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Il "lungo e crudele viaggio" di Curzio Malaparte dalla militanza giovanile a Kaputt

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN

LINGUA E LETTERATURA ITALIANA

TESI DI LAUREA

Il «lungo e crudele viaggio» di Curzio Malaparte

dalla militanza giovanile a Kaputt

CANDIDATA RELATORE

Filomena Anania Chiar.mo Prof. Giorgio Masi CONTRORELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Cristina Savettieri

(2)

A mia madre, a mia nonna, a Sandra.

(3)

INDICE

SCHEMADELLEABBREVIAZIONIDELLEOPERE...4

INTRODUZIONE...6

1. ALLEORIGINIDELLASCRITTURAMALAPARTIANA...17

1.1. L'esperienza della guerra come nucleo originario di impegno e di scrittura...17

1.2. La rivolta dei santi maledetti, archetipo della letteratura malapartiana...24

1.2.1. Composizione, edizioni e varianti...25

1.2.2 «Viva i fanti luridi e sudici»: il mito della rivolta del popolo...35

2. L'INTERVENTISMOPOLITICO-CULTURALEDEGLIANNI VENTI...64

2.1. Il “dramma della modernità”: l'«Italia barbara» contro l'«Europa vivente»...68

2.2. Dall'impegno politico a quello culturale: «Strapaese» e la polemica con Bontempelli...76

2.3. Malaparte al sacco di Prato...83

2.4. Don Camalèo: una satira tra le righe...94

3. LARICERCAESPRESSIVADEGLIANNI TRENTATRAGIORNALISMOELETTERATURA...100

3.1. Tecnica del colpo di Stato: una «storia romanzata»...100

3.2. La produzione breve degli anni Trenta ...111

3.2.1. Sodoma e Gomorra...113

3.2.2. Fughe in prigione...119

3.2.3. Sangue...124

3.2.4. Donna come me...134

3.2.5.«Visione di luoghi» e 'visione prospettica'...139

3.3. Oltre la prosa d'arte, verso il romanzo...155

4. ILLUNGOVIAGGIONELL'EUROPAINGUERRA...160

(4)

4.2. Il Volga nasce in Europa e l'avantesto di Kaputt...171

4.3. L'«allegro e crudele» Kaputt...182

4.3.1. “Scene”, tempo e memoria...184

4.3.2. Realtà e invenzione, il "realismo magico" di Kaputt...187

4.3.3. «Vous êtes cruel»: l'ironia crudele di Kaputt...193

4.3.4. Degenerazione e guerra...200

4.3.5. Il «simbolismo allegorico» e i legami con la Commedia di Dante ...206

4.3.6. Animali e «vinti»...212

4.3.7. Una visione “barocca” del mondo...219

4.3.8. Il «romanzo» come racconto di racconti e il rapporto col Decameron di Boccaccio...224

BIBLIOGRAFIA ...227

(5)

S

CHEMADELLEABBREVIAZIONIDELLE OPERE

VC = Viva Caporetto!, 1921 [= Viva Caporetto! La rivolta dei santi maledetti, a cura di Mario Isnenghi, Milano, Arnoldo Mondadori, 1981];

EV = L'Europa vivente: teoria storica del sindacalismo nazionale, 1923 [= L'Europa vivente e altri saggi politici, a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1961];

RSM = La rivolta dei santi maledetti, 1923 [= C. Malaparte, Opere, a cura di L. Martellini, Milano, Mondadori, 1997];

IB = Italia barbara, 1926 [= L'Europa vivente e altri saggi politici, a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1961];

AVV = Avventure di un capitano di sventura, 1927 [ = Don Camaleo e altri scritti satirici, a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1964];

DC = Don Camalèo, 1946 [= Don Camalèo e altri scritti satirici, a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1964];

SOD = Sodoma e Gomorra, 1931 [= Sodoma e Gomorra, Milano, Mondadori, 2002];

TCS = Tecnica del colpo di stato, 1931 [= Tecnica del colpo di stato, Firenze, Vallecchi, 1973]; FIP = Fughe in prigione, 1936 [= Fughe in prigione, Firenze, Vallecchi, 1954];

DCM = Donna come me, 1940 [= Donna come me, Milano, Arnoldo Mondadori, 1958]; SAN = Sangue, 1937 [= Sangue, Vallecchi, Firenze, 1995];

VNE = Il Volga nasce in Europa, 1943 [= Il Volga nasce in Europa e altri scritti di guerra, a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1965];

SOL = Il sole è cieco, 1947 [= Il Volga nasce in Europa e altri scritti di guerra, a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 196];

K = Kaputt, 1943 [= Kaputt, Milano, Adelphi, 2011];

MAL I = Malaparte. Vol, I 1905-1926, a cura di Edda Ronchi Suckert, Ed. Famiglie Suckert e Ronchi, 1991; MAL II = Malaparte. Vol. II 1927-1933, a cura di E. Ronchi Suckert, Ed. Famiglie Suckert e Ronchi, 1991; MAL III = Malaparte. Vol. III 1934-1936, a cura di E. Ronchi Suckert, Ed. Famiglie Suckert e Ronchi, 1992; MAL IV = Malaparte. Vol. IV 1937-1939, a cura di E. Ronchi Suckert, Firenze, Ponte alle Grazie, 1992; MAL V = Malaparte. Vol. V 1940-1941, a cura di E. Ronchi Suckert, Firenze, Ponte alle Grazie, 1992; MAL VI = Malaparte. Vol. VI 1942-1945, a cura di E. Ronchi Suckert, Firenze, Ponte alle Grazie, 1992

(6)

I

NTRODUZIONE

Curzio Malaparte attraversa la letteratura e la cultura italiana del Novecento come una presenza scomoda, polemica, emarginata, come l'autore spregiudicato di Tecnica del colpo di stato, di romanzi di guerra crudeli e “immorali” come Kaputt e La pelle, oppure come l'apologeta beffardo della gente toscana in Maledetti toscani, ma soprattutto per la leggenda creatasi intorno all'uomo, non dissoltasi né con la morte né con il tempo.

Nonostante il risveglio, negli ultimi anni, di un interesse critico ed editoriale1,

e le più frequenti occasioni di convegni e celebrazioni2, accompagnati dall'aumento

di contributi critici e saggistici di vario indirizzo, il “maledetto pratese” non riesce, tuttavia, a liberarsi delle etichette che il passato gli ha incollato addosso, e che spesso ha contribuito a confezionarsi da solo. L'atteggiamento prevalente è stato quello dell'indifferenza, dell'avversione, quando non ne è stata addirittura travisata l'opera, ridotta spesso a un'unica gigantesca boutade del “personaggio Malaparte”.

Così, uno studio che voglia essere davvero critico, libero da pregiudizi, in grado di restituire lo scrittore alla sua concreta dimensione, incontra numerose difficoltà. Innanzitutto, bisogna cercare di smontare la «leggenda» del «personaggio»3: i giornali continuano a riproporre la stessa immagine

dell'avventuriero piccolo-borghese, opportunista, grande amatore e amante del lusso, in sconcertante continuità coi titoli di ieri4. L'esaltazione dei tratti scandalistici,

buffoneschi, opportunistici della sua vita, del suo «gusto costante e uniforme dello

1 La casa editrice Adelphi, sotto la direzione editoriale di Giorgio Pinotti, ha pubblicato finora,

in accurate edizioni finalmente scientifiche, oltre ai romanzi di maggior successo Kaputt (2009) e La pelle (2010), Coppi e Bartali (2009), Tecnica del colpo di stato (2011), Il ballo al

Cremlino (2012), Maledetti Toscani (2017), e in ultimo Il buonuomo Lenin (2018).

2 L'ultimo, Curzio Malaparte e l'identità europea (1920-1950) si è tenuto a Torino, nel giugno

di quest'anno, e ha visto la partecipazione di molti studiosi dello scrittore.

3 La più recente biografia dello scrittore, interessante anche per l'aspetto letterario, è stata

significativamente intitolata dall'autore Maurizio Serra: Malaparte. Vite e leggende (Venezia, Marsilio Editori, 2012; I ed. Parigi, Editions Grasset & Fasquelle, 2011).

4 Eccone alcuni: Spunta il sole, canta il gallo, Malaparte rimonta a cavallo («L'Espresso», 30

settembre 1979); Malaparte scrittore di ventura («La Stampa» 22 settembre 1979), fino al più recente: Lo Strega a Malaparte? È una bella idea ma lui beveva champagne («Il Giornale», 18 maggio 2017), che allude alla polemica dello scrittore con il comitato del Premio nel 1950.

(7)

spettacolo»5, squalificando l'uomo sul piano morale e politico, rivestono di una patina

banalizzante il contenuto corrosivo delle sue opere, mettendo in atto una sorta di “rimozione culturale”6. Nonostante la dissoluzione delle griglie interpretative

politico-ideologiche del secolo scorso e lo sgretolamento di tante barriere moralistiche, la maggior parte delle sbarre pregiudiziali continua a intrappolare lo scrittore, configurandosi come giudizi estetici indelebili sull'opera7.

