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I diritti dei minori stranieri non accompagnati nell’ambito dell’Unione

CAPITOLO 1 I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI

1.4 Tutela e accoglienza dei minori stranieri non accompagnati: le iniziative

1.4.1 I diritti dei minori stranieri non accompagnati nell’ambito dell’Unione

Analizzare le varie normative e prassi sui minori stranieri non accompagnati, implica, oltre ad un’analisi del testo della CEDU e di alcune sentenze della Corte, anche una disamina del diritto proprio dell’Unione.

Nel diritto dell’Unione, la Direttiva 2011/95/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, definisce la categoria MSNA all’art. 2, inciso I nel seguente modo: “Il minore di 18 anni, non appartenente a una nazione dell’Unione

Europea o apolide, che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla normativa o alla prassi dello Stato membro interessato, e fino a quando non sia effettivamente affidato a un tale adulto; il termine include il minore che venga abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri”.

In virtù di questa definizione, i MSNA si caratterizzano per essere apolidi o cittadini di un Paese terzo, ovvero provenienti da Stati che non appartengono all’Unione europea, quindi restano esclusi i minori comunitari che non saranno colpiti dalla restrizione alla libertà di circolazione applicabile a quelli di Stati terzi.

In seno all’Unione europea gli interventi normativi, e non, sono stati sicuramente più numerosi rispetto a quelli di portata internazionale, ma la differenza sostanziale

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riguarda l’approccio approntato dall’Unione. Si lascia ai singoli Stati un’ampia discrezionalità in materia.

Se da un lato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati presentava un quadro scarno sui minori non accompagnati - salvo il riferimento all’Atto finale della Conferenza dei Plenipotenziari - la normativa europea invece prevede varie disposizioni al riguardo.

Facendo qualche passo indietro negli anni, il primo vero intervento concernente i MSNA, non richiedenti asilo, è la Risoluzione del Consiglio dell’Unione europea n. 420 del 199783.

L’Unione dalla fine degli anni ‘90 si è impegnata a costruire quello che è stato denominato Common European Asylum System, CEAS: un insieme di atti ispirati alla Convenzione sullo status dei rifugiati, volto a garantire il diritto di asilo su tutto il territorio europeo e ad armonizzare le legislazioni degli Stati membri.

Tra i vari obiettivi, la Risoluzione n. 420 si proponeva di lottare contro un fenomeno veramente diffuso: l’immigrazione clandestina, vero tasto dolente dell’atto.

In tale ottica, all’art. 2 si consentiva agli Stati dell’Unione di rigettare l’ammissione alla frontiera di MSNA sprovvisti di documenti validi e delle autorizzazioni necessarie per l’ingresso nel Paese membro.

A ciò si aggiungeva quanto previsto dal secondo paragrafo dell’art. 2: “In questo

contesto, gli Stati membri dovrebbero prendere, in conformità della loro legislazione nazionale, le misure appropriate per impedire l’ingresso illegale dei minori non accompagnati e dovrebbero collaborare tra loro per impedire che minori non accompagnati entrino e soggiornino irregolarmente nel loro territorio”.

L’obbligo che vigeva in capo agli Stati prevedeva che dovessero adoperarsi affinché il minore fosse rimpatriato, ma solo se per lui fossero state disponibili un’accoglienza ed assistenza adeguate nel Paese d’origine.

In contrasto con quanto appena esposto, la Risoluzione affermava che i medesimi Stati avrebbero dovuto, in linea di massima, offrire al minore la possibilità di restare nel loro territorio, nonché fornire in modo tempestivo la necessaria rappresentanza tramite una tutela legale o un organismo nazionale incaricato della cura e del benessere del minore (art. 3, § 4).

83 Cfr. Risoluzione del Consiglio del 26 giugno 1997 sui minori stranieri non accompagnati, cittadini di Paesi terzi (97/C 221/03).

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La dottrina ha, ad onor del vero, aspramente criticato l’approccio della Risoluzione in esame, in quanto emerge chiaramente la volontà degli Stati membri di proteggere i propri confini, rimettendo alla discrezionalità dei singoli ordinamenti nazionali la possibilità di ammettere o meno MSNA.

