5.2 Il nostro modello
5.2.1 Lo scenario delle Pulsar
L’idea proposta per la prima volta nel 1968, indipendentemente, da Gold e Pacini, riguardo la natura delle pulsar, costituisce ancora oggi, a 43 anni dalla loro scoperta (Hewish et al. 1968 [136]), il riferimento principale per tutti i modelli proposti fin’ora in letteratura. Le pulsar sono descritte come stelle di neutroni, in rapida rotazione (con periodo P , 1 ms . P . 1 s), dotate di campi magnetici estremi (109 ÷ 1014G), prodotte con ogni probabilità durante le esplosioni di alcune
5.2 Il nostro modello 91
Supernovae di tipo II (si consulti la monografia di Shapiro et al. 1986 [149]). In particolare, Pacini argomentò che stelle di neutroni, in rapida rotazione e con intensi campi magnetici, potessero sopperire al fabbisogno energetico di resti di Supernova come la Nebulosa del Granchio (Crab Nebula), predicendo una loro osservabilità alle frequenze radio. A tal riguardo, si può notare che l’età delle due giovani radio
pulsar presenti nei resti di supernova della Crab e della Vela, derivate a partire
dai loro periodi P e dalle derivate dei periodi ˙P , sono in buon accordo con l’età
dei due remnants. Attualmente, il numero di radio pulsar catalogate sono più di 1000. Solo sei di loro sono state riportate dalla missione Egret come sorgenti di raggi gamma di alta energia. Gran parte della radiazione emessa dalle pulsar è da attribuire proprio alla rapida rotazione di quest’ultime. Il rate con cui l’energia cinetica rotazionale viene dissipata, e trasferita in luminosità, è definita come la
spin-down luminosity di una pulsar, un’osservabile che risulterà molto importante
per la nostra analisi interpretativa. Mentre le pulsar emettono nelle banda radio una piccola frazione (. 10−6) della loro energia rotazionale, le luminosità γ di alcune
pulsar sopra i 100 MeV eccede l’1% della loro spin-down luminosity.
Figura 5.4: Uno schema che mostra la casca- ta di coppia, (e+, e−), nella magnetosfera di
una stella di neutroni fortemente magnetizza- ta, dall’inizio del procedimento, innescato da un elettrone ad alta energia, fino al suo ter- mine. L’inserto mostra l’inizio di una casca- ta generata da un fotone che subisce un ur- to attraverso il processo di Compton inverso (Immagine tratta da [121]).
Oggetti astrofisici straordinariamen- te luminosi, le pulsar costituiscono in- dubbiamente siti adatti alla produzio- ne e all’accelerazione di particelle cari- che relativistiche, quali elettroni e po- sitroni, creati a coppie all’interno delle magnetosfere che avvolgono la stella di neutroni centrale (si consultino a riguar- do gli ottimi lavori di Sheen 1970 [150], Harding & Ramaty 1987 [102], Arons 1996 [20, 21, 22, 23], Chi et al. 1996 [54] e Zhang & Cheng 2001 [173]). La lumi- nosità delle pulsar emessa nella banda γ dello spettro elettromagnetico si pensa sia dovuta principalmente al moto ul- trarelativistico di tali particelle, strap-
pate dalla superficie stellare da intensi
campi elettrici, quasi-statici, indotti a loro volta dalla rapida rotazione della stella di neutroni magnetizzata.
Ad oggi, due sole famiglie di modelli sono state discusse in letteratura riguar- do all’emissione di raggi γ dalle pulsar, classificate in corrispondenza delle regioni della magnetosfera candidate al proces- so di produzione ed accelerazione di elettroni: (i) il polar cap model (o inner gap
model), e (ii) l’outer gap model (si veda Aharonian 2004 [13]). L’idea di base, per
entrambi i modelli, è la produzione di raggi γ attraverso processi radiativi aven- ti luogo nelle magnetosfere delle pulsar, quali la radiazione di curvatura, l’Ic e la radiazione di sincrotrone.
Discutere i dettagli riguardanti la produzione di coppie e± e la successiva emis-
92 Interpretazione dello spettro di elettroni di Tesi, finalizzato invece ad intepretare, da un punto di vista puramente feno- menologico, lo spettro di Cre recentemente misurato dal Fermi-Lat. Pertanto, ci limiteremo soltanto ad evidenziare quegli aspetti generali che rendono le pulsar oggetti astrofisici ideali per spiegare il flusso di elettroni e positroni alle alte energie. Lo scenario polar cap prevede che l’accelerazione di particelle abbia luogo in prossimità della superficie stellare, principalmente in connessione con i poli magne- tici. Un ruolo decisivo nell’emissione dello spettro γ è poi giocato da processi a cascata, innescati dalla creazione di coppie e±, per Ic e radiazione di curvatura
in presenza di intensi campi magnetici. Lo spettro γ predetto da questi modelli presenta cutoff super-esponenziali in energia, tipicamente al di sotto dei 10 GeV.
