Università degli studi di Pisa
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Dipartimento di Fisica Enrico Fermi
Corso di Laurea in Scienze Fisiche
Anno Accademico 2008 - 2009
Tesi di Laurea Specialistica
Interpretazione dello spettro di
elettroni cosmici misurato dal
Fermi Large Area Space
Telescope
Candidato Relatore
Giuseppe Di Bernardo Ch.mo Dr. Dario Grasso
Correlatore
Black and blue
And who knows which is which and who is who Up and down
And in the end
It’s only round and round and round....
Us and Them, from Dark Side of The Moon 1973 Pink Floyd
A Biagio, mio padre, ad Antonia, mia madre, e alla piccola Ida, mia sorella.
Indice
Introduzione vii
1 Finalità scientifiche della missione spaziale FERMI 1
1.1 Il Large Area Telescope . . . 2
1.2 Sorgenti astrofisiche energetiche . . . 6
1.3 Ricerca di Materia Oscura . . . 8
1.4 Raggi Cosmici elettronici (Cre) . . . 11
2 Raggi Cosmici nella Galassia 15 2.1 Considerazioni introduttive . . . 15
2.2 Lo spettro e la composizione dei Raggi Cosmici . . . 18
2.3 L’energetica dei Raggi Cosmici . . . 21
2.4 L’accelerazione dei Raggi Cosmici . . . 23
3 Modelli di propagazione e metodi numerici. 31 3.1 La componente adronica dei Raggi Cosmici . . . 31
3.1.1 Il modello di Leaky Box . . . 31
3.1.2 Il modello di diffusione . . . 35
3.2 Il codice GALPROP . . . 39
3.3 La modulazione solare . . . 47
3.4 Determinazione dei parametri di diffusione . . . 49
3.5 La componente elettronica dei Raggi Cosmici . . . 57
3.5.1 Introduzione . . . 57
3.5.2 Principali caratteristiche degli elettroni relativistici . . . 59
3.5.3 La propagazione diffusa degli elettroni nella Galassia . . . 61
4 Fermi e la misura dei Raggi Cosmici Elettronici 69 4.1 Atic, H.e.s.s., Pamela e lo spettro degli elettroni . . . 71
4.2 Fermi-LAT e lo spettro degli elettroni . . . . 76
5 Interpretazione dello spettro di elettroni 81 5.1 Interpretazione convenzionale . . . 83
5.1.1 Il caso della distribuzione media di Cre galattici (Gcre) . . 83
5.1.2 Effetti della stocasticità delle sorgenti . . . 86
5.1.3 I principali insuccessi dei modelli Gcre . . . 88
5.2 Il nostro modello . . . 90
5.2.1 Lo scenario delle Pulsar . . . 90 v
vi Indice
5.2.2 Il contributo di pulsar vicine: risultati . . . 97
5.2.3 Il contributo di pulsar distanti: risultati . . . 102
5.3 Lo scenario di Dark Matter . . . 105
5.4 I nuovi dati del Fermi-LAT alle basse energie. . . 108
6 Discussione dei Risultati 113 6.1 Il nostro modello e l’anisotropia dei CRE . . . 113
7 Conclusioni 119 A Perdite di energia di elettroni e positroni presenti nei CRs 125 A.1 Interazioni con la materia dell’ISM . . . 125
A.2 Perdite di energie per Inverse Compton . . . 127
A.3 Perdite di energia per Radiazione di Sincrotrone . . . 127
Elenco delle Figure 131
Elenco delle Tabelle 133
Introduzione
N
ata dalla fusione di nobili discipline scientifiche, quali la Fisica delle Par-ticelle, l’Astronomia e la Cosmologia, la Fisica delle Astroparticelle esploracondizioni fisiche estreme che, per energie, scale di tempo e densità in gioco, ri-sulterebbero impossibili da replicare all’interno dei laboratori terrestri. Mediante osservazioni astrofisiche supportate dalle conoscenze maturate nella fisica delle par-ticelle elementari, la Fisica delle Astroparpar-ticelle garantisce preziose informazioni riguardo alle leggi della fisica fondamentale, complementari a quelle dell’astrofisica tradizionale, che ha, fin’ora, esplorato l’Universo in un ampio intervallo di energia, dalle basse frequenze Radio, passando attraverso l’Infrarosso e l’Ottico, fino alla banda dell’X ad energie del keV ÷ GeV. Rivelatori di moderna generazione, pro-gettati sia per lo spazio (e.g., Egret, Agile) che per osservazioni da Terra (e.g., Magic, Milagro), hanno permesso, ad oggi, sia di esplorare il dominio dei raggi
γ, l’ultima frontiera dello spettro elettromagnetico, che di ricercare altre tipi di
ra-diazioni come neutrini (e.g., Antares, Nemo), Raggi Cosmici (e.g., Cream, Atic) o, possibilmente, onde gravitazionali (e.g., Virgo, Ligo).
Il lavoro presentato in questa Tesi si colloca, in particolare, all’interno del set-tore della Fisica meglio noto come Astrofisica dei Raggi Cosmici. Esso rappresenta, al giorno d’oggi, uno degli ambiti più ambiziosi e prolifici della ricerca teorica e sperimentale. Particelle cariche, di natura adronica e leptonica, giungono stazio-nariamente a Terra, ad un tasso considerevole∗, da qualsiasi direzione dello spazio
interstellare, fornendoci in modo diretto un campione genuino sia (i) delle sorgenti astrofisiche dove esse hanno avuto origine, che (ii) delle condizioni della materia galattica da loro attraversata, e (iii) di possibili sorgenti esotiche.
Circa un centinaio di anni fa, i Raggi Cosmici (Crs) rivelarono per la prima volta sè stessi all’attenzione dei fisici quali autentici “proiettili” provenienti dallo spazio esterno, elettricamente carichi e dotati di straordinarie energie, circa tre ordini di grandezza in eccesso rispetto a quella allora attribuita alla radioattività naturale. Lo studio di queste particelle ha avuto, da allora, un posto speciale nella Fisica, non solo finalizzato a sè stesso, ma soprattutto per il ruolo pioneristico che la ricerca dei Crsha giocato, e sta tuttora giocando, nello studio delle particelle elementari e delle loro interazioni. L’impatto con le molecole dell’atmosfera terrestre, principalmente Ossigeno e Azoto, produceva una cascata di elementi più leggeri, un cosiddetto
sciame di particelle secondarie, permettendo così di investigare la struttura dei
nuclei e portare alla luce particelle fino ad allora ignote, quali i positroni, scoperti
∗NOTA.In un intervallo di energia intorno ad 1 GeV, il flusso di particelle registrato al livello del mare è all’incirca 104 m−2s−1sr−1GeV−1
viii Introduzione nel 1932, e i pioni e muoni osservati in seguito, nel corso degli anni ’40 del secolo scorso. In quei giorni, prima del 1950, la radiazione cosmica era la sola sorgente disponibile di particelle di alta energia (E & 1 GeV). Tali scoperte diedero un forte impulso alla costruzione di grandi acceleratori terrestri e allo sviluppo di rivelatori ad essi associati, ponendo così le basi quantitative per la ricerca nel campo della Fisica delle particelle elementari.
Pezzetti di mondi lontani nello spazio e nel tempo, i Crs sono messaggeri degli stessi fenomeni che li hanno creati e accelerati, in quelle zone remote e in quel tempo passato. Dall’epica impresa dello scienzato austriaco Victor Hess, che nel 1912 portò un rivelatore nell’alta atmosfera su un pallone aerostatico, molte altre imprese sperimentali hanno permesso di accumulare una grande quantità di dati. Se Hess potè dimostrare l’origine cosmica della misteriosa radiazione che si manifestava nell’ambiente, oggi la curiosità degli scienzati si rivolge alla conoscenza dattagliata della sua natura e all’individuazione delle sue sorgenti. Nonostante il considerevole materiale sperimentale e i notevoli sforzi teorici, l’ironia di una disciplina quale è l’Astrofisica dei Raggi Cosmici è che, ancora oggi, non siamo in grado di disporre di un quadro definitivo sull’origine di queste particelle relativistiche.
Quasi un secolo dopo la scoperta della radiazione cosmica, il numero di strumenti di precisione finalizzati alla misura dei Raggi Cosmici galattici (Gcrs), nella regione di energia GeV ÷ TeV, è cresciuto senza precedenti. Le osservazioni condotte negli ultimi decenni hanno messo in evidenza aspetti affascinanti e misteriosi sulla strut-tura dell’Universo. Tra questi, appaiono decisivi per la comprensione delle origini e dell’evoluzione del Cosmo in generale, e della nostra Galassia in particolare, quelli che incidono sul bilancio globale di massa ed energia, come l’apparente scomparsa dell’antimateria e l’eventuale presenza della Materia Oscura (Dm). Per dare rispo-sta a interrogativi di querispo-sta natura, l’emissione diffusa γ ad energie intorno al GeV è stata recentemente misurata dal satellite Fermi (Abdo et al. 2009 [2]), mentre la stessa centrata al TeV è potenzialmente osservabile da array di telescopi terrestri in grado di rivelare luce Cerenkov (e.g., H.e.s.s., Aharonian et al. 2006 [9]; Milagro, Abdo et al. 2008 [1]). Lo spettro di elettroni e positroni ad alta energia ha rivelato alcune sorprendenti caratteristiche, tuttora oggetto di grande dibattito scientifico (Atic, Chang et al. 2008 [53]; Fermi, Abdo et al. 2009 [3]; H.e.s.s., Aharonian
et al. 2008 [11], 2009 [12]; Pamela, Adriani et al. 2009 [5]; Ppb-bets, Torii et al.
