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Sequestrare garantendo o garantire sequestrando? Criticita' in punto di garanzie nel sequestro preventivo nel processo penale

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Si è detto che, «forse, le regole sono state scritte un po’ frettolosamente, ma», nella “famiglia” dei provvedimenti cautelari, «la misura reale più diffusa appare “figlia di un dio minore” rispetto alla complessità normativa delle cautele personali, rivelando una sagoma meno limpida»1. Il sequestro preventivo, del resto, non ha conosciuto una genesi lineare e semplice; «istituto nuovo, disciplinato dal codice di procedura penale vigente, [...] non era contemplato come modello cautelare autonomo nel codice del 1930, ma trovava cellula germinale nel sequestro penale»2 . La ricaduta degli effetti su delle cose e non direttamente sulla libertà personale ha contribuito ad alimentare un sereno silenzio sullo strumento coercitivo reale. Le attenzioni, soprattutto a livello di opinione pubblica e di clamore mediatico, si sono concentrate sulla “figlia” maggiore della famiglia, la ben più spinosa ed inciva custodia cautelare in carcere. Il sequestro, proseguendo nella metafora, si è atteggiato sempre più come un parente poco visibile, poco considerato e probabilmente ritenuto meno stridente con l'architettura costituzionale. La riprova empirica è sotto gli occhi di chiunque: sarà bastevole consultare qualsiasi quotidiano, cartaceo o telematico, per appurare come la misura custodiale sia spesso oggetto di cronaca giudiziaria quando irrogata a persone di una certa visibilità ed importanza nella società civile. È raro, invece, che si divulghino notizie dei sequestri preventivi disposti dall'autorità giudiziaria, salvo i casi limite in cui il vincolo interviene su stabilimenti produttivi ed industriali, rischiando di paralizzare l'attività

1 A. Scalfati, Il sequestro preventivo: temperamento autoritario con aspirazioni al “tipo” cautelare, in Diritto penale e processo, 2012/5, p. 533.

2 A. De Santis, voce Sequestro preventivo, in Digesto delle discipline penalistiche, XIII, p. 265.

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lavorativa con nocumento per i livelli occupazionali.

Eppure, si sequestrano beni sempre più variegati: complessi aziendali, quote societarie o di patrimonio, siti web (infra 2.4.1), somme di danaro e via dicendo.

L'elaborato si prefigge lo scopo di presentare l'istituto nelle sue due articolazioni: sequestro impeditivo (infra cap. 2) e sequestro funzionale alla confisca (infra cap. 3). L'esame avrà ad oggetto tanto i profili statici, e pertanto verterà sull'analisi dei presupposti necessari per impartire il provvedimento, quanto i profili dinamici della fase applicativa del vincolo, dalla richiesta del p.m. al giudice, sino alla motivazione del decreto. La disamina, partendo da un inquadramento generale della misura, si concentrerà sulla verifica delle garanzie che connotano il sequestro preventivo. Specificamente, si terrà conto dei principi costituzionali coinvolti nella vicenda cautelare reale e se i requisiti legali per procedere all'ablatio interinale e le norme procedurali che scandiscono la formazione del provvedimento siano ad essi conformi. Il vincolo, come noto, lede diritti e libertà, in primis la proprietà e l'iniziativa economica, protetti non solo dalla Costituzione, ma anche dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Sono aspetti che, come si vedrà (infra cap. 1), il legislatore ha ponderato quando si ha introdotto la disciplina dell'istituto con il nuovo codice del 1988. Il tentativo prefissato è stato di «regolamentare in modo espresso ed organico […] il sequestro in funzione preventiva, che sino a quel momento era solo il frutto della torsione giurisprudenziale delle finalità del sequestro probatorio». Ciononostante, va «segnalato come, nella realizzazione normativa di quest'obiettivo, sia rimasto molto più nella penna di quanto non sia stato scritto»3. Sono constatazioni che delimitano il perimetro della

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trattazione e che permettono di individuare il fil rouge dell'elaborato. L'iter espositivo segue una logica semplice. Dopo una breve introduzione storica, si scandaglieranno i requisiti legali delle due fattispecie autonome di sequestro. All'interno dell'ampio genus dei sequestri funzionali alla confisca (rectius, le confische), tanto l'ablazione per equivalente, quanto quella fondata sul criterio della. “sproporzione”, prevista dalla l. n. 356 del 1992, saranno oggetto di apposita menzione (infra 3.3, 3.5).

Si cercherà, inoltre, di circoscrivere l'area del sequestrabile (infra 2.4, 3.4). Infatti, la direzione legislativa, “spalleggiata” da una giurisprudenza particolarmente attiva per garantire la riuscita della successiva confisca, espande sempre più l'oggetto della cautela. I fenomeni ablatori sono stati adeguati e gli strumenti confiscatori e di sequestro sono il cardine nella lotta a determinate forme di criminalità. Si abbracciano con crescente convinzione delle impostazioni efficientiste, mirate ad ottenere un risultato fruttuoso rispetto all'apprensione di ricchezze e patrimoni illeciti. Si tratta di linee di tendenza di polica criminale concepite, germinate e fiorite nell'ambito sovranazionale prima, importate nell'ordinamento nazionale, poi, che saranno illustrate nella conclusione (infra cap. 6). Sarà d'uopo domandarsi se anche per le garanzie che debbono assistere il fenomeno ablatorio nella fase interinale sia stata coltivata un'attenzione analoga o se, invece, siano riscontrabili dei deficit rispetto ai precetti fondamentali della materia penale, tra i quali spicca la presunzione di innocenza.

Si dedicherà spazio anche ai mezzi di impugnazione esperibili avverso il sequestro preventivo (infra cap. 5). Come noto, il riesame costituisce il principale rimedio che il soggetto leso ha per sindacare la legittimità,

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anche nel merito, della misura. La trattazione di detti strumenti è utile per gli obiettivi dell'elaborato, in quanto si tratta di “leve” azionabili dal destinatario del provvedimento per difendere e fare valere i propri diritti ed interessi. Quanto, però, possono dirsi congeniali nel garantire una tutela che sia effettiva? La disciplina delle impugnazioni per la cautela reale è soddisfacente o presenta zone d'ombra in grado di vanificare gli intenti di chi impugna il decreto di sequestro?

Come è dato constatare, l'indagine sull'eventuale deficit di garanzie si addentra in molteplici ambiti, toccando tanto il piano dei presupposti, quanto i profili procedimentali e impugnatori e sfociando in una panoramica delle tendenze sovranazionali. Di fronte alle questioni che saranno analizzate, si tenterà di illustrare le criticità emerse e le soluzioni adottate dalla prassi. A conclusione dell'elaborato, si accennerà alle prospettive future per l'istituto in relazione ai temi più problematici, anche attraverso la rassegna di alcuni progetti di riforma del codice di procedura penale (infra 6.1).