I modelli outer gap assumono invece che la produzione di γ avvenga a grandi distanze dalla stella centrale, in regioni in cui il campo magnetico locale si è ridotto di diversi ordini di grandezza rispetto al valore assunto in superficie stellare, e per questo non più in grado di assorbire raggi γ necessari ad innescare la produzione di cascate di coppie e±. Contrariamente ai modelli polar cap, dove lo spettro era
caratterizzato dalla presenza di cutoff super-esponenziali, nei modelli outer-gap il
cutoff è invece legato alla massima energia raggiungibile dagli elettroni accelerati,
e per questo non univocamente determinato. Possiamo però dire che lo spettro γ predetto dai modelli outer gap decade più lentamente che nei modelli polar cap.
Dall’istante della loro creazione, gli elettroni presenti all’interno delle magneto- sfere, a seguito della rapida rotazione delle pulsar, inizieranno a fluire verso l’esterno, formando un vento coerente di plasma relativistico, trasportando con sè gran parte dell’energia rotazionale delle pulsar. Un vento del genere terminerà con la forma- zione di un reverse shock, che separa la zona propria del vento dalla Pulsar Wind
Nebula ( Pwn), una bolla di particelle relativistiche attraversate da shock, prodotta
a seguito dell’interazione avvenuta tra il vento delle pulsar e l’ambiente circostan- te. Da questo momento in poi, le particelle originatesi nella magnetosfera, saranno intrappolate nel campo magnetico della Pwn, e possono ricevere ulteriori accele- razioni dallo shock, raggiungendo energie massime molto elevate, anche dell’ordine di 1015 eV, nel caso si trattasse di pulsar giovani e molto luminose [13]. Coppie
di elettroni e positroni, continuamente accelerati nelle Pwne, resteranno confinati all’interno della stessa nebulosa, o nel resto di supernova che circonda la pulsar, fin quando queste bolle di plasma relativistico si dissolveranno definitivamente, disper- dendosi nell’Ism†. Dopo circa 104÷ 105 anni dalla nascita della stella di neutroni,
la pressione del gas ambientale dell’Ism risulterà maggiore della pressione magneti- ca B2
pwn/(8π) della Pwn, per cui quest’ultima perderà la sua struttura, rilasciando
coppie di elettroni e positroni nel mezzo interstellare, di lì in poi libere di propagarsi diffusivamente nel campo magnetico della Galassia. Tutto ciò trova conferma nel fatto che ad oggi, noi non abbiamo osservato Pwne associate a pulsar più vecchie di 100 kyr. Ad esempio, Becker et al. 1999, analizzando le pulsar Geminga, PSR B1055-52e B0656+14 nella banda X dello spettro disponendo delle osservazioni dei satelliti Rosat e Asca, trovarono che queste tre pulsar, con età ≥ 105 yr, erano
sprovviste di nebulose [173].
Nostro compito, sarà dunque calcolare il contributo allo spettro di Cre local- mente osservato apportato dai leptoni carichi emessi da pulsar. Come già accennato
5.2 Il nostro modello 93
nei paragrafi precedenti, ad energie comprese tra 100 GeV ed 1 TeV, è del tutto lecito e naturale assumere che il flusso di elettroni e positroni che raggiunge la Terra possa essere in reltà la somma di una componente omogenea e stazionaria (Gcre) pro- dotta nei resti di Supernova distribuiti su scala galattica, e del contributo (Lcre) di poche pulsar (o Snrs), con il contibuto di quest’ultime dominante al crescere dell’energia.
Assumendo che le coppie e±, accelerate nelle magnetosfere delle pulsar, restino
confinate all’interno delle Pwne e rilasciate nell’Ism solo quando le nebulose sia- no disperse nell’ambiente circostante, per i motivi cui prima facevamo riferimento, rivolgeremo la nostra attenzione ad una classe particolare di pulsar, le cosiddette
mature pulsar, ovvero oggetti astronomici di età media, con 104 .Tage .106 yr.
