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La protezione dei Minori stranieri non accompagnati tra diritto e prassi.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Laurea Magistrale in Scienze per la Pace: Trasformazione dei Conflitti e

Cooperazione allo Sviluppo

Tesi di Laurea

LA PROTEZIONE DEI MINORI STRANIERI NON

ACCOMPAGNA-TI TRA DIRITTO E PRASSI

Primo Relatore Chiari.ma Prof.ssa Francesca Biondi Dal Monte Secondo Relatore

Chiari.ma Prof.ssa Sonia Paone

Candidato

Chiara Nigro

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1

Ai “minori accompagnati” esempio e fonte d’ispirazione, senza loro non avrei mai mosso milioni di piccoli passi.

Ad Emanuele, che da grande sogna di diventare un “puliziotto” e che ancora non mi ha detto cosa ne pensa della funzione conciliativa dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

A Sara, che continuamente ripete: “a me no piace Chiara”, senza sapere che co-munque vada è la luce dei miei occhi e continueremo a parlare di Salvini tra un car-tone animato e l’altro.

A Simona, per tutte le volte che ha ripetuto: “Salam aleikum, tamam, shukran, Hamdu II lah. Non ho mai saputo dirle la gioia che mi dà.

Ad Ubaldo, che mi ha aperto le porte di questo mondo.

A Vincenzo, che nascendo ha dimostrato che nulla è irreversibile.

Ai “minori non accompagnati” a prescindere dall’essere stranieri o meno.

A Mohammed, al quale ho detto che la vita esiste. Qualcuno corre, grida, si dispera, ma altrove nascono mille, centomila bambini, e mamme di futuri bambini.

A Yussef, che da grande sogna di diventare un calciatore professionista. C’è un incontro fissato, ancora senza ora e senza data, per ritrovarci e tirare due calci al pallone. Io sarò lì, puntuale, non so lui.

A Shokoria, che amava correre per le strade, oggi macerie, per le distese di verde fuori casa. Amava rubare l'ossigeno dall'aria. Chiudo gli occhi e vorrei solo vederla ancora una volta rubare quell'ossigeno.

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2

Indice

Introduzione ... 5

CAPITOLO 1 I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI ... 9

1.1 Il fenomeno migratorio minorile ... 9

1.1.2 Le principali motivazioni delle migrazioni minorili ... 14

1.2 La galassia dei diritti dei minori stranieri non accompagnati: la normativa internazionale ... 21

1.2.1 La Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. 28 1.2.2 I principi sanciti dalla Convenzione di New York per i minori stranieri non accompagnati ... 31

1.3 La figura del minore straniero non accompagnato nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali ... 41

1.4 Tutela e accoglienza dei minori stranieri non accompagnati: le iniziative dell’Unione europea ... 46

1.4.1 I diritti dei minori stranieri non accompagnati nell’ambito dell’Unione europea: aspettative e prassi ... 52

1.5 Le carenze del Regolamento Dublino III e le proposte di riforma ... 60

1.6 L’Action Plan 2017-2019 del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori migranti ... 67

1.7 Uno sguardo oltre Europa: le sfide del Regno Hashemita di Giordania nella protezione dei minori stranieri non accompagnati o separati ... 70

1.7.1 La cornice legale ... 73

1.7.2 Sfide e vulnerabilità della protezione legale dei minori stranieri non accompagnati ... 75

1.7.3 Accesso ai servizi ... 77

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3

CAPITOLO 2 MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI. IL MODELLO LEGISLATIVO ITALIANO E LE POLITICHE

NAZIONALI ... 80

2.1 I flussi migratori minorili in Italia: un breve cenno storico... 80

2.2 Quanti sono i minori stranieri non accompagnati in Italia? ... 85

2.2.1 La distribuzione di minori stranieri non accompagnati sul territorio italiano e il ruolo degli Enti locali ... 93

2.3 Il busillis dell’accoglienza in Italia: la necessità di una nuova normativa nazionale ... 99

Il fenomeno migratorio in Italia è stato regolato attraverso un corpus di leggi, decreti, circolari che ne hanno tracciato in particolare dagli anni 90 in poi quello che è l’attuale panorama normativo. ... 99

2.4 I lavori preparatori alla Legge n. 47/2017 ... 105

2.5 La Legge Zampa: un passo in avanti nelle garanzie offerte ai minori stranieri non accompagnati ... 111

2.5.1 Il divieto di respingimento e di rimpatrio non volontario ... 111

2.5.2 L’accertamento dell’età e la sua impugnazione ... 112

2.5.3 Tutori: volontari e affidatari ... 114

2.5.4 Il Mantenimento del diritto di soggiorno al compimento della maggiore età ... 119

2.6 Legge Zampa: quanto è stato fatto e quanto resta da fare... 122

2.6.2 Il sistema di accoglienza, l’affido familiare e la Cartella sociale del minore ... 125

2.6.3 Il permesso di soggiorno ... 127

CAPITOLO 3 UNA RICERCA SUI MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI IN TOSCANA ... 129

3.1 Introduzione alla metodologia e contesto geografico ... 130

3.2 Il sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati in Toscana ... 133

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4

3.3 Le strutture visitate: che l’Odissea non sia il Simbolo della vostra Vitae

138

3.3.1 La comunità educativa a dimensione familiare CONTROVENTO .... 138

3.3.2 La casa di accoglienza Nostos: un appartamento per l’autonomia ... 141

3.3.3 La casa di accoglienza Betania ... 143

3.4 I paradossi e le criticità dell’accoglienza: voci e strumenti dal campo 145 3.4.1 L’accertamento dell’età ... 146

3.4.2 Prima accoglienza e collocamento in comunità ... 148

3.4.3 La maggiore età ... 149

3.4.4 L’equiparazione del minore straniero non accompagnato al minore italiano: l’attuazione di un principio fondamentale ... 153

3.4.5 I corsi drop out: percorsi per la formazione e l’autonomia ... 155

3.5 Buone prassi per l’accoglienza e l’integrazione: voci e strumenti dal campo ... 157

CAPITOLO 4 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE E PROSPETTIVE FUTURE ... 162

4.1 Politiche e pratiche, legge e prassi. ... 163

Bibliografia ... 173

Autori ... 173

Fonti ... 176

Giurisprudenza citata ... 181

Report ... 182

Siti internet consultati ... 185

Articoli di giornale ... 189

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5

Introduzione

Il 20 giugno 2018, Giornata ONU del Rifugiato, l’UNHCR ha reso pubblico il consueto Global Trends Report, la fotografia più attendibile sulle migrazioni forzate nel mondo. Nel 2017, secondo il rapporto, ben 68,5 milioni d’individui hanno scelto di emigrare, un record inquietante, raggiunto l’ultima volta nel corso della Seconda Guerra Mondiale. All’epoca dei fatti, i migranti forzati - tra i quali si annoveravano oltre ai profughi, i deportati - assommavano a 50 milioni. La “nazione” dei cosiddetti migranti forzati, più popolosa della Gran Bretagna, è composta d’individui provenienti da ogni latitudine, accomunati da un destino simile: l’insorgere di una situazione talmente grave da costringerli a lasciare le proprie case, la propria regione o il proprio Stato, il lavoro, la scuola, gli affetti. Tutto ciò per mettersi in salvo. Al macro-dato dei circa 69 milioni di rifugiati, vanno aggregate statistiche che aggiungono particolari significativi. Nel mondo fuggono 30 persone al minuto, 44.400 al giorno. Oltre la metà dei migranti forzati (il 52%) sono minorenni (circa 37 milioni), una fetta dei quali - tra i 100 e 200mila - è composta da minori che vagano soli per il mondo in cerca di rifugio. Naturalmente al primo posto nella classifica dei

push factors compare la guerra. Ma fattori come regimi dittatoriali, instabilità

politica, povertà endemica portano intere popolazioni all’esodo forzato. L’Italia sostiene da anni di essere accerchiata, invasa da questo tipo di migrazioni.