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1 LE RADICI GIURIDICHE DEL SEQUESTRO PREVENTIVO

1 E L'ASSETTO DELLA DISCIPLINA ATTUALE

1.1 L'evoluzione del sequestro penale nel codice previgente

Il codice di procedura penale dedica alla disciplina del sequestro preventivo i capi II e III del titolo II del Libro IV in tema di misure cautelari. Rispettivamente nel primo, gli artt. 321-323 statuiscono gli aspetti qualificanti natura, disciplina e funzione dell'istituto e dei rimedi avverso i provvedimenti che intervengono nella vicenda cautelare, mentre nel secondo gli artt. 324 e 325 contengono le disposizioni in tema di riesame e di ricorso per Cassazione. Detta cornice normativa, definita con l'approvazione del codice del 1988 e solo marginalmente arricchita con successive novelle legislative4, è il risultato di un'evoluzione tortuosa innescatasi nel vigore del precedente codice, della quale è utile richiamare e ripercorrere i passaggi più significativi per meglio comprendere i tratti fondanti la misura cautelare reale in esame.

Il codice Rocco prevedeva due sole ipotesi di sequestro, conservativo e probatorio. Quest'ultimo era disciplinato da un corpus di disposizioni sparse e poco sistematiche, il cui nucleo principale era individuabile nel capo IV del titolo II del libro II, ove si indicavano l'oggetto, la forma del provvedimento ed i limiti oggettivi e soggettivi per l'adozione del medesimo. L'apparato normativo si mostrava però

4 In particolare si segnalano il d.lg.14 gennaio 1991, n. 12, con il quale si è attribuito al pubblico ministero il potere di disporre d'urgenza il sequestro preventivo, nonché alla polizia giudiziaria di procedervi di propria iniziativa, e la l. 27 marzo 2001, n. 97, che ha aggiunto il comma 2-bis all'art. 321 per il quale nel perseguire i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione «il giudice dispone il sequestro dei beni cui è consentita la confisca».

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silente circa le finalità che legittimassero l'adozione del sequestro penale. L'art. 337 del codice abrogato prevedeva che «nel corso dell'istruzione il giudice può disporre anche d'ufficio con decreto motivato il sequestro di cose pertinenti al reato», senza offrire ulteriori puntualizzazioni, salvo nei commi successivi l'indicazione dei soggetti che potevano procedere a sequestrare la cosa.

Inizialmente, la dottrina5 ravvisava nel sequestro penale lo strumento per assicurare al processo penale un mezzo di prova. Giova in tal senso rammentare come il capo IV fosse dedicato al “sequestro per il procedimento penale”, dicitura che ben si prestava a richiamare la funzione dell'istituto, servente nei confronti di esigenze meramente processuali, nella specie probatorie, e non invece di cautele sostanziali. Tutt'al più al sequestro penale venivano attribuiti ulteriori scopi, quali la finalità di garantire l'esecuzione della confisca o la conservazione dei beni a soddisfazione degli obblighi di cui all'art. 189 c.p., solamente in chiave incidentale.

A partire dagli anni Settanta emerse una diversa interpretazione circa le finalità dell'istituto, della quale l'art. 219 del codice Rocco costituì il grimaldello ermeneutico6. Nell'elencare le attività della polizia giudiziaria, la norma sanciva l'obbligo per la stessa di impedire «che i reati venissero portati a conseguenze ulteriori». Per farlo la polizia giudiziaria poteva ricorrere anche al sequestro, in base all'art. 222 che le conferiva il potere di effettuarlo. In maniera analoga, in forza del rinvio operato dagli artt. 231, 232 e 234, anche il pretore, il procuratore della Repubblica ed il procuratore generale presso la Corte di appello

5 Si veda, ad esempio, F. Gabrieli, voce Sequestro penale, in Nuovo digesto italiano, Utet, 1940, vol. XII, pp. 135 e ss.

6 Per una ricostruzione dell'orientamento interpretativo basato sull'art. 219 del codice abrogato e relativa critica si rimanda a P. Balducci, Finalità processuali e non preventive del sequestro di polizia giudiziaria, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1979, pp. 831 e ss.

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erano legittimati ad avvalersi dell'istituto per la suddetta finalità. Ne conseguiva che l'autorità giudiziaria, nell'esercizio dell'attività di polizia giudiziaria, fosse investita del potere di disporre il sequestro penale del corpo del reato anche per «impedire che i reati venissero portati a conseguenze ulteriori» e non solo per esigenze probatorie. L'istituto si arricchiva di una finalità diversa, complice la necessità del giudice penale di munirsi di uno strumento di coercizione reale nei confronti delle esigenze che potessero presentarsi nella repressione del reato, in chiave specialpreventiva, e che non fossero squisitamente probatorie o, con riferimento all'altra figura di sequestro disciplinata nel previgente ordinamento processuale, di garanzia dei crediti nascenti dalla vicenda delittuosa.

Per comprendere le ragioni che indussero lo sviluppo di questo successivo orientamento7, è importante ribadire il silenzio della disciplina previgente circa le finalità che legittimassero l'adozione del sequestro penale. In dottrina si è sottolineato come «il fatto che, tanto nel codice, quanto nelle leggi speciali, mancasse la definizione, nonché la previsione espressa delle finalità del sequestro penale, è stato la causa della progressiva dilazione dell'istituto che ha finito così per assumere finalità non soltanto connesse all'acquisizione della prova ma anche di cautela sostanziale»8. Tanto è vero che parte della giurisprudenza individuò un “vuoto dei fini”9 con riferimento al

7 Sono indicative dell'orientamento Cass., sez. III, 31 gennaio 1974, in La giustizia penale, 1974, III, p. 599 e Cass., sez. III, 28 aprile 1975, ivi, 1976, pp. 573 e ss. 8 P. Balducci, Il sequestro preventivo nel processo penale, Giuffrè, 2° edizione, 1991, pp. 53-54.

9 Cass., sez. III, 14 febbraio 1975, in La giustizia penale, 1975, III, p. 457, per cui «non può escludersi che col sequestro penale, il quale normativamente non è condizionato ad alcuna finalità predeterminata, sia perseguito lo scopo, non estraneo al procedimento penale in quanto tale, di impedire che un reato sia portato a conseguenze ulteriori». In aggiunta, si veda la sentenza nella nota successiva. Il riferimento al "vuoto dei fini" è tratto da P. Balducci, Il sequestro preventivo nel processo penale, cit., p. 54. Per l'autrice «si è rivelato agevole ravvisare nella misura in esame un presunto "vuoto dei fini": o nel senso dell'assoluta assenza di finalità

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sequestro penale, in virtù del quale l'orientamento sin qui richiamato ne determinò la natura polifunzionale. Di fronte a ricorsi con i quali si censurava la violazione di legge, perché il sequestro era stato disposto per esigenze distinte da quelle probatorie, la Cassazione giunse a dichiarare che le disposizioni di legge «nel regolare il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato stesso, non condizionano l'esercizio di tale potere ad alcuna finalità predeterminata»10.