2008 [164]). Per quanto riguarda i nuclei, molti esperimenti (montati sia su satelliti che su palloni aerostatici) hanno raccolto dati che devono ancora essere pubblicati (Cream, Ahn et al. 2008 [16]; Tracer, Ave et al. 2008 [26]; Atic, Panov et al. 2008 [131]; Pamela). Tra questi, gli antiprotoni sono ancora oggetto di misura (Pamela, Adriani et al. 2009 [6]) e costituiscono obiettivi per futuri esperimenti, anche questi su satelliti e palloni aerostatici (Ams-02 [94], Bess-Polar [172]). L’os-servazione dell’antideuterio potrebbe essere una conquista della fisica sperimentale da raggiungere nei prossimi anni (Ams-02, Choutko & Giovacchini 2008 [55]; Gaps, Fuke et al. 2008 [80]). Un punto di vista complementare sulla propagazione dei Crsè dato dalle misure di anisotropia da parte di esperimenti condotti a Terra alle altissime energie (e.g., il Tibet Air Shower Arrays, Amenomori et al. 2006 [18]; l’osservatorio Super-Kamiokande-I, Guillian et al. 2007 [97]; Eas-top, Aglietta
et al. 2009 [7]). Un tale scenario che si avvale di diversi canali di informazione,
ix
neutrini sono ancora in fase di sviluppo (e.g., Icecube, Km3net), l’identificazio-ne di sorgenti di Gcrs potrebbe avvenire entro pochi anni dalla raccolta di dati (Halzen et al. 2008 [100]).
Tutte queste misure sono finalizzate a capire e scoprire le sorgenti di Crs, i meccanismi della propagazione e le interazioni dei Crs con il gas e il campo di ra-diazione della Galassia (Strong et al. 2007 [157]). Una questione centrale riguarda la determinazione dei parametri della propagazione, in quanto il loro valore può essere confrontato con le predizioni teoriche per il trasporto nei campi magnetici galattici (e.g., Casse et al. 2002 [50]; Putskin et al. 2006 [144]; Minnie et al. 2007 [124]), o legate agli spettri alle sorgenti predetti nei modelli di accelerazione (e.g., Marcowith
et al. 2006 [120]; Berezkho 2008 [32]). I parametri del trasporto e delle sorgenti
so-no anche connessi all’astrofisica galattica (e.g., abbondanze nucleari e nucleosintesi stellare, Silberg & Tsao 1990 [151]; Webber 1997 [166]), e all’osservazione indiretta di Dm (e.g., Donato et al. 2004 [70]; Delahaye et al. 2008 [64]).
Un ruolo da protagonista nell’Astrofisica dei Raggi Cosmici è interpretato da-gli elettroni e positroni cosmici i quali, sebbene costituiscano soltanto una piccola frazione (∼ 2%) della radiazione cosmica totale sperimentalmente osservata, rappre-sentano importanti messaggeri sulle condizioni dell’ambiente galattico, complemen-tari alla controparte adronica, utili per cercare di rispondere ad un buon numero di questioni, tuttora aperte, riguardanti ad esempio i processi di accelerazione dei Crs nelle sorgenti e la loro propagazione all’interno della nostra Galassia, o la natura della Materia Oscura. Data la loro piccola massa, ad energie E & 100 GeV, essi sono caratterizzati dalla realtà strettamente locale. Infatti, il viaggio galattico degli elet-troni†è fortemente limitato dalle perdite di energia elettromagnetiche (Blumenthal
& Gould 1970 [40]), principalmente per emissione di sincrotrone e processi d’urto di tipo Inverse Compton (Ic) con i campi di radiazione interstellare (Isrf) e la radiazione cosmica di fondo (Cmb), che limita la scala di propagazione a diverse centinaia di parsec, comportando feature spettrali di notevole interesse, soprattutto dal punto di vista teorico, attese alle alte energie (≃ 10 ÷ 103 GeV). Come per i
nu-clei, anche i Raggi Cosmici elettronici (Cre) ad alta energia possono essere prodotti direttamente alle sorgenti, all’interno dei ben noti acceleratori di Crs, quali Snrs e pulsar. In tal caso, essi sono indicati come elettroni primari. Allo stesso tempo, è possibile che i Cre vengano creati anche mediante processi secondari, principal-mente interazioni nucleari di protoni cosmici e nuclei leggeri con il gas nel mezzo interstellare (Ism) concentrato nel disco galattico (processi di spallazione). Questa volta, si tratta dunque di elettroni secondari.
Diversi esperimenti (Ppb-bets [164], Atic [53], Pamela [5], H.e.s.s. [11, 12] e Fermi-Lat [3]) hanno recentemente pubblicato nuovi dati riguardanti il flusso di Cre, caratterizzati da una qualità senza precedenti, interessando ampi intervalli di energia mai esplorati prima d’ora, destando l’interesse della comunità scientifica, soprattutto in merito alla presenza di possibili eccessi rispetto alle previsioni del modello standard.
Il presente lavoro di Tesi è stato finalizzato a dare, da un punto di vista feno-menologico, l’interpretazione dello spettro di elettroni e positroni cosmici misurato dall’esperimento Fermi-Lat tra 20 GeV ed 1 TeV, frutto dei dati raccolti nei primi
†NOTA.Per semplicità, se non diversamente specificato, ci riferiremo agli elettroni per indicare la somma di e++ e−.
x Introduzione sei mesi di attività dello strumento e pubblicato nel maggio del 2009 (Abdo et al. 2009 [3]). In particolare, sono stati discussi alcuni modelli interpretativi dei risul-tati del Fermi-Lat, in relazione con altri recenti dati osservativi, soprattutto quelli riportati dagli esperimenti Pamela ed H.e.s.s., i quali hanno misurato, rispettiva-mente, la frazione dei positroni, definita come e+/(e++ e−), ad energie E
e± ≥ 10
GeV, e lo spettro elettronico nella regione del TeV.
Dopo aver discusso brevemente le principali finalità scientifiche della missione spaziale Fermi (Capitolo 1 ), viene dunque presentato lo stato dell’arte, dal punto di vista sperimentale, della fisica dei Crs antecedente gli ultimi anni di ricerca scientifica nel settore, e introdotte alcune considerazioni fisiche di carattere generale riguardo ai Crs, quali l’accelerazione, le proprietà di confinamenento e isotropia e l’energetica coinvolta (Capitolo 2 ).
Calcolare il flusso di Cre atteso e, confrontarlo con il set di dati sperimentali cui prima facevamo riferimento, richiede di risolvere l’equazione del trasporto che governa la propagazione dei Crsnel mezzo galattico. Per risolvere l’equazione del trasporto che regola la diffusione dei Crsnel mezzo interstellare (Ism) galattico, si segue principalmente un approccio numerico, utilizzando il codice di propagazione GALPROP‡. Nel Capitolo 3, dopo averne evidenziato gli aspetti teorici salienti, ab-biamo pertanto implementato numericamente nel codice GALPROP alcuni modelli di propagazione, determinandone l’insieme dei parametri che li contraddistingue, quali ad esempio il coefficiente di diffusione e la sua dipendenza dalla rigidità magnetica delle particelle, D(R) ∝ Rδ, la velocità di Alfvén v
Atipica delle onde di plasma
in-terstellare responsabili della riaccelerazione stocastica delle particelle, l’indice spet-trale Γinj di iniezione alle sorgenti dei Crsetc, confrontandoli con quanto proposto,
ad oggi, in letteratura. Per ciascun modello di diffusione adottato, tali parametri sono stati scelti per riprodurre il rapporto dei nuclei secondari su primari, come ad esempio il boro su carbonio (B/C), la distribuzione di Crs nucleonici radioattivi (e.g., 10Be) e la distribuzione galattica delle sorgenti dei Crs. Dovuto al numero di
parametri coinvolti nell’equazione del trasporto e alla loro genesi, abbiamo scelto di fare riferimento a tre particolari scenari di propagazione: (i) la diffusione nel campo magnetico turbolento galattico con spettro alla Kolmogorov (δ = 1/3), compresivo di riaccelerazione, (ii) la diffusione con spettro di tipo Kraichnan (δ = 0.5), ma questa volta con una riaccelerazione moderata rispetto al caso precedente, e infine
iii) un modello totalmente diffusivo, privo di riaccelerazione, con indice spettrale δ = 0.6.
