la conseguente difficoltà di distinguere l’ambito, familiare o aziendale, nel quale sono prese le decisioni.

Nelle fasi successive invece il condizionamento della famiglia fondatrice tende ad attenuarsi per effetto di due fenomeni:

 la deriva generazionale: vale a dire l’aumento progressivo del numero dei membri di una dinastia allo scorrere delle generazioni;

 il raffreddamento dei soci: ovvero il venir meno, con il passare del tempo, dei legami affettivi o di affinità e il raffreddamento della forte

34 D. MONTEMERLO, P. PRETI, Piccole e medie imprese. Imprese familiari, Management Vol.

(31)

31

identificazione con l’impresa che ha caratterizzato la fase di avvio e di consolidamento dell’iniziativa delle generazioni precedenti.35

Secondo gli autori Demattè e Corbetta, le principali categorie di aziende famigliari si possono ravvisare nelle imprese famigliari in senso stretto e nelle imprese

famigliari allargate.

Le variabili considerate per questa utile classificazione sono la concentrazione della proprietà da un lato e la concentrazione del controllo dall’altro. Il controllo va qui inteso come la copertura delle funzioni imprenditoriali e direzionali.

La concentrazione può essere alta quando un numero molto limitato di soggetti – e legati fra loro – detiene la totalità delle quote dell’impresa. Oppure può essere bassa quando le quote sono ripartite fra un numero più elevato di soggetti e meno legati fra di loro.

Per quanto riguarda il controllo possiamo distinguere situazioni in cui le funzioni direzionali ed imprenditoriali sono svolte dalla famiglia proprietaria, situazioni in cui tali funzioni sono delegate a soggetti esterni, fino a raggiungere la delega totale che caratterizza l’impresa manageriale.

35 C. DEMATTE’, G. CORBETTA, I processi di transizione delle imprese familiari, op. cit., pp.

109-110

Concentrazione proprietaria

ALTO MEDIO BASSO

ALTO

Controllo MEDIO

BASSO

Fonte: Demattè, Corbetta, 1993

(32)

32

Le imprese familiari in senso stretto sono quelle che si posizionano nei quadranti in alto a sinistra della matrice.

In queste aziende la proprietà è concentrata nelle mani di pochi soggetti che svolgono anche ruoli di indirizzo strategico. Si tratta di imprese di prima o di seconda generazione, gestite con metodi informali dove il senso di appartenenza alla famiglia è molto forte.

Le imprese familiari allargate invece si posizionano nei quadranti in basso a destra della matrice.

Si tratta di aziende che hanno superato anche la seconda generazione, dove le quote dell’impresa sono detenute da un numero più elevato di soggetti e in cui i vincoli di parentela sono più forti. Si assiste quindi ai due fenomeni sopracitati: la deriva

generazionale e il raffreddamento dei soci.

Inoltre, solo alcuni fra i soggetti appartenenti alla famiglia di origine svolgono ruoli di direzione, mentre altri hanno solo lo status di azionista ed – eventualmente – di dipendente. Quasi sempre si trovano manager esterni alla famiglia.36

In un’evoluzione di tale classificazione Corbetta assume come riferimento tre variabili:

1. modello di proprietà del capitale;

2. presenza di famigliari nel CdA e negli organi di direzione della famiglia; 3. la dimensione dell’organismo personale.

Sulla base di tali variabili, individua vari tipi di family business.

36 C. DEMATTE’, G. CORBETTA, I processi di transizione delle imprese familiari, op. cit., pp.

(33)

33

1. Per quanto concerne la quota di controllo del capitale proprio di un’azienda famigliare si può distinguere fra:

 un modello di proprietà assoluta, dove il capitale è posseduto da un solo proprietario;

 un modello di proprietà famigliare chiusa stretta, in cui il capitale è posseduto da un numero ristretto di persone;

 un modello di proprietà famigliare chiusa allargata, dove il capitale è posseduto da un numero più ampio di soggetti;

 un modello di proprietà famigliare aperto, in cui il capitale è posseduto da soci discendenti dal fondatore e anche da altri soci.

2. La seconda variabile è rappresentativa della varietà dei rapporti che possono esistere tra famiglia e impresa. Tre sono le possibili articolazioni:

 il CdA e gli organi di direzione sono composti solo da membri della famiglia proprietaria del capitale: elevato peso e coinvolgimento della famiglia

proprietaria;

 il CdA è composto solo da membri della famiglia proprietaria del capitale e negli organi di direzione sono impegnati famigliari e non famigliari: medio

peso e coinvolgimento della famiglia proprietaria;

Grafico 1: Una possibile classificazione delle aziende famigliari.