Occorre altresì menzionare come la legislazione penale speciale contribuì a formare prima e consolidare poi l'evoluzione interpretativa della misura. Infatti, numerose leggi11 introdussero ipotesi specifiche di sequestro, accomunate dall'avere funzione preventiva o di anticipazione della confisca, e non più soltanto probatoria. Nella normativa complementare al codice, il sequestro era disposto a tutela dei singoli beni giuridici protetti di volta in volta, come ad esempio la salute del consumatore in materia di frodi alimentari o del buon costume nelle vicende aventi ad oggetto pellicole cinematografiche. La presenza di una simile ratio nelle previsioni speciali, la strumentalità alla confisca e l'assenza di un referente finalistico nella disciplina codicistica, invocata da quella giurisprudenza che individuava nel vuoto dei fini un tratto designante il sequestro penale, incentivarono e diedero propulsione all'attribuzione di una connotazione preventiva all'istituto generale. Tanto è vero che in dottrina si ritenne che l'applicazione della misura in tale ottica, sperimentata attraverso la legislazione penale, ne suggerisse «il trapianto fuori dell'ambito

aprioristicamente definibili o facendo leva sull'impossibilità di ogni intervento in sede normativa attraverso prescrizioni indicative delle finalità per le quali il sequestro può essere disposto».

10 Cass., sez. III, 31 gennaio 1974, in La giustizia penale, 1974, III, p. 599.

11 Per una rassegna delle quali si rimanda a P. Balducci, Il sequestro preventivo nel processo penale, cit., pp. 42 e ss.

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originario di previsione»12.

L'attribuzione al sequestro penale di funzioni preventive ricevette l'autorevole avallo della Corte Costituzionale nella vicenda inerente un provvedimento di sequestro disposto su delle pellicole cinematografiche, delle quali era messo in discussione il contenuto osceno nel relativo processo. Il giudice delle leggi rilevò che, «sebbene non previsto da alcuna specifica disposizione di legge questo sequestro, secondo una prassi ormai in atto, coinvolge tutte le copie del film che sono in proiezione sul territorio nazionale. L'estensione di efficacia di siffatta misura si suole giustificare non già in relazione ad esigenze probatorie processuali - per le quali sarebbe sufficiente il sequestro di una o più copie soltanto della pellicola - bensì per esigenze cautelari, volte ad impedire che con la potenzialità offensiva di numerose copie della pellicola contemporaneamente proiettate in luoghi diversi vengono a perpetrarsi più violazioni del medesimo precetto penale»13.

Gradualmente, il sequestro penale assunse anche funzioni di tutela della collettività, in una prospettiva preventiva e svincolata da ragioni strettamente endoprocessuali, in quanto «alla base di questo orientamento, come si evince da una pluralità di decisioni, era l'esigenza di ovviare alla mancanza di uno strumento di prevenzione in sede repressiva, a tutela di interessi collettivi estremamente eterogenei: dalla tutela dei cittadini consumatori, alla tutela del buon costume, dalla tutela del territorio alla salvaguardia del patrimonio faunistico ed ittico»14. La prassi soddisfò tale esigenza, declinando lo strumento alla

12 E. Amodio, Dal sequestro in funzione probatoria al sequestro preventivo: nuove dimensioni della coercizione reale nella prassi e nella giurisprudenza, in Cassazione penale, 1982, p. 1074.

13 C. cost., 25 marzo 1975, n. 82, in Giurisprudenza costituzionale, 1975, I, pp. 788 e ss. La pellicola in questione è «Nanà 70».

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stregua di misura coercitiva reale dai contenuti ed effetti diversi rispetto ai canoni del tradizionale sequestro sotteso ad esigenze probatorie. Preme sottolineare come l'effetto perseguito dall'istituto, così come utilizzato e plasmato dalla giurisprudenza di merito, fosse quello di inibire l'attività illecita, impedendo la protrazione o l'aggravamento o la commissione di altri reati. Il vincolo di indisponibilità posto in essere dal sequestro sulla res diveniva strumentale alla rottura dell'iter criminoso in sede repressiva, tanto è vero che contestualmente alla disposizione del sequestro, la giurisprudenza iniziò a imporre prescrizioni di fare o divieti, atti ad inibire il perpetuarsi della condotta illecita o il compiersi di ulteriori reati. Così, ad esempio, «per il sequestro di prodotti alimentari, disposto a seguito della analisi dei campioni che abbia messo in luce la violazione di norme penali, il giudice ne impedisce la vendita ed il divieto è operante nella prassi anche per gli esemplari non ancora colpiti dalla apprensione coattiva degli organi delegati per l'esecuzione. Analogamente, al sequestro di film è connesso un divieto di programmazione della pellicola che è rivolto anche a tutti i gestori delle sale presso cui non è stata ancora eseguita la misura. Non dissimile il provvedimento che colpisce la costruzione abusiva: da esso scaturisce un divieto di proseguire nei lavori che si assumono illeciti»15. Si andava tratteggiando un grado di afflittività del sequestro a finalità preventiva di gran lunga maggiore di quello predisposto per ragioni probatorie, sulla base anche degli obblighi di “non fare” che si accompagnavano spesso all'attuazione della misura de qua. Prescrizioni che finivano per incidere su diritti e libertà fondamentali

1995, II, p. 258.

15 E. Amodio, Dal sequestro in funzione probatoria al sequestro preventivo: nuove dimensioni della coercizione reale nella prassi e nella giurisprudenza, in Cassazione penale, 1982, p. 1081.

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dell'individuo, potendosi affermare che «l'inibitoria provvisoria disposta con il vincolo sulle cose coinvolge, insomma, una sfera di attività costituzionalmente rilevanti, così da far risaltare in primo piano gli effetti del provvedimento che colpiscono la persona e da relegare in secondo piano l'incidenza sul patrimonio»16.

Dall'impostazione presentata emersero degli attriti con i canoni costituzionali e, «in confronto all'area operativa delle leggi speciali e del codice, la prassi lasciava intravedere un enorme sviluppo applicativo all'interno del quale non era sempre facile distinguere i provvedimenti devianti da quelli che si mantenevano entro i confini della legalità»17.

Circa le tensioni tra il sequestro penale così come venuto a configurarsi in sede applicativa e il dettato costituzionale, non si mancò di censurare un utilizzo dello strumento da parte dell'autorità giudiziaria in ambiti di esclusiva competenza della pubblica amministrazione; le funzioni preventive furono attribuite alla misura in modo sempre più disinvolto. La questione cruciale concerneva l'individuazione dei limiti agli interventi preventivi operati dalla magistratura penale con la disposizione di sequestri penali, onde evitare un'indebita ingerenza nella sfera amministrativa. Si avanzava in proposito una distinta lettura dell'art. 219 del codice Rocco, secondo la quale la norma distingueva «due ordini di funzioni di polizia: le funzioni giudiziarie stricto sensu, o di repressione del reato (assicurare le prove, ricercare i colpevoli e raccogliere qualsiasi altro strumento utile all'applicazione della legge penale); e le funzioni preventive che, seppure esercitate dalla polizia

16 E. Amodio, Dal sequestro in funzione probatoria al sequestro preventivo: nuove dimensioni della coercizione reale nella prassi e nella giurisprudenza, in Cassazione penale, 1982, p. 1081.

17 E. Amodio, Dal sequestro in funzione probatoria al sequestro preventivo: nuove dimensioni della coercizione reale nella prassi e nella giurisprudenza, in Cassazione penale, 1982, p. 1079.

