CAPITOLO 3 UNA RICERCA SUI MINORI STRANIERI NON
3.5 Buone prassi per l’accoglienza e l’integrazione: voci e strumenti dal
Nel precedente paragrafo sono state mostrate le criticità che gli operatori del settore, a vario titolo, hanno riscontrato nell’utilizzo degli strumenti e delle procedure offerte dalla Legge 47/2017.
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Più volte in questa dissertazione sono state affrontate “luci ed ombre” della legge, es- senzialmente da un punto di vista giuridico e prettamente tecnico. Per coerenza d’indagine sono stati valutati anche quegli aspetti positivi emersi dalle interviste. In questo modo si vogliono esporre le opinioni di chi opera in prima linea, sia per ren- dere “merito alla legge”, che per valorizzare il loro operato.
La principale caratteristica della Legge 47/2017 è rappresentata dall’ineludibilità del principio d’inespellibilità del minore, in ogni caso tra i principali risultati indicherei il reclutamento dei tutori volontari.
Si tratta di un’innovazione che la legge introduce e da cui gli operatori intervistati, si aspettano molto. Oltre ad essere uno strumento efficace di protezione per tanti mino- ri, i tutori fungono da sentinella per le Istituzioni perché sono sul campo, sorvegliano e monitorano i vari procedimenti.
Sulla base delle esperienze raccontate è emerso che l’istituto del tutore volontario
«va a colmare una grave lacuna sul piano dell’accoglienza e della tutela dei diritti del minore che giunge sul nostro suolo».
L’azione sinergica tra le Istituzioni ha previsto numerosi incontri sul tema, infatti il Tribunale per i minori di Firenze ha più volte indetto riunioni con le realtà toscane, che si occupano di MSNA, per aggiornamenti e corsi di formazione rivolti agli ope- ratori.
Inoltre i tempi di attesa per la nomina del tutore volontario si sono ridotti, passando dai 6/7 mesi ai 3/4 mesi, risultato raggiunto anche per le pressioni esercitate dalle strutture che si occupano di MSNA.
Il tutore è definito come una figura “ibrida” dalla psicologa interna alla struttura
Odissea. «Il tutore volontario non è il genitore, il fratello o la sorella del ragazzo, non è l’amico e neppure un compagno. È il tutore. Deve essere una figura autorevo- le, ma non autoritaria, che si fidi dell’équipe della struttura, ma allo stesso tempo la monitori. In sostanza il tutore volontario deve sapere i limiti entro cui può agire, sen- za essere apprensivo, ma collaborando. Diventa un riferimento diverso dall’educatore e dall’assistente sociale, ma anche dal genitore, è una sorta di care giver per il minore, che agisce soprattutto quando emergono delle problematiche. Ri- tengo che, se ben articolata, l’azione del tutore è un mezzo di facilitazione per la permanenza del ragazzo in Italia».
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Se le interviste riportate fino ad ora mostrano una minima dimestichezza nel tracciare il profilo del tutore volontario, non può dirsi lo stesso per la coordinatrice di casa Be-
tania. «L’unica tutrice volontaria nominata a maggio, ha successivamente rinunciato all’incarico a giugno. Ad oggi non è stato nominato un nuovo tutore volontario», è
quanto riferitomi dalla Dott.ssa Palmieri Brogi.
Per quanto il tutore volontario rientri appieno titolo nelle positività della Legge Zam- pa - non solo secondo il parere degli operatori, dell’AGIA, di chi scrive, ma anche secondo l’Unione europea- miglioramenti potrebbero essere apportati senza incidere sulla sostenibilità finanziaria dell’istituto, come: «Nomina del tutore “sostitutivo”
entro 30 giorni, un minimo di ore da trascorrere insieme con il MSNA, un colloquio tra il tutore nominato e l’équipe della struttura d’accoglienza».