La realtà, mostra una situazione assolutamente capovolta: di quei 68,5 milioni di persone, solo il 6% arriva in Europa. Il 39% è accolto dall’Africa del Nord e dal Medio Oriente, il 29% dall’Africa Sub-Sahariana, il 14 da Asia e Oceania e il 12 dalle Americhe. Chi scappa dalla propria casa, spera di farvi ritorno al più presto e tenderà a rimanere nelle stesse aree da cui fugge, anche per affinità linguistiche, culturali e religiose.

Nel 2017, tra i Paesi ospitanti il maggior numero di migranti forzati vi era la Turchia (a seguito dell’accordo siglato nel 2016 con l’UE per il contenimento delle migrazioni provenienti da oriente) con circa 3,5 milioni di profughi accolti, seguita dalla Giordania (2,1 milioni), dal Pakistan (1,4) e dal Libano (1,2).

A chi parla d’invasione dell’Unione europea, un’entità geografico-politica che conta 500 milioni di abitanti e vanta primati nei campi dell’economia, dello sviluppo

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6

democratico, del rispetto dei diritti, e che nel 2017 ha accolto 31.400 minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo, il 15% di tutti i richiedenti, si potrebbe citare il caso della Giordania, un Paese con una popolazione stimata di 9 milioni, di cui 2,1 sono profughi.

Numerose sono le ragioni che hanno indotto ad avviare questa ricerca, focalizzandola su un terreno molto specifico e circoscritto, sebbene anch’esso insidioso, quale il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati (MSNA).

Si premette, peraltro, che la peculiarità delle situazioni, l’estrema variabilità delle caratteristiche, l’eterogeneità di leggi e casi, crea per lo studioso due difficoltà di non poco conto e vincolo ineluttabile al suo lavoro: l’incongruenza tra quanto è disposto per legge e quanto è nella pratica, nonché l’apparente inefficacia nel riferirsi a studi e ricerche condotte in altri Paesi, per le abissali differenze.

É bene precisare che l’interesse per l’argomento nasce da fattori eminentemente operativi. Nell’estate del 2017 ho iniziato ad occuparmi di minori stranieri non accompagnati, tra cui molti rifugiati, e l’ho fatto grazie ad un’esperienza di volontariato nel campo profughi di Madaba, in Giordania, alla quale è seguito un periodo di tirocinio presso l’Ambasciata d’Italia ad Amman.

L’impostazione generale della ricerca, oltre alle ragioni profonde per decidere di affrontarla, risente evidentemente di questa matrice originaria e dell’esplicita volontà di ricavarne dati e materiali con una precisa ricaduta applicativa.

In questo senso si può ipotizzare che sia propedeutica ad una più ampia ricerca

“Evidence-Based”, coinvolgendo più soggetti istituzionali e partner come meglio

sarà indicato nelle considerazioni conclusive.

Nel primo capitolo s’illustrano gli aspetti più generali del fenomeno migratorio minorile, ritenuto la cornice necessaria non solo per comprendere quanto sta accadendo nella realtà, ma anche come elemento programmaticamente indispensabile per gli stessi operatori che, a vario titolo, devono attuare una presa in carico dei minori stranieri non accompagnati.

Si delinea il quadro normativo sovranazionale di riferimento, mostrando il percorso che ha condotto alla Convenzione di New York del 1989, dalla quale hanno preso spunto i successivi atti normativi europei e nazionali.

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7

Si fornisce, inoltre, una definizione del fenomeno migratorio minorile e della relativa normativa, delineando alcune caratteristiche ridondanti secondo la stessa esperienza in Giordania.

L’obiettivo del focus sul Regno Hashemita è una promessa. Incontrare bambini siriani ed iracheni, fuggiti dalla guerra, anima “la curiosità investigativa”, spinge a raccontare. Agli operatori, ai volontari e a tutte le persone che incontrate in Giordania in questi mesi, ho promesso che avrei parlato di loro per far capire cosa accade in quella parte del mondo.

Nel secondo capitolo si approfondiscono i dati statistici e le principali procedure d’accoglienza in Italia, per avere un quadro generale affinché si possa avere contezza delle dimensioni delineate. Quello dei MSNA è stato un flusso in costante crescita, almeno fino al 2016, la cui esatta rilevazione è resa difficile dalla forte mobilità nello spazio e nel tempo.

Al 30 giugno 2018 è stata registrata una diminuzione del 26,4% di MSNA presenti in Italia rispetto allo stesso periodo di rilevazione dell’anno precedente.

Il legislatore italiano ha fronteggiato il fenomeno con interventi che potremmo defi-nire di carattere emergenziale, almeno fino all’entrata in vigore della Legge 47/2017. Peraltro, il trattamento dei MSNA è, il compromesso tra due legislazioni che hanno obiettivi, ratio e premesse socioculturali per lo più agli antipodi: la legislazione mi-norile, improntata su principi di protezione e sostegno, e quella sugli stranieri, nata come legislazione di pubblica sicurezza.

Nel secondo capitolo, appunto, si terranno in considerazione tutti questi aspetti per condurre un’analisi analitica sulla normativa nazionale in materia.

Nel terzo capitolo si delinea l’impalcatura complessiva della ricerca condotta, facendo riferimento ad alcune premesse metodologiche, agli aspetti contestuali dove si è svolta e sottolineando la scelta di un approccio quali-quantitativo.

Vengono presentate modalità e aspetti del lavoro con gli operatori intervistati nel contesto toscano, contestualmente si fa anche cenno ad alcuni elementi del supporto e dell’intervento più adeguato, soprattutto per le situazioni di maggiore vulnerabilità. In questo capitolo viene illustrato lo studio realizzato in 3 strutture ospitanti MSNA, concentrando l’analisi sulle loro potenzialità, alla luce delle criticità emerse dalla parziale implementazione della Legge 47/2017.

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8

La valutazione della normativa è partecipata, chiama in causa direttamente tutti gli operatori delle strutture coinvolte e offre uno spunto di riflessione sulla prassi generalmente seguita, in assenza di strumenti giuridici idonei a garantire il best

interest per il minore.

Infine si è riservato un quarto capitolo in merito alle considerazioni conclusive, alla luce sia del materiale raccolto durante la ricerca, che di ipotesi su eventuali ricerche informali che possano studiare quei contesti in cui non è facile avere contezza della dimensione del fenomeno migratorio minorile. In conclusione, si è sviluppata una sezione per ripercorrere i principali punti emersi dall’analisi delle disposizioni normative sovranazionali e nazionali, anche alla luce degli ultimi interventi normativi (Decreto legge 113/2018). Si espone in questo ultimo capitolo che determinate buone pratiche, la collaborazione tra diversi soggetti pubblici, collettivi e individuali, nella concezione generale e nelle prospettive d’intervento per i MSNA, permettono di tenere sempre alta l’attenzione su questa particolare categoria di

(10)

9

CAPITOLO

1

I

MINORI

STRANIERI

NON

ACCOMPAGNATI

Lunga lunghissima sia questa strada Dovunque porti, dovunque vada Giorni con notti, paura, coraggio Lungo lunghissimo sia questo viaggio Partire presto, tornare tardi Dietro i ricordi, davanti gli sguardi Che non arrivino mai fino in fondo Perché c’è sempre più mondo.1

1.1 Il fenomeno migratorio minorile

«Viaggiavo con i miei fratelli, ma ci siamo persi di vista. Il più grande, che ha

diciotto anni, si trova in Germania, l’altro in Austria. Non so come raggiungerli e non voglio che loro passino dei guai per colpa mia. Dicono che non posso viaggiare legalmente, così non mi resta che “il gioco”».

Questo è un estratto del racconto di un ragazzino dodicenne di origine afgana, assistito dall’équipe di Medici Senza Frontiere (MSF) in Serbia.

L’ONG ha pubblicato, abbastanza recentemente, un Report2 dal titolo disarmante:

“Games of violence”3, una denuncia delle violenze e degli abusi subiti dai giovani

migranti alle frontiere dell’Europa orientale.