Dalla lettura comparata della Risoluzione n. 420 e delle Linee guida elaborate dall’UNHCR del 199784, la dottrina ha rilevato due contrasti di fondo: il primo si

riferisce all’art. 2 - laddove prevedeva che gli Stati avrebbero posto in essere tutte le misure appropriate non solo per impedire l’ingresso illegale dei minori non accompagnati ma favorire una collaborazione trasversale fra i diversi Stati- il secondo relativo alla compressione della libertà di movimento a favore del principio della sovranità statale.

La libertà di movimento sottende la più vecchia azione contro la povertà, così come la definisce Galbraith85, eppure trova il suo “argine” in un interesse prettamente

statale e territoriale.

L’obiettivo di garantire il diritto di asilo su tutto il territorio europeo e di armonizzare le legislazioni nazionali è stato stabilito dal 2007, all’art. 7886 del Trattato sul

Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), dove al fine di creare un effettivo spazio di libertà e giustizia, si delineava l’intenzione di sviluppare “una politica

comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che

84 Cfr. UNHCR, Guidelines on Unaccompanied Children, Ginevra, 1997.

85 Cfr. GALBRAITH J. K., The Nature of Mass Poverty, Harvard University Press, Cambridge, 1979, p. 7.

86 Cfr. art 78 (ex articolo 63, punti 1 e 2 e articolo 64, paragrafo 2, del TCE): “1. L'Unione sviluppa

una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione inter- nazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere con- forme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati, e agli altri trattati pertinenti. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa: a) uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l'Unione; b) uno status uniforme in materia di protezione sussi- diaria per i cittadini di paesi terzi che, pur senza il beneficio dell'asilo europeo, necessitano di prote- zione internazionale; c) un sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di afflusso massiccio; d) procedure comuni per l'ottenimento e la perdita dello status uniforme in mate- ria di asilo o di protezione sussidiaria; e) criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo o di protezione sussidiaria; f) norme concernenti le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria; g) il partenariato e la coope- razione con paesi terzi per gestire i flussi di richiedenti asilo o protezione sussidiaria o temporanea. 3. Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso de- libera previa consultazione del Parlamento europeo”.

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necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento”.

Gli strumenti di diritto derivato che ne sono scaturiti hanno tentato di armonizzare i diversi ordinamenti statali, determinando uno status uniforme in materia di asilo e protezione sussidiaria a favore dei cittadini di Paesi terzi.

Già dalla Conferenza di Tampere, in cui fu previsto il sistema, furono individuate due fasi in cui si sarebbe sviluppato il diritto alla protezione internazionale: la prima dal 2000 fino al 2005 e la seconda dal 2005 in poi87.

La prima fase è stata caratterizzata dall’approvazione di quattro Direttive: la Direttiva sulla protezione temporanea n. 55 del 2001; la Direttiva sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo n. 9 del 2003; la Direttiva sul riconoscimento dello

status di rifugiato n. 83 del 2004 e la Direttiva n. 85 del 2005 sulla procedura per

l’ottenimento di tale status.

Nella seconda fase si è assistito alla modifica dei trattati istitutivi dell’Unione e l’entrata in vigore del TFUE.

Tutti gli strumenti più rilevanti del Common European Asylum System sono stati modificati consentendo l’introduzione della nuova Direttiva qualifiche n. 95 del 2011, che ha sostituito la vecchia Direttiva (n. 83 del 2004); l’introduzione della nuova Direttiva accoglienza, n. 33 del 2013, che dal 21 luglio 2015 ha sostituito la Direttiva n. 9 del 2003, e della nuova Direttiva procedure n. 32 del 2013.

La Direttiva 2001/55/CE88, emanata nel primo periodo del “Sistema Europeo”,

introduceva un istituto speciale che garantiva tutela immediata e transitoria in caso di un afflusso massiccio di sfollati provenienti da Paesi terzi, i quali si fossero trovati nella condizione di non poter tornare nel proprio Paese d’origine a causa di una guerra, violenze o violazioni dei diritti umani.