Analizziamo un altro aspetto, anche se più teorico. Pur rientrando nell’astrattezza della Legge Zampa, il criterio di multidisciplinarietà è applicato sia per l’accertamento dell’età, che per l’accoglienza nelle strutture specifiche dei minori
stranieri non accompagnati. Nel percorso itinerante svolto, ho potuto notare che l’apporto e l’approccio degli ope-
ratori che hanno una preparazione in termini psico-sociali-pedagogici, hanno succes- so. Un successo qualitativo, nella costruzione delle relazioni con i minori che sono
soli e, molti di essi, fuggono da situazioni estreme. È emerso, durante il periodo di ricerca, che con maggiore frequenza temi quali la cul-
tura, la provenienza, l’appartenenza, la religione non sono solo caratteristiche, ma tratti identitari. Lo sono a tal punto da definire “l’IO” del minore, rappresentare tratti essenziali del suo essere. A tale proposito mi ero chiesta se il sistema di accoglienza, almeno quello riservato dalle strutture del terzo settore privato, fosse pronto ad inter-
pretare ed affrontare queste nuove “sfide”. Ho osservato che la prima conoscenza culturale del minore avviene subito dopo la
presa in carico da parte della struttura. Elena, psicologa interna della cooperativa
Odissea, mi spiega che dopo gli accertamenti clinici previsti dall’iter, gli operatori
dell’équipe interna valutano se attivare o no un consulto da parte dell’équipe “ET-
NOPSI”. Quest’équipe è composta di un’antropologa, uno psicologo e un mediatore. Appare evidente che si torna sul tema della multidimensionalità e multidisciplinarietà
da utilizzare nell’approccio con i MSNA. Probabilmente il best interest può essere assicurato anche attraverso analisi del genere, che tengono in considerazione le “va-
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rie dimensioni” che compongono la personalità del minore. Le psicologhe delle équipe interne - eccezion fatta per la cooperativa Il Simbolo che
non ne ha, ma all’occorrenza rimanda a una consulente esterna- mi hanno spiegato quanto sia importante l’apporto delle più disparate discipline umanistiche per inter- pretare il fenomeno. «In realtà per quanto io sia una figura professionale, sono una
donna. Molti ragazzi arrivano qui con un’idea di donna molto marginale. Le figure femminili di riferimento hanno avuto un ruolo secondario nella loro vita, probabil- mente perché sono morte, oppure perché hanno un ruolo meno importante nella so- cietà o nell’educazione del minore. Nelle rare volte in cui parlano della loro vita, i ragazzi tracciano l’immagine di una madre verbalmente violenta, anaffettiva. Quindi la complessità dell’immagine della donna non è dovuta tanto all’aspetto religioso, quanto alle esperienze vissute».
Districarsi in eventuali disagi psicologici è complesso, tanto più se si hanno casi bor-
derline, per i quali si attiva l’équipe “ETNOPSI”. I casi borderline sono numerosi e difficili da rintracciare, soprattutto se si considera
che, generalmente, l’équipe agisce nell’informalità. Si tratta di ragazzi che non asso- ciano una professionalità a questa figura, non riconoscono il valore intrinseco dell’approccio “ETNOPSI”. Come mi spiegano, questo ha delle con- seguenze: «non c’è un setting classico: una stanza, una scrivania, una poltrona. Non
si possono somministrare test della personalità. Quindi tutto si basa sul fare qualco- sa insieme: la spesa, la pulizia della camera. Sono tutte attività in cui il rapporto è 1 a 1, sono le dinamiche ideali per affrontare certi temi che non sempre emergono, perché i minori soli non hanno l’attitudine a parlare di determinati aspetti come il viaggio, la famiglia, ecc.. Da non dimenticare che sono ragazzi con un basso livello di scolarizzazione e quando si vuole accedere agli stati più interiori dell’IO, bisogna
avere delle capacità linguistiche per poterlo affrontare».
La partecipazione attiva dei ragazzi all’elaborazione e condivisione delle regole di convivenza e la gestione pratica dell’appartamento (cura degli spazi, pulizia, cucina) vengono segnalati come questioni prioritarie e talvolta come buone pratiche da alcuni operatori (es. casa Betania, CONTROVENTO e casa Nostos) come fulcro del percor-
so verso l’autonomia. L’attribuzione del senso educativo e relazionale alle azioni sopra descritte è garantita
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prensione della motivazione alla base di tutte le attività. Le dimensioni culturale e psicologica hanno sempre avuto il loro peso determinante,
i MSNA hanno già delle loro specificità alle quali si debbono aggiungere quelle cul- turali, che necessitano di: interpretazione, decodificazione, comprensione ed accetta-
zione . La questione non sottende il riconoscimento della cultura altrui, ma del non ricono-
scimento da parte del MSNA della cultura del Paese d’accoglienza. Non è da sottovalutare che siamo di fronte a ragazzi in fase adolescenziale, in cui vi è
sia una destrutturazione della figura dell’adulto, del capo, ma anche la voglia di emergere. Sono rimasta colpita da quanto gli operatori intervistati si adoperino, attraverso l’empatia, affinché il minore sia mediatore culturale di se stesso, che interagisca con l’esterno, che si impegni in attività in cui abbia un ruolo attivo e costruttivo.
Molti ragazzi sono perfettamente integrati nel tessuto cittadino, praticano sport, se-
guono corsi formativi, partecipano al corso di alfabetizzazione. L’integrazione con il tessuto sociale che ho potuto constare è frutto di anni di impe-
gno e dedizione di tutti gli operatori, che hanno costruito un reticolo che «permette di
fare tanto, anche se l’ansia per il raggiungimento della maggiore età prende il so- pravvento».
Da questo dibattito mi è parso di intendere che spesso, la pratica, quindi il contatto costante con il MSNA e il rispetto verso l’altrui cultura sono dei rimendi temporanei, in attesa che si realizzi quanto disposto per legge.
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