(34)

34

 nel CdA e negli organi di direzione sono impegnati sia famigliari che non famigliari.

3. La terza variabile è scomposta in:  piccola: poche decine di persone;  media: poche centinaia di persone;  grande.37

Nel folclore moderno, quando si parla di azienda famigliare si pensa subito a una piccola impresa a conduzione famigliare: dove si assiste a una completa sovrapposizione del sistema azienda con il sistema famiglia.

Però, quando l’azienda tende ad aprirsi verso l’esterno, accettando anche i contributi di soggetti che sono esterni alla famiglia, va da sé che i metodi e lo stile di governo patriarcali non saranno più accettati.

Il fondatore dovrà ricorrere a contratti formali di delega, a sistemi informativi più sviluppati e a sistemi di incentivazione, volti a ridurre i favoritismi ai membri della famiglia, e ad accettare ed incoraggiare la varietà dei soggetti che lavorano all’interno dell’impresa.

All’interno di un contesto simile, sono molte le tipologie di aziende famigliari che si possono manifestare e Corbetta, assumendo come base di riferimento, le tre variabili sopra elencate – per le quali ha elencato tre o più misure - ha individuato quattro categorie di imprese famigliari.38

A. Le imprese famigliari domestiche:

 modello proprietario assoluto o stretto;  piccola dimensione;

37G. CORBETTA, Le imprese famigliari. Caratteri originali, varietà e condizione di sviluppo, op.

cit., pp. 81-102

38 G. CORBETTA, Le imprese famigliari. Caratteri originali, varietà e condizione di sviluppo, op.

(35)

35

 CdA e direzione sono composti solo da famigliari.

Un esempio può essere l’azienda α dove il falegname di nome Tizio, produce mobili su commissione facendosi aiutare dai figli Tullio e Caio.

B. Le imprese famigliari tradizionali:

 modello proprietario assoluto o stretto;

 le dimensioni possono essere anche piccole, ma di norma sono medie o grandi;

 il CdA è composto solo da membri della famiglia mentre negli organi di direzione sono quasi sempre coinvolti famigliari e non.

L’ Azienda α a conduzione familiare che produce mobili – ormai non più su commissione - desidera esportare in Brasile, ma non conoscendo il portoghese né ritenendo di avere le competenze necessarie per implementare la strategia assume un manager esterno.

C. Le imprese famigliari allargate:

 modello proprietario famigliare allargato;  dimensione media o grande;

 il CdA può essere composto solo da famigliari o anche da non famigliari e gli organi di direzione coinvolgono famigliari e non.

Dieci anni dopo quella stessa Azienda α che esportava in Brasile è cresciuta e ha diversificato il suo business. Nonostante il capitale sia sempre detenuto nelle mani dei discendenti del fondatore, la presenza di manager esterni alla famiglia è diventata essenziale, tant’è che hanno preso posto nel CdA – seppur in numero minore rispetto ai soci famigliari – questo per creare un bilanciamento fra esigenze famigliari e di business.

D. Le imprese famigliari aperte:

 le quote di capitale sono detenute da discendenti del fondatore e non;  dimensioni medie o grandi;

(36)

36

La stessa Azienda α ha deciso di fare entrare un socio e quindi nuovo capitale di rischio.

Altri esempi possono essere i grandi gruppi piramidali dove la quota di maggioranza della holding è detenuta da una famiglia che, sfruttando l’effetto della leva azionaria, esercita la sua influenza su molti business riducendo la mole dei rischi assunti.

Queste classificazioni possono quindi descrivere un percorso evolutivo che l’azienda famigliare potrebbe intraprendere nel corso della sua vita.

E a seconda del tipo di percorso intrapreso, il ruolo e il peso rivestiti dalla famiglia cambiano.

Un’azienda familiare può rimanere piccola ed essere soddisfatta della sua condizione, pensiamo ad esempio alla piccola pizzeria di famiglia di cui si è accennato a inizio capitolo, oppure – se le condizioni lo permettono - può ricercare la crescita dimensionale attraverso la diversificazione del business e il raggiungimento di nuovi mercati come l’azienda α.

Anche Gallo ha dato il suo contributo seguendo quest’ottica, vale a dire utilizzando come elemento discriminante la relazione e il grado di coinvolgimento che la famiglia intende mantenere nell’azienda, per definirne un possibile percorso di crescita.

Secondo Gallo, l’azienda famigliare nasce come impresa famigliare di lavoro, in cui l’impresa intende mantenersi unita nella proprietà dell’impresa e intende coinvolgere molti familiari nella gestione.

