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La figura del minore straniero non accompagnato nella Convenzione

CAPITOLO 1 I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI

1.3 La figura del minore straniero non accompagnato nella Convenzione

delle libertà fondamentali

Spostando il focus dell’analisi in ambito regionale e quindi europeo, è rilevante ai fini di un’ottica ampia e completa dei testi normativi, un accenno alla Convenzione Europea dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, da qui in avanti CEDU61.

La CEDU e i suoi Protocolli aggiuntivi hanno ricoperto un ruolo rilevante, soprattutto negli ultimi anni, nella protezione dei minori stranieri soli richiedenti asilo e non.

Sebbene la Convenzione non faccia espresso riferimento alla condizione del MSNA, il testo è stato spesso invocato dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo62 dagli

stessi minori o dai loro genitori, per violazioni di disposizioni in essa contenute. La categoria dei MSNA non risulta immune da fatti o atti che violino il disposto normativo della Convenzione, infatti più volte la Corte è stata chiamata ad esprimersi su determinati ricorsi, dei quali due sono divenuti emblematici: il caso Sharif c. Italia

e Grecia63 e il caso Mubilanzila Mayeka and Kaniki Mitunga c. Belgio64, mentre il

terzo caso che presenterò, relativo al Centro di accoglienza di Cona, servirà come esempio più recente.

61 Il testo della Convenzione è presentato così come modificato dalle disposizioni del Protocollo n. 14 (STCE n. 194) a partire dalla sua entrata in vigore il 1 giugno 2010. Il testo della Convenzione era sta- to precedentemente modificato conformemente alle disposizioni del Protocollo n. 3 (STE n. 45), en- trato in vigore il 21 settembre 1970, del Protocollo n. 5 (STE n. 55), entrato in vigore il 20 dicembre 1971 e del Protocollo n. 8 (STE n. 118), entrato in vigore il 1 gennaio 1990. Esso comprendeva inoltre il testo del Protocollo n. 2 (STE n. 44) che, conformemente al suo articolo 5 § 3, era divenuto parte integrante della Convenzione dal 21 settembre 1970, data della sua entrata in vigore. Tutte le disposi- zioni che erano state modificate o aggiunte dai suddetti Protocolli sono state sostituite dal Protocollo n. 11 (STE n. 155) a partire dalla data della sua entrata in vigore, il 1.11.1998. Inoltre, a partire da questa stessa data, il Protocollo n. 9 (STE n. 140), entrato in vigore il 1 ottobre 1994, era stato abroga- to e il Protocollo n. 10 (STE n. 146) era divenuto senza oggetto. Lo stato attuale delle firme e ratifiche della Convenzione e dei suoi Protocolli nonché la lista completa delle dichiarazioni e riserve sono di- sponibili sul sito Internet www.conventions.coe.int.

62 La Convenzione prevede che nel caso in cui un diritto espresso nella Carta venga violato da uno degli Stati membri, questo possa essere invocato di fronte alla Corte EDU.

63 Cfr. la Corte EDU, Seconda sezione, Causa Sharifi e altri c. Italia e Grecia (Ricorso n. 16643/09) Strasburgo 21 ottobre 2014. Consultabile in http://hudoc.echr.coe.int/eng.

64 Cfr. Corte EDU, Prima sezione, Mubilanzila Mayeka and Kaniki Mitunga c. Belgio (Ricorso n. 13178/09) Strasburgo, 12 ottobre 2006. Reperibile in http: www.hudoc.echr.coe.int/eng.

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Nel primo caso, Sharif c. Italia e Grecia, l’Italia è stata condannata dalla Corte per aver respinto collettivamente delle navi cariche di migranti richiedenti asilo verso un Paese ritenuto, dalla stessa Corte, non sicuro, ovvero la Grecia.

Fra i diversi migranti respinti, vi erano dei minori non accompagnati afghani, molti dei quali hanno trovato in seguito rifugio nel nord dell’Europa, soprattutto in Norvegia.