Il Capitolo 4 è dedicato all’impatto scientifico legato alla misura dello spettro di elettroni da parte del Fermi-Lat. In particolare, è mostrato come tale risultato, quando combinato con le altre recenti misure, suggerisca l’esistenza di una possibile componente extra nello spettro di energia, non prevista nella trattazione standard della propagazione dei Crs.
Il Capitolo 5 è interamente centrato sulla presentazione dei risultati ottenuti nel corso della Tesi. In esso, è mostrato che per quanto concerne i soli dati del
Fer-mi-Lat, il modo più semplice di spiegare tali risultati è assumere un modello basato
su di uno scenario convenzionale di propagazione di Raggi Cosmici elettronici
galat-‡GALPROP è un codice numerico di propagazione di particelle nella Galassia, continuamente sviluppato da un team di membri della Collaborazione Fermi-Lat. Per maggiori dettagli si consulti il sito http://galprop.stanford.edu
xi
tici Gcre, basato sui parametri determinati nel Capitolo 3, ed in cui le sorgenti di elettroni sono distribuite nel disco galattico, mentre i positroni sono prodotti esclusivamente nelle collisioni di Crsadronici primari con il gas interstellare. Tutti questi semplici modelli forniscono un discreto fit del flusso di elettroni misurato dal
Fermi-Lat, ma allo stesso tempo incontrano diversi problemi se altri dati
speri-mentali sono presi in considerazione. Tali modelli, che chiameremo convenzionali, mostrano principalmente: (i) una certa discrepanza con i dati di bassa energia, in particolare quelli di Ams-01 e quelli preliminari del Fermi-Lat sotto i 20 GeV, (ii) un eccesso rispetto ai dati di H.e.s.s. al di sopra di 1 TeV, ma soprattutto (iii) essi risultano completamente inconsistenti con i dati di Pamela, i quali mostrano un incremento nella frazione dei positroni al di sopra dei 10 GeV. Quest’ultimo punto non può essere soddisfatto se si considerano soltanto i positroni secondari prodotti durante le collisioni nucleari nel mezzo interstellare. Nel corso della Tesi si mo-stra che, i dati sperimentali del Fermi-Lat che quelli di Pamela, possono essere entrambi ben riprodotti invocando il flusso di elettroni e positroni primari, emessi nell’Ism da una sorgente extra non prevista nei modelli convenzionali, con spettro di iniezione della forma
Jextra(Ee±) ∝ E−Γe±
e± × exp(−Ee±/Ecut),
dove Γe± è l’indice di iniezione della coppia (e+, e−), mentre Ecut è il cutoff in
energia dello spettro della sorgente. Per quanto riguarda la natura di quest’ultima, abbiamo concentrato la nostra attenzione soprattutto su sorgenti astrofisiche, ed in particolare sulle pulsar, oggetti astrofisici candidati naturali per essere accelerato-ri di elettroni e positroni paccelerato-rimaaccelerato-ri. Per stimare il possibile contaccelerato-ributo delle pulsar allo spettro di elettroni locali, abbiamo dapprima apportato al codice GALPROP gli
input necessari per propagare elettroni e positroni primari provenienti da pulsar
distribuite su larga scala sul piano galattico, e in secondo luogo preso in considera-zione il contributo discreto di pulsar vicine, selezionate per un ragionevole insieme di parametri che caratterizzano tali sorgenti astrofisiche. In quest’ultimo caso, è stato calcolato numericamente il flusso di e± rilasciato da ciascuna pulsar, in
ac-cordo con la soluzione analitica dell’equazione del trasporto data da Atoyan et al. nel 1995 [24]. I codici necessari sono stati scritti nel linguaggio di programmazione IDL. Il confronto tra il flusso totale calcolato in questo modo ed i dati osservativi (Fermi-Lat, H.e.s.s. e Pamela) è stato ottimo.
Infine il Capitolo 6 è stato dedicato alla discussione dei risultati da me ottenu-ti, soprattutto in merito alla possibilità di discriminare l’interpretazione astrofisica presentata nella Tesi rispetto ad altri possibili scenari, come ad esempio la Mate-ria Oscura. A tale scopo è stata stimata l’anisotropia attesa nel flusso dei Crs provenienti da pulsar locali.
Capitolo 1
Finalità scientifiche della
missione spaziale FERMI
Indice
1.1 Il Large Area Telescope . . . . 2
1.2 Sorgenti astrofisiche energetiche . . . . 6
1.3 Ricerca di Materia Oscura . . . . 8
1.4 Raggi Cosmici elettronici (Cre) . . . . 11
Il Fermi Gamma-Ray Space Telescope (Fermi), noto in precedenza come Glast (Gamma-Ray Large Area Space Telescope), nasce dalla collaborazione di diversi istituti internazionali di ricerca leader nel settore dell’Astrofisica e della Fisica delle Particelle, tra i quali la sezione INFN∗ di Pisa ha certamente ricoperto un ruolo
primario. Lanciato in orbita circolare l’11 Giugno 2008, ad un’altitudine di 565 km e con un’inclinazione di 25.6◦, Fermi è un potente osservatorio spaziale progettato
per scoprire i più affascinanti ed estremi segreti dell’Universo, portando per la prima volta nello spazio lo stato dell’arte della moderna tecnologia e le avanzate conoscenze sui detectors a stato solido, che fin’ora hanno trovato applicazione, almeno su larga scala, soltanto nei laboratori terrestri.
Gli astronomi possono così disporre, per la prima volta, di un efficace strumento finalizzato ad esempio allo studio dei buchi neri (Bhs), veri e propri divoratori di materia, e di come questi riescano ad accelerare jets di gas al proprio esterno con velocità relativistiche. I fisici, inoltre, possono avvalersi delle notevoli potenzialità di Fermi per osservare in modo indiretto l’eventuale esistenza di Materia Oscura (Dm), e investigare in generale segnali di nuovi processi fondamentali.
L’intento di questo capitolo è di introdurre il lettore ai temi scientifici più impor-tanti che la missione Fermi intende studiare nel corso della sua attività, soprattutto grazie all’utilizzo del suo strumento principale, ovvero il Large Area Telescope (Lat). Il satellite, infatti, trasporta a bordo con sè due rivelatori fondamentali: uno di questi, come già detto, è il Lat, un telescopio γ che opera principalmente in un intervallo di energia confinato tra Eγ ∼ 20 MeV ed Eγ∼ 300 GeV; l’altro è il Glast
Burst Monitor (Gbm), dedicato invece esclusivamente allo studio di fenomeni
tran-∗
INFN, Instituto Nazionale di Fisica Nucleare
2 Finalità scientifiche della missione spaziale FERMI sienti quale i Gamma-Ray Bursts (Grb), questa volta in una banda compresa tra
Eγ ∼ 10 keV e Eγ∼ 30 MeV. In tal senso, Fermi è da considerarsi come l’evoluzione
del suo antenato, il telescopio Energetic Gamma Ray Experiment (Egret), a bor-do del satellite Compton Gamma Ray Observatory (Cgro), anch’esso dell’agenzia spaziale americana (Nasa), il quale realizzò per primo un’osservazione dettagliata del cielo alle alte energie, lasciando, allo stesso tempo, una pesante eredità fatta di diverse questioni irrisolte, a cui Fermi ha già dato risposte certe nei suoi primi mesi di vita [2, 3], e tenterà di fornirne altre negli anni futuri.
1.1 Lo strumento principale: il Large Area Telescope
Il Large Area Telescope (Lat) è lo strumento principale che trova posto a bordo del satellite Fermi: esso rappresenta senza dubbio il modello di osservatorio γ di ultima generazione.
Come il suo predecessore Egret, il Lat è un telescopio basato sul processo di conversione di coppie, γ → e−+ e+, con l’impiego però dei successi ottenuti
dalla moderna tecnologia a stato solido, rispondendo così all’esigenza di ridurre al minimo gli effetti di deterioramento e, allo stesso tempo, migliorando notevolmente le capacità dello strumento. L’intervallo di energia a cui il Lat risulta sensibile è compreso tra Eγ ∼ 20 MeV e Eγ ∼ 300 GeV, forse estendibile ad energie più alte.
Le sue caratteristiche strumentali di base sono direttamente dettate dalle richieste cui il satellite deve soddisfare lungo la sua orbita, ossia: (i) tempi morti (o dead
time) molto brevi per osservare fenomeni transienti, (ii) un’area efficace dotata di
ottima risoluzione angolare in grado di localizzare e studiare sorgenti su diverse lunghezze d’onda, (iii) un buon calorimetro che garantisca una buona risoluzione in energia su di un range molto esteso, (iv) un campo di vista (o Field of View, FoV) molto ampio che consenta di monitorare con alta sensibilità la variabilità dei deversi eventi astrofisici, e infine (v) una buona calibrazione e stabilità, al fine di permettere la misura di flussi assoluti su scale di tempo molto lunghe.
Non c’è dubbio quindi che la realizzazione di così tanti diversi requisiti abbia costituito un enorme sforzo scientifico e tecnologico, che ha visto coinvolto un co-spicuo numero di scienziati provenienti sia dal mondo della fisica delle particelle che dell’astrofisica teorica.