Già all'indomani della morte, avvenuta il 19 luglio 1957, i toni degli interventi, pur concedendo un qualche riconoscimento artistico, non si discostarono molto dalle parole di Carlo Bo, il quale scrisse che Malaparte «non ha saputo costruire mai qualcosa di veramente suo»; pur essendo un «letterato di razza e di grande prestigio», egli «restava troppo a disposizione della realtà mutevole […] in fondo, privo di amore8». I critici (e i vecchi amici) non persero tempo a sconfessarne

il talento, esagerandone i difetti umani, riducendo tutto il complesso – pure se a volte ambiguo – percorso esistenziale e letterario a opportunismo, a smisurato egocentrismo e a dilettantesca maniera. Per alcuni egli è un «caso eccezionale di un certo tipo di letteratura italiana del peggior ceppo nazionalista e linguaiolo»9; gli

appellativi si possono citare copiosi senza rischiare di esaurire il campionario: «italiano del Rinascimento», «dannunziano in ritardo», «Casanova», «Aretino», «Cagliostro10»; «versipelle congenito, esempio esemplare di malcostume cinico e

intelligente11»; «fabbricatore di bolle di sapone terroristiche12»; «grande dilettante che

5 G. B

ÀRBERI SQUAROTTI, La narrativa italiana del dopoguerra, Bologna, Cappelli, 1965, p.12.

6Anche Giuseppe Pardini descrive l'atteggiamento della critica «più simile a una rimozione

culturale che a una congiura del silenzio» (G. PARDINI, Cuzio Malaparte. Biografia politica,

Milano-Trento, Luni Editrice, 1998, p. 15).

7 Per una storia della critica sull'opera di Curzio Malaparte, si rimanda a L. M

ARTELLINI, Invito alla lettura di Curzio Malaparte, Milano, Mursia, 1977, pp. 131-146; e a GIANNI GRANA, Malaparte, la critica, il pregiudizio: confutazioni e rettifiche, in Malaparte scrittore d'Europa, Atti del convegno (Prato 1987) e altri contributi, coordinazione di Gianni Grana, Comune di

Prato-Marzorati editore, 1991, pp. 161-177. Per avere un quadro generale della ricerca su Malaparte a sessant'anni dalla morte, si rimanda all'articolo di E. MATTIATO, Curzio Malaparte 60 ans après sa mort: états de la question et perspectives, in «Cahiers d'études italiennes»

[En ligne], 24│2017, mise en ligne le 28 février 2017(url: http://cei.revues.org/3274).

8 C

ARLO BO, Voce toscana, «La Stampa», 20 luglio 1957.

9 E. G

IOANOLA, Storia letteraria del Novecento in Italia, Torino, SEI, 1975, p. 174.

10 Tutti riportati da G. G

RANA, Il “camaleonte” e il sistema letterario italiano, in Malaparte scrittore d'Europa, cit., p. 46.

11 G. P

ETRONIO, Racconto del Novecento letterario in Italia. 1890-1940, Milano, Oscar

Mondadori, 2000, p. 190.

12 E. C

(8)

tuttavia lavora indefessamente con estrema serietà»13; fino al caustico giudizio di

Moravia, il quale dichiarò che Malaparte appartiene alla tradizione tipicamente italiana «degli uomini che non hanno servito la Letteratura, ma si sono serviti di Lei come di un piedistallo per innalzare la statua del proprio io14». Così, nelle storie della

letteratura italiana, quando è citato, viene riproposto sempre lo stesso stereotipo del personaggio anarcoide e superficiale15; altre volte compare brevemente solo come

fondatore della rivista «900» insieme a Bontempelli, e come uno dei più accesi sostenitori-promotori di «Strapaese»: come se tutta l'esperienza dello scrittore, una delle più varie e complesse della nostra letteratura, si potesse identificare esclusivamente con quel momento compositivo e culturale.

Dopo la morte, Enrico Falqui si occupò di pubblicare le Opere complete presso Vallecchi16, ed ebbe l'indubbio merito di non far calare il silenzio sull'opera

malapartiana. Gianni Grana fu il primo a dedicare allo scrittore uno studio monografico17; egli delineava finalmente una direzione interpretativa priva di

pregiudizi, in grado di reinserire l'opera dello scrittore nel contesto storico del Novecento, all'interno di una crisi della civiltà occidentale che fu uno dei temi principali della sua attività letteraria e intellettuale. Alla monografia di Grana seguì quella di Giampaolo Martelli (1968)18, e nel 1972 Luigi Martellini pubblicava per

Cecchi e Natalino Sapegno, Il Novecento, vol. II, Milano Garzanti, 1987, p. 395.

13 E. R

ONCONI (voce a cura di), Malaparte Curzio, in Dizionario della letteratura italiana contemporanea, Firenze, Vallecchi, 1973, p. 453.

14 M. B

ONUOMO, Malaparte. Una proposta (fotografico, con una intervista ad Alberto Moravia),

Roma, De Luca editore, 1982. Bisogna ricordare che Malaparte apprezzava l'opera moraviana, e soprattutto fu molto vicino allo scrittore romano, assumendolo come collaboratore alla sua rivista «Prospettive» (gli affidò anche la direzione nei periodi in cui egli era lontano), e continuando a farlo scrivere sulla rivista anche dopo la promulgazione delle leggi razziali, con lo pseudonimo di «Pseudo».

15 «[...] soprattutto Malaparte non riuscì ad avere la disciplina morale, intellettuale e stilistica

che contraddistinguono lo scrittore autentico; il cinismo e lo scetticismo che affiorano nel bel mezzo delle sue affermazioni più impegnate, la confusione ideologica che contraddistingue le sue analisi della civiltà europea contemporanea, il gusto sensuale della parola [...], gli stessi modi impulsivi ed anarchici del suo comportamento individuale, ne fanno più un avventuriero della penna, un giornalista brillante ma superficiale, che uno scrittore» (C. SALINARI, C. RICCI, Storia della letteratura italiana, vol. III, Bari, Laterza, 1974, p. 1159).

16 C. M

ALAPARTE, Opere complete, a cura di E. Falqui, Firenze, Vallecchi, 1961-1967, in 9

volumi.

17 G. G

RANA, Curzio Malaparte, in Letteratura italiana, Milano, Marzorati, 1961; poi ID., Malaparte, Firenze, La Nuova Italia, 1968, in un'analisi più ampia.

18 G. M

(9)

Mursia il suo Invito alla lettura di Curzio Malaparte19: ad oggi restano gli unici tre

studi che offrono una panoramica sull'intera opera dello scrittore.

Negli anni Ottanta l'occasione per un ritorno di interesse fu soprattutto la pubblicazione della prima biografia che aspirava ad essere “storica” e obiettiva, scritta da Guerri e uscita nel 198020, e al primo convegno organizzato nella sua città

natale, nel 198721.

Negli anni Novanta, in seguito alla pubblicazione delle carte dell'archivio a cura della sorella Edda Ronchi Suckert, ai quali accenneremo a breve – la figura di Malaparte riprese a far discutere, a interessare, a sollevare dibattiti. La riedizione, nel 1995, di ben tre opere malapartiane22 continuò a tenere desta l'attenzione di critica e

pubblico nei confronti dello scrittore. Nel 1997 Martellini approntò l'edizione del Meridiano23, con una interessante Introduzione, nella quale tentava una collocazione

obiettiva dell'opera nel panorama della nostra letteratura nazionale e ne mostrava i legami con quella europea; e con una Notizia sui testi in cui finalmente si iniziava una ricognizione filologica seria, con annotazioni di varianti e la ricostruzione della situazione compositiva. A Luigi Martellini si devono in tutti questi anni la ristampa di molte opere di Malaparte e la stesura di numerosi studi (l'ultimo risale al 2014)24,

che indagano gli aspetti stilistici, formali, intertestuali dell'opera di un artista eclettico (la cui produzione va dai testi narrativi alla poesia, dal giornalismo al teatro, al cinema), raramente studiata nei suoi aspetti più propriamente letterari. Nel 1998

19 L. M

ARTELLINI, Invito alla lettura di Curzio Malaparte, Milano, Mursia, 1977.

20 G. B. G

UERRI, L'arcitaliano. Vita di Curzio Malaparte, Milano, Bompiani, 1980; poi Milano,

Leonardo, 1991. La prima biografia sullo scrittore è quella di Franco Vegliani, giornalista al quale Malaparte volle affidare il racconto della propria vita, durante i mesi della permanenza in ospedale: F. VEGLIANI, Malaparte, Milano-Venezia, Guarnati, 1957.

21 Fin dal titolo, Malaparte scrittore d'Europa, veniva dato giusto risalto alla dimensione

europea della sua opera, invero uno dei non molti scrittori italiani del Novecento ad aver raggiunto una statura internazionale: AA.VV., Malaparte scrittore d'Europa, Atti del convegno

(Prato 1987) e altri contributi, coordinazione di Gianni Grana, Comune di Prato-Marzorati

editore, 1991.