1 TOGNOLI BRUNO, Filastrocca viaggiatrice, da Rima rimani. Cinquantuno filastrocche, Salani, 2002.

2 MÉDECINS SANS FRONTIÈRES, Serbia. Games of violence. Unaccompanied children and young

people repeatedly abused by EU member state border authorities, 2017. Disponibile in

http://www.msf.org/en/article/balkans-children-repeatedly-abused-border-authorities.

3 Il titolo del Report sviluppa un’analogia tra la rotta migratoria e un “tragico gioco dell’oca”, in cui non appena attraversato il confine, i minori fermati vengono rispediti alla “casella di partenza”.

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10

Dal Report si evince che nei primi sei mesi del 2017 il 92% dei bambini e dei ragazzi, che si sono recati nelle cliniche preposte alla salute mentale dell’organizzazione, racconta di aver subìto violenza fisica (bastonature, ferite da taglio, deprivazione di acqua e cibo).

Nei loro resoconti, i piccoli migranti non accompagnati indicano come responsabili le autorità e la polizia di frontiera dell’Ue, precisamente della Bulgaria, dell’Ungheria e della Croazia.

Gli scenari ricostruiti sono molto simili tra loro, quasi sempre si parla di percosse, morsi di cani e uso di spray urticanti: «Sono stato fermato dalla polizia croata, ero

vicino al confine con la Slovenia. Mi hanno picchiato a lungo. Poi mi hanno costretto a togliermi tutti i vestiti, faceva molto freddo. Poi mi hanno caricato in macchina e mi hanno riportato in Serbia».

Il Dott. Andrea Contenta, responsabile Affari umanitari di MSF in Serbia, ha mosso una critica di non poco conto nei confronti dei Paesi coinvolti nella violazione dei diritti umani, ma anche, e soprattutto, nei confronti dell’intera Unione: «È

vergognoso che alcuni Stati membri dell’Ue stiano intenzionalmente usando la violenza per impedire a bambini e ragazzi di cercare asilo nell’Unione europea. In questo modo, l’unico effetto è di causare seri danni sia fisici sia psicologici, rendendo questi ragazzi ancora più vulnerabili e spingendoli nelle mani dei trafficanti che l’Ue e gli Stati membri dichiarano di voler combattere. Non sappiamo quante persone abbiano perso la vita durante l’attraversamento dei Balcani, ma è evidente che i più vulnerabili sono coloro che si assumono i rischi maggiori».

Livelli di violenza così elevati possono anche causare la morte d’innocenti, infatti il rapporto di MSF ne censisce 78, tra gennaio e giugno 2017, sulle spiagge turche ed ai confini dell’Europa (Ungheria, Serbia, Croazia).

È arduo avere dati precisi sul numero di minori migranti soli e richiedenti asilo che sono stati bloccati lungo la rotta balcanica, ma secondo le stime di Medici Senza Frontiere, più della metà delle 2.500 persone registrate nei campi profughi ufficiali, in Serbia, lo erano.

Di questi, circa 700 erano minori stranieri non accompagnati o minori che avevano perso i contatti con i loro familiari lungo il viaggio. Eppure questi dati non sono esaustivi, poiché non tengono conto di quanti minori vivessero in accampamenti c.d. “informali”.

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Di fronte alla mancanza di canali d’ingresso legali non restava, e probabilmente non resta, che tentare con “The game”, il gioco, come recita il Report: provare la sorte, lanciare il dado e sperare nel meglio.

L’immigrazione non è solo una questione di movimenti di popolazioni, ma è un fenomeno molto più articolato, nel quale intervengono soggetti attivi del processo migratorio, gli Stati riceventi, la società accogliente e gli Stati di origine4. Nel

complesso i migranti hanno rappresentano nel 2017, più del 3% della popolazione mondiale, circa 253 milioni di persone.

Questi numeri tuttavia occultano un fenomeno particolarmente eterogeneo e differenziato, la cui spiegazione non sarebbe esauriente se non si valutassero i fattori

dissimili che la compongono e che sono in continua evoluzione. Come le motivazioni che spingono le persone a spostarsi dal proprio Paese, i c.d.

push factors, alle ragioni per cui si sceglie un Paese rispetto ad un altro, i c.d. pull factors5.

Eterogenei sono anche i soggetti protagonisti del fenomeno migratorio: non solo persone costrette a spostarsi oppure alla ricerca di modesti lavori manuali, ma anche soggetti qualificati, in possesso di competenze intellettuali, professionali, imprenditoriali, oggi oggetto di specifiche politiche di reclutamento all’estero.

Infine, nel quadro generale dei processi migratori s’inserisce il movimento migratorio minorile, da analizzare avendo a mente la sua natura strutturale e la sua continua trasformazione.

Più specificatamente queste trasformazioni riguardano le nazionalità di appartenenza dei minori, le loro caratteristiche anagrafiche, i loro percorsi migratori e d’inserimento, le motivazioni delle migrazioni, le difficoltà, i desideri, i luoghi che

4 Sul punto si veda AMBROSINI M., Richiesti e respinti. L’immigrazione in Italia, come e perché. Il Saggiatore, Milano, 2010.

5 There are many economic, social and psychical reasons why people emigrate and they can usually

be classified into push and pull factors. Push factors are those associated with the area of origin and pull factors are those that are associated with the area of destination. Economic reasons loom large in all human movements, but are particularly important with regards to migration (more jobs, better jobs, higher wages, the promise of a “better life”). Sometimes this is encouraged by the destination country. Economic push factors tend to be the exact reversal of the pull factors: over population, few job, low wages. This lack of economic opportunity tends to push people look for their futures outside the area of their origin. Also social and physical reasons tend to involve forced migration. On one hand as pull factors we have principles of religious tolerance, on the other hand intolerance towards a certain cultural group and active religious persecution are under the push ones. Sul punto si veda

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12

prediligono come meta, le strutture alle quali sono affidati o cui si affidano, oppure no, siano esse istituzionali o meno.

Questa categoria di soggetti, che per le sue caratteristiche richiede un elevato livello di protezione e tutele, è costituita da minori stranieri che viaggiano senza essere accompagnati dai propri genitori o da qualcuno che sia per loro legalmente responsabile.

Bisogna considerare le migrazioni dei minori stranieri non accompagnati (da qui in poi denominati MSNA) come migrazioni speciali, giacché si tratta di categorie di soggetti sottoposti a tutela particolare poiché non espellibili.

Trattare semplicemente di MSNA è alquanto riduttivo, poiché, da una parte, a livello internazionale le definizioni date a questa categoria sono varie, dall’altra all’interno di quello che in linea di massima può definirsi un genus, sono presenti varie species: i minori richiedenti asilo, chi cerca di varcare le frontiere in compagnia di soggetti che non fanno parte della schiera dei propri parenti - si prevede che si possa definire minore non accompagnato quello che si presenta con un adulto legato a lui da una parentela entro il quarto grado - o minori che varcano le frontiere in ragione del diritto al ricongiungimento familiare, minori che usufruiscono della protezione temporanea in quanto provenienti da Paesi colpiti da guerre civili, carestie o catastrofi ecologiche.

È evidente che si tratta di un’ampia categoria di soggetti, generalmente definiti dalla normativa internazionale come persone al di sotto dei diciotto anni o limiti di età inferiore - a seconda della normativa applicabile nello Stato in cui sono giunti - i quali si trovano al di fuori del loro Paese di origine e sono separati da entrambi i genitori o che non sono accompagnati o accuditi da un adulto che sia responsabile per loro6.