La durata di tale protezione era pari a un anno e poteva essere prorogata per un periodo massimo di due anni.

87 Il 15 e 16 ottobre 1999, a Tampere, il Consiglio europeo ha tenuto una riunione straordinaria sulla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea. Approfondimento reperi- bili in: http://www.europarl.europa.eu/summits/tam_it.

88 Cfr. Direttiva 2001/55/CE del Consiglio del 20 luglio 2001 sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi.

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A proposito di MSNA, ciò che interessa in questo elaborato è la base giuridica su cui si fondava la loro protezione temporanea: l’art. 16.

La direttiva n. 55 determinava che nel caso in cui fosse stata riconosciuta la protezione temporanea al minore straniero non accompagnato, gli Stati avrebbero dovuto garantirgli una rappresentanza mediante tutela legale oppure “mediante

rappresentanza assunta da organizzazioni incaricate dell’assistenza e del benessere dei minori”.

Durante il periodo di protezione temporanea, gli Stati membri avrebbero dovuto adoperarsi affinché i MSNA fossero stati collocati presso membri adulti della loro famiglia, presso una famiglia ospitante, in centri di accoglienza per minori oppure presso la persona che si era presa cura del minore durante la fuga.

La c.d. Direttiva Accoglienza 33/2013/UE, che modifica la Direttiva n. 9 del 200389,

fissa degli standard comuni che devono essere rispettati nel processo di accoglienza dei richiedenti asilo.

L’obiettivo dichiarato della nuova normativa - applicabile a tutti gli Stati membri, ad eccezione di Regno Unito, Irlanda e Danimarca - è procedere con l’armonizzazione e il miglioramento delle condizioni di accoglienza, anche al fine di limitare i movimenti secondari dei richiedenti asilo all’interno del territorio dell’Unione. Come si legge nei considerando, un principio fondamentale è la parità di trattamento dei richiedenti protezione internazionale, per cui la Direttiva deve essere applicata in tutte le fasi, a tutti i tipi di procedure e in tutti i luoghi e centri di accoglienza. La specifica è importante perché ad oggi, come denunciato da numerose organizzazioni internazionali ed associazioni, in alcuni Paesi il trattenimento è la norma e non sempre sono rispettati gli standard imposti dal diritto dell’Unione.

In una relazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo, del novembre 2007, sull’applicazione della Direttiva 2003/9/CE, infatti, già si denunciava che in sette Paesi, tra cui l’Italia, la disposizione non trovava applicazione nei centri di permanenza temporanea.

Tuttavia, dato che ai sensi della Direttiva il trattenimento automatico senza valutazione della situazione della persona interessata, era contrario alla regola

89 Cfr. Direttiva 2003/9/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003 recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri.

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generale della libera circolazione, cui si poteva fare ricorso solo ove risultasse

necessario, l’atteggiamento dei sette Paesi era contrario alla norma.

Inoltre, salvo nei casi debitamente giustificati, ad esempio motivi di ordine pubblico, una durata del fermo che impediva ai richiedenti asilo in stato di trattenimento di beneficiare dei diritti garantiti dalla norma, era contrario alle disposizioni della medesima.

Per armonizzare gli standard d’accoglienza, la Commissione, nel 2008, aveva avanzato una proposta di rifusione della Direttiva n. 9, naufragata per incapacità degli Stati di trovare un accordo su alcuni aspetti chiave: i termini per il trattenimento degli adulti e il divieto di trattenimento per i MSNA.

Il secondo tentativo di rifusione, risale al 2011. La Commissione propose un testo più in linea con le richieste degli Stati membri, che fu approvato nel 2013, dando così vita alla Direttiva 2013/33/UE.

Essa interviene stabilendo, tra l’altro, che il trattenimento deve essere regolato in conformità al principio fondamentale per cui nessuno può essere privato temporaneamente della libertà90 per il solo fatto di chiedere protezione internazionale

ed, inoltre, che il ricorso ad esso deve essere l’ultima risorsa, applicabile solo dopo che tutte le misure non detentive, alternative al trattenimento, siano state debitamente prese in considerazione.