22 C. M

ALAPARTE, Viva Caporetto! La rivolta dei santi maledetti: secondo il testo della prima edizione 1921, a cura di Marino Biondi, Firenze, Valecchi, 1995; C. MALAPARTE, Tecnica del

colpo di stato, con introduzione di Giorgio Luti, Firenze, Vallecchi, 1995; C. MALAPARTE,

Sangue, con introduzione di Giorgio Luti, Firenze, Vallecchi, 1995.

23 C. M

ALAPARTE, Opere scelte, a cura di Luigi Martellini, Milano, Mondadori, “I Meridiani”,

1997 (con La rivolta dei santi maledetti, Tecnica del colpo di stato, una selezione dai

(10)

usciva la biografia di Giuseppe Pardini25, nella quale l'autore delinea l'esperienza

politica di Curzio Malaparte, figura interessante per la comprensione della cultura politica del fascismo, soprattutto nella sua componente di “sinistra” (del cosiddetto “fascismo integrale”).

Negli ultimi vent'anni, oltre alle ripubblicazioni di Adelphi e di Passigli26, numerosi sono stati i contributi alla comprensione e alla definizione dell'opera malapartiana. Si tratta soprattutto di singoli articoli pubblicati su riviste, o in studi più ampi e non incentrati sull'autore, o raccolti negli atti dei convegni27: molti sono

brevi studi su singoli aspetti tematici e biografici, o su campi poco studiati come il cinema e il teatro; pochi quelli che hanno un respiro più ampio, e comunque riguardano soprattutto la dimensione filosofica, giornalistica, biografico-letteraria28,

quasi niente sul versante narrativo-stilistico generale, oltre allo studio di Martellini sui racconti malapartiani29. Vorrei citare due volumi in particolare: Il giocoliere

d'idee di Andrea Orsucci30, uno studio di grande interesse per il continuo riferimento

ai testi, in un lavoro di critica testuale che scava alla ricerca delle fonti più minuziose del pensiero malapartiano, mettendo in luce come esso delinei una visione del mondo coerente e retta da solide basi filosofico-letterarie; e il volumetto L'estetica dello choc di Giuseppe Panella31, che esamina una caratteristica subito notata dalla critica

25 G. P

ARDINI, Curzio Malaparte. Biografia politica, Milano-Trento, Luni Editrice, 1998.

26 C. M

ALAPARTE, Muss. Ritratto di un dittatore, Bagni a Ripoli (Firenze), Passigli, 2017; ID., Sangue, Passigli, 2017. Il primo è uno degli scritti inediti su Mussolini, pubblicato insieme a Il grande imbecille già nel 1998 da Luni: C. MALAPARTE, Muss. Il grande imbecille, prefazione di

Francesco Perfetti, Milano-Trento, Luni Editrice, 1999.

27 Dopo il convegno del 1987, e i relativi atti pubblicati nel 1991, sono stati pubblicati i

seguenti volumi: Curzio Malaparte: il narratore, il politologo, il cittadino di Prato e dell'Europa. Atti del convegno, giugno 1998, a cura di Renato Barilli e Vittoria Baroncelli, Napoli, CUEN, 2000; «La bourse des idées du monde». Malaparte e la Francia, Atti del convegno internazionale di studi su Curzio Malaparte, Prato-Firenze, 8-9 novembre 2007, a cura di Martina Grassi, Firenze, Leo S. Olschki, 2008; Viaggi fra i terremoti: Malaparte e il

giornalismo. Atti del convegno: Prato, 12 dicembre 2008, Prato, Biblioteca comunale A.

Lazzerini-Comune di Prato, 2009; Curzio Malaparte. Una sofferta scrittura dentro la storia. Atti del seminario (2007), a cura di Luigi Martellini, Panzano in Chianti, Città ideale, 2010.

28 Si possono citare: G. L

A GRECA, Curzio Malaparte alle isole eolie. Vita al confino, amori e opere, Lipari, Centro Studi Eoliano, 2012; E. R. LAFORGIA, Malaparte scrittore di guerra, Firenze, Vallecchi, 2011; P. GIACOMEL, Tu col cannone, io col fucile. Curzio Malaparte e Alessandro Suckert nella Grande Guerra, Udine, Gaspari, 2003.

29 L. M

ARTELLINI, Malaparte narratore, in Nel labirinto delle scritture, Roma, Salerno editrice,

1996, pp.113-169.

30 A. O

RSUCCI, Il giocoliere d'idee. Malaparte e la filosofia, Pisa, Edizioni della Normale, 2015.

31 G. P

ANELLA, L'estetica dello choc. La scrittura di Curzio Malaparte tra esperimenti narrativi e poesia, Firenze, Clinamen, 2014.

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(quella che i denigratori hanno chiamato il “gusto dello spettacolo”): l'esigenza di sconvolgere il lettore, attraverso immagini spesso turpi, scandalose, crudeli, grottesche; per lo studioso si tratta, invece, di una consapevole «poetica dello choc», perseguita con precisi espedienti formali, e ricondotta alla volontà di colpire con forza «le “parti molli” del costume e delle espressioni culturali italiane32».

Un'altra difficoltà che coloro che si accingono allo studio dell'opera malapartiana devono affrontare riguarda lo status filologico-editoriale dei testi, per cui si rimanda in primo luogo alla ricognizione effettuata da Martellini33, constatando

come, a distanza di una ventina d'anni, non sia cambiato molto34. Ancora oggi manca

un'edizione critica integrale dell'opera di Curzio Malaparte, completa di varianti e stesure, e dunque, per molti testi, non disponiamo di un'edizione sufficientemente certa e sicura per forma e contenuto. La pubblicazione delle Opere complete curate per Aria d'Italia dall'autore stesso nell'ultima parte della sua vita e poi quelle approntate da Enrico Falqui per Vallecchi dopo la morte, non sono solo incomplete, ma non danno sufficienti garanzie di affidabilità filologica, pur restando quella di Falqui un'iniziativa meritoria, soprattutto perché per molti testi rappresenta la ristampa più recente e più facilmente reperibile, per esempio per i saggi giovanili degli anni Venti35.

Un prezioso contributo per le ricerche sull'autore sono i volumi curati dalla sorella Edda Ronchi Suckert, pubblicati tra il 1991 e il 199636, che contengono le

carte dello scrittore, in ordine cronologico: dodici volumi densi di lettere, racconti e frammenti inediti, piani di lavoro, articoli, appunti, recensioni: una vera miniera per gli studiosi, di cui bisogna essere davvero grati. Nel servirsene, però, si deve prestare attenzione ad alcuni problemi fondamentali: prima di tutto, non è contenuto l'intero 32 Ivi, p. 14.

33 L. M

ARTELLINI, Stato attuale delle opere di Curzio Malaparte, in Curzio Malaparte: il narratore, il politologo, il cittadino di Prato e dell'Europa. Atti del convegno, giugno 1998, a

cura di Renato Barilli e Vittoria Baroncelli, cit., pp. 327-353.

34 Se si eccettuano le ripubblicazioni di Adelphi, e quelle di Luigi Martellini, che si è occupato

dell'edizione scientifica del romanzo Il sole è cieco, della sceneggiatura de Il Cristo proibito e di Lotta con l'angelo.

35 Si tratta di: Le nozze degli eunuchi, L'Europa vivente: teoria storica del sindacalismo

nazionale, Italia barbara e I custodi del disordine, tutti contenuti nel vol. IV delle Opere complete, Firenze, Vallecchi, 1961.

(12)

corpus dell'autore, e non sono chiariti i criteri con cui si è approntata l'edizione; poi, i documenti e i testi sono inframmezzati da ricostruzioni biografiche, ricordi e interventi della curatrice, che a volte sono confusi, oppure vi sono interpretazioni e contestualizzazioni qualche volta un po' tendenziose e inesatte.

L'esigenza di ricerca filologica non può prescindere ovviamente da un'adeguata fruizione dell'archivio dello scrittore, che ha avuto una vicenda alquanto particolare: i trecento faldoni di manoscritti, dattiloscritti, ritagli, documenti privati che lo compongono sono stati conservati privatamente dagli eredi a Firenze fino al 2009 (aprendo di tanto in tanto la porta ai pochi studiosi), anno in cui l'intero Archivio Malaparte è stato trasferito nella Biblioteca di via Senato a Milano. In quella sede iniziò un lavoro di inventariazione, e il fondo fu reso accessibile agli studiosi. Dal 2014, l’Archivio Malaparte, che è stato anche notificato dalla Soprintendenza Archivistica come «estremamente importante per la storia del nostro Paese e soprattutto per la storia della nascita e dello sviluppo del fascismo»37, è sotto

sequestro, a seguito delle vicende giudiziarie del suo presidente Marcello Dell'Utri. Il sequestro ha avuto come effetto il blocco da parte della Soprintendenza del progetto di inventariazione, di selezione e di catalogazione dell'intero corpus, che dura ancora. Nonostante il fondo sia ritornato accessibile da qualche anno, presenta comunque delle difficoltà di fruizione: al momento l'unica catalogazione, incompleta e imprecisa, risulta l'inventario fatto dagli eredi in vista della vendita. Ho sperimentato io stessa le difficoltà di consultare agevolmente il fondo, quando mi sono recata a Milano: innanzitutto, per la mancanza di una catalogazione digitale che possa velocizzare le ricerche; poi, perché a volte non vi è corrispondenza tra l'indicazione dell'inventario e il contenuto del faldone.