Dedicheremo dunque le successive sottosezioni alla descrizione del telescopio in generale, senza però addentrarci troppo in dettagli tecnici, rimandando per questo alla lettura dell’ottimo lavoro riportato nella referenza [25].
Architettura del Lat
Come già sottolineato altrove, il Lat è la moderna evoluzione del satellite Egret: l’esperienza del passato, abbinata alle attuali tecnologie, conferiscono al
Fermi-Lat un ruolo di assoluto leader nella storia dell’Astronomia γ. Fotoni
alta-mente energetici non possono essere nè riflessi nè rifratti, come accade invece comu-nemente nei telescopi ottici; essi possono interagire soltanto attraverso conversione di raggi γ in coppie (e+, e−).
Il Lat è progettato per misurare le direzioni, le energie e i tempi di arrivo dei fotoni in un enorme FoV, rigettando allo stesso tempo il fondo dei raggi cosmici. Si tratta in pratica di un telescopio a conversione di coppie composto da :
1.1 Il Large Area Telescope 3 Tabella 1.1: Caratteristiche specifiche del Large Area Telescope ( Lat) [25].
Parametri Valore o Range
Range di Energia 20 MeV − 300 GeV
Area efficace ad incidenza normale 9500 cm2
Risoluzione di energia (1σ)
100 MeV ÷ 1 GeV in asse 9 ÷ 15 %
10 GeV ÷ 300 GeV in asse 8.5 ÷ 18 %
> 10 GeV (> 60◦ di incidenza) ≤ 6 %
Risoluzione angolare a singolo fotone (in asse), con 68% di raggio di contenimento:
> 10 GeV ≤ 0.15◦
1 GeV 0.6◦
100 MeV 3.5◦
con 95% di raggio di contenimento (in asse) < 3 × θ68 % con raggio di contenimento a 55◦ fuori asse < 1.7× valore in asse
Field of View (FoV) 2.4 sr
Risoluzione temporale < 10 µs
Dead Time 26.5 µs
• un tracciatore-convertitore (Tkr), che prevede un Detector a Stricie di
Sili-cio (Ssd), costituito da 18 piani x − y, intervallati con fogli di tungsteno di
profondità totale pari ad 1.5 lunghezze di radiazione (X0) in asse ;
• un calorimetro odoscopico di CsI(Tl) (Cal), con profondità totale pari a 8.6 lunghezze di radiazione X0, in asse;
• un Detector Anti-Coincidenza (Acd) segmentato, che circonda il sistema del tracciatore.
Il Lat segue con estrema precisione le traccie degli elettroni (e−) e dei positroni
(e+) creatisi in seguito al processo di conversione di un fotone incidente in un sottile
foglio metallico ad alto numero atomico Z (in questo caso tungsteno), e misura poi l’energia rilasciata, da parte dello sciame elettromagnetico, all’interno del calori-metro. Sia il tracciatore che il calorimetro constituiscono un array 4 × 4, fatto di 16 torri e sorretto da una struttura a griglia di piccola massa in alluminio. Uno schermo di anticoincidenza (Acd) ricopre l’intero tracciatore ed infine un sistema di acquisizione dei dati e trigger (Daq) utilizza i segnali prodotti dal tracciatore, calorimetro e schermo di anticoincidenza per elaborare il trigger finale.
Contrariamente alle vecchie spark chambers, per costruire il tracciatore sono state impiegate le recenti tecniche di costruzione di striscie di silicio (silicon strips
detectors), capaci di offrire allo stesso tempo un’alta efficienza di rivelazione
(crucia-le soprattutto per misure a basse energia), poco rumore (necessario per il trigger di eventi), ed un’eccellente risoluzione spaziale (importante per la risoluzione angolare ad alte energie). Alla base del tracciatore, un calorimetro di cristalli di CsI(Tl) è collegato a dei fotodiodi. Le funzionalità primarie del calorimetro sono: (i) misurare il rilascio di energia da parte dello sciame elettromagnetico prodotto dalla coppia
4 Finalità scientifiche della missione spaziale FERMI Tabella 1.2: Caratteristiche specifiche del Glast Burst Monitor ( Gbm) [25].
Parametri Valore o Range
Range di Energia 8 keV ÷ 1 MeV (Led)
150 keV ÷ 30 MeV (Hed)
Risoluzione di energia 20% Fwhm a 511 keV
Risoluzione temporale 10 µ sec
Area efficace (× detector) 126 cm2
Localizzazione di Grb (on board) 20◦(1σ)
in ≤ 2 s
Field of View (FoV) 8.0 sr
Dead Time < 10.0 µ s/count
(e+, e−), creata a sua volta dal fotone incidente; (ii) ricostruire un’immagine del
profilo dello sciame, fornendo cosi un importante discriminante del fondo ed una stima delle fluttuazioni delle perdite di energia dello sciame. Infine, è bene ricor-dare che la profondità verticale del calorimetro è pari a 8.6 lunghezze di radiazione
X0: questa, abbinata ad una fine segmentazione longitudinale, consente di ottenere
misure con una buona risoluzione in energia, anche fino al TeV †. In Tabella 1.1
sono riportate le principali caratteristiche tecniche del Lat.
Il Glast Burst Monitor
Il Glast Burst Monitor (Gbm) è stato realizzato come strumento complementare per la missione Fermi, ed è sensibile ai fotoni nell’X e nel γ, con energie comprese tra 5 keV e 25 MeV. La combinazione del Gbm e del Lat rappresenta un potente mezzo per lo studio dei Grb, in particolar modo per risolvere nel tempo emissioni spettrali su bande di energia molto larghe.
Il Gbm è composto di 12 Low Energy Detectors (Led), essenzialmente scintilla-tori di NaI, e due High Energy Detectors (Hed), ovvero detector a BGO. I detector a NaI coprono la parte inferiore dell’intervallo di energia, da pochi keV a circa 1 MeV, mentre i detector a BGO sono sensibili alla parte alta dello spettro di energia, dai 10 keV ai 25 MeV. In Tabella 1.2 riportiamo le principali caratteristiche tecniche del Gbm.
†NOTA. Elettroni di alta energia perdono gran parte della loro energia principalmente per bremsstrahlung, mentre fotoni energetici per la produzione di coppie (e+, e−). La quantità di mate-ria caratteristica attraversata in entrambi i processi di interazione, è detta lunghezza di radiazione
X0, solitamente misurata in gcm−2. Essa può essere usata sia per indicare la distanza media su cui un elettrone altamente energetico perde 1/e della sua energia iniziale per bremsstrahlung, che i 7/9 del libero cammino medio di un fotone di alta energia prima che sia convertito in cop-pie. X0 è anche una lunghezza scala appropriata per descrivere processi relativistici a cascata elettromagnetica. La lunghezza di radiazione è data, in buona approssimazione, dall’espressione
X0= Z(Z+1) ln716.4·A√287
Z
g cm−2, dove Z è il numero atomico ed A è il numero di massa del materiale attraversato dalla radiazione.
1.1 Il Large Area Telescope 5
(a) Tracker array ( Tkr) completo prima dell’integrazione dell’Acd.
(b) Modulo del calorimetro del Lat. I 96 detec-tors di cristalli a scintillazione di CsI(Tl) sono disposti in 8 strati, e ruotati di 90◦ tra gli stra-ti adiacenstra-ti. La profondità totale del calorimetro (ad incidenza normale) è pari a 8.6 lunghezze di radiazione.
(c) Diagramma schematico del Fermi-Lat.
Figura 1.1: Il telescopio γ Fermi. Il principale elemento del telescopio è il tracker
(Tkr), consistente di una torre di moduli disposti come array 4 × 4. Ogni modulo consiste di strati di detector al silicio e di un sottile foglio di materiale ad alto nume-ro atomico Z, in grado di convertire un fotone in una coppia di elettnume-roni e positnume-roni. I detector al silicio permettono di seguire con alta precisione la traccia degli elet-troni secondari. Il calorimetro (Cal) segmentato di CsI(Tl) misura l’energia della coppia di elettroni e positroni assorbita, fornendo così informazioni circa l’energia del fotone primario. Lo schermo di anticoincidenza attivo consiste di scintillatori al plastico, garantendo un’efficace reiezione delle particelle cariche del fondo dai Crs
6 Finalità scientifiche della missione spaziale FERMI
1.2 Sorgenti astrofisiche energetiche
Le osservazioni nella banda γ dello spettro elettromagnetico costituiscono senza dubbio un metodo diretto per l’osservazione di meccanismi di accelerazione di par-ticelle nei diversi contesti astrofisici. Quali sono i vantaggi che la missione Fermi porterà nella comprensione di tali processi, possono facilmente dedursi se ci rife-riamo alle scoperte della precedente missione Egret riguardo ad alcune delle più importanti sorgenti di radiazione γ, quali Blazar, pulsar, resti di Supernovae (Snrs), e le emissioni legate alle interazioni di particelle cariche con il mezzo intergalattico ed interstellare.