Un richiamo diretto ai MSNA è presente, tra i tanti, nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1989, baluardo dei diritti dei minori. L’analisi del testo appena citato sarà tema di analisi nel successivo paragrafo, ma vale la pena prenderlo in

6 Cfr. UNHCR, Guidelines on Policies and Procedures in dealing with Unaccompanied Children

Seeking Asylum, Geneva, February 1997, 3.1; UNHCR and Save the Children Alliance in Europe

Separated Children in Europe Programme- Statement of Good Practice, December 1991, (SCE Programme-Statement.) “3.1 An unaccompanied child is a person who is under the age of eighteen

years, unless, under the law applicable to the child, majority is attained earlier and who is separated from both parents and is not being cared for by an adult who by law or custom has responsibility to do so”.

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considerazione sin da adesso nell’ottica di chiarire meglio l’oggetto di questa dissertazione.

Dalla lettura in combinato disposto degli artt. 1 e 22 della Convenzione, si ricava una definizione in linea con quella precedentemente fornita.

Rispettivamente l’art. 1 definisce ciò che s’intende per minore e di conseguenza i soggetti cui si applica la Convenzione stessa:

“Ai sensi della presente Convenzione si intende per fanciullo ogni essere umano avente un’età inferiore a diciott’anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile”.

Non appena definito cosa si intende per minore, la Convenzione all’art. 22 si rivolge ai ragazzi richiedenti asilo7ed estende la copertura di tutela anche ad essi,

confermando il loro diritto a beneficiare della protezione degli Stati a prescindere dal fatto che si presentino soli o accompagnati da un solo genitore o da altri soggetti8.

7 Riguardo alle procedure umanitarie da applicare a questa categoria di soggetti si chiarisce che la priorità è quella di identificare i ragazzi non accompagnati, avendo cura di tenere uniti i fratelli. Di norma, prima si dovrebbero cercare i genitori, in seconda battuta gli eventuali parenti o la comunità di provenienza. Anche se in situazioni particolarmente critiche può essere difficile rintracciare la famiglia di un minore non accompagnato, il Rapporto Machel raccomanda di non dichiarare adottabili questi ragazzi, almeno fino a quando non siano stati compiuti tutti gli sforzi per rintracciarne parenti o amici. Tale indicazione, del resto, è contenuta anche nella Convenzione sulla Protezione del Bambino e Cooperazione Rispetto all’Adozione Internazionale, siglata all’Aia il 29 Maggio 1993. Sul punto si veda Rapporto Machel, Sugli effetti dei conflitti sui bambini, 1996.

8 Cfr. Art. 22 della Convenzione sui diritti dell’infanzia, 20 novembre 1989, New York:

1 Gli Stati parti adottano misure adeguate affinché il fanciullo il quale cerca di ottenere lo statuto di rifugiato, oppure è considerato come rifugiato ai sensi delle regole e delle procedure del diritto internazionale o nazionale applicabile, solo o accompagnato dal padre o dalla madre o da ogni altra persona, possa beneficiare della protezione e della assistenza umanitaria necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli sono riconosciuti della presente Convenzione e dagli altri strumenti internazionali relativi ai diritti dell’uomo o di natura umanitaria di cui detti Stati sono parti.

2. A tal fine, gli Stati parti collaborano, nelle forme giudicate necessarie, a tutti gli sforzi compiuti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e dalle altre organizzazioni intergovernative o non governative competenti che collaborano con l’Organizzazione delle Nazioni Unite, per proteggere e aiutare i fanciulli che si trovano in tale situazione e per ricercare i genitori o altri familiari di ogni fanciullo rifugiato al fine di ottenere le informazioni necessarie per ricongiungerlo alla sua famiglia. Se il padre, la madre o ogni altro familiare sono irreperibili, al fanciullo sarà concessa, secondo i principi enunciati nella presente Convenzione, la stessa protezione di quella di ogni altro fanciullo definitivamente oppure temporaneamente privato del suo ambiente familiare per qualunque motivo.

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1.1.2 Le principali motivazioni delle migrazioni minorili

I motivi che spingono i minori a fuggire dal proprio Paese d’origine, i c.d. push

factors, e quelli che invece li spingono a entrare nell’Unione europea, i c.d. pull factors, non sono del tutto chiari.

La realizzazione di una panoramica esaustiva delle motivazioni è complessa, giacché le cause sono molteplici e di difficile identificazione. Analizzando i moti migratori dei MSNA è opportuno tenere in considerazione sia la componente oggettiva delle cause che spingono a migrare sia la componente soggettiva. È semplice individuare in condizioni economiche svantaggiose, situazioni di degrado sociale o guerre le ragioni (oggettive) principali dei moti migratori, ma non basta. È necessario considerare anche il background familiare dei soggetti che decidono di muoversi, poiché questo è decisivo al pari delle ragioni oggettive sopra elencate.

Spesso può risultare complicato raccogliere tutte le ragioni che spingono i MSNA a lasciare il proprio Paese d’origine, soprattutto se molto piccoli o se affetti da traumi9.

I minori possono essere anche riluttanti a esporre le proprie motivazioni per paura delle conseguenze che potrebbero generarsi.

Ad esempio, molti desiderano iniziare a lavorare e guadagnare le c.d. remittances da inviare alle famiglie, per cui l’identificazione e il rilascio delle impronte digitali nel primo Paese d’ingresso comporterebbe l’inserimento del minore in una struttura di accoglienza, vanificando così il percorso prestabilito da se stesso o dalla famiglia. In generale all’interno del fenomeno migratorio minorile vanno considerate oltre alle condizioni economiche precarie, anche la ricerca di nuovi modelli o stili di vita; difatti il migrare diviene una sorta di “diritto alla fuga”.

Spesso e volentieri i minori scappano dai contesti in cui si trovano sulla base delle informazioni recepite dai mass media o dai racconti di altri migranti che hanno fatto ritorno a casa.

Il più delle volte il progetto migratorio è elaborato nello stesso ambiente familiare, in cui la precarietà economica porta “all’adultizzazione” del minore.

9Cfr. European Migration Network, Policies, practices and data on unaccompanied minors in the EU

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I ragazzi in tali situazioni debbono “dare il loro contributo” al sostentamento economico familiare e questo li conduce alla decisione radicale di partire.

Non è un caso che spesso la scelta del minore sia condivisa dal resto dei familiari, i quali forniscono ai ragazzi la base economica per intraprendere il viaggio. Tale fenomeno ha più ampia diffusione tra i giovani migranti, perché la famiglia desidera sottrarli ai pericoli che gli riserverebbe il loro Paese d’origine.

Quando, invece, si tratta di minori non accompagnati meno giovani la scelta di migrare spesso non è condivisa, ma si tratta di una decisione autonoma che talvolta non è neanche comunicata, ciò comporta una non rintracciabilità della famiglia di origine nonché dei problemi per le procedure di rimpatrio assistito.

È questo il momento di analizzare con più attenzione quelli che sono i motivi che spingono questi soggetti a “staccarsi” dalla loro realtà, dalle loro famiglie e dai loro affetti per cercare “fortuna” o riparo in un altro Paese, con abitudini e cultura spesso distanti da quelle di origine.

Tra i push factors possono essere annoverati: persecuzioni, guerre, conflitti e le pressioni familiari10. Nei primi tre casi si tratta di minori forzati a lasciare il loro

Paese, spesso senza una destinazione chiara, che si trovano a fare il “percorso a tentoni”. Nel quarto caso, come si è già detto, sono le famiglie che sostengono e spingono il minore ad allontanarsi nella speranza di un futuro migliore.

Tra i pull factors, invece, si inserisce l’attrazione verso nuovi stili di vita, nuovi modelli comportamentali pubblicizzati e la destrutturazione sociale: i ragazzi sono spinti a partire anche per emulare la scelta dei membri della propria famiglia o degli amici.

Vi è poi un altro aspetto intrinseco ai pull factors, collegato alla precarietà del sistema educativo nazionale e alla possibilità di migliorare, nel Paese di arrivo, le c.d.

educational skills. Spesso i genitori dei MSNA spingono i propri figli ad emigrare,

nella speranza che possano conseguire quella formazione a cui non avrebbero avuto accesso nel Paese d’origine.