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giudiziaria, dovevano considerarsi tipiche funzioni di pubblica sicurezza»18. L'attività preventiva assumeva caratteristiche e finalità distinte a seconda che si fosse nell'uno o nell'altro ordine di funzioni di polizia. Da detta prospettiva, discendeva la necessità di tracciare il confine oltre cui il sequestro penale predisposto dall'autorità giudiziaria non potesse spingersi, pena lo svolgimento di funzioni attribuite alla pubblica amministrazione. L'istituto doveva contraddistinguersi, secondo questa posizione critica, per la repressione del reato, svolgendo un'azione preventiva mirata solamente ad evitare l'eventuale prosecuzione dell'iter criminoso, senza poter prescindere dalla commissione di un illecito penale. Pertanto, si escludeva la legittimità dell'attività di prevenzione ante delictum posta in essere con la misura, la quale altrimenti avrebbe assunto i tratti di un sequestro a funzione preventiva-amministrativa di impedimento del reato.

Per esemplificare le "prassi devianti" in materia, è emblematico richiamare il caso del Pretore di Genova che con propria ordinanza dispose il divieto di pesca e commercializzazione del novellame di qualunque specie marina su tutto il territorio nazionale, con annesso sequestro del prodotto eventualmente rinvenuto sul mercato. La cornice normativa della vicenda è la legge n. 963 del 1965, al cui art. 15 è elencata una serie di divieti atti a regolare e disciplinare la pesca, con particolare riferimento a quella del novellame. All'art. 32, la legge conferisce al ministro competente il potere di «emanare norme per la disciplina della pesca anche in deroga alle discipline regolamentari, al fine di adeguarla al progresso delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche». In virtù di questa disposizione, venne

18 F. Molinari, Sequestro preventivo e reato consumato, in Giurisprudenza italiana, 1995, II, p. 260.

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adottato il decreto ministeriale 18 gennaio 1977, con il quale il ministro per la marina mercantile autorizzava la pesca del novellame di sarda in alcuni compartimenti marittimi. Su tale atto dell'esecutivo si espresse negativamente il veterinario capo del comune di Genova in un rapporto informativo. In esso si criticava principalmente la disciplina in deroga del decreto ministeriale per la pesca del novellame di sarda, perché ritenuta non idonea a soddisfare le esigenze che l'art. 32 richiedeva per emanarla. In base alle censure mosse nel rapporto, malgrado «all'atto in cui fu emessa l'ordinanza in contestazione, [...] non era pervenuta la notizia di alcuno specifico reato», l'autorità giudiziaria dispose un provvedimento che nella sostanza annullava il suddetto decreto, poiché vietava la pesca e commercializzazione del novellame di qualunque specie marina (e non soltanto della sarda) e ordinava il sequestro del prodotto in distribuzione sul mercato. Ne derivò un conflitto di attribuzione, nella cui risoluzione la Consulta richiamò gli orientamenti della Corte di legittimità, per cui «l'attività impeditiva prevista dall'art. 219 c.p.p. non comprende il potere di emettere atti amministrativi riservati dalla legge ad altre autorità». Con riferimento all'uso deviante del sequestro penale, i giudici costituzionali hanno evidenziato come «il Pretore di Genova -attraverso un esercizio preventivo del potere-dovere di impedire che i reati "vengano portati a conseguenze ulteriori" - ha provveduto in via generale ed astratta nella materia della pesca marittima», invadendo di fatto la sfera amministrativa. Pertanto, conclude la Corte, «al Pretore di Genova non era e non è dato di paralizzare le attribuzioni proprie del Governo in materia di pesca e di commercio del novellame»19.

Proseguendo nell'analisi delle criticità rispetto ai canoni costituzionali, la prassi applicativa del sequestro penale spesso non rispettava il

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principio di legalità processuale, poiché attribuiva contenuti atipici al provvedimento con cui veniva disposta la misura. In dottrina si segnalava il rischio che, nel perseguire lo scopo di inibire la commissione di ulteriori reati, l'autorità giudiziaria giungesse ad allentare il vincolo sulle cose, «risolvendosi [il provvedimento inibitorio] nell'emanazione di ordini di non fare, o persino di ingiunzioni aventi ad oggetto un fare»20, sino a generare veri e propri provvedimenti innominati e dal contenuto atipico. La mancanza di una definizione delle finalità legittimanti l'adozione del sequestro preventivo nel previgente codice, che originava il menzionato “vuoto dei fini” designante l'istituto secondo parte della giurisprudenza, causò una pericolosa vaghezza ed assenza di riferimenti circa i contenuti che potesse assumere la misura. Del resto, in dottrina si è osservato che «ogni formula definitoria di un istituto non può appellarsi alla sola struttura, implicando soprattutto una verifica dei fini che attraverso l'istituto il legislatore ha inteso perseguire: struttura e funzione costituiscono perciò dati avvinti da un inscindibile nesso di complementarietà; quanto più perfetto è il rapporto di complementarietà fra struttura e funzione tanto maggiore è l'adeguatezza dell'una rispetto all'altra»21.

Da ultimo, il polimorfismo assunto dal sequestro penale così come scolpito dalla prassi giurisprudenziale «finiva per violare la stessa presunzione di non colpevolezza, risolvendosi nell'applicazione di vere e proprie pene atipiche, indipendenti dalla condanna»22.

Sulla base delle tensioni tra il dettato costituzionale e il sequestro

20 E. Amodio, Dal sequestro in funzione probatoria al sequestro preventivo: nuove dimensioni della coercizione reale nella prassi e nella giurisprudenza, in Cassazione penale, 1982, p. 1082.

21 P. Balducci, Il sequestro preventivo nel processo penale, cit., p. 54.

22 F. Molinari, Sequestro preventivo e reato consumato, in Giurisprudenza italiana, 1995, II, p. 260.

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penale come sviluppatosi nella prassi, emerse la necessità di stabilire dei limiti all'uso dello strumento, prendendo atto di come lo stesso si fosse connotato nel tempo anche in qualità di misura cautelare, posta a presidio di esigenze sostanziali, quali l'inibizione della commissione di ulteriori illeciti, e non meramente probatorie ed endoprocessuali. Al contempo, detti limiti andavano individuati in funzione di garanzia dei diritti e libertà costituzionali della persona, lesi con l'imposizione del vincolo di indisponibilità sulla cosa. Si invocava, con espressione di sintesi, una «cornice di imputazione»23 per l'adozione del provvedimento.

Necessità in parte captate ed accolte dal legislatore che, con la l. 532 del 1982, anticipò alcune delle modifiche che avrebbero investito il sequestro penale con l'adozione del codice di rito del 1988. La novella consentì di esperire il riesame innanzi al tribunale della libertà avverso il decreto di sequestro emesso dall'autorità giudiziaria, parimenti a quanto predisposto per le misure cautelari personali. L'innovazione mise in rilievo per la prima volta il collegamento vigente tra misure cautelari personali ed il sequestro assunto in qualità di misura coercitiva reale, quantomeno sotto il profilo del gravame, il che costituì un indice della sensibilità del legislatore innanzi all'incidenza dell'istituto su beni e libertà costituzionalmente tutelati. Al tempo stesso, quanto emergeva dall'intervento normativo era che «fatalmente l'aspetto funzionale del sequestro restasse il momento più denso di disorientamenti; quasi a voler controbilanciare l'astrazione causale della misura con il ricorso a strumenti di gravame dello stesso tipo di quelli dettati a tutela della libertà personale»24. In sede di riforma si perse l'occasione di verificare una volta per tutte quali fossero le

23 M. D'Onofrio, Il sequestro preventivo, Cedam, 1998, p. 5.

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finalità sottese all'istituto. Questo aspetto si ripercuoteva negativamente sul progresso dell'aver sottoposto a gravame il decreto di sequestro penale, dacché la garanzia derivante dal neointrodotto art. 343-bis e dal controllo del riesame anche nel merito peccava di inconsistenza in assenza di una definizione puntuale dei presupposti che legittimassero l'adozione della misura.