Il lavoro che spetta a studiosi e critici è comunque enorme anche per le caratteristiche stesse del corpus malapartiano: lo scrittore era uno «sgobbone senza uguali […] nessuno dei suoi libri comporta meno di quattro o cinque versioni, talvolta anche più nel corso degli anni»38. Il percorso della riscoperta di Curzio

37 Come si legge anche sulla pagina internet della Biblioteca di via Senato dedicata

all'archivio dello scrittore, url: http://www.bibliotecadiviasenato.it/biblioteca/archivio-moderno/archivio-malaparte.aspx.

38 M. SERRA, Malaparte. Vite e leggende,Venezia, Marsilio Editori, 2012, p. 53. Anche M. A.

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Malaparte è, quindi, ancora lungo, e passa per tappe imprescindibili e preliminari come la certezza del testo e un metodo interpretativo scevro di pregiudizi, affinché si possano sciogliere dubbi e perplessità di lungo corso, e magari formularne di nuovi.

Questo studio intende dimostrare come, a dispetto dei pregiudizi tuttora vigenti sull'autore, l'opera narrativa di Curzio Malaparte rappresenti una proposta originale nel panorama letterario del Novecento. Si tratta di una monografia, aggiornata ai più recenti studi, incentrata sulla letteratura e sul giornalismo malapartiano, che tenta di mostrare, attraverso i nessi tra i due campi, l'analisi dei temi, dello stile, le costanti e gli intenti, come l'intera produzione precedente a Kaputt ruoti intorno agli stessi problemi espressivi e ai medesimi interrogativi morali, primo fra tutti quello della decadenza della civiltà europea, e dell'espressione artistica della «testimonianza».

Curzio Malaparte non fu solo un acuto osservatore degli eventi turbolenti della sua epoca, vissuti indirettamente o personalmente, ma ne vorrà essere soprattutto il testimone, il critico:

Lo scrittore, a mio parere, deve essere il testimone e il confessore (se non proprio il giudice) del suo tempo, del suo popolo, e della società in cui vive [...] deve esser pronto a pagar di persona, deve farsi il difensore degli umili, dei diseredati, degli oppressi, deve esprimere con coraggio, con schiettezza virile, quel che la povera gente non sa o non osa esprimere: deve, soprattutto, combattere non solo l'arbitrio dei potenti, ma anche la conseguente viltà, e la rassegnazione, degli umili39.

Questi pensieri, espressi nel 1954 quasi alla fine della sua vita, nella sua rubrica Battibecco in «Tempo», sono il traguardo maturo di una aspirazione messa in pratica fin dall'inizio della sua attività: già da La rivolta dei santi maledetti, la scrittura prende la forma della difesa accanita dei fanti di Caporetto contro la "nazione" degli "imboscati" e dei potenti. Questa concezione «quasi messianica»40

pagina. Magari solo per la sua rubrica settimanale, “Il battibecco” sul “Tempo”. Nottate intere per perfezionare, selezionare una parola, un aggettivo, quasi un lavoro da orafo» (A. M. MACCIOCCHI, Ricordo di Malaparte scrittore europeo, in Malaparte scrittore d'Europa, cit., p.

20).

39 C. M

ALAPARTE, Lo scrittore nel mondo moderno, in «Tempo», n. 34, 26 agosto, 1954, ora in

ID., Battibecchi, a cura di Enrico Nassi, Florentia, Shakespeare and Company, 1993, p.

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dello scrittore, che deriva dal romanticismo, per Malaparte è attuale ancora alla metà del Novecento, e va in parte a sovrapporsi – senza identificarvisi – con la nuova concezione esistenzialista dell'intellettuale engagée. È una concezione antica dello scrittore come profeta, come voce del popolo (spesso contro il popolo), novella Cassandra.

Nel primo capitolo, verrà messo in evidenza come la scelta della scrittura sia conseguenza del trauma provocato dalla partecipazione alla Prima guerra mondiale: la scrittura nasce come una “seconda” vita, come uno strumento di lotta e di riscatto contro l'oblio e l'annichilimento bellico, in ultimo come «testimonianza» marchiata dal fuoco della storia. La particolarità di questa genesi segnerà il carattere della prima opera che, come ha scritto l'autore, contiene «in germe tutti i motivi fondamentali […] della sua storia personale, d'uomo e di scrittore41». Da questa

doppia vocazione alla lotta e alla scrittura dipendono sia l'attività letteraria, anch'essa nutrita delle esigenze di intervento, e per questo espressa in forme e modi peculiari nel panorama del Novecento italiano; sia l'attività pubblicistica e giornalistica, che vede quindi prevalere un intento più scopertamente militante, attraverso un chiaro filtro letterario.

Nel secondo capitolo, sarà preso in considerazione il periodo di forte interventismo politico e culturale degli anni Venti, dove è prevalente l'interesse militante che sfocia in opere soprattutto saggistiche. All'interno di queste opere vi è comunque un forte tasso di letterarietà; le riflessioni intorno al «dramma della modernità», e l'esaltazione della patria «barbara», cioè della parte vitale, antica, “selvaggia” del popolo italiano, continuano le scoperte fatte nel corso della guerra e indicano il percorso che l'autore seguirà in futuro. È in questo periodo, inoltre, che l'autore pubblica la sua prima opera narrativa: Avventure di un capitano di sventura, un lungo racconto legato al movimento di «Strapaese», di cui lo scrittore fu uno degli animatori più decisi. Per la prima volta Malaparte vi compare come personaggio e narratore insieme, come sarà anche nel contemporaneo Don Camalèo, un racconto satirico dalla evidente connotazione politica.

41 C. M

ALAPARTE, Prefazione a Due anni di battibecco. 1953-1955, Milano, Garzanti, 1955, p.

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Al centro del terzo capitolo è la produzione degli anni Trenta, a partire da Tecnica del colpo di stato, opera al confine tra il saggio storico, il reportage e il racconto, in cui lo sguardo dello scrittore si fa più distaccato e ironico; continua la ricerca sull'espressione letteraria della “testimonianza” e sulla prima persona narrante. Osservare e testimoniare nella storia, per Malaparte, non significa «dire la verità»: la testimonianza è sempre insidiata dalla rappresentazione letteraria, la realtà è mescolata con l'invenzione perché l'importante è conservarne il senso, la verità profonda. Uno spazio notevole è riservato alle quattro raccolte di racconti pubblicate negli anni Trenta, Sodoma e Gomorra (1931), Fughe in prigione (1936), Sangue (1937), fino a Donna come me (1940). A partire da questo periodo, i temi del macabro, del grottesco, dell'onirico e del surreale saranno sempre più presenti, insieme al parallelo intensificarsi della metafora, dell'analogia, della sinestesia. Emerge in maniera chiara l'intento di costruzione di un ritratto letterario, di un «io testimone», ironico, colto, sensibile, che attraverso le sue esperienze di morte ha acquisito misteriose facoltà di penetrazione delle cose del mondo.