10 A tal proposito vedi l’analisi di GIOVANNETTI M., Storie minori. Percorsi di accoglienza ed

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Secondo Bosisio11 i minori non percepiscono l’istruzione né come valore in sé, né un

diritto fondamentale, né un mezzo utile all’emancipazione; anzi, in molti casi rappresenta un ostacolo che impedisce loro di cogliere le rare opportunità di occupazione lavorativa che si presentano, peraltro poco qualificate e per le quali non occorre un titolo di studio.

Tali minori sanno che vi è l’obbligo scolastico all’interno del loro Paese ma quest’obbligo è solitamente disatteso.

Una volta giunti in Italia, e dopo aver appreso l’importanza di un titolo di studio per accedere al mondo del lavoro, decidono di riprendere gli studi, rinunciando al lavoro e contravvenendo alle loro aspirazioni.

Non va tuttavia trascurata la difficoltà con la quale il minore accetta di rimandare l’ingresso nel mercato del lavoro per studiare.

In questi casi avviene una sorta di scollamento tra ciò che si potrebbe definire in

astratto (l’istruzione) e ciò che invece è rivendicato come un diritto in concreto (il

lavoro) in ragione della situazione contingente che si sta vivendo. In altre parole, si rileva un divario tra quelli che teoricamente i giovani migranti ritengono dovrebbero essere i bisogni dei ragazzi della loro età e quelli che dicono essere i bisogni in concreto, con riferimento al contesto sociale, economico e culturale del Paese di origine.

Il filo rosso che unisce tutti i moti migratori è la ricerca di un futuro migliore, purtroppo l’aspettativa rischia spesso di essere disattesa.

Le categorie riportate di seguito sono frutto di una distinzione elaborata da Campani, Lapov e Carchedi12, sulla base delle caratteristiche dei minori stranieri non

accompagnati giunti in Italia:

 minori che giungono in Italia per ricongiungersi ai propri genitori, i quali non hanno spesso i requisiti per avviare le procedure finalizzate al ricongiungimento familiare regolare (i c.d. minori stranieri non

accompagnati parziali);

11Sul punto si veda BOSISIO R., Diritti e bisogni dei giovani migranti. Una ricerca empirica sulle

opinioni e percezioni dei minori stranieri non accompagnati, in Materiali per una storia della cultura giuridica, Il Mulino, Bologna, 2011, p. 240.

12 Sul punto si veda CAMPANI G., LAPOV Z., CARCHEDI F., Le esperienze ignorate. Giovani

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 minori sfruttati da organizzazioni criminali legate quindi a prostituzione, accattonaggio, lavoro minorile, trasporto o spaccio di stupefacenti, spesso anche con il consenso della famiglia di origine;

 minori che arrivano in Italia illegalmente e per motivi lavorativi utilizzando i canali di traffico gestiti dalla malavita organizzata, e che arrivano con uno specifico progetto migratorio-economico dovendo aiutare la famiglia a pagare il debito contratto per farli partire;

 minori richiedenti asilo o richiedenti protezione umanitaria o temporanea. Sono molti coloro che si sono occupati del tema, tra gli altri Monia Giovannetti13, la

quale nel 2008 ha individuato ulteriori 4 categorie, che offrono una visione d’insieme per studiare in maniera approfondita il fenomeno.

Del primo gruppo ne fanno parte quei minori che fuggono da guerre o violenze, tendenzialmente in questo caso il Paese d’arrivo è casuale e il progetto migratorio non è ben disegnato o prestabilito.

Nel secondo gruppo si rintracciano quei minori alla ricerca di opportunità lavorative, spesso partiti per volere dei genitori e condizionati dalle esperienze precedenti di familiari e conoscenti14.

Del terzo gruppo ne fanno parte quei minori che non fuggono, ma partono per sperimentare “nuovi modelli e stili di vita”. Anche in questo caso, come quello precedente, le esperienze di altri emigrati o semplicemente i media influenzano il minore.

Infine, il quarto e ultimo gruppo è rappresentato da quei minori che partono per una “destrutturazione sociale”, ossia si suppone che i minori siano spinti a partire per l’assenza di altri coetanei nel Paese d’origine e questo svuotamento fa sì che quelli si sentano obbligati a partire.

Le scelte migratorie dei soggetti in questione non sono azzardate, bensì questi ragazzi e ragazze hanno compiuto valutazioni razionali, in senso lato, suggerite da

13 Sul punto si veda GIOVANNETTI M.,L’accoglienza incompiuta. Le politiche dei comuni italiani

verso un sistema di protezione nazionale per i minori stranieri non accompagnati, Studi e ricerche

Anci, il Mulino, Bologna, 2008.

14 Cfr. l’Art. 32 della Convention on the Rights of the Child (CRC) afferma che gli Stati parti: riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale.

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una complessa presenza simultanea di fattori economici, di particolari condizioni di vita, d’instabili contesti politico-sociali e di una inarrestabile speranza.

Tra i vari approcci utilizzati dalle ultime ricerche sul tema delle migrazioni minorili, quello più “pragmatico” dà una lettura del fenomeno non come una forced migration, bensì rileva quanto i minori stranieri non accompagnati siano grands enfants, non solo dal punto di vista anagrafico, ma soprattutto perché quasi tutti hanno raggiunto un elevato grado di autonomia e di senso di responsabilità15.

A questo proposito, mentre nei Paesi “ricchi” il periodo che precede il raggiungimento dell’età adulta si è ampiamente dilatato - con la conseguente posticipazione del momento dell’assunzione di responsabilità e della piena acquisizione dell’autonomia - al contrario, in quelli più “poveri” la rappresentazione della minore età è spesso sconosciuta, giacché si assiste a un processo di adultizzazione precoce, che accorcia il tempo dell’infanzia e non conosce l’adolescenza perché la povertà costringe a crescere in fretta e «cancella i diritti dei minori»16.

Inoltre laddove si sperimenti quotidianamente una situazione d’incertezza causata dalla precarietà dei contesti politico o economico, oppure entrambi, la percezione del rischio è diversa rispetto a quella dei Paesi affluenti.

Pertanto l’emigrazione non è ritenuta più difficile o rischiosa della vita presente o del futuro che si prospetta “a casa propria”.

La maturità, il senso di responsabilità e la cultura di riferimento dei minori migranti non devono far dimenticare che l’emigrazione è sempre un’esperienza difficile che comporta una «ridefinizione spesso radicale dei legami sociali e delle appartenenze culturali», in particolare quando a viverla sono soggetti di minore età che, per di più, si muovono da soli17 e si trovano in una fase della vita particolarmente delicata,

perché coincidente con il periodo di costruzione e rafforzamento dell’identità.

15Cfr. AZZARI O., SALIMBENI O., Il minore straniero non accompagnato. Definizioni e legislazione

internazionale, in CAMPANI G., SALIMBENI O., (a cura di), La fortezza e i ragazzi. La situazione dei minori stranieri in Europa, ed. Franco Angeli, Milano, 2006, pp. 15-34.

16 Ibidem, p. 10.

17 Sul punto si veda MELOSSI D., DE GIORGI A., MASSA E., Minori stranieri tra conflitto

normativo e devianza: la seconda generazione si confessa?, in Sociologia del diritto, Volume 2,

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È inevitabile che i MSNA, pur avendo deciso di lasciare il proprio Paese perché motivati da un forte senso del dovere e di responsabilità verso i propri familiari, soffrano per il distacco dalla famiglia.

Un aspetto indicativo è la mancanza di piena autonomia dei MSNA anche in assenza della famiglia, poiché devono rispettare “un mandato familiare”. Certamente, laddove sia possibile, i minori mantengono regolari rapporti telefonici con la famiglia, che continua a esercitare una forma di controllo, d’influenza e di “guida a distanza”.

Il minore, quindi, in questa particolare situazione di “solitudine” affronta l’esperienza e la permanenza in Italia in una condizione di precarietà e incertezza, tanto per la possibilità di rimanere nel nostro Paese, quanto per la possibilità d’inserimento professionale.