Inoltre, riferendosi ai minori in generale e ai MSNA, la misura di trattenimento deve rappresentare un’ultima risorsa nel primo caso, mentre una circostanza eccezionale nel caso si tratti di MSNA. Per di più a questa garanzia procedurale si aggiunge che, nel caso di minori non accompagnati, non sarà mai consentito il trattamento in Istituti penitenziari.

Per quanto possibile, ai MSNA deve essere comunque fornita una sistemazione in Istituti consoni a soddisfare le particolari esigenze della loro età e situazione91.

In qualsiasi circostanza l’interesse superiore del minore, come prescritto all’art. 23, §

2, deve essere una considerazione preminente per gli Stati membri.

Nello stimare il best interest del minore, gli Stati tengono debito conto di fattori quali la possibilità di ricongiungimento familiare; il benessere e lo sviluppo sociale del

90 In generale ogni misura di trattenimento o alternativa deve garantire l’integrità fisica e psicologica dei richiedenti.

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minore, con particolare riguardo ai trascorsi del fanciullo; le considerazioni in ordine all’incolumità e alla sicurezza, in particolare se sussiste il rischio che il minore sia vittima di tratta; l’opinione del minorenne, secondo la sua età e maturità.

La nuova “versione” del testo della Direttiva al Capitolo IV, relativo alle disposizioni a favore delle persone vulnerabili, amplia questa categoria rispetto al testo precedente: alle persone vittime di tratta; alle persone affette da gravi malattie o disturbi mentali; alle vittime di mutilazione genitali femminili; oltre che ai minori non accompagnati, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, persone che hanno subito gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale.

A tale riguardo, per i minori è introdotta una procedura per la valutazione delle esigenze particolari che non ha un mero carattere amministrativo (art. 22, § 2).

Tra i “nuovi” strumenti legislativi adottati dal Parlamento e dal Consiglio europeo, di cui si accennava in precedenza, vi è la Direttiva 2011/95/UE, anche definita Direttiva qualifiche.

La Direttiva - recante norme sull’attribuzione della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria - oltre a ribadire i principi che ispiravano la sua predecessora del 2004, avvicina il contenuto sostanziale dello status di protezione sussidiaria a quello dello status di rifugiato, eliminando buona parte delle possibilità che gli Stati avevano di limitare l’accesso ad alcuni diritti ai soli rifugiati.

A tale proposito, si rammenta che la precedente Direttiva qualifiche era considerata, generalmente, lo strumento meno problematico fra quelli approvati durante la c.d. “prima fase” del Sistema europeo comune di asilo. Pertanto i passi in avanti fatti dalla Direttiva 2011/95/UE non sono molti, ma se ci sono stati è grazie, principalmente, alla giurisprudenza, sia della Corte EDU che della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Il Sistema Comune di Asilo include, tra gli altri, alcuni Regolamenti che ne completano l’ossatura giuridica, si tratta di quei testi che insieme compongono il c.d. “Sistema Dublino”.

Sin dall’inizio il “Sistema Dublino” fu disegnato per contrastare il supposto fenomeno dell’asylum shopping, consistente nella prassi dei richiedenti asilo di presentare domanda di protezione internazionale nel Paese che offriva le migliori

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condizioni di accoglienza, oppure di presentare una domanda in un altro Paese dopo essere stato respinto dal primo.

Quindi, con lo scopo di impedire la proliferazione di richieste di asilo, il Regolamento di Dublino II (n. 343/2003) accompagnato dal Regolamento di applicazione (n. 407/2002) ha sancito quali sono le regole per la determinazione dello Stato membro competente all’esame della domanda di protezione.

Il Sistema Dublino era completato dal Regolamento Eurodac - affiancato dal Regolamento di applicazione n. 1560/2003 - elaborato per implementare un’attività di confronto delle impronte digitali tra i vari Stati membri.

Nonostante i tentativi di armonizzazione, nelle varie legislazioni nazionali sono presenti ancora disparità di trattamento dei migranti.

Le carenze del Sistema Dublino III (n. 604/2013) e le prospettive individuate dalle novità introdotte nel testo del Regolamento di Dublino IV saranno tema di discussione del prossimo paragrafo.

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