Nel quarto e ultimo capitolo, saranno presi in esame Il sole è cieco, breve romanzo uscito a puntate nel 1941 su «Tempo» e incentrato sulla guerra in Francia; Il Volga nasce in Europa, raccolta di corrispondenze di guerra dal fronte orientale, e Kaputt, punto di arrivo di tutta la ricerca letteraria dello scrittore, opera nella quale arrivano a maturazione ed equilibrio le componenti della sua prosa e della sua visione del mondo. La scrittura diventa mezzo di conoscenza e di interpretazione dello sfacelo: lo scrittore attraverso di essa e in essa realizza forme espressive ed estetiche in grado di reinventare una realtà – partendo da fatti storici – che sotto la torsione tragica degli eventi si deforma, si dilata, si trasfigura attraverso una immaginazione visionaria e barocca in grado di cogliere le ambiguità misteriose dell'esistenza, la convivenza degli opposti, lo sgretolamento delle certezze e l'impossibilità di comprendere il mondo attraverso la razionalità cartesiana, e una fede in un dio che non si vede ed è indifferente, di cui la natura, dal paesaggio etiope al lunare paesaggio finlandese, non è che uno specchio. Kaputt, servendosi di paradossi arditi, metafore grottesche, allegorie orribili, iperboli crudeli, immagini anamorfiche di una realtà che sfugge alla logica razionale, rivela tutto il senso e la

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verità più profonda al di sotto della esperibilità del quotidiano che è l'ingannevole apparenza delle cose: al di sopra di tutto l'inevitabilità del male e della sofferenza. Per questo Malaparte afferma che la guerra non è la protagonista di Kaputt, ma ne è il «paesaggio oggettivo». La guerra è lo scenario in cui esplodono e si manifestano in modo eclatante e “spettacolare” gli effetti della decadenza civile e le ambiguità del reale. Con la sua letteratura “crudele” e visionaria, lo scrittore vuole colpire provocatoriamente coloro che non vedono e non sentono lo schianto tutto intorno, e continuano a muoversi ciecamente nelle città come se non vagassero tra macerie; unico barlume in mezzo al marciume, la dignità dei vinti:

Non so quale sia il più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore. Ma una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori. Tutto il mio cristianesimo è in questa certezza [...] In questi ultimi anni ho viaggiato spesso e a lungo nei paesi dei vincitori e in quelli dei vinti, ma dove mi trovo meglio è tra i vinti. Non perché mi piaccia assistere allo spettacolo della miseria altrui, e dell'umiliazione, ma perché l'uomo è tollerabile, è accettabile, soltanto nella miseria e nella umiliazione. L'uomo nella fortuna, l'uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicità, l'uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore [...] per usare una immagine classica, è uno spettacolo ripugnante42.

Lo scrittore svolse queste riflessioni nell'arco di una vita intera, la quale, nonostante le oscillazioni, i tentennamenti, i rovesciamenti di fortuna e le contraddizioni, risulta di una non comune coerenza nelle sue matrici più intime.

42 C. M

ALAPARTE, La pelle, introduzione di L. Baldacci, Milano, Garzanti, 1989 [1978], pp.

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1. A

LLE ORIGINIDELLASCRITTURAMALAPARTIANA

1.1. L'esperienza della guerra come nucleo originario di impegno e di scrittura

Di padre tedesco e di madre lombarda, Kurt Erich Suckert, nome alla nascita di Curzio Malaparte, nacque a Prato, una città che per il suo particolare carattere influenzò molto la formazione umana e sociale del futuro scrittore. Indugiare brevemente sulla sua gioventù è fondamentale per capire la sua stessa opera letteraria, poiché è proprio alla primissima adolescenza che risalgono le esperienze che influenzarono tutta la sua vita.

Toscano di nascita, fu mandato a balia presso la famiglia contadina di Milziade Baldi, rivendicando sempre con orgoglio questa paternità1, dal quale ebbe

trasfuso quel suo particolare senso della toscanità, vero valore ideale nella vita e nella letteratura: la Toscana patria mitica di armonia e di autenticità, coi suoi abitanti geniali e irriverenti, artisti e contadini dal lazzo facile e dalla bontà sincera. Nessuno scrittore, forse, più di lui ha rivendicato con così insistita costanza nelle sue opere «l'essere impastato di questa terra pratese dove son nato, dove cammino, dove siedo, dove pianto alberi ed erbe, e dove un giorno dormirò tranquillo e beato2».

L'educazione classica del Collegio Cicognini, istituto prestigioso frequentato dai giovani della buona borghesia italiana, andò ad affiancare le prime letture della biblioteca paterna3. Fuori dalla disciplina e dalla solitudine del collegio, Suckert

incontrava una comunità di operai, di artigiani, di contadini, un mondo di fatica e di lotte spesso violente: la vita del popolo pratese che innescava, sull'imbolsita storia insegnata al collegio, la scintilla viva della partecipazione alla vita sociale. Fin dal 1911, Kurt Erich Suckert si iscrisse al Partito Repubblicano, prendendo parte a molte 1 «Sono un Baldi anch'io, in quanto il latte delle balie si muta in sangue nelle vene dei

poppanti. Debbo a Mersiade, al suo esempio, al suo insegnamento, alla favola della sua vita, il lato sobrio e terragno del mio carattere» (FIP, p. 226).

2 MAL I, p.12.

3 Soprattutto Goethe, per cui il padre aveva una vera venerazione, poi i tragici greci, i poeti

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lotte sociali: questa partecipazione sentimentale fu, accanto all'educazione letteraria e culturale, «uno degli elementi fondamentali della sua educazione morale e intellettuale»4. Fondamentale fu poi la conoscenza e la frequentazione del poeta Bino

Binazzi, di famiglia operaia, mazziniano socialista, che gli fece conoscere la poesia moderna francese, Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, e Apollinaire. Binazzi lo portava anche con sé a Firenze al caffè «Le Giubbe rosse» e al caffè «Paszkowski», dove si incontravano Papini, Palazzeschi, Soffici, Campana, per citarne alcuni. A Firenze convivevano l'apertura internazionale, l'eclettismo, l'impegno etico e critico de «La Voce» con l'aggressivo e pantoclastico futurismo di «Lacerba»: fu un incredibile apprendistato letterario e culturale, che rafforzò e orientò la scelta della scrittura in senso militante.

Quando scoppiò il primo conflitto mondiale, nell'estate del 1914, l'Europa era già da anni percossa da venti di guerra e nazionalismi aggressivi. L'età giolittiana, sotto il trucco della belle époque, nascondeva una conflittualità sociale acuita dalla modernità e dal problema di una classe dirigente immobile e arroccata nella difesa dello statu quo, mentre, con l'introduzione del suffragio universale maschile, si imponeva in tutta la sua complessità il problema dell'integrazione del popolo nella nazione. Al «mito della guerra»5 e a preparare il 1914 concorsero tutte le componenti

della società, agitando le proprie motivazioni: alla guerra imperialista come possibilità di alleggerimento della pressione sociale attraverso l'emigrazione, quale la presenterà la propaganda della classe dirigente liberale per la guerra di Libia (1911-1912), e alle motivazioni patriottiche dell'«ultima guerra» per la liberazione di Trento e Trieste e il completamento del processo risorgimentale, si affiancava l'esaltazione della guerra come «festa», dispiego di energie e slancio vitale, la guerra «igiene del mondo» del Manifesto futurista6, in un processo di estetizzazione e di

depoliticizzazione che accentuavano il movente psicologico-individuale (Marinetti, D'Annunzio, i lacerbiani). Nel 1912 Lemmonio Boreo di Soffici e L'uomo finito di 4 MAL I, p. 22.

5 Punto di riferimento obbligato è il fondamentale saggio di M

ARIO ISNENGHI, Il mito della grande guerra, Bologna, Il Mulino, 2014 [I ed. Bari, Laterza, 1970], che ho tenuto presente

per tutta questa parte sulla Prima guerra mondiale, insieme a ID., I vinti di Caporetto nella letteratura di guerra, Padova, Marsilio, 1967.

6 F. T. M

ARINETTI, Manifeste du Futurisme, in «Le Figaro», 20 febbraio 1909, ora in P. TONINI, I manifesti del futurismo italiano, Gussago, Edizioni dell'Arengario, 2011.

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Papini espressero il senso di decadenza, di malessere e di smarrimento di tutta una generazione di giovani delle classi medie, che rifiutavano l'ordine costituito e il soffocante presente, disponibili a diverse possibilità di ribaltamento purché tutto cambiasse: tale disposizione alla «reversibilità sovversiva»7, come è stata definita da

Mario Isnenghi, è la categoria alla luce della quale egli legge anche l'interventismo del giovane Malaparte (e la conseguente opera scaturita dall'esperienza bellica, Viva Caporetto!).

Nell'inverno del 1914-15, il sedicenne Kurt Erich Suckert, sulla spinta della dichiarazione interventista del proprio partito, gonfio di spirito risorgimentale e di ansia rivoluzionaria8, decise di fuggire in Francia per arruolarsi nella Legione

Garibaldina, per combattere a fianco dei francesi sulle Argonne. La fuga in Francia rivestì una importanza particolare come esperienza umana:

Scoprii che gli uomini, anche in guerra, non combattono tanto per la vittoria sul nemico esterno, quanto per la vittoria sul nemico interno: combattono per la propria libertà, per una migliore giustizia sociale. Fu per me, ragazzo di sedici anni, una scuola incomparabile, quella Legione Garibaldina: composta quasi esclusivamente di operai, socialisti, repubblicani, anarchici e sindacalisti rivoluzionari.[...] Molti erano venuti, come me, dall'Italia, non solo per difendere la Francia nell'ora del pericolo, ma per affermare il diritto del popolo italiano alla libertà e alla giustizia9.