Secondo il “Commento Genarale n. 6 del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia: “i

bambini non accompagnati e separati dalle loro famiglie in un Paese che non sia il loro Paese di origine sono particolarmente vulnerabili a sfruttamento e ad abusi. Le bambine sono particolarmente a rischio di cadere vittime del traffico, anche a fini di sfruttamento sessuale” 18.

Quanto appena citato offre un successivo spunto di analisi per la lettura del paragrafo 56 del Commento Generale, laddove si analizza la categoria rappresentata dai bambini soldato: ex combattenti che alla fine del conflitto o a seguito di una fuga si trovano non accompagnati e separati dalle proprie famiglie.

Secondo le disposizioni contenute nel Commento questi bambini: “devono poter

ricevere tutti i servizi di sostegno necessari a consentire loro un reinserimento nella vita normale, inclusa la necessaria assistenza psico-sociale. Questi bambini devono essere identificati e smobilitati, prioritariamente, durante ogni operazione di identificazione e di separazione. I bambini soldato, in particolare quelli non accompagnati e separati dalle loro famiglie, non dovrebbero essere internati, ma piuttosto beneficiare di misure speciali di protezione e di assistenza, riguardanti la smobilitazione e la riabilitazione. Degli sforzi particolari devono essere compiuti per

18 (COMITATO SUI DIRITTI DELL’INFANZIA CRC/GC/2005/6 Trentanovesima sessione 3 giugno 2005 COMMENTO GENERALE N. 6 Trattamento dei bambini separati dalle proprie famiglie e non

accompagnati, fuori dal loro paese d’origine,

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20

provvedere al supporto e facilitare la reintegrazione delle bambine che sono state arruolate nelle unità armate, sia in qualità di combattenti che in altri ruoli”19.

A proposito di tale argomento, l’Italia ha ratificato il Protocollo Opzionale alla Convenzione dei diritti del fanciullo concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati (Optional Protocol on Children in Armed Conflict)20, con la Legge 46

dell’11 marzo 200221.

Due anni dopo la ratifica, nel maggio del 2004, il Comitato Interministeriale dei Diritti Umani (CIDU) del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha inviato il Primo Rapporto sullo stato di attuazione del Protocollo. Le Osservazioni conclusive, rese note dal Comitato ONU il 2 giugno 200622 e

relative all’esame del Primo Rapporto governativo, hanno mostrato un quadro d’insieme per niente positivo23.

Dopo quasi quindici anni dal Primo Rapporto, l’Italia continua a non fare abbastanza per la realizzazione effettiva del dettato normativo. Il seguente paragrafo e il successivo capitolo chiariranno e definiranno quel frame normativo entro cui definire la categoria di MSNA. L’analisi partirà da una’ ottica macro, giacché si analizzerà la normativa internazionale per poi giungere a quella nazionale.

19 Se in certe circostanze, la detenzione in via eccezionale di un bambino soldato di età superiore ai 15 anni si dimostri inevitabile, in conformità con le norme internazionali sui diritti umani e sul diritto internazionale umanitario, ad esempio, nei casi in cui rappresenti un concreto pericolo per la sicurezza, le condizioni di detenzione dovrebbero essere conformi agli standard internazionale (compreso l’articolo 37 della Convenzione e quelli riguardanti la giustizia minorile) e non dovrebbero compromettere i tentativi di ricostruire il suo vissuto individuale e di garantire la sua partecipazione ai programmi di riabilitazione.

20 Testo disponibile in inglese all’indirizzo: http://www.ohchr.org/EN/pages/home.aspx. 21 Reperibile in http://www.camera.it/parlam/leggi/02046l.htm.

22 Le successive informazioni relative all’applicazione dell’OPAC in Italia dovranno essere inserite nel Rapporto periodico sullo stato di attuazione della CRC, che il Governo italiano deve inviare ogni 5 anni al Comitato ONU.

23 Il Comitato ONU ai punti 70 e 71 ha espresso la propria preoccupazione in merito alla mancata applicazione delle precedenti raccomandazioni (CR/C/OPAC/ITA/CO/1, par. 12) e (CR/C/OPAC/ITA/CO/1, par.. 11). Al punto 72 il Comitato reiterava le precedenti raccomandazioni e sollecitava l’Italia affinché intensificasse l’impegno nell’applicazione del Protocollo opzionale. Il Rapporto del 2016, oltre a ribadire quanto già indicato all’Italia negli anni precedenti, raccomanda: al Governo di vigilare ed adoperarsi affinché sia vietata ogni forma di aiuto militare (ivi compresa l’esportazione di armi) ai Paesi che utilizzano i minori nei conflitti ed al Parlamento di rendere più rigorosa la normativa in materia di esportazioni e transazioni di armamenti.

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1.2 La galassia dei diritti dei minori stranieri non accompagnati: la

normativa internazionale

I diritti dei minori rientrano a pieno titolo nell’aquis dei diritti fondamentali dell’uomo La comunità internazionale si è mostrata sensibile nei confronti dei diritti dei minori, in ragione della loro vulnerabilità. Difatti si prevedono degli obblighi nei confronti degli ordinamenti nazionali proprio con il fine di garantire il più elevato grado di tutela possibile.

Il primo testo che prende in considerazione tale tema è la Convenzione sull’età

minima adottata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel 1919. Si tratta di un

documento in cui i diritti riconosciuti ai bambini erano prettamente di natura assistenzialistica e prendevano in considerazione le necessità materiali dei soggetti, in linea con il pensiero dell’epoca.

Nel 1924 la Quinta Assemblea Generale della Società delle Nazioni, anche in ragione delle conseguenze della Prima guerra Mondiale, adottò una successiva normativa: la

Dichiarazione dei diritti del fanciullo, conosciuta anche come Dichiarazione di Ginevra24. Si tratta di un breve testo, basato su una precedente formulazione del

1923, redatta da una volontaria della Croce Rossa25 che nel 1919 aveva fondato la

ONG Save the Children. La Dichiarazione rappresentava il primo tentativo di redigere uno statuto dei diritti dei minori, enunciandone alcuni fondamentali, per un adeguato sviluppo umano26.

24 Secondo la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, comunemente nota come la Dichiarazione di Ginevra, uomini e donne di tutte le nazioni, riconoscendo che l'umanità deve offrire al fanciullo quanto di meglio possiede, dichiarano ed accettano come loro dovere che, oltre e al di là di ogni considerazione di razza, nazionalità e credo:

1. Al fanciullo si devono dare i mezzi necessari al suo normale sviluppo, sia materiale che spirituale. 2. Il fanciullo che ha fame deve essere nutrito; il fanciullo malato deve essere curato; il fanciullo il cui sviluppo è arretrato deve essere aiutato; il minore delinquente deve essere recuperato; l'orfano ed il trovatello devono essere ospitati e soccorsi.

3. Il fanciullo deve essere il primo a ricevere assistenza in tempo di miseria.

4. Il fanciullo deve essere messo in condizioni di guadagnarsi da vivere e deve essere protetto contro ogni forma di sfruttamento.

5. Il fanciullo deve essere allevato nella consapevolezza che i suoi talenti vanno messi al servizio degli altri uomini.

Reperibile al seguente link: http:www.savethechildren.it/f/download/CRC/Co/Convenzione_1924.pdf. 25 Reperibile in http://www.unicef.it/doc/595/tappe-storiche-convenzione-diritti-infanzia.htm.

26 La Dichiarazione impegna l’umanità a riconoscere ed offrire al fanciullo quanto di meglio possiede, dichiarando ed accettando, senza discriminazioni di razza, nazionalità e credo.

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La Dichiarazione si fondava su cinque principi che prevedevano, ancora una volta, una tutela di tipo assistenzialista, confermando il suo essere un soggetto passivo dei diritti riconosciutigli. Di fatti non si prevedevano obblighi precisi in capo agli Stati, ma era l’umanità intera che era chiamata ad adoperarsi27.