Pulsar
Le pulsar sono dinamo cosmiche eccezionali, uniche nel panorama degli oggetti celesti. Una pulsar è una stella di neutroni, fortemente magnetizzata e rapidamen-te rotanrapidamen-te, con massa tipicamenrapidamen-te dell’ordine di ∼ 1M⊙, compressa in un raggio
di una decina di chilometri, e quindi con densità estremamente elevate.‡ In
origi-ne gran parte delle pulsar furono scoperte attraverso l’osservazioorigi-ne di impulsi di radiazione alle lunghezze d’onda radio, dovuti probabilmente radiazione elettroma-gnetica emessa, in coni ristretti, dai poli magnetici della stella. Il fascio di onde radio emesso dalla stella è causato dall’azione combinata del campo magnetico e della rotazione.
Figura 1.2: Geometria dei modelli di emissione polar cap e outer gap.
Il modello di pulsar generalmente accet-tato, e raramente messo in discussione, spie-ga le osservazioni con un fascio di radiazioni che punta nella nostra direzione una volta per ogni rotazione della stella di neutroni. L’origine del fascio rotante è legato al di-sallineamento tra l’asse di spin e l’asse del campo magnetico della pulsar. Il fascio è emesso dai poli magnetici della pulsar, che possono essere separati dai poli di rotazione di un angolo anche ampio. Questo ango-lo rende il comportamento dei fasci simile a quello di un faro (radio beam). Per questo motivo, i radiotelescopi terrestri riescono a registrare un segnale luminoso solo se uno di quei fasci investirà la Terra, rendendo di
fat-to impossibile qualsiasi tentativo di ”censimenfat-to” di pulsar. La sorgente di energia dei fasci è l’energia rotazionale della stella di neutroni, la quale rallenta lentamente la propria rotazione per alimentare i fasci.
Con la loro inconfondibile impronta temporale, le pulsars furono le uniche po-polazioni di sorgenti puntiformi galattiche ad essere state identificate in maniera definitiva da Egret. Di queste, soltanto sette furono classificate come γ-pulsar, un numero estremamente ridotto rispetto alle 1800 osservate nel radio§e alle 10000 che
‡8 × 1017kg/m3 è la densità tipica delle regioni centrali di una stella di neutroni §http://www.atnf.csiro.au/research/pulsar/psrcat/
1.2 Sorgenti astrofisiche energetiche 7
Figura 1.3: Il Fermi Gamma-ray Space Telescope recentemente ha sco-perto 12 pulsar fino ad ora sconosciute (in arancione). Fermi ha inol-tre osservato emissioni nello spettro γ di radio pulsar note (magenta e cyan, rispettivamente), e di γ-pulsar note, o sospette come tali, identifica-te in precedenza dal saidentifica-telliidentifica-te Compton Gamma-Ray Observatory (in verde). Fonte:http: // www. nasa. gov/ mission_ pages/ GLAST/ news/
si pensa popolino la nostra Galassia. Fermi è invece in grado di rintracciare diret-tamente la periodicità in tutte quelle sorgenti non identificate da Egret: durante i primi 11 mesi di attività, Fermi ha osservato in totale 39 pulsar con emissione radio o X già note, e 24 nuove pulsar nella banda γ, di cui 12 identificate fra le sorgenti non identificate da Egret [4]. Siccome fasci di emissione gamma prove-nienti dalle pulsar dovrebbero essere meno collimati di quelli radio, ci si aspetta che molte delle pulsar classificate come radio-quiet, di cui Geminga ne è un esempio, restino tuttora da scoprire. Nel corso dei suoi anni, Fermi rivelerà un gran numero di γ-pulsar (si stima ≥ 250), e garantirà misure spettrali definitive che faranno luce su i due principali modelli proposti attualmente per spiegare l’accelerazione delle particelle, e la produzione di raggi γ: (i) l’outer gap model ed il (ii) polar
cap model rispettivamente. Fino ad ora non sono state osservati impulsi al TeV,
e questo lascia supporre che lo spettro emesso presenti un cutoff alle alte energie, risultando in alcuni casi più ripido di un semplice profilo esponenziale, scenario questo consistente con la produzione di coppie e+e− nella regione polare. D’altra
parte, la precisione statistica dei dati di Egret non è sufficiente per distinguere tra le differenti emissioni previste dai due modelli. A tal scopo, Fermi sarà in grado di raccogliere la statistica necessaria per confermare in modo significativo l’emissione aspettata e distinguere così le due diverse predizioni per il cutoff ad alta energia nello spettro delle pulsar.
8 Finalità scientifiche della missione spaziale FERMI
1.3 Ricerca di Materia Oscura
Una delle questioni più affascinante e tuttora irrisolta della fisica moderna è sicuramente legata all’esistenza, probabile, di Materia Oscura (o Dark Matter) nel-l’Universo. Una enorme varietà di osservazioni, sia dirette che indirette, da scale galattiche a scale cosmologiche, hanno indotto la comunità scientifica internazionale alla conclusione che una forma di materia, dalle proprietà ancora non note, deve esistere e contribuire significativamente alla densità di energia dell’Universo. Seb-bene suggerimenti della sua esistenza siano stati molteplici, fino ad ora essa non è stata ancora identificata. Ciò è noto come il problema della Materia Oscura.
Evidenza per l’esistenza di Materia Oscura
Oggi sappiamo che solo il 4% dell’Universo è composto da materia a noi familiare, fatta cioè di protoni, neutroni ed elettroni (ed una piccola quantità di anitimateria). Si stima che circa il 73% di ciò che esiste nel Cosmo sia invece fatto di una sostanza invisibile ed omogenea detta Energia Oscura (o Dark Energy). Il restante 23% sa-rebbe invece costituito di particelle di natura differente dalla materia ordinaria, non aggregandosi in corpi celesti, nè emettendo radiazione elettromagnetica e dunque non direttamente visibile (Dark Matter).
L’evidenza più diretta e convincente per l’esistenza di Materia Oscura, su sca-le galattiche, è forse sca-legata alsca-le curve di rotazione, andamenti cioè delsca-le velocità orbitali di stelle e gas rispetto al centro galattico, in funzione della lora distanza. In accordo con la dinamica Newtoniana, per una massa M(r) ≡ 4π R ρ(r) r2,
distribuita con un profilo di densità ρ(r), le velocità orbitali oltre i confini del di-sco dovrebbero avere l’andamento usuale v(r) ∝ 1/√r. Tali curve di rotazione esibiscono invece un comportamento tipicamente piatto a grandi distanze, ovvero verso l’esterno, anche olte il bordo visibile del disco galattico. Il fatto che v(r) sia approssimativamente costante lascia dunque supporre che esista un alone di materia non visibile e soggetta solo ad interazioni gravitazionali ( e per questo detta oscura), con M(r) ∝ r distribuita come ρ(r) ∝ 1/r2.
Su scale cosmologiche, la scoperta di anisotropie di piccola ampiezza nella radia-zione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background) aprì le porte ad una nuova era di cosmologia di precisione. In accordo con le attuali teorie, piccole e casuali fluttuazioni di densità nei primi istanti di vita dell’Universo causarono instabilità gravitazionali generando le strutture oggi osservate su larga scala. Le anisotropie registrate fotografano dunque la distribuzione della densità di materia al tempo del disaccoppiamento dalla radiazione, e del sussuguente red (o blue-shifting gravita-zionale dei fotoni che dipartirono dalle regioni molto (o poco) dense. La mappa del cielo delle anisotropie osservate nella radiazione cosmica di fondo, osservata dall’esperimento Wmap su un periodo di cinque anni, è mostrata in Figura 1.4.
Sebbene la presenza di Dm, dedotta tramite effetti gravitazionali sul moto dei corpi celesti, sia stata portata alla luce sin dagli anni ′30 del secolo scorso, solo
negli ultimi decenni diverse misure astrofisiche di importanza cosmologica (e.g. ab-bondanza di elementi leggeri, radiazione cosmica di fondo, evoluzione di struttura galattica) hanno stabilito con chiarezza il suo apporto al contenuto di energia del nostro Universo, permettendo anche di evidenziarne alcune delle sue peculiarità.
1.3 Ricerca di Materia Oscura 9
Figura 1.4: Sinistra: Mappa del cielo delle anisotropie di temperatura nella
radia-zione cosmica di fondo misurata dall’esperimento Wmap. Le regioni rosse sono più calde e le regioni blue sono più fredde di cira 200µK. Destra: Spettro in potenza corrispondente alla mappa mostrata a sinistra. Fonte: Nasa/Wmap Science Team http: // wmap. gsfc. nasa. gov/ media/.
La questione fondamentale circa la natura delle particelle che compongono la Dm resta, purtroppo, ancora aperta.