Chi et al. 1996 [54] proposero che pulsar di età > 105 yr potevano rappresentare
possibili sorgenti di elettroni e positroni nei Crs, mostrando che il flusso da loro stimato riproduceva le misure, allora disponibili, riguardo alla frazione dei positro- ni. Inoltre, sebbene ci si aspetti che l’energia massima di un elettrone rilasciato da una pulsar decresca nel tempo proporzionalmente alla spin-down luminosity di quest’ultima, Büshing et al. 2008 [48] trovarono che pulsar di età media sono in realtà ancora in grado di accelerare elettroni fino ad energie al di sopra di pochi TeV.
L’emissione di coppie relativistiche e± dipenderà certamente dalla combinazione
dei vari parametri che caratterizzano ciascuna pulsar, alcuni dei quali condizionati da incertezze non di poco conto. Inoltre, non essendo, ancora oggi, in possesso di una robusta e soprattutto unica predizione teorica riguardo allo spettro e alla normalizzazione del flusso di elettroni e positroni, preferiamo, nel seguito del no- stro lavoro, adottare un approccio fenomenologico al problema, che cerchi però di mostrare come, con una scelta ragionevole dei paramertri liberi coinvolti nella trat- tazione, si possa ottenere un’ottima interpretazione dei recenti dati sperimentali ottenuti dal Fermi-Lat e da Pamela.
Un parametro cruciale per i nostri studi è sicuramente la quantità di energia che ciascuna pulsar matura rilascerà in coppie e±, che poi realmente diffonderanno nel
mezzo interstellare. Per stimare tale quantità, adotteremo lo schema classico che descrive le pulsar come rotatori magnetici, il cui asse di dipolo non è allineato con quello di spin. Indicando rispettivamente con E0 e Lsd,0, l’energia rotazionale e la
spin-down luminosity della pulsar all’istante della sua nascita, troviamo che [149]: E0 = 1 2IΩ20, (5.2) Lsd,0 = Bp2R6sin2α 6c3 Ω 4 0, (5.3)
dove Ω0 è la velocità angolare iniziale, R è il raggio della pulsar, I il momento
di inerzia, Bp è il campo magnetico superficiale ed infine α è l’angolo tra l’asse
di spin e l’asse magnetico. Si noti che l’Eq. (5.3) altro non è che la radiazione elettromagnetica emessa da un dipolo magnetico rotante. Il rate di dissipazione di energia cinetica rotazionale per emissione di radiazione di dipolo magnetico è quindi data da: IΩ ˙Ω = −B 2 pR6sin2α 6c3 Ω 4. (5.4)
94 Interpretazione dello spettro di elettroni Dopo aver definito il “tempo di decadimento caratteristico” di una pulsar come
τ0 ≡ E0 Lsd,0 = 3c3I B2 pR6sin2α , (5.5)
possiamo integrare nel tempo l’equazione delle perdite di energie ottenendo, nell’i- potesi di emissione di dipolo, che
Ω(t) = Ω0 1 + t τ0 −12 , (5.6) Lsd(t) = Lsd,0 1 τ0 1 + t τ0 −2 . (5.7)
Per quanto riguarda il tempo di decadimento τ0, per parametri tipici delle pul-
sar mature, di solito si assume un valore τ0 = 104yr, ed essendo interessati a tempi
diffusivi tipicamente t ≥ 105 yr, possiamo semplificare l’Eq. (5.6), e scrivere
Ω2
0≃ Ω2(t)
t τ0
. (5.8)
Siamo adesso in grado di determinare l’energia rilasciata in coppie e± da ogni
pulsar considerata nei nostri calcoli: Eepair± = −fe±× Z Lsd(t) dt = fe±× I × Z Ω(t) ˙Ω(t) dt = −fe± Lsd,0 τ0 × Z 1 + t τ0 −2 dt ≈ fe±Lsd t2 τ0 , (5.9)
che al tempo t = Tage, i.e l’età della pulsar, e grazie all’Eq. (5.8), diventa
Eepair± ≈ fe±Lsd
Tage2 τ0
, Energia rilasciata in coppia e± (5.10)
dove Lsd è la spin-down luminosity al tempo presente, determinata osservatimente
per ciascuna pulsar, Tage = P/2 ˙P (dove P è il periodo della pulsar) è come detto
l’età della pulsar, ed fe± indica il fattore di efficienza di conversione dell’energia
elettromagnetica in coppie e±.
