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Oltre la prosa d'arte, verso il romanzo

3. L A RICERCA ESPRESSIVA DEGLI ANNI T RENTA TRA GIORNALISMO E LETTERATURA

3.3. Oltre la prosa d'arte, verso il romanzo

Le varie tipologie di racconto analizzate si ritrovano in Kaputt e la stessa forma breve è alla base della struttura del romanzo, che appare come un insieme di racconti, inseriti in un contesto più ampio, in un grande racconto che le accoglie e dà loro un senso. Sotto la definizione di “visione di luoghi” si sono raggruppati i racconti in cui è prevalente la parte descrittiva, siano essi veri e propri resoconti di viaggi, oppure testi nei quali il luogo è spesso solo un pretesto esteriore per avviare un discorso intimo, la descrizione di un «paesaggio interiore», eventi che egli ha vissuto, direttamente o indirettamente, come in Donna in riva al mare, dove è rievocato il ricordo di un momento al mare con Flaminia180, e il paesaggio scozzese si

confonde con i lineamenti della donna. O come in Donna fra le tombe, ancora un momento lirico in cui lo scrittore si trova con la sua donna presso le necropoli etrusche; il paesaggio luttuoso, con il cielo color cenere, il mare deserto, i boschi avvizziti, mette nel cuore della donna una tristezza inquieta: «le delusioni, i dolori, i lutti, di cui portava i segni in fronte come un tatuaggio di vene azzurre» la rendevano 178 C. M

ALAPARTE, L'assalto al bastione dei briganti, cit.; in ID., Viaggio in Etiopia e altri scritti africani, cit., p. 139.

179 I

D., Nelle gole del Beresà, cit.; in ID., Viaggio in Etiopia e altri scritti africani, cit., p. 139.

180 «Flaminia» è lo pseudonimo della contessa B.B., di cui i biografi non rivelano l'identità,

che ebbe una relazione con Malaparte nel periodo a cavallo tra la direzione della Stampa e il confino.Una donna ricca, bella ed elegante, discendente di una famiglia di alti funzionari e

sensibile alla «presenza di quell'innumerevole popolo di morti», fino alla comprensione finale, resa possibile dall'atmosfera funebre e magica del paesaggio.

A proposito dell'articolo Scirocco181 Malaparte scriveva a Borelli: «più che dei

racconti, mi piace scrivere delle scene, come fanno gli scrittori inglesi182». Questa

caratteristica, di essere cioè delle descrizioni più che delle narrazioni, spesso costituite da riflessioni, da ricordi, da espressioni di stati d'animo e di sentimenti, avvicina questi testi alla prosa d'arte. Non vi è però il preziosismo linguistico e stilistico fine a se stesso, nemmeno dove la prosa diventa lirica, ma vi è sempre alla base il gusto del racconto, la volontà di narrare eventi, luoghi, persone, visti, vissuti, immaginati, a volte rievocati nella memoria.

La questione della prosa d'arte è uno dei nodi letterari del periodo: essa è per un verso erede della brevità e della “bella pagina” della Ronda, nel quadro del ritorno all'ordine del dopoguerra, per l'altro del frammentismo vociano: una prosa connotata da un altissima elaborazione retorica e stilistica, dal tono lirico, poetico, sentimentale, personale, che trova le sue maggiori espressioni nel ricordo, nella memoria, nel sogno, nella fantasia, nell'autobiografismo. Negli anni tra le due guerre fu la forma più praticata di impegno letterario, e trovò la sua collocazione ideale nelle terze pagine dei giornali, nell'elzeviro, nel taglio, nel saggio, nell'evasione fantastica, nella corrispondenza di viaggio. Questa prosa d'arte, che visse soprattutto nelle terze pagine dei giornali, fu uno dei bersagli polemici della rivista «Prospettive» nel nuovo corso inaugurato da Malaparte nel 1939.

Nel corso degli anni Trenta, infatti, prese campo una disputa letteraria tra coloro i quali sostenevano la prosa d'arte e il “capitolo”, consacrato come genere della prosa d'arte da un'antologia di Falqui del 1938, e coloro che invece declamavano a gran voce la necessità di un rinnovamento letterario che andasse oltre e giungesse finalmente al romanzo. Giancarlo Vigorelli, in un articolo proprio su «Prospettive», intitolato Del romanzo come peccato (aprile 1940), interveniva sulla questione, indicando nel “capitolo” una necessaria stazione intermedia sul cammino della narrazione, ma che non può esaurirsi in se stesso: «una educazione al capitolo 181 È il racconto pubblicato in Sangue con il titolo Scirocco nell'isola.

(insistita, eccessiva) finisce, può finire a corrompere la prosa, – il romanzo183». Egli

non concordava con Falqui sul capitolo come genere a sé, poiché si poteva distinguere, negli autori riportati come esempi da Falqui (nelle pagine di Pea, Bontempelli, Comisso, Manzini, Cecchi), la parte di prosa e la parte di poesia, al di sotto delle quali, scritto con l'«inchiostro bianco», era represso, taciuto, rinunciato, il romanzo. Malaparte era d'accordo sostanzialmente con Vigorelli nel considerare il «capitolo» una tappa verso il romanzo, non una soluzione definitiva alla crisi della letteratura, perché esso si fermava alla questione puramente formale, quando l'esigenza era in realtà quella di esercitare la propria libertà interiore per la creazione di nuovi mezzi espressivi, connessi con l'essere e i problemi morali della civiltà184:

Se si volesse accettare l'estetica dei «capitoli», occorrerebbe logicamente limitare i problemi della letteratura italiana a problemi di scrittura. Vale a dire a problemi puramente esteriori. […] l'estetica dei “capitoli” è un'estetica di ripiego, un dannunzianesimo malamente ritardato, un rondismo deviato [...] Aggiungo, questa volta, che porre al proprio mondo poetico il limite-legge dello stile, è confessare la ristrettezza dei propri limiti in ogni campo, da quello morale a quello della cultura, e, al tempo stesso, è porre all'avventura impersonale, di cui ciascuno scrittore è protagonista dentro e fuori la propria coscienza, il termine fisso dell'avventura personale (nella quale si esaurisce ogni possibilità di riscatto dal limite-legge della realtà)185.