La cosmologia del Big Bang
Per capire come certi candidati per la Dm possano esistere e popolare la Galassia, è necessario rivedere alcune idee fondamentali del modello cosmologico standard. Quest’ultimo, noto anche come modello del Big Bang caldo, prevede che l’Universo sia nato all’incirca 14 miliardi di anni fa, a partire da uno stato estremamente denso e molto caldo. Il contributo di una data componente i con densità di energia ρi alla
densità di energia totale dell’Universo è solitamente espresso come una frazione della densità critica ρc = 3H02/8πG, che determina un Universo piatto su grandi scale e
la cui espansione giunge ad un arresto asintotico: Ωi=
ρi
ρc
. (1.1)
Figura 1.5: Contenuto di energia del no-stro Universo. La Materia Oscura resta un enigma, così come lo è l’Energia Oscura.
Una combinazione di osservazioni dell’anisotropia nella radiazione cosmi-ca di fondo da parte dell’esperimento Wmap, delle distanze di luminosità per Supernovae di tipo Ia, e delle oscilla-zioni acustiche barioniche nella distri-buzione di galassie, indica, ad oggi, che i parametri chiave del modello del Big
Bang siano ΩB= 0.0462 ± 0.0015 per la
densità barionica, ΩDM= 0.233 ± 0.013
per la densità di materia oscura, ΩΛ =
0.721 ± 0.015 per la densità di energia oscura e H0 = (70.1±1.3) kms−1Mpc−1
per la costante di Hubble. Si trova dun-que che la densità totale è ΩTOT = 1.0052 ± 0.0064, consistente con il valore
10 Finalità scientifiche della missione spaziale FERMI Un aspetto importante del modello del Big Bang caldo è il freeze-out delle par-ticelle pesanti. Assumendo che una specie di particella con massa m si mantenga sempre all’equilibrio termico, il numero di particelle, N, in un volume comovente è dato da N ∼ (m/T )3/2exp (−m/T ), oggi trascurabile se m/T ≫ 1. Tuttavia, una
densità fossile di particelle massive potrebbe sopravvivere se il tasso di interazione Γint risultasse inferiore a quello di espansione H dell’Universo, in una certa fase
della storia dell’Universo. Ad esempio, consideriamo una specie χ che interagisca in modo debole, annichilita e creata nella reazione χ + ¯χ ↔ X + ¯X. Si suppone
che le particelle di tipo X, contrariamente a quelle di tipo χ, interagiscano in modo forte, mantenedosi quindi all’equilibrio termico. L’evoluzione temporale della den-sità numerica nχ, nel riferimento comovente, è dunque governata dall’equazione di
Boltzmann del tipo
dnχ
dt = −3Hnχ− hσ|v|i(n
2
χ− (nEQχ )2). (1.2)
Il primo termine sul lato destro esprime la diminuzione della densità numerica delle particelle dovuta all’espansione dell’Universo. Il secondo termine descrive invece l’annichilazione delle particelle χ, proporzionale a hσ|v|in2
χ, e la creazione nella
reazione opposta, proporzionale a hσ|v|i(nEQ
χ )2. Qui, hσ|v|i indica la sezione d’urto
di annichilazione mediata termicamente per la reazione χ + ¯χ → X + ¯X ed nEQ χ è la
densità numerica delle particelle χ all’equilibrio. Normalizzando nχ alla densità di
entropia s, che si dimostra si conserva in un volume comovente R3(t), e introducendo
Yχ≡ nχ/s e x ≡ mχ/T , l’Eq. (1.2) può essere riscritta nella forma
x YχEQ dY dx = ΓA H Y χ YχEQ 2 − 1 , (1.3)
dove ΓA= nEQχ hσ|v|i. Questo mostra che l’evoluzione è governata dal fattore ΓA/H.
L’Eq. (1.3) può essere risolta numericamente e la soluzione descrive il freeze-out di una specie di particelle dotate di massa. Per qualche valore di xf = mχ/Tf, in
corrispondenza della temperatura di freeze-out Tf, l’abbondanza Yχ lascia la curva
di equilibrio. L’abbondanza fossile sarà maggiore nel caso in cui la sezione d’urto di annichilazione sarà più piccola. Generalmente, una stima dell’ordine di grandezza è data da
Ωχh2 ≈ 3 × 10
−27
hσvi cm
3s−1. (1.4)
Candidati di Materia Oscura
Da un punto di vista cosmologico, il candidato di Dark Matter più prometten-te è da identificare con una particella priva di carica elettrica o colore, massiva e che interagisca in modo debole, ovvero una Weakly Interacting Massive Particle (o Wimp). L’assenza di carica elettrica impedisce che venga emessa radiazione elet-tromagnetica, giustificando così la sua oscurità. L’assenza di carica di colore evita che i Wimps possano interagire nel dominio delle interazioni forti, prevenendo loro di aggregarsi in stati nucleari anomali, assenti nel nostro Universo. Infine, il carat-tere debole delle loro interazioni limita il rate con cui i Wimps possono annichilire
1.4 Raggi Cosmici elettronici (Cre) 11
sè stessi, assicurando così la loro permanenza su miliardi di anni dell’evoluzione dell’Universo. Inoltre, la presenza di una massa di almeno una dozzina di GeV/c2
garantisce la natura relativistica di queste particelle al momento del disaccoppia-mento dal bagno termico nei primi istanti di vita dell’Universo, in accordo con i modelli di cold Dark Matter richiesti dal processo di evoluzione delle strutture nel nostro Universo.
Nelle estensioni supersimmetriche del Modello Standard delle particelle elemen-tari, esistono alcuni scenari in cui nuove particelle possono giocare il ruolo di Wimps: determinare la natura della Materia Oscura non solo aiuterebbe a risolvere un com-plesso puzzle cosmologico, ma aprirebbe una nuova finestra nel panorama della fisica fondamentale.
La ricerca di queste particelle, fossili del Big Bang e presumibilmente abitanti di aloni oscuri di galassie, procede in due principali direzioni: (i) la ricerca diretta, con-dotta nei laboratori sotteranei dedicati alla rivelazione delle interazioni dei Wimps con detector di enorme massa, e (ii) quella indiretta, condotta nello spazio. Questa ultima è basata sul principio secondo cui i Wimps possono annichilarsi e produrre, dopo il processo di adronizzazione, un diverso numero di particelle elementari. Di particolare interesse, per via del basso fondo astrofisico, sono le possibili traccie nei raggi γ e nei flussi di antimateria cosmica: positroni, antiprotoni, antideuteroni. In questo modo, si crea una fortissima connessione tra la ricerca di antimateria pri-mordiale e ricerca per la materia oscura nello spazio, in quanto entrambe richiedono tecniche sperimentali basate su spettrometri magnetici che possono identificare il segno di una particella carica. Il Wimp maggiormente studiato è il neutralino, una combinazione di campi supersimmetrici previsti dal Modello Standard. I neutralini sono fermioni di Majorana, che possono annichilirsi nell’alone della Galassia, pro-ducendo così, in modo simmetrico, particelle e antiparticelle, con queste ultime che forniscono l’osservabile di nostro interesse. Un altro interessante candidato, tra i vari proposti, è la più leggera particella di Kaluza-Klein nel contesto dell’Universo a Extra-Dimensioni.
1.4 Raggi Cosmici elettronici (CRE)
Gli elettroni rappresentano soltanto una piccola frazione (∼ 1%) del flusso totale dei Crs osservato a terra, ma nonostante ciò giocano un ruolo fondamentale nello studio delle proprietà del mezzo interstellare della nostra galassia. Come avremo occasione di vedere ancora più in dettaglio in seguito, essi rappresentano una chia-ra testimonianza riguardo alle loro sorgenti, la loro diffusione all’interno dei campi magnetici galattici, e le loro interazioni principalmente con i fotoni del campo inter-stellare attraverso cui viaggiano per arrivare infine a noi. Il moto dei Crsattraverso il mezzo galattico è solitamente descritto in termini di processi diffusivi legati ad urti delle particelle con onde e irregolarità per lo più turbolenti tipiche del cam-po magnetico galattico (Berezinskii et al. 1990 [35]). Inoltre, contrariamente alla componente adronica, nel caso degli elettroni occorre prendere in considerazione le pesanti perdite di energia cui sono sottoposti per emissione di bremsstrahlung, sincrotrone e scattering Compton (Blumenthal & Gould 1970 [40]).
L’intento primario, che spinse la comunità scientifica alla realizzazione del sa-tellite Fermi, è stato sicuramente scrutare ad alta risoluzione il cielo nella banda
12 Finalità scientifiche della missione spaziale FERMI
Figura 1.6: In questa figura sono riportati i dati sperimentali riguardo allo spettro
di elettroni e positroni cosmici ad alta energia misurato dai diversi esperimenti attivi fino al 2008 (Tang et al. 1984 [161]; Golden et al. 1984 [91]; Golden et al. 1984 [92]; Kobayashi et al. 1999 [111]; Caprice 94: Boezio et al. 2000 [41]; Heat: Du Vernois et al. 2001 [73]; Bets: Tori et al. 2001 [163]; Ams-01: Aguilar et al. 2002 [8]; Atic: Chang et al. 2005 [52]); Ppbbets: Tori et al. 2008 [164]), ed antecedenti la misura da parte del Fermi-Lat [3].