Dalla metà del Novecento il minore iniziò ad essere considerato come il titolare diretto di tutele e meritevole di specifiche attenzioni in virtù del suo particolare

status, veniva a mancare l’aspetto di soggetto passivo sin qui descritto.

È in tale ottica che fu rilevata la necessità di garantire al minore la titolarità dei diritti e la loro tutela, attraverso l’adozione di una serie di documenti di calibro internazionale.

Con tali presupposti nel 1948 si arrivò alla stesura della Dichiarazione universale dei

diritti umani: le conseguenze del secondo conflitto mondiale pendevano sulla

coscienza dell’intera Comunità Internazionale28.

Nella Dichiarazione s’insistette sulla tutela dei diritti umani, intesi come i “diritti di tutti i giorni” senza i quali un essere umano non avrebbe potuto vivere e nemmeno svilupparsi in quanto tale, motivo per cui dovevano essere garantiti a tutti: “senza

distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità” (art. 2).

Per ciò che in questa sede si rileva, va sottolineato che, nonostante non ci siano riferimenti specifici alla condizione dei minori, i diritti elencati nella Dichiarazione siano a pieno titolo riconoscibili anche ai bambini.

I minori, per quanto abbiano bisogno di un quid pluris rispetto agli adulti, in questo caso si son visti riconoscere situazioni giuridiche soggettive importanti quali: libertà dalla tortura e protezione da trattamenti inumani e degradanti (art. 5), diritto a non essere discriminati e all’eguaglianza davanti alla legge (art. 7), libertà di movimento (art. 13), diritto di asilo (art. 14), diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire

27 Il testo venne recepito prima dall’Unione Internazionale per il soccorso all’Infanzia e successivamente adottato all’unanimità dalla SdN.

28 Sulla questione, cfr. CALAMIA A. M., DI FILIPPO M., GESTRI M., (a cura di), Immigrazione,

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23

salute e benessere (art. 25), diritto alla libertà di pensiero e di coscienza (artt. 18 e 19) diritto all’istruzione (art. 26).

Dal 1949, nell’ordinamento giuridico internazionale, il minore separato, non accompagnato o che si trovava in situazioni di pericolo è stato tutelato soprattutto attraverso l’art. 24 della Quarta Convenzione di Ginevra, in relazione alla protezione dei civili in tempo di guerra e alle misure volte a tutelare il benessere del minore. Il motivo per cui fu redatto l’articolo 24 è da associare ai traumatici eventi della Seconda Guerra Mondiale, in particolare i conflitti armati, i raid aerei e le deportazioni di massa costrinsero migliaia di bambini a separarsi dai propri genitori. Talvolta il minore privo di documenti, troppo piccolo per dichiarare la propria identità, non era in grado di dimostrare la propria condizione, si trovava quindi nell’impossibilità di ricongiungersi alla propria famiglia.

Gli Stati decisero di scrivere delle regole per tutelare e proteggere il minore non accompagnato o separato, ed evitare che la condizione di mancata tutela si riproponesse nei futuri conflitti.

Si ricorda, infatti all’art. 24 della Convenzione che “Le Parti belligeranti

prenderanno le misure necessarie affinché i fanciulli d’età inferiore ai quindici anni, divenuti orfani o separati dalla loro famiglia a cagione della guerra, non siano abbandonati a se stessi e siano facilitati, in ogni circostanza, il loro sostentamento, l’esercizio della loro religione e la loro educazione”.

Si noti, tra l’altro, che gli Stati parte s’impegnavano affinché fosse difeso il diritto al sostentamento e, implicitamente, garantita la necessità di provvedere alla salute del minore.

Proseguendo in una lettura attenta dell’art. 24, par. 2, fulcro dell’intera Convenzione, si riconosce la necessità del minore separato di essere posto sotto le cure di una persona di fiducia, o se non ve ne erano, di essere collocato in centri di accoglienza per bambini.

Su questa scia normativa, dalla fine degli anni ‘40 e per tutti gli anni ‘50 l’azione di organismi specializzati tra cui l’UNESCO, l’OMS e l’OIM fungerà da propulsore normativo.

Difatti un’altra pietra miliare del diritto internazionale è la Convenzione di Ginevra del 1951 riguardante lo status di rifugiato.

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Si è già detto che all’interno del genus minore non accompagnato rientra il minore straniero non accompagnati richiedente asilo.

A loro si applicano sia le norme della Convenzione di New York del 1989 sia della Convenzione di Ginevra del 1951 ed il suo Protocollo addizionale del 1967.

Innanzitutto c’è da chiedersi se e in quale misura la Convenzione di Ginevra del 1951 si applichi ai minori. La risposta è rinvenibile nella lettura dell’art. 1 laddove si definisce che: “Ai fini della presente Convenzione, il termine “rifugiato” si

applicherà a colui che: 2) a seguito di avvenimenti verificatisi anteriormente al 1º Gennaio 1951, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”.

Tale articolo determina il campo di applicazione della Convenzione ed è ragionevole pensare che la definizione di rifugiato possa essere estesa anche ai minori, se poi si pone in relazione con l’art. 2 della Convenzione di New York, noteremo che il campo di applicazione della disposizione si estende a tutti i minori senza distinzione di alcun tipo29.

Nel testo della Convenzione è individuabile una serie di diritti sostanziali per il rifugiato (ma anche doveri) e la discrezionalità concessa agli Stati parte nella determinazione delle procedure per la concessione dello status.

Tale tecnica non costituisce una mancanza, ma rappresenta la volontà di dare particolare forza alla tutela dei rifugiati: se il diritto sostanziale è accuratamente descritto, sarà necessario che lo Stato adotti una procedura per assicurare il risultato. Un esempio di tale tecnica normativa è rappresentato dall’art. 33 della Convenzione del 1951: il principio di non-refoulement, il quale prevede il divieto di respingimento alla frontiera dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

Data questa previsione sostanziale, si crea anche un vincolo a livello procedurale: si assicura al richiedente asilo l’accoglimento nel Paese firmatario e allo stesso tempo si obbliga a inserire tale forma di tutela nelle sue procedure di accoglienza.

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Altro aspetto da tenere in considerazione è l’individualità dello status: il soggetto è titolare dello status solo quando, sulla base degli elementi da lui forniti, è possibile stabilire che è fuggito dal suo Stato di origine per evitare di essere sottoposto a persecuzione in ragione della razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche30.

Esistono delle forme di persecuzione specifiche nei confronti dei minori: l’arruolamento minorile, la tratta infantile e la mutilazione genitale femminile, violenza familiare e domestica, matrimoni forzati o precoci, lavoro minorile vincolato alla restituzione di un debito, lavoro forzato, prostituzione forzata e pornografia infantile31.

Oltre ad accertare che sono in atto azioni persecutorie nel Paese di origine del richiedente asilo e nei confronti del soggetto stesso, è necessario conoscere la nozione di “fondato timore”, così come enunciata nella Convenzione all’art. 1. Per stabilire se davvero il fondato timore sussiste, è necessario che si prendano in considerazione aspetti soggettivi - l’età, la maturità, la personalità del bambino, eventuali traumi psicologici - ed aspetti oggettivi come le condizioni in cui versa di fatto il Paese di origine.

In dottrina vi è la tendenza a individuare due possibili forme di accertamento del

“fondato timore di essere sottoposto a persecuzione”: la prima prevede che sia il

soggetto richiedente asilo a dover provare che, in caso di rientro, vi è la certezza di essere sottoposto a persecuzione; la seconda dispone, invece, che lo Stato che riceve la richiesta si “accontenti” di sapere che le condizioni generali in cui versa lo Stato di origine sono tali da far presumere che qualora rientrasse sarebbe soggetto a persecuzione.

Ciò vorrebbe dire che chi valuta la richiesta di asilo dovrebbe stimare, oltre all’atto persecutorio, quelle che sono le capacità dello Stato di garantire protezione ai suoi cittadini.