Si dovette attendere il codice del 1988 per pervenire a una nuova e rivisitata disciplina del sequestro preventivo, inteso come terzo genus rispetto a quello probatorio ed a quello conservativo. Il legislatore delegato ne definì i presupposti cercando di fare tesoro di parte degli sforzi ermeneutici della dottrina e giurisprudenza più attente alle esigenze garantiste, divenute nodo cruciale nelle vicende inerenti l'istituto.

In sede di delega, si osserva come la direttiva 65 impartita al Governo secondo cui il giudice ha il «potere di disporre, in relazione a specifiche esigenze cautelari, oltre che misure interdittive anche misure reali», intese fare salva la funzione preventiva attribuita al sequestro. Nella legge delega mancavano però «indicazioni concrete su come costruire i congegni destinati ad operare nel processo»25. Il nuovo codice ha accolto le istanze dell'autorità giudiziaria mirate a fornire al giudice penale uno strumento giuridico capace di incidere efficacemente sull'interruzione dell'iter criminoso. Di qui la collocazione dell'istituto nel libro dedicato alle misure cautelari, separandone le sorti da quelle del sequestro probatorio, destinato a diversa trattazione nel libro II sulle prove, in qualità di mezzo di ricerca della prova. Sin da subito è bene apprezzare la svolta impressa dal legislatore delegato nel dividere le due ipotesi di sequestro in

25 Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, in La gazzetta ufficiale, serie generale n. 250, 24 febbraio 1988, supplemento ordinario n. 93.

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precedenza condensate in un'unica fattispecie normativa. Così facendo, si rende meno opaco il controllo in sede di riesame, chiarendo quali siano le finalità specifiche per cui il provvedimento è legittimamente assunto. Il sequestro preventivo acquisisce quindi automa configurazione, in qualità di misura cautelare reale.

Nella relazione preliminare al codice di procedura penale, il legislatore delegato mostra di essere consapevole che la misura abbia una «potenzialità lesiva di diritti costituzionali che si ricollegano all'uso della cosa sequestrata (libertà di manifestazione del pensiero in caso di film, attività economica, ecc.)» e pertanto ancora l'adozione del provvedimento alla presenza delle esigenze cautelari indicate nel dettato normativo. «Più in generale è sembrato che i rilevanti effetti che scaturiscono dalla misura cautelare penale, in una prassi che va estendendo sempre più l'area di applicazione del provvedimento, rendessero necessaria una previsione normativa tale da obbligare il giudice ad enunciare le finalità della misura al momento della sua applicazione, in modo da consentire sempre, alla persona che ne è colpita, di provocare un controllo sul merito e sulla legittimità»26. Le istanze garantiste sottese alla disciplina del sequestro preventivo trovano una prima e parziale risposta con l'introduzione della riserva giurisdizionale sul provvedimento che dispone la misura cautelare reale. Il legislatore demanda al giudice un ruolo di garanzia nel momento in cui è richiesto (o impugnato) il provvedimento che consiste nell'accertamento dei requisiti legali necessari. È inoltre chiamato ad impartire la misura tramite un proprio decreto che deve motivare dando conto della presenza dei presupposti che legittimano il sequestro preventivo. Tale ruolo di garanzia sarà ripreso dalla

26 Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, in La gazzetta ufficiale, serie generale n. 250, 24 febbraio 1988, supplemento ordinario n. 93.

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giurisprudenza che si formerà sui requisiti dell'istituto, in particolare sul fumus commissi delicti, e del relativo controllo svolto dal giudice, come si esporrà successivamente nell'indagine (infra 2.1).

Da ultimo, il legislatore si è spinto a disciplinare due autonome ipotesi di sequestro preventivo. Una prima è prevista dall'art. 321 al comma 1, «quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati». Trattasi del sequestro impeditivo contraddistinto dalla funzione di interrompere l'iter criminoso o di arginare la commissione di altri illeciti penali attraverso la libera disponibilità della res. La seconda, delineata dai commi 2 e 2-bis, è invece il sequestro strumentale alla confisca e configura una categoria autonoma rispetto alla prima, in quanto persegue la distinta finalità di garantire la cosa alla successiva ed eventuale misura di sicurezza patrimoniale. In questo caso, il legislatore tenta di ridurre ad unità l'insieme eterogeneo di fattispecie disseminate nella precedente legislazione speciale in tema di sequestro finalizzato alla confisca, traendone una disciplina di carattere generale.

Si è cercato brevemente di riepilogare l'evoluzione assunta dal sequestro preventivo sino ad approdare alla disciplina attuale. Fissati gli aspetti più critici con riferimento alle istanze garantiste nel precedente assetto normativo, l'oggetto dell'indagine muove verso una verifica della genuinità del bilanciamento operato dal legislatore delegato, nella «ricerca di un equilibrio tra garantismo e tutela delle esigenze di difesa sociale emerse particolarmente nell'esperienza pretorile»27. Nel prosieguo della trattazione, saranno dunque analizzati i profili statici e i presupposti di applicazione della misura, tanto sul piano legislativo quanto su quello applicativo.

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1.2 Il sequestro preventivo nel nuovo codice: panoramica

1.2 generaledelle principali novità introdotte

Il codice del 1988 ha ordinato le ipotesi di sequestro nel processo penale in tre categorie principali: il sequestro probatorio (art. 253), il sequestro conservativo (art. 316) ed il sequestro preventivo (art. 321 e ss). Il tratto comune ai tre istituti è rinvenibile nell'effetto che si ottiene dalla loro applicazione, ossia la creazione di un vincolo di indisponibilità giuridica e materiale sulla cosa, il quale «permette la fuoriuscita del bene dalla sfera di possesso del proprietario, possessore, detentore, che non potrà quindi continuare ad averne la disponibilità materiale, né porre in essere atti giuridici negoziali e non negoziali che alterino la condizione giuridica del bene, in tutto e per tutto congelata»28. Affinché tale situazione si realizzi, i vari provvedimenti si caratterizzano per la loro coattività, in forza della quale i soggetti preposti all'applicazione possono agire anche contro la volontà del destinatario di volta in volta individuato.