In seguito l’azienda si evolve in impresa famigliare di direzione, dove la famiglia desidera continuare unita nella proprietà dell’impresa, ma tende a riservare l’ingresso solo ad alcuni dei suoi membri vale a dire a coloro che sono ritenuti capaci sotto il punto di vista imprenditoriale e manageriale, inserendoli nel CdA o nei vertici dirigenziali.

Con il passare del tempo l’impresa di direzione può assumere due diverse configurazioni:

(37)

37

a. impresa famigliare di investimento dove la famiglia è interessata ad assumere decisioni di investimento;

b. impresa famigliare congiunturale dove l’unione dei membri deriva essenzialmente dal fatto di essere eredi più che dalla volontà di proseguire uniti nell’attività.39

Le classificazioni fin qui illustrate possono rappresentare degli step che l’azienda famigliare può percorrere oppure no nel ciclo della sua vita.

Appare evidente che le mutevoli e variegate combinazioni degli elementi azienda,

famiglia e patrimonio individuano un panorama piuttosto ampio di tipologie di family business ai cui estremi è possibile intravedere, da un lato, tipologie di family

business in cui, pur essendovi una sovrapposizione tra impresa, famiglia e patrimonio, i valori culturali di fondo e i fini istituzionali dell’impresa in quanto tale prevalgono su quelli della famiglia; dall’altro, istituzioni in cui la cultura di fondo ed i fini istituzionali della famiglia prevalgono su quelli dell’impresa. Proprio quest’ultima tipologia è riconducibile alla fattispecie della famiglia imprenditoriale, ovvero quella realtà in cui fondano le proprie radici la crescita del sistema azienda e la vocazione imprenditoriale, elementi cruciali per prospettive di longevità di un’azienda famigliare.40

2.4 Possibili rischi e conflitti di interesse nelle aziende famigliari.

Solo negli ultimi anni, è emersa la consapevolezza della numerosità e diversità dei fattori di rischio che sono propri delle aziende famigliari, in particolare quei fattori di carattere qualitativo legati ai rapporti famigliari e alla loro influenza sull’azienda. Le condizioni di rischio e delle sue modalità di gestione, nelle aziende famigliari differiscono dalle altre tipologie di aziende sia per la coincidenza tra proprietà e

39 M.A. GALLO, Cultura en Empresa Familiar, IESE N. DGN-457, Barcellona, in S.

TOMASELLI, Longevità e sviluppo delle imprese familiari, Giuffrè, 1996 p.13

40 L. DEL BENE, N. LATTANZI, G. LIBERATORE, Aziende famigliari e longevità economica.

(38)

38

management (tipica delle imprese di piccola dimensione) sia per la natura famigliare di tali componenti.

Tuttavia anche laddove non esista una sovrapposizione di tali ruoli (come nel caso delle aziende di maggiori dimensioni), la natura famigliare che caratterizza le aziende in esame genera un effetto di allineamento di interessi tra proprietario famigliare e manager con riguardo ad opportunità e rischi. 41

Nella letteratura internazionale si è affermata la convinzione che i proprietari delle aziende familiari presentino un elevato livello di avversione al rischio42. A conferma di ciò vi sarebbero i bassi livelli di indebitamento mostrati dalle aziende famigliari controllate dai fondatori43, bassa propensione all’apertura al capitale di rischio a soggetti che sono esterni alla famiglia, così come la bassa propensione ad innovare e ad espandersi sui mercati internazionali.

Una così bassa propensione al rischio nelle aziende famigliari può essere ricondotta alla commistione tra il patrimonio aziendale e quello famigliare e alla sovrapposizione di ruoli in capo ad uno stesso soggetto.

Senza contare che – nelle aziende famigliari – è possibile riscontrare un sistema di valori e convinzioni che sono propri dei vincoli parentali (come la fiducia reciproca, altruismo incondizionato, ecc.) che producono manifestazioni di condivisione del rischio non riscontrabili in aziende governate da soggetti che sono privi di mutui legami sanguinei.

41 E.F. FAMA, M.C. JENSEN, Separation of ownership and control, in Journal of Law and

Economics, vol. 26, n. 2, 1983, pp. 301-325

42 C.S. MISHRA, D.L. MCCONAUGHY, Founding family control and capital structure: the risk

of loss of control and the aversion to debt, in Entrepreneurship Theory and Practice, vol.23, n.4, 1999 pp.53-64; L. NALDI, M. NORDQVIST, K. SJORBERG, J. WIKLUND, Entrepreneurial orientation, risk taking, and performance in family firms, in Family business review, vol. XX, n. 1, 2007

43 D.L. MCCONAUGHY, C.H. MATTHEWS, A.S. FIALKO, Founding family controlled firms:

performance, risk and value, in Journal of small business management, vol. 39, n.1, 2001, pp.31-49

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