Suckert scoprì Parigi e tutto il mondo artistico e letterario che le gravitava intorno10. Negli anni, come scrive François Livi, elaborerà un vero e proprio mito

autobiografico intorno alla sua esperienza di guerra in Francia, particolarmente visibile in una pagina del 1954 intitolata Boulevards des Italiens11, nella quale viene

7 Per tutta l'analisi della categoria interpretativa della "reversibilità sovversiva" si rimanda a

M. ISNENGHI, Il mito della grande guerra, cit., p. 47.

8 Scrive Maurizio Serra: «Curzio si situa a destra per impegno nazionalista e senso naturale

della gerarchia, ma a sinistra per ripudio dell'ordine costituito e attrazione per il proletariato, operaio e contadino. Vuole la guerra per completare l'unità nazionale, ma non per difendere la dinastia. E sa subito da che parte stare: contro la Germania, per la Francia» (M. SERRA, Malaparte. Vite e leggende, cit., p. 61).

9 MAL I, p. 75.

10 Questa fu la sua prima esperienza in Francia, dove Malaparte tornerà nel 1931, dopo il

licenziamento da direttore de «La Stampa», fino al 1933; poi di nuovo dopo la seconda guerra mondiale, nel 1947 fino al 1949. Come affermato da lui stesso, fu un rapporto filiale: «Fu il mio primo incontro con la Francia. Ero un bambino, pallido, gracile, timido, e la Francia mi fece da madre» scrisse nel Diario di uno straniero a Parigi, composto nel 1947-48 (C. MALAPARTE, Diario di uno straniero a Parigi, Firenze, Vallecchi, 1966, p. 13).

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rievocata tutta la prima esperienza francese, culminante nella visione fantastica dell'incontro del ragazzo di sedici anni con Guillame Apollinaire, Blaise Cendrars e Ricciotto Canudo: attraverso questi tre «numi tutelari» – soldati volontari, non francesi, e soprattutto futuri scrittori, come lui – costruisce un mito personale di «scrittore-combattente» in cui «è soprattutto il primo elemento a esser messo in risalto, mediante questo compagnonnage d'armes legittimante (poco importa se vero, o idealizzato, o inventato)»12. Il bisogno di intervenire nella realtà e di lottare per il

rinnovamento civile dell'Italia lo porta a non considerare sufficiente l'impegno letterario, e dunque alla militanza politica del dopoguerra nel fascismo rivoluzionario, la corrente di “sinistra” di ascendenza sindacalista-rivoluzionaria. Fu proprio questa primissima esperienza a metterlo in contatto con le idee del sindacalismo rivoluzionario e di Sorel, che avranno una influenza enorme sul pensiero politico e sulle stesse opere letterarie e saggistiche dell'immediato dopoguerra, come si vedrà, e che danno al suo interventismo il significato di una lotta rivoluzionaria per il riscatto del popolo.

Al ritorno in Italia nel marzo del 1915 appoggiò la campagna interventista coi repubblicani e i sindacalisti rivoluzionari, e partì di nuovo come volontario nel maggio 1915 per arruolarsi nella Brigata "Cacciatori delle Alpi", dove si ritrovarono tutti i compagni legionari garibaldini:

Ho partecipato, in prima linea, a tutta la guerra, due anni come semplice soldato di fanteria, e dall'Ottobre 1917 in poi, come ufficiale: sul Col di Lana, sulla Marmolada, sul Col di Briccon, sul Piave, sull'Asolone. Nell'Aprile del 1918, fui inviato in Francia col 2° Corpo d'Armata italiano, e rimasi ferito a Bligny. Quando la guerra finì, ero invalido e decorato più volte di medaglie al valore francese e italiano [...]13

L'esperienza di semplice fante non fu per niente comune tra gli scrittori14;

12 F

RANÇOIS LIVI, Malaparte soldato e scrittore sul fronte francese, in «La bourse des idées du monde». Malaparte e la Francia, cit., pp. 156-157.

13 C. M

ALAPARTE, Biografie 1954, in MAL I, p. 73.

14 Scrive Isnenghi: «Anche questa esperienza personale di fante tra i fanti – legata alla

condizione sociale, al livello di istruzione e agli orientamenti politici del nostro autore [C. Malaparte, n.d.r.] – va posta nel giusto rilievo. Essa contribuisce indubbiamente a problematizzare il ruolo di Suckert nella guerra e a differenziarne di tanto la successiva testimonianza diaristica. [...] Nel caso dello scrittore di Prato tale esperienza sociale e

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partecipò, inoltre, alla terribile battaglia di Bligny, dove le truppe italiane furono attaccate dai tedeschi allo scoperto e bombardate anche con l'yprite. Il prezzo pagato per la resistenza fu altissimo: cinquemila morti e quattromila feriti. Malaparte rievocò questa battaglia in moltissime occasioni: fu senza dubbio, l'esperienza per lui più traumatica della guerra. Il sottotenente Kurt Suckert ne uscì decorato tre volte al valore militare, con una lesione polmonare provocata dal gas yprite15(per la qual sarà

dichiarato invalido di guerra e che condizionerà la sua salute per sempre), ma soprattutto «profondamente disgustato della guerra»16, con lo spirito e la vita segnati

dall'orrore visto e vissuto.

Lo scontro delle idee risorgimentali e sociali rivoluzionarie con la realtà delle trincee, del fango, la scoperta della morte straziante e inutile, le grida dei feriti e degli agonizzanti – i terribili «Mamma!Mamma!»17, che risuonano su tutti i fronti, tra

militare durò non due mesi, ma due anni. Non si può sottovalutare il fatto, tenendo presente che quasi tutti gli altri scrittori partirono invece, fin dal principio, almeno come sottufficiali e che non tutti (anzi) rinunciarono ai vantaggi degli "imboscamenti", totali o parziali». (M. ISNENGHI, Il mito della Grande Guerra, cit., p. 387-388, n. 121).

15 «Il giorno 16, durante un contrattacco, due granate mi sono scoppiate vicino. Dei soldati

francesi che erano lì sono scappati urlando "Le gaz, le gaz!". Io, siccome sentivo che respiravo come prima, non ho dato retta. Il giorno 18 quando già il reggimento, che aveva subito perdite, era in seconda linea, sono stato preso da una forte febbre [...]» (da una lettera di Kurt Suckert al padre, dell'11 agosto 1918, mentre si trovava ancora in un ospedale francese, in MAL I, p. 135).

16 Da Biografie – 1954, in MAL I, p. 73.

17 In moltri altri testi compare questo grido di dolore, così tenero e tremendo allo stesso

tempo, come se si raccogliesse in quel grido tutta l'atrocità della guerra: «Un sordo furore mi strugge, fugando dal cuore la pietà per l'invocazione disperata che si leva là fuori: "Mutter! Mutter!". Quello che ho azzeccato poco fa, piange così disperatamente» (C. SALSA, Trincee. Confidenze di un fante, Milano, "Narrativa della Prima guerra mondiale", Corriere della Sera,

2016, p. 229); «Ma il grido più raccapricciante che si possa udire e che non ha bisogno d'armarsi d'una per trapassare il cuore, è la nuda invocazione di fantolino nella culla: "Mamma! mamma!..." che lanciano i soldati feriti a morte […] e quel flebile grido istintivo che esce dal profondo della carne angosciata e che stiamo a spiare per sentire se si rinnoverà ancora per un'ultima volta, è così terribile da provocare, da parte di chi l'ascolta, scariche di fucileria contro quella voce per farla tacere, per farla tacere per sempre... per pietà...per rabbia...per disperazione...per impotenza...per nausea...per amore, oh madre mia!» (B. CENDRARS, La mano mozza, Milano, Corbaccio, 2009, pp. 298-299). Tra le carte dello

scrittore, pubblicate dalla sorella, vi è un breve racconto intitolato I segreti dei bambini, un breve testo che rappresenta una delle molte rievocazioni-rielaborazioni della battaglia di Bligny: tra gli alpini italiani si trovano trenta soldati talmente giovani da poter essere considerati bambini che, feriti, vengono portati in un bosco insieme agli alpini: «Gli alpini feriti tacevano, non si lamentavano, guardavano le nuvole passare nel cielo azzurro [...] Ma i soldati giovani, i bambini, si lamentavano, alcuni piangevano, sentendo che la morte li guardava con i suoi occhi spenti e vuoti [...] i più giovani di quei soldati feriti si lamentavano a bassa voce. Dicevano "mamma, mamma", e gli alpini feriti tacevano […] Erano trenta

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italiani, francesi, tedeschi, austriaci – ma soprattutto la rivelazione dell'esistenza di "due Italie", una costretta a subire, in silenzio, che muore e vive miseramente; l'altra, che non soffre, non dà nulla, e prende tutto18; tutto questo provocò uno

sconvolgimento interiore talmente profondo, da riuscire a trasformare un ragazzo, ancora intriso di retorica e sentimentalismo, in uno scrittore capace di esprimere in uno stile personale e sicuro una visione della realtà originale, coraggiosa e anticonformistica. Lo scrittore ha disseminato i ricordi e le memorie di questa esperienza in decine e decine di scritti: poesie19, articoli20, commemorazioni, saggi,

opere narrative21, fino a pochi anni prima della morte nelle note del Battibecco22, in un incessante e instancabile dovere della memoria e della testimonianza nei confronti di chi è morto in trincea da parte di chi è sopravvissuto, che diventa atto di protesta e di turbamento in una società che perpetua le stesse ingiustizie. Allo stesso tempo, questo dovere di testimonianza mi sembra un tentativo di «cura», un tentativo di superamento di questo trauma originario attraverso e nella scrittura.