Il vincolo descritto serve finalità distinte a seconda dello specifico istituto. Nel sequestro conservativo è posto su beni con lo scopo di garantire l'adempimento di tutte le obbligazioni pecuniarie nascenti dal reato. Si persegue un interesse di carattere civilistico che si articola in chiave pubblica, perché le spese del procedimento e la pena pecuniaria eventualmente impartita siano pagate, e privata, derivante dal timore che l'imputato non adempia nei confronti della parte civile alle obbligazioni risarcitorie derivanti dall'illecito penale. Coerentemente, la legittimazione attiva a richiedere il provvedimento è conferita tanto al pubblico ministero quanto alla parte civile, ciascuno agendo per lo

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stesso genere di interesse, coniugato ora in ambito pubblicistico, ora privato.

Come anticipato, il sequestro probatorio è stato regolato separatamente da quello predisposto per finalità preventive o strumentale alla confisca. L'attuale mezzo di ricerca della prova può dirsi il "discendente giuridico" del sequestro penale nel codice previgente, quantomeno nel suo ambito applicativo come originariamente inteso. In base all'art. 253 comma 1, l'indisponibilità mira ad impedire la distruzione, dispersione o modifica del «corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l'accertamento dei fatti». La ratio dell'istituto è di carattere squisitamente processuale, nella specifico attinente al piano probatorio. L'interesse perseguito, affinché siano accertati i fatti di reato all'interno del processo penale, è prevalentemente pubblicistico. Il provvedimento durante le indagini preliminari è assunto dal pubblico ministero, organo avente una posizione privilegiata per valutare e soppesare le esigenze probatorie che si presentano in vista dell'eventuale fase dibattimentale. La persona offesa o quella sottoposta ad indagini possono però avere a loro volta interesse affinché una data cosa divenga oggetto di sequestro probatorio, dato che l'accertamento o meno del reato per cui si procede inciderà sulle rispettive posizioni sostanziali. Costoro, tuttavia, non hanno poteri coercitivi per garantire l'acquisizione di elementi di prova al processo, nel caso si tratti di beni non rientranti nella loro disponibilità. Di qui la possibilità di richiedere alla pubblica accusa la disposizione del provvedimento. Qualora il pubblico ministero sia reticente a farlo, in quanto non ritiene fondate le esigenze probatorie esposte dall'interessato, si potrà attivare un controllo giurisdizionale da parte del giudice delle indagini preliminari, secondo quanto stabilito dall'art. 368 del codice.

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Nell'ipotesi oggetto di indagine, invece, l'indisponibilità è strumentale ad una finalità lato sensu preventiva, che si declina diversamente a seconda che intervenga l'ipotesi del cosiddetto sequestro impeditivo,

ex art. 321 comma 1 o, invece, quella dei commi 2 e 2-bis, per il

sequestro funzionale alla confisca. In quest'ultimo caso, infatti, è sì presente una funzione preventiva, ma in maniera più indiretta e sfumata: la misura la attua anticipando una futura ed eventuale misura di prevenzione di carattere patrimoniale. Si potrebbe dire, metaforicamente, che l'istituto risplende di una luce preventiva non propria, bensì promanante dalla confisca. Piuttosto, lo scopo di immediata prevenzione risulta più direttamente evidente nella fattispecie del primo comma. Essa si colloca nell'immediatezza dell'illecito sul piano fattuale, per scongiurare che la libera disponibilità della cosa possa aggravarne o protrarne le conseguenze ovvero agevolare la commissione di altri reati. Il legislatore non ha ritenuta aliena ai principi e alla struttura del processo penale la funzione preventiva che può sorgere con riferimento alla res quando si persegue il reato in sede giurisdizionale. Essa, si è detto, era stata ricavata dalle previgenti disposizioni tramite l'attività ermeneutica svolta negli anni in sede di prassi applicativa, giovandosi dell'assenza di espliciti e definiti referenti finalistici nel dettato normativo.

La tutela della collettività è l'interesse pubblico che informa la norma e si realizza attraverso l'interruzione della vicenda criminosa con la disposizione del sequestro preventivo. Di conseguenza, solo il pubblico ministero è legittimato a richiedere il provvedimento al «giudice competente a pronunciarsi nel merito». A conferma, la Corte Costituzionale ha affermato che «l'esercizio del potere di sequestro preventivo, essendo finalizzato ad interrompere l'iter criminoso o ad impedirne la progressione, e quindi ispirato ad un'evidente ratio di

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prevenzione del reato non può che spettare al pubblico ministero, che è bensì parte, ma parte pubblica» e che la finalità di tutela della collettività di fronte al pericolo che si protragga l'attività criminosa «non può ontologicamente confondersi con l'eventuale interesse della parte offesa querelante alla cessazione della situazione di illecito, che non sempre sussiste e che comunque è ben distinto dall'interesse manifestato – attraverso la presentazione della querela – all'esercizio dell'azione penale nei confronti dell'autore del reato»29. Nella vicenda menzionata, la Corte dichiarò manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'esclusione della persona offesa querelante dai soggetti che possono richiedere il provvedimento, negando la violazione del diritto della stessa di ottenere tutela giurisdizionale per i propri interessi connessi alla cessazione della situazione di illecito. La Consulta ha osservato come la parte privata possa certamente avere un interesse personale e sussidiario affinché sia adottato il sequestro preventivo, ma ha specificato che questa ha a disposizioni altri mezzi per tutelarlo, tra i quali gli strumenti cautelari esperibili nel processo civile. L'istituto de quo ha una finalità preventiva eminentemente pubblicistica, pertanto non risulta irragionevole, né incostituzionale, l'attribuzione alla sola parte pubblica della legittimazione a richiedere il provvedimento.

Il codice del 1988 ha inoltre attribuito natura cautelare al sequestro preventivo e «si sono, in tal senso, individuati nei caratteri della “provvisorietà” e della “strumentalità” i requisiti sostanziali propri degli strumenti di cautela [...]. Mentre con il primo concetto si è inteso delineare la limitatezza ad un periodo di tempo determinato degli

29 C. cost., ord. 11 luglio 1991, n. 334, in Cassazione penale, 1991, II, p. 822. La questione sollevata con riferimento all'art. 321 c.p.p. dal giudice remittente verteva sulla mancanza di tutela giurisdizionale, e dunque violazione dell'art. 24 Cost., per la persona offesa querelante nella parte in cui non poteva richiedere a sua volta il provvedimento di sequestro preventivo.

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effetti di un provvedimento cautelare, con il secondo si è voluto evidenziare la preordinazione della misura cautelare all'emissione di un successivo provvedimento definitivo»30. In particolare, il vincolo reale finalizzato alla confisca si contraddistingue per la strumentalità rispetto ad un futuro ed eventuale provvedimento. Nel sequestro impeditivo, invece, è esaltato il carattere della provvisorietà, riferito ad una misura assunta per fronteggiare un pericolo verso un'esigenza ritenuta meritevole di tutela dall'ordinamento. In quest'ultima ipotesi è evidente come l'indisponibilità gravante sulla res, più che un risultato conseguito dal provvedimento, sia un mezzo rispetto alla finalità ultima della misura: impedire che l'attività derivante dalla libera disponibilità della cosa possa deteriorare il quadro criminoso. Alcuni autori hanno sottolineato un'affinità in detti termini tra il sequestro preventivo e altre misure cautelari, in specie quelle interdittive. Si è scritto che «negare che il provvedimento di sequestro preventivo possa contenere prescrizioni di fare di natura complementare ed accessoria rispetto alle finalità della misura cautelare, significherebbe non considerare adeguatamente la stessa efficacia concreta del sequestro preventivo; ed infatti la distinzione fra tale misura cautelare reale e gli strumenti cautelari puramente interdittivi è più teorica che pratica»31. In dottrina si è giunti a classificare l'istituto come «una misura interdittiva reale»32. La relazione al progetto preliminare sancisce che i vincoli reali «dalla cosa passano alla persona, nel senso che il

30 M. Castellano e M. Montagna, voce Misure cautelari reali, in Digesto delle discipline penalistiche, cit., VIII, p. 108.