L'estetica dei «capitoli», continuava lo scrittore, propone ai problemi della letteratura italiana soluzioni esclusivamente formali, e rivela l'incapacità di vivere la letteratura come fatto morale, implicandovi la coscienza.. Il capitolo era stato

insomma una «prova fallita», una risposta di ripiego, di pentimento, al quale si erano dedicati soprattutto scrittori della vecchia generazione, «dovuta in gran parte alla facilità che essa offre di sentirsi e di apparire soddisfatti della propria opera, alla 183 G. V

IGORELLI, Del romanzo come peccato, in «Prospettive», n° 4, Anno IV, 1940.

184 Già in una lettera ad Armando Meoni del 9 agosto 1934 scriveva: «Il problema puramente

estetico, nell'opera d'arte, mi preoccupa da molto tempo. Credo che noi italiani diamo troppa importanza alla forma, non alla forma intesa come modo di espressione, il che sarebbe supremamente giusto, ma alla forma in senso decadente, nel senso di prezioso, di scelto. La complicità dei difetti della nostra lingua è evidente. E come uscirne? Scrivendo male, come vorrebbero i contenutisti? No certo. Scrivendo in modo aderente alla realtà, dicendo pane al pane, e vino al vino, senza troppo cercare la perfezione dell'eloquio, senza dare un peso eccessivo alla tradizione formale, accademica, della letteratura italiana» (MAL III, p. 480).

possibilità che essa consente di crearsi senza sforzo una giustificazione esteriore, un alibi, un conforto alla propria vanità186».

Tornando ai testi descrittivi, il narratore è quasi sempre Malaparte, che nella maggioranza dei casi non prende parte direttamente, come attore, a ciò che viene narrato: ciò si verifica non solo nei resoconti di viaggio, ma anche nei racconti autobiografici e storici. Anche in questi racconti spesso gli eventi narrati sono vissuti dal narratore come spettatore, oppure egli ne è venuto a conoscenza in maniera indiretta, o ancora li ha immaginati. Sono soprattutto narrazioni che trattano della vita interiore, spesso risalenti a episodi d'infanzia, dell'adolescenza, o a particolari esperienze come la guerra, il confino: nei racconti a sfondo storico, il narratore Malaparte appare quasi sempre come testimone, come distaccato osservatore di ciò che succede intorno, descrivendo le «scene» alle quali gli è “capitato” di assistere, assecondando il suo gusto inesauribile per la narrazione. Alla base vi è sempre l'esperienza personale, rielaborata e trasfigurata letterariamente secondo la tecnica illustrata. Proprio questo preponderante gusto della narrazione, per cui ogni più piccolo fatto quotidiano personale o altrui può diventare pretesto alla narrazione, è ciò che distingue il racconto malapartiano dalla prosa d'arte, più liricamente intonata

Gli anni della collaborazione al «Corriere della Sera» e delle raccolte narrative, come ho tentato di dimostrare in questo capitolo, rappresentano a mio avviso il periodo creativo più importante per il futuro Malaparte, tracciando la strada alle opere romanzesche maggiori lungo tre linee principali.

La prima linea concerne la tecnica narrativa: come si è detto, i racconti si discostano dalla narrazione tradizionale, in un folto gruppo di essi si può riconoscere una narrazione per «scene», o anche per nuclei tematici (poiché le scene si raggruppano solitamente intorno a un nucleo tematico, come per esempio in Primo sangue), che anticipano la tecnica messa a punto in Kaputt.

La seconda riguarda lo stile. Negli scritti degli anni Trenta inizia per lo scrittore il percorso di ricreazione di un linguaggio letterario che ha tra i suoi nodi principali, tra surrealismo e realismo magico, lo scioglimento della concretezza e del materialismo della lingua italiana a favore di un linguaggio che allo stesso tempo si 186 Ibidem.

riveli materiale e leggero, astratto e realistico, capace di partire dal dato reale per scomporlo in immagini simboliche, visionarie, che hanno la consistenza dei sogni a occhi aperti. Uno stile che rifiuta il preziosismo fine a se stesso e la "bella pagina", uno stile che è il "significante" che veicola una visione del mondo, espressione della coscienza implicata nella storia.

Entrambe le precedenti hanno a che fare infine con le idee sottese alla narrazione, che la guidano e che ne costituiscono premessa e fine. Lo abbiamo visto fin da La rivolta dei santi maledetti, uno dei caratteri fondamentali di tutta la letteratura malapartiana è quella che Spagnoletti ha definito «visionarietà teorica». Le «scene» di cui si è detto poc'anzi, infatti, possiamo meglio precisarle affermando che al di sotto della loro apparente verisimiglianza, sono ricostruzioni modellate intorno a un'idea sottesa, agli oggetti della speculazione malapartiana, connessi a problemi morali.