Tra i motivi più ricorrenti nelle domande di asilo dei minori vi è l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale.

30 Con la nozione di atto persecutorio, di solito, si intende il rischio di morte, di essere sottoposti ad atti inumani e degradanti.

31 Sul punto si vedano le LINEE GUIDA SULLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE Richieste di

asilo di minori ai sensi degli artt. 1(A) 2 e 1(F) della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del

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Secondo le Linee guida dell’UNHCR “è da considerarsi come gruppo sociale, un

determinato gruppo di persone che condividono una caratteristica comune diversa dal resto della società, e che rischiano di essere perseguitati, o che sono percepite come un gruppo dalla società. Frequentemente la caratteristica in questione sarà innata, immutabile, o altrimenti d’importanza fondamentale per l’identità, la coscienza o l’esercizio dei diritti umani di una persona”32.

Si ritiene che la minore età rientri nel genus “gruppo sociale” poiché si tratta di un attributo immutabile, non è possibile dissociarsi dalla minore età per non essere perseguitato. All’interno del gruppo sociale “minori” esistono poi vari sottoinsiemi che sono stati individuati.

Alcuni dei raggruppamenti più frequenti che possono costituire un gruppo sociale sono: i bambini di strada, i minori affetti da HIV/AIDS - si tratta di una condizione necessariamente immutabile che può essere motivo di emarginazione e persecuzione - i minori impiegati come soldati dalle forze armate.

Nell’ottica di prescrivere tutele ancora più specifiche, è doveroso sottolineare che gli Stati parte della Convenzione e gli organismi internazionali iniziarono ad avvertire la necessità di redigere testi più dettagliati, in ragione delle varie categorie di soggetti cui esse erano rivolte.

È in quest’ottica che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite redasse e approvò all’unanimità - e senza astensioni - la Dichiarazione dei diritti del fanciullo il 20 novembre del 1959.

Furono introdotti alcuni principi innovativi rispetto al passato come: il diritto al nome e ad una nazionalità; il divieto di ammissione al lavoro per i minori che non avessero raggiunto un’età minima e il diritto del minore disabile a ricevere cure speciali.

Fu riconosciuto, inoltre, il principio di non discriminazione e quello di un’adeguata tutela giuridica del bambino sia prima sia dopo la nascita, si ribadì il divieto di ogni forma di sfruttamento nei confronti dei minori, auspicando un percorso educativo incentrato sulla comprensione, sulla pace e tolleranza33.

32 Cfr. UNHCR, Linee-guida in materia di protezione internazionale n. 2: “Appartenenza ad un

determinato gruppo sociale” ai sensi dell’art. 1 A (2) della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo

del 1967 relativo allo status dei rifugiati, HCR/GIP/02/02, 7 maggio 2002, reperibile in http://www.unchr.org/refworld/docid/3d36f23f4.html,par.11.

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Nonostante la Dichiarazione non sia vincolante - difatti si tratta di una mera proclamazione di principi - gode di notevole autorevolezza morale, che deriva sia dall’essere stata approvata all’unanimità, sia dalla sua natura estremamente innovativa, perché per la prima volta si considerano i minori soggetti di diritto. Alla costellazione di atti normativi internazionali, si aggiungono due documenti di sostanziale calibro: il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto

internazionale sui diritti economici, sociali e culturali entrambi del 196634.

Sono documenti nati per specificare quanto contenuto nella Dichiarazione universale del 1948.

Nel primo Patto del 1966 vi sono alcuni richiami diretti ai fanciulli – come accadeva per la Dichiarazione del 1948 - per esempio nell’art. 2, in cui si dispone che: “1.

Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a rispettare e a garantire a tutti gli individui che si trovino sul suo territorio e siano sottoposti alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel presente Patto, senza distinzione alcuna, sia essa fondata sulla razza, il colore , il sesso, la lingua, la religione, l’opinione politica o qualsiasi altra opinione, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione”.

Perciò con la stessa ratio adoperata per la Dichiarazione universale dei diritti umani, si può dire che quanto previsto dal Patto sia direttamente applicabile anche ai minori. In relazione a questi due strumenti internazionali è bene sottolineare che non si è dinnanzi a delle mere enunciazioni di principio: i Patti sono accordi internazionali che impongono obblighi diretti in capo agli Stati, si pensi, ad esempio all’art. 2435.

Accanto ai testi normativi del 1966 cominciarono a trovare spazio, all’interno delle Costituzioni europee del secondo dopoguerra, compresa quella italiana, Convenzioni che avevano ed hanno l’obiettivo di assicurare una tutela specializzata e rinforzata ai minori.

34 Entrambi sono stati resi esecutivi in Italia con Legge n. 881/1977.

35 “1. Ogni fanciullo, senza discriminazione alcuna fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua,

la religione, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica o la nascita, ha diritto a quelle misure protettive che richiede il suo stato minorile, da parte della sua famiglia, della società e dello Stato.

2. Ogni fanciullo deve essere registrato subito dopo la nascita ed avere un nome. 3. Ogni fanciullo ha diritto ad acquisire una cittadinanza.”

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Un esempio in merito è rappresentato dalla Convenzione di New York sui diritti

dell’infanzia e dell’adolescenza, adottata in seno all’Assemblea Generale delle

Nazioni Unite, che sarà tema di analisi del seguente paragrafo.

1.2.1 La Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e

dell’adolescenza

La Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite36 e aperta alla firma il 20

Novembre del 1989 (in Italia è stata ratificata con Legge n. 176 del 1991)37.

La Convenzione è stata redatta sulla base della precedente Dichiarazione sui diritti

del fanciullo del 1959, la quale però aveva solo un valore programmatico.

Si tratta del più importante strumento di tutela dei diritti dei fanciulli a livello internazionale, proprio perché rientra nella categoria della hard law e quindi ha valore giuridico vincolante38.

Essa si pone come dispositivo di protezione e promozione dei diritti dell’infanzia ed impegna gli Stati che l’hanno ratificata - tutti, ad esclusione di Stati Uniti d’America e Somalia - non solo a garantire ai soggetti in età evolutiva la protezione e l’aiuto per il soddisfacimento delle loro esigenze e necessità, ma anche a tenere presente, nei provvedimenti che li riguardano, il progressivo sviluppo della loro capacità di

36 La CRC è composta da un Preambolo esteso (13 paragrafi), contenente i principi fondamentali, e 54 articoli, divisi in tre parti: nella prima ci sono gli articoli sostanziali, che definiscono i diritti dei bambini e gli obblighi per gli Stati membri (artt. 1-41); la seconda parte comprende gli articoli dedicati al monitoraggio e alle procedure di implementazione (artt. 42-45); infine, la terza include gli articoli riferiti alle disposizioni formali che regolano l’entrata in vigore (artt. 46-54).

37 Secondo la Cassazione, la Convenzione risulta essere però uno strumento direttamente applicabile nel nostro ordinamento, invece il Commento Generale n. 6 redatto dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia non è un atto vincolante, ma riveste comunque una particolare importanza.

38 Alcuni studiosi, tuttavia sostengono che una specifica Convenzione sui diritti dei bambini non fosse necessaria, dal momento che essi erano già inclusi negli strumenti internazionali sui diritti umani, applicabili a tutti gli individui e che, anzi, il fatto di definire i minori come categoria separata fosse pericoloso e d ingiustificato. A questa critica, Cantwell risponde che “le necessità specifiche dei

bambini e la loro vulnerabilità richiedevano risposte particolari da parte della comunità internazionale”. Gli altri strumenti internazionali sui diritti umani non erano stati redatti avendo in

mente i bambini e non riflettevano le conoscenze più moderne sulle questioni riguardanti l’infanzia.

Sul punto si veda CANTWELL N., Origini, sviluppo e significato in BELOTTI V. e RUGGIERO R., (a cura di), Vent’anni di infanzia, Ed. Guerini, Milano, pp. 55-56.

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