31 D. Potetti, Sequestro preventivo e ordini di fare: quali limiti?, in Cassazione penale, 1995, II, p. 1425.

32 N. Galantini, sub. Art. 321, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, a cura di E. Amodio e O. Dominioni, Giuffrè, 1990, III, p. 242, per cui «il sequestro preventivo opera infatti come inibitoria di una condotta ritenuta pericolosa con la particolarità che l'agire vietato si riferisce all'uso di una cosa sottoposta a vincolo di indisponibilità».

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sequestro non mira semplicemente a trasferire nella disponibilità del giudice ciò che deve essere utilizzato a fini di prova, ma tende piuttosto ad inibire certe attività (la vendita o l'uso) che il destinatario della misura può realizzare mediante la cosa»33.

Sotto questo fronte può cogliersi il profilo afflittivo della misura. Essa certamente agisce su di una res e non direttamente sulla libertà personale, definita inviolabile dall'art. 13 della Costituzione. Ciononostante, l'oggetto del sequestro è sovente un mezzo necessario per esercitare diritti e libertà costituzionali che fanno capo al destinatario del provvedimento. Costui, giova puntualizzare, può identificarsi con la persona sottoposta ad indagini, così come con un terzo, in quanto le esigenze sottese alla cautela reale (in specie, impedire che persistano o si aggravino le conseguenze del reato) possono persistere anche se il bene non sia più nella disponibilità dell'indagato e sia pervenuto ad altri. Risalta la potenziale estensione dell'afflittività dell'istituto, sia sotto il profilo contenutistico, sia sotto quello soggettivo.

La scelta del legislatore di condurre il sequestro preventivo entro le misure cautelari è indice delle riflessioni svolte sul bilanciamento sotteso allo strumento processuale. La categoria generale si contraddistingue per una costante tensione tra le esigenze collettive e pubbliche tutelate dalla legge da un lato ed i diritti e libertà del destinatario della misura dall'altro. Sotto questo aspetto, il sequestro preventivo non costituisce un'eccezione.

La disciplina cautelare porta in dote all'istituto le tipiche garanzie che presidiano il bilanciamento tra le esigenze socialpreventive e le posizioni costituzionalmente rilevanti del destinatario del

33 Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, in La gazzetta ufficiale, serie generale n. 250, 24 febbraio 1988, supplemento ordinario n. 93.

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provvedimento. In primis, la giurisdizionalizzazione del procedimento per disporre il sequestro. Come anticipato, il codice del 1988 ha introdotto una riserva in forza della quale soltanto il giudice può emanare il provvedimento. Il legislatore ha assegnato ad un soggetto terzo ed imparziale la valutazione circa la ricorrenza dei presupposti che legittimano la misura, poiché «il vincolo patrimoniale di cui all'art. 321 c.p.p. 1988 [...] è apparso più penetrante di quello istruttorio, e tale da potersi ripercuotere sull'esercizio di libertà costituzionalmente garantite inibendo attività realizzabili solo con la disposizione del bene». Pertanto, per non tramutare la restrizione sui beni, surrettiziamente, in una misura personale interdittiva, è regola generale che solo il giudice possa ordinare misure cautelari, in qualità di garante delle libertà e dei diritti sui beni. Di contro, il pubblico ministero è stato ricondotto nel proprio ruolo di parte, legittimandolo alla sola richiesta della misura e non per la sua adozione. La riserva di giurisdizione ha come indefettibile corollario l'obbligo di motivazione del provvedimento. La motivazione, del resto, ha la funzione di palesare e manifestare quale sia stato il percorso valutativo compiuto dal giudice per verificare l'esistenza o meno dei presupposti di legge e fornisce modo al destinatario di formulare doglianze in vista del riesame.

In proposito, si anticipa come il d.lg. n.14 del 1991 abbia introdotto il cosiddetto fermo reale o sequestro provvisorio, previsto dal comma

3-bis dell'art. 321 c.p.p. La disposizione sancisce che «nel corso delle

indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero». Nei medesimi casi, prima dell'intervento della magistratura requirente, la polizia giudiziaria può procedere di propria iniziativa a sequestrare le cose

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dalla cui libera disponibilità deriva il pericolo di deterioramento della vicenda criminosa. La previsione è stata inserita per evitare che, nell'attesa del provvedimento del giudice, le esigenze preventive sottese alla misura cautelare non vengano vanificate. Il paradigma procedimentale introdotto dalla novella non scalfisce tuttavia la portata garantista della riserva di giurisdizione per l'adozione della misura. Infatti, il decreto con cui il pubblico ministero dispone d'urgenza il sequestro deve essere trasmesso al giudice per le indagini preliminari entro 48 ore per poter essere convalidato, pena la perdita di efficacia. Inoltre, qualora il giudice non provveda con ordinanza di convalida entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta, si va incontro al medesimo esito. Se il sequestro viene eseguito direttamente su iniziativa della polizia giudiziaria, spetterà all'organo requirente decidere se restituire le cose o se procedere con la richiesta di convalida al giudice per le indagini preliminari. In altri termini, il sequestro emesso a norma dell'art. 321 comma 3-bis è contraddistinto per la propria natura provvisoria, soggetta a rapido cambiamento, o nel senso della convalida della misura (e quindi della necessità di un provvedimento del giudice, in ossequio alla riserva giurisdizionale) o della sua perdita di efficacia. L'argomento sarà ripreso nell'analisi del procedimento applicativo del vincolo reale (infra 4.1).

Opportunamente, il legislatore ha mantenuto anche per le misure cautelari reali, ed in specie per il sequestro preventivo, i mezzi di impugnazione del riesame e dell'appello, che saranno anch'essi esaminati nella trattazione (infra 5.1, 5.2). In un'ottica generale, analogamente alla materia cautelare nel suo complesso, si ha interesse che il provvedimento emesso da un primo giudice sia sottoponibile al vaglio di merito di un secondo e distinto organo giudicante.

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caratteristiche del sequestro preventivo così come configurato dalla riforma del 1988. Si è cercato di sottolineare le peculiari funzioni che è chiamato ad assolvere, marcando le differenze con le altre ipotesi di sequestro previste nel codice. È stato poi posto l'accento sulla natura cautelare della misura, in forza della quale vigono le due principali garanzie che informano la categoria: la riserva di giurisdizione e la possibilità di esperire un'impugnazione nel merito del provvedimento. L'indagine si addentra ora nei presupposti che legittimano l'adozione del sequestro. In particolare, trattandosi di una misura cautelare, dovranno ricorrere i requisiti classici del fumus commissi delicti e del

periculum in mora. Il tema è dei più delicati, in quanto si vedrà come il

dettato normativo per i presupposti abbia dato luogo ad incertezze applicative e al rischio di un uso distorto dell'istituto, a discapito delle garanzie che dovrebbero presidiare l'intera vicenda cautelare.