È in Mamma marcia che riversa però la sua visione più cupa della vita, dopo aver attraversato anche il secondo conflitto mondiale. Composta nel 1951-52 e pubblicata postuma nel 1959, è incentrata sul dialogo tra lo scrittore e la madre morente, un dialogo che è anche una confessione, dentro il quale riaffiorano i terribili ricordi della Grande guerra. Narra la morte di Nazzareno Jacoboni, «un povero ragazzo, ancora un bambino», un bravo ufficiale, colpito da una scheggia nel ventre 18 Nel film Siamo uomini o caporali? Totò esprime al dottore la sua visione del mondo, nata

proprio in mezzo alla sofferenza della Grande guerra: una visione dualistica che vede da una parte gli uomini semplici, coloro che sono costretti a lavorare come bestie e a sacrificarsi per tutta la vita, umiliati, maltrattati, vessati; dall'altra i "caporali", gli sfruttatori, coloro che li maltrattano, li insultano, che stanno sempre ai posti di comando, pur senza meritarlo e cadono sempre in piedi. Nella visione di Totò questa suddivisione gerarchica è diventata una distinzione morale, sperimentata nel corso di tutta la vita, come si vede nel film.

19 Come I morti di Bligny giocane a carte, scritta nel 1937 e pubblicata nel 1939: C.

MALAPARTE, I morti di Bligny giocano a carte, Roma, Edizione di «Circoli», 1939, ora in ID., L'Arcitaliano e tutte le altre poesie, a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1963, pp.

207-209.

20 Per esempio: C. M

ALAPARTE, Terra di Francia rossa di sangue italiano, «La Stampa», 14

luglio 1929.

21 Memorie della Prima guerra mondiale riaffiorano nei racconti di Sodoma e Gomorra (La

Maddalena di Carlsbourg), in Fughe in prigione (un'intera sezione è intitolata «Guerra in

Francia», e contiene i racconti Petrarca in camicia rossa, Scoperta dell'America, Fine di una

lunga giornata), in Sangue (Salutami Livorno).

22 C. M

ALAPARTE, Il fiume e il tempo, «Tempo», 2 settembre 1954; in ID., Battibecchi, cit., pp.

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durante la battaglia di Bligny, agonizzante: «gli intestini gli colavano lungo le gambe, erano quasi giunti alle ginocchia, già si spargevano attorno a lui, per terra, come un groviglio di maccheroni troppo cotti23». Il soldato non vuole restare solo,

tutti si siedono intorno a lui, e nella dolorosa e lunga agonia inizia a chiedere, implorando, di essere ucciso. Quasi in stato di incoscienza, il soldato Malaparte prende il fucile e spara, a occhi chiusi, mentre una prostituta finita in mezzo alla battaglia grida «Assassino!», dalla fossa in cui è rintanata.

Il senso di separatezza della vita militare, lo stato eccezionale della guerra, che deroga ai principi di dignità umana, alla legge sacra del non versare inutilmente il sangue proprio e altrui, confina il soldato in uno stato di disumanità, lo riduce carne da macello, arma di distruzione. Il gesto del tenente Suckert, l'uccisione di un compagno ormai spacciato, se può essere letto come un atto di compassione che si giustifica nel «cerchio della guerra» ("cerchio", parola non usata a caso, ma si tratta proprio di una dimensione separata dal resto dell'umanità, della vita, ed espressione che ricorre numerose volte nella prima opera La rivolta dei santi maledetti24), agli

occhi della donna, che resta fuori dalla logica bellica, appare solo come il gesto di un assassino. La sospensione di umanità alla quale si è costretti in guerra, a favore di una automatizzazione dell'atto di uccidere, non si può dimenticare25. Dopo poco

tempo, in seguito a un attacco nemico, si avvicina ai suoi soldati feriti col fucile in mano, i soldati iniziano a gridare per paura che li volesse finire. Malaparte continua: 23 MMAR, pp. 111-112.

24 L'immagine del "cerchio" ricorre in modo molto frequente nel libro: «cerchio dell'orizzonte»

(ivi, p. 11); «cerchio di possibilità» (ivi, p. 12); «cerchio di persone» (ivi, p. 16); «cerchio della sua potenza dittatoriale» (ivi, p. 80); «cerchio della razza» (ivi, p. 87).

25 Questo automatismo dell'uccidere in guerra, che rende incapaci di vedere nell'altro un

essere umano e dunque anestetizza il senso di solidarietà nel dualismo compagno/nemico, annullando il senso di colpa, è descritto in modo intenso e doloroso nelle pagine di Un anno

sull'altipiano di Emilio Lussu, quando egli si ritrova a pochi metri dalla trincea nemica,

nascosto in modo da non essere notato ma in grado di vedere tutto ciò che accade e sparare senza pericolo sull'ufficiale che vede davanti a sé, nella trincea nemica. Ma Lussu scopre che nelle trincee nemiche vi erano «uomini e soldati come noi, fatti come noi» Quando il giovane ufficiale austriaco si accende una sigaretta, scrive Lussu: «Quella sigaretta creò un rapporto improvviso fra lui e me. Appena ne vidi il fumo, anch'io sentii il bisogno di fumare. Questo mio desiderio mi fece pensare che anch'io avevo delle sigarette. Fu un attimo. Il mio atto del puntare, ch'era automatico, divenne ragionato. Dovetti pensare che puntavo contro qualcuno. L'indice che toccava il grilletto allentò la pressione. Pensavo. Ero obbligato a pensare. [...] E intanto, non tiravo. Questa certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volontà, mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo. […] Fare la guerra è una cosa, uccidere un uomo è un'altra cosa. Uccidere un uomo, così, è assassinare un

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Quelle mie parole: «Non ho mai potuto dimenticare certe cose», le rivelavano per la prima volta che una guerra non è fatta di gesti anonimi, il suo ricordo è legato ai fatti di ciascuno, non di un esercito [...] capiva che gli uomini che avevano fatto la guerra avevano ucciso, avevano fatto soffrire altri uomini, e che non avevano mai potuto dimenticare quelle cose terribili. Ora capiva che cosa significava per me, per tutti quelli come me, la guerra: e la patria, il re, le bandiere, la vittoria, la gloria, la pace. Capiva che per un uomo che ha fatto la guerra, non c'è né patria né bandiere né gloria né vittoria né pace, che possano fargli dimenticare la guerra. Per un uomo che ha fatto la guerra, tutta la sua vita non è che uno scuro, profondo, inconscio ricordo della guerra, e dei suoi orrori, e delle sue meravigliose amicizie, delle sue meravigliose, incantate ore felici. Tutto il resto, la vittoria, la gloria, la pace, la sconfitta, non contano per lui. Contano per gli altri, per coloro che fanno la guerra da lontano, che guadagnano sempre da una guerra, sia vinta o perduta26.

Sono senza dubbio le pagine in cui più emerge il trauma profondo della guerra per Malaparte. La generazione che aveva fatto la guerra, come scrive Serra, «per essere sopravvissuta alle trincee, sprofonderà in uno sgomento di cui si nutriranno le tendenze più estremistiche del dopoguerra27»: l'odio contro coloro che

avevano mandato al massacro i fanti, l'assuefazione alla violenza, un potente desiderio di riscatto28, sono state componenti fondamentali della vittoria del

totalitarismo fascista.

1.2. La rivolta dei santi maledetti, archetipo della letteratura malapartiana

Alla fine della guerra, tra il 1919 e il 1921 Suckert fu in Belgio, in Francia e in Polonia per svolgere vari incarichi ufficiali in diplomazia. Dopo questo periodo anche di mondanità, tornò in Italia e si stabilì a Roma, deciso a riprendere gli studi e a tentare la carriera letteraria e giornalistica. In questi anni Suckert fondò un 26 MMAR, pp. 130-131.

27 M. S

ERRA, Malaparte. Vite e leggende, Venezia, Marsilio, 2012, p. 75.

28 Gli uomini erano tornati dalla guerra profondamente cambiati, dice la madre in Mamma

marcia: «Io non ti ho più capito da allora – disse mia madre, – mi parevi un estraneo, uno

sconosciuto. È certo colpa della guerra, se le madri hanno perduto i loro figlioli, anche quelli tornati vivi dalla guerra. Vi siete messi tutti insieme a far grandi cose, rivoluzioni, che so io, e le rare volte che ti vedevo, che ti parlavo, non ti capivo. […] – Siamo tornati dalla guerra con un odio selvaggio non per i nostri nemici, [...] ma per quelli della nostra parte, che ci avevano fatto soffrire, che ci avevano umiliato in mille modi, senza necessità» (MMAR, pp. 18-19).