γ dello spettro della radiazione elettromagnetica: per questo motivo, terminata la
costruzione dello strumento, lo studio del flusso di elettroni relativistici proveniente dal mezzo galattico non figurava certamente tra i principali obiettivi scientifici della missione. Tuttavia, essendo un telescopio γ, il Lat si candida ad essere un ottimo rivelatore di eventi indotti da elettroni e positroni, anche se misure di questo tipo possono presentare effetti collaterali indesiderati, quali la non esatta identificazione degli elettroni rispetto ad altre specie, prima di tutto protoni. Perchè la conta-minazione adronica rappresenti solo una minima percentuale (. 10%), il potere di separazione deve essere dell’ordine del 103÷104; il Lat soddisfa in maniera ottimale
questo tipo di requisiti.
Fino ai giorni nostri eravamo in possesso soltanto di una parziale conoscenza, sia sperimentale che teorica, dei processi che effettivamente hanno luogo e che de-terminano il flusso finale di elettroni osservato a terra. Gran parte dei risulatati pubblicati in letteratura prima del 2008 (Figura 1.6), sono stati ottenuti median-te esperimenti su pallone aerostatico (e.g., Ppb-bets) o grazie all’unica missione spaziale fino ad allora esistente, Ams-01 [8], caratterizzati tutti però da una sta-tistica piuttosto limitata, lasciando quindi spazio ad ambiguità ed incertezze nella
1.4 Raggi Cosmici elettronici (Cre) 13
interpretazione dello spettro misurato.
I vantaggi che il Fermi-Lat ha rispetto ai suoi predecessori sono essenzialmente da attribuire alla sua enorme area di raccolta: come vedremo meglio nei Capitoli 4 e 5 rispettivamente, più di 4 milioni di elettroni sono stati raccolti dal Lat nel corso del suo primo anno di vita, in un intervallo di energia compreso tra i ∼ 20 GeV ed ∼ 1 TeV. La grande statistica introdotta dal Fermi-Lat ha offerto per la prima volta la possibilità di ricostruire l’esatto andamento del flusso, e di individuare eventuali peculiarità spettrali, quali cambiamenti nella slope o eventuale presenza di cutoff.
Capitolo 2
Raggi Cosmici nella Galassia
Indice
2.1 Considerazioni introduttive . . . . 15 2.2 Lo spettro e la composizione dei Raggi Cosmici . . . . . 18 2.3 L’energetica dei Raggi Cosmici . . . . 21 2.4 L’accelerazione dei Raggi Cosmici . . . . 23
2.1 Considerazioni introduttive
Per secoli, l’uomo ha utilizzato la luce proveniente da oggetti celesti distanti per ottenere informazioni riguardo all’Universo che lo circonda.
Lo studio sistematico dei Raggi Cosmici (Crs) ebbe inizio nel 1912 grazie all’o-pera pioneristica di Victor Hess, il quale intraprese misure di particelle ionizzanti a 5 km di altezza dalla superficie terrestre mediante voli di palloni aerostatici nei cieli dell’Austria, Boemia e Prussia.∗ Egli scoprì la presenza di una radiazione
elet-tricamente carica crescente con l’altitudine,† potendo quindi stabilire che la Terra
è continuamente colpita da un flusso di particelle altamente energetiche provenienti da ogni direzione del cielo; oggi sappiamo che tali particelle sono in realtà protoni, neutroni, elio, carbonio, azoto e ioni anche più pesanti fino al ferro. Le misure di
∗NOTALa scoperta dei Raggi Cosmici è, di solito, attribuita al fisico austriaco Victor Hess, il quale ottenne nel 1936 il premio Nobel per la Fisica proprio per i suoi studi su questo tipo di particelle. In realtà si pervenne alla loro scoperta e alla spiegazione della loro origine grazie agli studi, contemporanei e complementari fra di loro, svolti dal fisico italiano Domenico Leone Pacini e da Hess, il primo per mezzo di esperimenti eseguiti fra il 1906 e il 1911 e descritti in una memoria pubblicata nel Nuovo Cimento nel 1912, l’austriaco per mezzo di esperimenti eseguiti fra il 1911 e il 1912 e pubblicati ugualmente nel 1912. Pacini poté escludere l’origine terrestre delle radiazioni registrandole nelle acque marine di Livorno e in quelle del lago di Bracciano; Hess registrandone l’aumento dell’intensità per mezzo di un pallone aerostatico. Qui di seguito un estratto di cosa scriveva il Pacini a proposito dei suoi studi sulla radiazione cosmica: Le osservazioni eseguite
sul mare nel 1910 mi conducevano a concludere che una parte non trascurabile della radiazione penetrante che si riscontra nell’aria, avesse origine indipendente dall’azione dirette delle sostanze attive contenute negli strati superiori della crosta terrestre. Tratto da La radiazione penetrante dalla superficie ed in seno alle acque, Il Nuovo Cimento Serie VI,Tomo 3: 93-100 (1912).
†In realtà ciò è vero per quote superiori a qualche centinaio di metri: a quote più basse il flusso diminuiva a causa del minore contributo della radioattività naturale terrestre
16 Raggi Cosmici nella Galassia energia e l’isotropia osservata hanno mostrato che il Sole, per noi la sorgente di particelle più naturale, non è in realtà la fonte principale di Crs alle alte energie. Come vedremo meglio in seguito, solo la parte di spettro relativa ad energie cineti-che inferiori a Ek ∼ 1 (GeV/nuc) è influenzata dall’attività solare; a quelle energie,
la magnetosfera scherma le particelle provenienti dall’esterno dell’eliosfera.
Al di là della semplice evidenza che si tratta di particelle relativistiche di ori-gine extra-terrestre, sappiamo che i Crs presenti nella nostra Galassia consistono principalmente di protoni, nuclei ed elettroni primari, cioè particelle direttamente accelerate ad energie relativistiche da oggetti astronomici estremamente potenti, presumibilmente resti di Supernovae (Snrs) prodotti a seguito delle esplosioni di queste ultime, ed in generale differenti dalle stelle ordinarie. Allo stesso tempo, dalla composizione nucleare osservata a Terra deduciamo che una frazione consistente di alcune specie di Crs, in particolar modo i nuclei del gruppo (Li, Be, B), così come le antiparticelle (e.g., positroni, e+, e antiprotoni, ¯p), hanno un’origine secondaria.
Esse sono prodotte, oltre che parzialmente con il plasma termico all’interno degli stessi acceleratori, soprattutto dai Crsprimari che, propagando nel campo
magne-tico galatmagne-tico, interagiscono con il gas interstellare ambientale. Le antiparticelle possono essere prodotte anche in alcuni processi “esotici” come l’evaporazione di buchi neri primordiali o l’annichilazione di Materia Oscura (Dm). Tuttavia, i dati attuali non mostrano evidenze convincenti di una significativa frazione di antipro-toni “esotici” nei Crs [6], mentre per quanto riguarda i positroni, come vedremo meglio in seguito, il dibattito è tuttora in fermento [5].
Le particelle secondarie trasportano con sè preziose informazioni riguardo alla storia dei Crs durante il loro passaggio attraverso i campi magnetici galattici. In particolare, esse ci dicono che il tempo medio speso dai Crs nel disco prima di fuggire dalla Galassia è circa τesc ∼ 107yr. In Figura 2.1, possiamo notare come lo
spettro in energia dei Crsin generale si estenda fino ad energie estremamente alte,
Ek∼ 1020eV ed oltre. Lo spettro in energia degli elettroni è misurato, ad oggi, fino
a ≃ 5 TeV [11]. Il rapporto protoni-elettroni, ad energie del GeV, è un fattore 102
circa, mentre ad 1 TeV il contenuto relativo di elettroni non supera il 10−3.
Lo spettro di Crs mostra due caratteristiche distinte, il cosiddetto ginocchio e la caviglia attorno ad energie Ek ∼ 1015 e 1018 eV/nuc, rispettivamente (si veda
la Figura 2.2). Oggi si ritiene che tutte le particelle al di sotto del ginocchio siano di origine galattica, e che i Crs estremamente energetici (Extremely High Energy
Cosmic Rays, Ehecrs) al di sopra della caviglia siano prodotti e accelerati al di fuori
del disco galattico, nell’alone della nostra Galassia, o in oggetti extragalattici molto potenti quali i nuclei galattici attivi (Agns), Radiogalassie e cluster di galassie.
L’accelerazione, l’accumulo e l’efficace mescolanza di particelle non termiche, attraverso la loro diffusione e convezione nei campi magnetici galattici, producono il cosiddetto mare dei Crsgalattici (Gcrs). La densità media dei Gcrs, ovunque nel disco galattico, è deteminata dall’attività di tutte le sorgenti galattiche su un periodo di tempo relativamente lungo, paragonabile al tempo di fuga dei Crs(∼ 107
yr). Assumendo che il livello del mare dei Gcrsnon sia troppo diverso dai flussi di Crs direttamente misurati, il rate di produzione di Crs nella Galassia può essere stimato unicamente sulla base delle misure dei Crs, principalmente dal flusso totale e dal rapporto secondario/primario dei Crs, essendo piuttosto indipendente dai dettagli che caratterizzano la loro regione di confinamento (e.g., densità e volume).