Alla luce dei fatti, la Corte ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della CEDU - il quale implica il divieto di trattamenti inumani e degradanti - per la violazione dell’art. 4 del Protocollo 4 - divieto di espulsioni collettive di stranieri - e per violazione dell’art. 13 della CEDU - diritto a un ricorso effettivo.

Percorrendo i passi della sentenza della Corte, si potrebbe invocare un errore, ossia il mancato riferimento al divieto di non refoulement, eppure nella CEDU non è stato mai cristallizzato in un articolo preciso il divieto, così come è previsto dall’art. 33 della Convenzione relativa allo status di rifugiato.

Tuttavia questo divieto, grazie ad un’operazione d’interpretazione creativa della Corte, è stato ricavato dall’art. 3 della CEDU, stabilendo che l’impedimento si sostanzia nella proibizione di allontanare un individuo verso un Paese nel quale vi è un rischio per la sua vita o dove è presumibile che possa subire dei trattamenti inumani e degradanti.

Il secondo caso tema di analisi, Mubilanzila Mayeka and Kaniki Mitunga c. Belgio, riguarda una minore di 5 anni di origine congolese, che si trovava nella condizione di viaggiare non accompagnata verso il Canada, con l’intenzione di ricongiungersi alla madre, rifugiatasi lì ed anch’essa proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo65.

La piccola, abbandonata dallo zio in Belgio, era stata detenuta per due mesi in un centro di permanenza temporaneo per adulti presso l’aeroporto di Bruxelles (il Centro 127) poiché non possedeva i documenti necessari per rimanere nel Paese. La situazione si è aggravata nel momento in cui la bambina è stata rimpatriata nel Paese d’origine, dove però non vi era nessuno che avrebbe potuto prendersi cura di lei66.

65 PERTILE M., La detenzione amministrativa dei migranti e dei richiedenti asilo nella giurispruden-

za della Corte europea per i diritti umani: dal caso Mubilanzila al caso Mushadzhiyeva, in Diritti umani e diritto internazionale, vol. 4 n. 2, 2010.

66 La bambina aveva la sola possibilità di contattare telefonicamente la madre una o più volte al gior- no. Ad aggravare la situazione, dopo aver rintracciato un parente in Congo, la piccola era stata affidata alle hostess d una compagnia aerea e ricondotta a casa. A Kinshasa, non trovando nessuno ad acco-

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A seguito del ricorso di fronte alla Corte, il Belgio è stato condannato, per violazione dell’art. 3 della CEDU, per aver detenuto e deportato la bambina in un luogo potenzialmente pericoloso per la sua incolumità e per la violazione dell’art. 8, ovvero per averle impedito il ricongiungimento con la madre in Canada.

Com’è possibile notare, la Convenzione rappresenta uno degli strumenti più incisivi a livello internazionale per la protezione dei diritti umani, giacché vincola non soltanto gli Stati membri dell’Unione ma tutti gli Stati che fanno parte del Consiglio d’Europa.

La CEDU ha sollecitato gli Stati a modificare la propria legislazione e il proprio approccio se non conformi alle esigenze dei minori.

Ad esempio a seguito della sentenza di condanna, Mubilanzila Mayeka and Kaniki

Mitunga c. Belgio, il Belgio ha introdotto nel maggio del 2006 una norma a favore

dei minori stranieri non accompagnati arrestati alla frontiera.

La disposizione di legge proibisce la detenzione del minore in centri chiusi, essa si sviluppa in un quadro generalmente carente sul tema. Benché l’art. 8 protegga il ricongiungimento familiare, la Corte lascia sempre un ampio margine di apprezzamento agli Stati nell’identificare chi siano i familiari idonei alla tutela del minore, spesso non tenendo conto del superiore interesse del fanciullo.

Nella terza sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, viene affrontata per la prima volta la questione decisamente controversa dell’accertamento dell’età dei minori non accompagnati.