(25)

movimento filosofico-culturale chiamato «oceanismo», diresse la rivista ad esso legata, «Oceanica», e compose i suoi primi libri: Viva Caporetto! e Le nozze degli eunuchi. Il primo, libro d'esordio, venne immediatamente sequestrato, come le edizioni che seguirono nel 1921 e nel 1923, nonostante ne avesse mutato il titolo in La rivolta dei santi maledetti. Curzio Malaparte era particolarmente legato a quella sua prima giovanile fatica, nella prefazione a Due anni di battibecco, pubblicato nel 1955, quindi a ben trentaquattro anni di distanza dalla prima pubblicazione dell'opera, scrisse:

La mia vita letteraria è cominciata con quel libro […] In quel libro ci sono tutto, dalla testa ai piedi, quel che ero allora, e che son poi diventato, come uomo e come scrittore. Esso già contiene in germe tutti i motivi fondamentali non soltanto della mia storia personale, d'uomo e di scrittore (e se di qualcosa sono orgoglioso, è di essere rimasto sempre fedele a quel mio primo libro, e alle ragioni che mi hanno spinto a scriverlo), ma della storia del popolo italiano dal 1918 in qua29.

I maggiori studiosi del pratese hanno confermato la correttezza di queste affermazioni, rilevando come i nuclei di pensiero contenuti in questo primo testo costituiscano dei fili dipanatisi lungo il suo intero percorso letterario30.

1.2.1. Composizione, edizioni e varianti

Proprio per l'importanza che questa opera riveste non solo a livello letterario ed artistico ma anche affettivo e personale, frequenti sono le occasioni in cui l'autore vi ha fatto riferimento, utili per ricostruirne la genesi e la composizione31.

29 C. M

ALAPARTE, Prefazione a ID., Due anni di battibecco. 1953-1955, Milano, Garzanti, 1955,

p. 16.

30 Orsucci ha messo in evidenza come si possa riscontrare una «sorprendente continuità» tra

La rivolta sei santi maledetti e le prove letterarie successive, suddividendo questo materiale

in sei sezioni di «convergenza»: l'antiretorica; il fatalismo; la religiosità popolare; il senso della natura indifferente e ostile; la critica alla modernità; lo stile letterario della Rivolta come 'archetipo' della scrittura malapartiana (A. ORSUCCI, Il giocoliere d'idee. Malaparte e la filosofia, Pisa, Edizioni della Normale, 2015, pp. 82-94).

31 Dal Ritratto delle cose d'Italia, degli eroi, del popolo, degli avvenimenti, delle esperienze e

(26)

Nel Ritratto delle cose d'Italia l'autore racconta che subito dopo la guerra, durante lo stanziamento temporaneo della Brigata Alpi in Belgio, – inquieto, avvilito, immerso nella solitudine e nel gelido inverno di Saint-Hubert – si dedicò alla lettura32

e alla caccia. La guerra aveva reso “fante” anche lui, e cioè «uomo naturale, fisico, terrestre, semplice primitivo eroico e antico e umano», mentre le letture lo avevano fatto tornare «uomo sociale, civile, politico, letterario, moderno, falso, riguardoso, esperto, ipocrita, ragionante», esacerbando l'inquietudine che lo attanagliava, soprattutto riguardo alla condizione dei fanti, derisi e umiliati, dopo il loro ritorno a casa. Nacque il «proposito di scrivere la storia di ciò che la sua generazione aveva sofferto e agito in quattro anni di guerra» e di difendere «dall'accusa di vigliaccheria e di tradimento i fanti di Caporetto»33. La prima stesura del libro, quindi, risale al

periodo di permanenza in Belgio nell'inverno tra il dicembre del 1918 e il gennaio del 1919, subito dopo l'armistizio, e l'occasione compositiva sembra essere stata la richiesta, avanzata dal generale Albricci, della stesura di una relazione ufficiale sulla storia della Seconda Armata prima e dopo Caporetto34.

La prima edizione del libro reca in calce alla fine «Varsavia – nelle giornate di sangue e di battaglia del 1920»: egli si trovò ad assistere all'assedio di Varsavia da parte di Trotzki, di cui fa un racconto “in presa diretta”. Infatti, nell'edizione del dei profitti di guerra; la citata Prefazione premessa a Due anni di Battibecco (1953-1955), la quale fa in sostanza una sintesi di questo primo libro per ribadirne le “scoperte”, nonché a lettere e appunti vari. La vicenda compositiva ed editoriale del testo è stata ricostruita da Luigi Martellini nella Notizia ai testi, in C. MALAPARTE, Opere scelte, a cura di Luigi Martellini,

Milano, Arnoldo Mondadori, 1997, pp. 1489-1518.

32 Oltre a L'ornamento delle nozze spirituali di Giovanni Ruysbroek, Curzio Suckert scrive di

essersi dedicato a numerose letture, tra le quali: opere di Virgilio, Omero, Orazio, Locke, Hobbes, Rabelais, le Memorie del conte Oxenstiern, i Pensieri di Pascal, il primo tomo della

Recherche di Malebranche, i Saggi di Mointaigne, le Memorie del Duca di Saint-Simon, le

tragedie di Shakespeare, il De bello gallico, i Testamenti di Villon, i Loci Communes di Melanchton, i saggi di Leibniz, il Discorso del metodo e le Meditazioni metafisiche, le Vite di Plutarco, le Orazioni funebri e il Discorso sulla storia universale di Bossuet, l'Etica di Spinoza, il Faust, lo Spirito delle Leggi di Montesquieu (C. SUCKERT, Ritratto delle cose d'Italia, degli eroi, del popolo, degli avvenimenti, delle esperienze e inquietudini della nostra generazione, in RSM, pp. 162-163).

33 Ivi, p. 172. Intenzione dichiarata anche nel Memoriale del 1946, dove Malaparte insisterà

sulla tesi principale del pamphlet con queste parole: «Fu appunto in Belgio, a Saint Hubert, che io scrissi quel mio primo libro: nel quale sostenevo apertamente la tesi che Caporetto era stato non una disfatta militare, ma una "rivolta" della fanteria, cioè del "proletariato della guerra", e dichiaravo che, pur non avendo mai fatto parte della Seconda Armata, pur trovandomi, nell'Ottobre del 1917, sul Col di Lana con la Quarta Armata, e non già sull'Isonzo, io mi proclamavo solidale con i "rivoltosi" di Caporetto» (MAL I, p. 203).

34 C. S

(27)

1923, l'autore aggiunge un capitolo intitolato Resultati, dove afferma che «i drammatici avvenimenti di quei giorni lo indussero poi ad aggiungere al libro alcune pagine35». In definitiva, la composizione del libro copre un arco temporale che va

dalla fine del 1918 al 1920. Come ha scritto Luigi Martellini, si può accogliere con sufficiente sicurezza l'ipotesi di una composizione in due tempi, la prima parte in Belgio nel 1918-19, l'ultima in Polonia nel 192036.

La prima edizione di Viva Caporetto!, pubblicata presumibilmente nel febbraio 1921, fu sequestrata dal governo Giolitti per il suo contenuto giudicato antimilitarista, antipatriottico e disfattista. Il libro svelava con irriverenza e spregiudicatezza le verità nascoste dietro il mito della guerra vittoriosa, che aveva insabbiato Caporetto nel marasma degli errori tecnici di Cadorna e Capello, assolvendo politica, esercito e soldati («non condannò nessuno, ma assolse soltanto gli innocenti», scrisse Malaparte nel 195337), e relegandolo nell'alveo degli episodi

ormai appartenenti alla storia, e dunque non più discutibili. Fu apostrofato sui giornali fascisti come «disfattista, disertore, traditore, vigliacco e perfino imboscato»38. Uscì così una seconda edizione, che si può senz'altro definire una

ristampa, poiché il testo è identico a quello della prima edizione (refusi compresi), cambiando solo il titolo in La rivolta dei santi maledetti, certamente di impatto meno platealmente irridente e più ambiguo rispetto al primo, e il frontespizio, edito dalla casa editrice Rassegna Internazionale di Roma. Ma anche questa edizione fu sequestrata, stavolta dal governo Bonomi.

Nel 1923 Suckert riprende il testo, apporta delle variazioni, lo ristruttura, e pubblica la seconda edizione, sempre presso la casa editrice Rassegna Internazionale di Roma. La nuova edizione presenta uno scritto intitolato L'autore e la guerra, firmato “Gli Editori”, in cui si danno informazioni sull'autore e il suo stato di servizio militare, probabilmente per sottolineare che il libro proveniva da un volontario interventista, pluridecorato e invalido di guerra, quindi né imboscato, né disfattista; seguiva la lunga premessa del già citato Ritratto delle cose d'Italia, una sorta di 35 RSM, p. 103.

36 L. M

ARTELLINI, Notizie sui testi, in C. MALAPARTE, Opere scelte, cit., p. 1494.

37 C. M

ALAPARTE, Due anni di battibecco 1953-1955, Milano, Garzanti, 1955, p. 113; anche in

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