2.1 Considerazioni introduttive 17
Figura 2.1: Raccolta di dati sperimentali relativi al flusso di Raggi Cosmici su di
un esteso intervallo di energia (Hillas 2006 [104] e le referenze in esso contenute).
Dalla dipendenza dall’energia del rapporto secondario/primario dei Crs, sappia-mo che gli spettri di accelerazione di sorgenti individuali di Crs sono significativa-mente più duri dello spettro dei Crslocalmente misurati, e dunque dello spettro del mare di Gcrs. Si ritiene che lo spettro medio dei Crsalla sorgente (cioè lo spettro
di iniezione) sia descritto da una legge a potenza differenziale con indice Γ vicino a
2.1, sebbene uno spettro alla sorgente più ripido con Γ fino a 2.4 non sia possibile da escludere, se i Crssono ulteriormente riaccelerati nel mezzo interstellare (Seo & Ptuskin 1994 [148]).
Infine, la pressione dei Crsè confrontabile con la pressione dei campi magnetici galattici, così come la pressione turbolenta e termica del gas interstellare. Ciò impli-ca che i Gcrs giochino un ruolo importante nel bilancio dinamico della nostra Ga-lassia, e forse abbiano avuto un impatto non trascurabile nella chimica interstellare, attraverso il riscaldamento e la ionizzazione del mezzo interstellare.
18 Raggi Cosmici nella Galassia
2.2 Lo spettro e la composizione dei Raggi Cosmici
I Crssono particelle energetiche di origine extraterrestre. Dalla loro scoperta ad oggi, i Crssono stati osservati a Terra entro un esteso intervallo di energia, tra 109
e 1020 eV. Il flusso di Crscon energia inferiore a 1014 eV è abbastanza intenso da
aver consentito lo studio dei singoli nuclei mediante detectors montati su palloni o satelliti: da questi esperimenti diretti, abbiamo ricavato informazioni rilevanti sullo spettro energetico e le abbondanze relative di una gran varietà di nuclei atomici, protoni, elettroni, positroni e anche intensità, energia e distribuzione spaziale di raggi X e γ. Oltre i 1014eV, il flusso diventa così debole che solo esperimenti a Terra,
con grande campo di vista e tempo di esposizione molto lungo, possono sperare di raccogliere un numero di eventi statisticamente significativo. Tali esperimenti si servono dell’atmosfera come un enorme calorimetro: la radiazione cosmica incidente interagisce con le molecole e gli atomi presenti nell’atmosfera e produce Extensive
Air Showers (Eass) che si espandono su vaste aree. Già nel 1938 Pierre Auger aveva
concluso, dalle dimensioni degli Eass allora osservati, che lo spettro dei Crspoteva estendersi fino a 1015 eV e forse anche oltre. Attualmente i progressi tecnici nelle
misure hanno consentito di osservare i flussi straordinariamente bassi (dell’ordine di 1 evento km−2 yr−1) con energie dei primari dell’ordine di 1020 eV.
Gran parte della radiazione primaria è di origine galattica; tuttavia l’estensione dello spettro ad energie così alte (sopra i 1020 eV) indica che almeno un pò della
radiazione potrebbe essere di origine extragalattica, dato che il campo magneti-co galattimagneti-co non potrebbe magneti-contenere tali particelle all’interno della nostra galas-sia. In realtà, lo spettro si irripidisce alla cosiddetta caviglia a circa 4 × 1018 eV,
probabilmente indicativo di sorgenti extragalattiche.
La Figura 2.2 mostra lo spettro di energia dei Crs: sopra pochi GeV, lo spettro fino al cosiddetto ginocchio, a 1016eV (104TeV), segue una semplice legge a potenza
N (E)dE = const. × E−2.7dE E < Eknee= 1016 eV. (2.1)
Al di sopra del ginocchio lo spettro diventa più ripido con un indice approssimati-vamente vicino a −3.0,
N (E)dE = const. × E−3.0dE Eankle > E > Eknee, (2.2)
prima di diventare nuovamente più duro oltre la cosiddetta caviglia ad energia
Eankle ≈ 4 × 1018eV,
N (E)dE = const. × E−2.69dE EGzk> E > Eankle. (2.3)
Sopra EGzk = 4 × 1019eV, sebbene le osservazioni in questo range energetico siano
particolarmente difficili‡, sembra emergere l’evidenza sperimentale che lo spettro dei
Crs, misurato principalmente da esperimenti basati su gli Eass, come ad esempio l’esperimento Auger situato in Argentina e il detector HiRes (’Fly’s Eye’) nello Utah, risulti fortemente soppresso, presumibilmente a causa del Gzk cutoff legato alla fotoproduzione di pioni nelle collisioni con i fotoni della radiazione cosmica di fondo. In questa regione di energia, lo spettro è parametrizzato dalla seguente forma
N (E)dE = const. × E−4.2dE E > EGzk= 4 × 1019eV. (2.4)
2.2 Lo spettro e la composizione dei Raggi Cosmici 19
Figura 2.2: Sommario delle misure dello spettro di Raggi Cosmici di alta energia
(Gaisser 2001 [82] e referenze in esso contenute).
Un semplice argomento in grado di spiegare la transizione dell’origine dei Crs da galattica a extragalattica, nella regione di energia intorno a 1018 eV, si basa
sulla valutazione del raggio di Larmor di tali particelle all’interno della Galassia. Quest’ultimo infatti descrive l’orbita che una particella carica percorrerebbe in un campo magnetico uniforme (trascurando per semplicità effetti di diffusione dei Crs nel campo magnetico galattico), ed è dato da
RLarmor ≈ 1 Z|e|c E 1 eV µG B kpc, (2.5)
dove Z|e| è la carica della particella, e B è il campo magnetico galattico. Dal-l’Eq. 2.5, segue quindi che i Crs con energie > 1018 eV non potrebbero essere
confinati all’interno del campo magnetico galattico.
Per quanto riguarda la composizione dei Crs, questa può essere misurata in mo-do diretto nella regione di bassa energia (< 1013eV), dove il flusso è sufficientemente
grande da permettere di eseguire spettroscopia su satelliti o palloni aerostatici. Ad energie più alte invece sono possibili solo misure indirette di composizione, mediante analisi del profilo e del contenuto di particelle dello sciame generato al passaggio di un Raggio Cosmico nell’atmosfera.
Le particelle cariche primarie dei Crs consistono principalmente di protoni (86%), particelle α (11%), nuclei di elementi più pesanti fino all’uranio (1%), ed elettroni (2%). Mentre queste provengono direttamente da sorgenti astrofisiche, esistono anche piccole quantità di positroni e antiprotoni, ritenuti di origine secon-daria e generati dalle interazioni delle particelle primarie con il gas intertellare. Le percentuali sopra indicate si riferiscono a particelle ad una data rigidità magnetica
20 Raggi Cosmici nella Galassia
Figura 2.3: Confronto tra le abbondanze nucleari tipiche dei Raggi Cosmici e
quel-le proprie del Sistema Solare. Gaisser & Stanev 2006 [83] e quel-le referenze in esso contenute.
R ≡ cp/Z|e|, dove p è l’impulso e Z|e| la carica della particella, cioè per particelle con la stessa probabilità di penetrare nell’atmosfera attraverso il campo geomagne-tico. Particelle neutre osservate consistono di raggi γ, di neutrini e antineutrini. Alcune di queste possono essere identificate come provenienti da sorgenti puntifor-mi nel cielo; per esempio, neutrini provenienti dal Sole e da Supernovae e raggi γ da sorgenti come la nebulosa del Granchio (Crab Nebula) e nuclei galattici attivi (Agns).
La densità di energia nei Crs, se riferita alle condizioni dello spazio interstel-lare non influenzate dal campo magnetico del Sistema Sointerstel-lare, è circa 1 eVcm−3,
paragonabile quindi alla densità di energia della luce stellare di 0.6 eVcm−3, della
radiazione cosmica di fondo 0.26 eVcm−3, e del campo magnetico galattico di 3µG
o 0.25 eVcm−3.
La composizione chimica dei Crs nucleonici esibisce notevoli somiglianze alle abbondanze del sistema solare, queste ultime dedotte dalle righe di assorbimento nella fotosfera solare e dai meteoriti, ma mostra anche significative differenze, come si possono notare in Figura 2.3. Sia le abbondanze cosmiche che solari mostrano entrambe gli effetti di parità-disparità, associati al fatto che nuclei con numero atomico Z e numero di massa A pari sono fortemente legati rispetto a quelli con A dispari e/o Z dispari, rappresentando dunque i prodotti più frequenti nelle reazioni termonucleari nelle stelle. I picchi nelle abbondanze normalizzate per C, N ed O, e