Il 14 febbraio del 2016 la Corte ha adottato una misura provvisoria per due MSNA collocati nel centro di accoglienza per adulti di Cona (VE), ordinando al Governo italiano di trasferire i ricorrenti in strutture per minori.

Nel ricorso d’urgenza alla Corte, era stata denunciata la presenza di più di 1.200 ospiti, a fronte di una capienza massima di 542 posti, da ciò discendeva un’insufficienza di servizi igienici e di adeguato riscaldamento.

Quello che interessa particolarmente è la denuncia alla Corte della violazione delle norme previste nel nostro ordinamento per la protezione dei MSNA, tra cui l’obbligo

glierla, fu temporaneamente ospitata da una funzionaria governativa del Congo per poi essere rispedita in Belgio. Secondo la Corte, nonostante gli operatori del centro avessero dedicato della attenzioni par- ticolari alla bambina, la struttura era comunque inadatta ad ospitare dei minori, in particolare dei MSNA. La condotta delle autorità, anche in relazione al tentato refoulement, costituisce un trattamen- to inumano e degradante sia per la bambina, sia per la madre. Quest’ultima vittima indiretta delle vio- lazioni dei diritti umani subiti dalla figlia (Par. 60-63 della sentenza).

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di collocamento in strutture adeguate e la tempestiva nomina di un tutore. Alla richiesta d’informazioni avanzata dalla Corte, il Governo italiano ha risposto sostenendo che i due ricorrenti sarebbero stati maggiorenni; eppure la perizia effettuata dall’auxologo Prof. Benso - già Direttore della S.C.D.U. di Auxologia dell’Università di Torino - ha invece certificato come “la maturazione ossea dei due ricorrenti risulti perfettamente compatibile con la minore età dichiarata”.

I ricorrenti hanno, inoltre, evidenziato come l’accertamento dell’età fosse stato effettuato dalla Prefettura di Venezia secondo modalità e procedure non conformi alla normativa vigente e, in particolare, al D.p.c.m. n. 234/1667 . Il quale, pur

disciplinando nello specifico l’accertamento dell’età dei minori vittime di tratta, è applicabile anche ai minori che non lo siano stati, come affermato dal Garante Nazionale per l’infanzia e l’Adolescenza e dall’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni.

Nella decisione del 14 febbraio, la Corte ha richiamato in dettaglio le violazioni del D.p.c.m. n. 234/16, tra cui:

 la mancata indicazione dei margini di errore sul referto radiologico, con conseguente impossibilità di applicare il principio di presunzione della minore età in caso di dubbio;

 l’utilizzo della sola radiografia del polso, anziché di un approccio multidisciplinare comprendente anche una visita pediatrica auxologica e una valutazione psicologica;

 la mancata comunicazione dei risultati dell’accertamento dell’età agli interessati;

 il trattamento degli interessati come adulti anziché come minori, ai fini dell’assistenza e della protezione.

In conclusione la Corte ha ordinato al Governo italiano, come misura provvisoria, di trasferire i due minori in strutture adeguate, secondo quanto previsto dalla normativa nazionale ed internazionale in materia di protezione dei MSNA, comunicando, inoltre, la decisione di trattare il ricorso in via prioritaria.

67 Regolamento recante definizione dei meccanismi per la determinazione dell’età dei minori stranieri non accompagnati vittime di tratta, in attuazione dell’articolo 4, comma 2, del Decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24.

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Lo Stato italiano sarà dunque chiamato a rispondere alla questione se le condizioni nel centro di accoglienza di Cona abbiano costituito un trattamento inumano e degradante; se siano state adottate le misure di protezione previste dalla normativa internazionale e nazionale e se la procedura per la determinazione dell’età abbia rispettato le norme interne e le garanzie previste dalla CEDU.

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1.4 Tutela e accoglienza dei minori stranieri non accompagnati: le