Nel seguito, determineremo il flusso di elettroni e positroni rilasciati nel mezzo interstellare da tutte le pulsar vicine attualmente note, calcolando in modo analitico lo spettro di e± per ciascuno di questi oggetti. Successivamente, sommeremo i
diversi contributi (Lcre) alla componente diffusa galattica (Gcre), calcolata invece con l’utilizzo del codice GALPROP, in accordo con i modelli di diffusione standard discussi in Sezione 5.1. Il nostro approccio è simile a quello seguito dagli autori Atoyan et al. 1995 [24], Aharonian et al. 1997 [14] e Kobayashi et al. 2004 [112].
In Sezione 3.5, abbiamo visto che l’evoluzione della densità di elettroni e po- sitroni, che diffondono nel campo magnetico galattico, può descriversi mediante l’equazione del trasporto
∂ ∂tNe±(Ee±, t, r)−D(Ee±)∇ 2N e±+ ∂ ∂Ee±(b loss(E e±) Ne±) = Q(Ee±, t, r), (5.11)
5.2 Il nostro modello 95
dove Ne±(Ee±, t, r) è la densità numerica di e± per unità di energia, D(Ee±) è il
coefficiente di diffusione, che assumiamo spazialmente uniforme, bloss(E
e±) è il rate
di perdita di energia ed infine Q(Ee±, t, r) = dNe±/(dEe± dt dr) è la densità di
sorgenti per unità di energia e tempo. In principio, è possibile includere anche effetti di riaccelerazione, convezione e decadimenti, ma per elettroni con Ee± & 10 GeV, e
soprattutto su distanze dell’ordine ∼ 100 pc, possiamo tranquillamente trascurare tali contributi.
Per il coefficiente di diffusione, assumiamo per esso una dipendenza dall’energia secondo una legge a potenza
D(Ee±) = D0 E e± E0 δ , (5.12)
dove, sia la normalizzazione che l’indice di diffusione sono stati scelti identici ai valori implementati in GALPROP, alla posizione del Sistema Solare, per simulare i vari modelli di Gcre (si faccia riferimento alla Tabella 5.1), così da avere una perfetta coerenza tra sorgenti continue e discrete. Per quanto riguarda il termine responsabile delle perdite di energie, bloss(E
e±), prenderemo in considerazione solo
effetti di emissione di sincrotrone e di Ic, processi dominanti alle energie in gioco (Ee± &10 GeV),
˙
Ee± ≡ bloss(Ee±) = −b0Ee2±, (5.13)
dove b0 = 1.4×10−16GeV−1s−1, consistentemente con il valore usato da GALPROP al-
la posizione del Sole.
Le pulsar da noi considerate sono situate ad una distanza sufficientemente gran- de (d♁psr &100 pc) da poter assumere che si trattino di sorgenti puntiformi. Inoltre,
ipotizzando che gran parte dell’energia rotazionale di una pulsar sia dissipata per radiazione di dipolo magnetico, di cui una frazione verrà poi convertita in energia di coppia e±, è lecito assumere un termine di sorgente del tipo
Qpsr(Ee±, t, r) = Qpsr(Ee±) 1 τ0 1 + 1 τ0 −2 δ(r), (5.14)
in accordo con quanto scritto in Eq. (5.3), dove è possibile notare come la spin-down
luminosity di una pulsar scali nel tempo come Lsd ∝t−2. Questo implica che una
pulsar irradierà gran parte della sua energia rotazionale su tempi scala dell’ordine t ∼ τ0 .10 kyr, ovvero tempi molto più piccoli di quelli tipici per la propagazione
degli elettroni, t & 100 kyr. Di conseguenza possiamo formalmente prendere il limite τ0 → 0 1 τ0 1 + t τ0 −2 τ0 → 0 → δ(t), (5.15)
e modellizzare dunque le pulsar come sorgenti puntiformi e impulsive (o bursting), con uno spettro che in tutta generalità possiamo scrivere come
Qpsr(Ee±, t, r) = Qpsr(Ee±)δ(t − t0)δ(r), (5.16)
dove in t0 riconosciamo il tempo di iniezione, l’istante in cui le particelle cariche
96 Interpretazione dello spettro di elettroni Un tale modello ad iniezione impulsiva, sembra pertanto appropriato per le mature
pulsar prese in considerazione nella nostra analisi.
Per una sorgente impulsiva e puntiforme, con spettro in energia dato dall’Eq.(5.16), la soluzione dell’equazione del trasporto sarà (Atoyan et al. 1995 [24])
Nepsr±(Ee±, t, r) = Qpsr(E0) bloss(E0) π3/2 bloss(E e±) rdiff3 exp − r rdiff 2 , (5.17)
dove E0 corrisponde all’energia iniziale delle particelle che, in un tempo (t − t0),
sono state raffreddate fino ad un’energia Ee±, ovvero, dall’Eq. (5.13),
E0 =
Ee±
1 − Ee± b0(t − t0)
, (5.18)
mentre rdiff ≡ rdiff(Ee±, t) è la distanza di diffusione, ovvero la distanza di propa-
gazione sulla quale un elettrone ha perso metà della sua energia. Non resta dunque che specificare la dipendenza del termine di sorgente dall’energia.
Per i nostri calcoli abbiamo assunto che lo spettro in energia delle particelle iniettate nell’Ism, Q(Ee±, t, r), abbia la seguente forma
Qpsr(Ee±, t, r) = Q0 E e± 1 GeV −Γe± exp −Ee± Ecut δ(t − t0)δ(r), (5.19)
dove Γe± è l’indice spettrale e Ecut l’energia di cutoff esponenziale. Quest’ultimi
due parametri sono, ad oggi, piuttosto incerti: dalle osservazioni della radiazione radio di sincrotrone e da fotoni prodotti per Ic provenienti dalle Pwne, possiamo unicamente determinare un intervallo ragionevole per il valore di questi parametri. Il coefficiente Q0 è invece un fattore di normalizzazione, determinato dalla condizione
Z Qpsr(Ee±)Ee±dEe±= Epair e± = fe±Lsd Tage2 τ0 . (5.20)
In questo caso particolare la soluzione dell’equazione del trasporto diventa allora
Nepsr±(Ee±, t, r) = Q0 π3/2 r3 1 − Ee± Emax Γe±−2 E e± 1 GeV −Γe± r rdiff 3 × exp −(1 − E Ee± e±/Emax) Ecut exp − r rdiff 2 , (5.21)
per Ee±< Emax (0 altrove), dove la distanza di diffusione diventa
rdiff(Ee±, t) ≃ 2 s D(Ee±)(t − t0) 1 − (1 − Ee ±/Emax(t))1−δ (1 − δ)Ee±/Emax(t) (5.22) mentre la Emaxè definita come l’energia massima che un elettrone può raggiungere
diffondendo all’interno della Galassia in un tempo (t − t0),
Emax(t) =
1
b0 (t − t0)
5.2 Il nostro modello 97
Notiamo che sorgenti che iniettano elettroni ad un istante t0 con (t − t0) ≪ τdiff ≃
r2/D(Ee±), non possono certamente contribuire al flusso di elettroni che raggiungerà
l’osservatore al tempo t, e pertanto non ne terremo conto nel corso della nostra analisi.
Un parametro rilevante nel determinare la forma dello spettro degli elettroni, nel dominio delle alte energie, è il rapporto ǫ ≡ Ecut/Emax, tra il cutoff di iniezione
ed la massima energia di arrivo permessa dalle perdite di energia durante la propa- gazione a Terra . Se ǫ > 1 il cutoff esponenziale alla sorgente non gioca alcun ruolo e lo spettro degli elettroni, dovuto ad una singola sorgente vicina, potrebbe essere fortemente soppresso al di sopra dell’energia Emax. Nel caso opposto (ǫ ≪ 1) invece
ci si aspetta un cutoff significativamente più smooth. Questo potrebbe essere deter- minante quando si cerca di distinguere tra un interpretazione dei Cre recentemente misurati, basata sullo scenario delle pulsar o, come vedremo dopo, di Dark Matter. Nel seguito dei nostri calcoli, per modellizzare lo spettro di componente su lar- ga scala Galattica (Gcre), adotteremo i parametri dell’iniezione e della diffusione relativi al modello convezionale Ia ( vedi Tabella 5.1), con Γeinj = 2.54 e δ = 0.33.
Questo modello, trattato numericamente con GALPROP, è molto simile a quello usato di recente per riprodurre, con successo, lo spettro diffuso γ misurato dal Fermi-Lat a latitudine intermedie [2]. Rispetto al modello di riferimento, la normalizzazione dello spettro primario di elettroni è stato tuttavia leggermente ridotto (di un fattore ∼ 0.95) per avere la possibilità di includere la componente (pulsar) addizionale.
Abbiamo verificato che una leggera rinormalizzazione, come quella da noi ope- rata, ha un effetto molto piccolo sullo spettro diffuso gamma. Questo non è del tutto inaspettato dato che, per i modelli convenzionali, ad energie Ee± &0.1 GeV,
i contributi degli elettroni all’Ic e al bremsstrahlung a latitudine intermedie sono subdominanti rispetto alle componenti adroniche ed extragalattiche. Gli altri para- metri rilevanti per la propagazione sono stati fissati per riprodurre altri set di dati dei Crs.