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2 PRESUPPOSTI ED OGGETTO DEL SEQUESTRO

2 IMPEDITIVO

2.1 Il fumus commissi delicti nel sequestro impeditivo

Ai fini della legittima adozione, tutte le misure cautelari condividono la presenza necessaria dei presupposti del fumus commissi delicti e del

periculum in mora34. Per quanto concerne il sequestro impeditivo ex

art. 321 comma 1, il requisito del periculum è sufficientemente delineato, mentre l'individuazione e la latitudine del fumus hanno destato maggiori perplessità. A seguito dell'approvazione del codice del 1988 è emersa la differente considerazione di questo elemento nell'istituto de quo rispetto alle altre misure cautelari. Per l'applicazione delle personali, l'art. 273 c.p.p. richiede la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Anche l'adozione del sequestro conservativo ne risulta implicitamente subordinata; potendolo disporre solo dopo la formulazione dell'imputazione, la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza è inclusa in quella necessaria per esperire l'azione penale35.

Di contro, il sequestro preventivo, tanto impeditivo, quanto funzionale alla confisca, può intervenire sin dalle indagini preliminari. Anzi, le

34 «Per l'adozione di un provvedimento cautelare, secondo l'opinione comune, sono necessari infatti sia il pericolo di pregiudizio per un futuro provvedimento, il c.d. periculum in mora, sia la probabilità che il provvedimento finale che si vuole cautelare venga effettivamente adottato, il c.d. fumus boni iuri» F. Lattanzi, Sul fumus richiesto per il sequestro preventivo, in Cassazione penale, 1995, I, p. 352 con richiamo alla dottrina generale in tema di misure cautelari.

35 Così P. Balducci, Il sequestro preventivo nel processo penale, cit., p. 139-140, per la quale «nel sequestro preventivo, invece, non vengono indicati, né esplicitamente, né in via implicita, quei presupposti che il legislatore in maniera rigorosa ha richiesto per le altre misure cautelari».

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ragioni specialpreventive sottese alla fattispecie del primo comma impongono spesso una reazione tempestiva da parte dell'ordinamento che si colloca per forza di cose in questa fase.

L'assunto comune è che la disposizione si mostri lacunosa e manchi di chiarezza, caratteristiche ereditate già dalla legge delega36, sebbene sin da principio si sia esclusa una totale assenza del fumus. Questo condiviso, lo sviluppo circa il contenuto del requisito è stato variegato, tanto in sede di prassi, quanto teorica.

Si è osservato che la norma contiene delle indicazioni minimali circa il

fumus. In proposito, l'avvenuta commissione di un illecito penale è

considerata elemento indefettibile del presupposto. Lo si evince quando la disposizione indica come oggetto del sequestro una "cosa pertinente al reato" così come mira a impedire che si aggravino o protraggano le conseguenze "dello stesso" o possa facilitarsi "la commissione di altri reati", dove l'aggettivo indefinito suggerisce un significato additivo che aggiunge qualcosa a un preesistente delitto o contravvenzione. Né potrebbe essere altrimenti, poiché l'applicazione della misura, in assenza di un reato, determinerebbe l'esplicazione di un'attività preventiva che fa capo alla pubblica amministrazione. Questo escluderebbe che il sequestro impeditivo possa disporsi allorquando un individuo manifesti la sola intenzione di dare luogo ad una condotta delittuosa, senza che la stessa sia stata intrapresa, quantomeno nella forma del tentativo37. Se così non fosse, si

36 Tra i tanti, P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 16° edizione, 2015, p. 483, secondo cui «il vincolo della legge-delega, che fossero previste specifiche esigenze cautelari (n. 65 dei criteri direttivi) è risultato troppo generico e non ha permesso di creare argini alla discrezionalità del pubblico ministero e del giudice». 37 «Analogamente, il sequestro preventivo è applicabile al reato tentato; il procedimento penale non può infatti restare inerte dinanzi all'esigenza di impedire che il reato tentato progredisca fino alla consumazione» D. Potetti, Sequestro preventivo e ordini di fare: quali limiti?, in Cassazione penale, 1995, II, p. 1418. Ammette la possibilità di sequestrare in presenza del solo tentativo N. Ventura, voce Sequestro preventivo, in Digesto delle discipline penalistiche, cit., aggiorn. 2004, p.

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sconfinerebbe nell'ambito della prevenzione ante delictum, estranea all'istituto.

Le divergenze emergono nel momento in cui si procede a definire l'accertamento giurisdizionale del requisito necessario per disporre la misura, ossia «l'ubi consistam del fumus»38. Il tema principale è il limite fin cui può e deve spingersi il giudice nel valutare la consistenza dell'accusa per disporre il provvedimento (o per deciderne il riesame). In particolare, se nel fare questo si debba convincere della presenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del destinatario o, se così non fosse, di che contenuto si riempa il controllo sul fumus commissi

delicti.

Una prima dottrina39 ha sostenuto la necessaria valutazione del giudice circa l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza per poter disporre il sequestro. I promotori di questo orientamento sostenevano l'applicazione dell'art. 273 c.p.p. in tema di misure cautelari personali anche a quelle reali e, nella specie, alla fattispecie ex art. 321 comma 1. La soluzione intendeva porre un robusto argine di garanzie intorno al destinatario della misura, tenuto conto del fatto che il vincolo di indisponibilità sulla res si ripercuote in termini afflittivi su diritti e libertà costituzionali, nella misura in cui se ne impedisce l'esercizio quando la cosa sequestrata sia strumentale ad esso. Se detta lesione delle posizioni soggettive dell'individuo è inevitabile per perseguire le finalità di tutela collettiva, quantomeno l'accusa dovrebbe risultare fondata non solo circa l'avvenuta commissione del reato, ma anche

755.

38 Così F. Lattanzi, Sul fumus richiesto per il sequestro preventivo, in Cassazione penale, 1995, I, p. 353, nell'introdurre le «conclusioni contrastanti» cui è pervenuta la giurisprudenza.

39 P. Balducci, Il sequestro preventivo nel processo penale, cit., pp. 143-144. F. Tafi, Brevi note sui presupposti del sequestro preventivo, in Cassazione penale, 1991, II, p. 285. M. Cirulli, In tema di presupposti di sequestro preventivo, in Giurisprudenza italiana, 1992, II, p. 316.

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sulla possibilità di attribuirlo ad una persona individuata.

L'approdo fu frutto di diversi percorsi ermeneutici intrapresi dai vari autori. Alcuni, infatti, ritenevano che la dizione di «cose pertinenti al reato» implicasse di per sé una valutazione circa l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza40. Altri41, invece, fecero leva sulla stretta affinità intercorrente tra il sequestro preventivo e le altre misure cautelari, in specie quelle interdittive. Anche lo strumento de quo, apponendo un vincolo di indisponibilità sulla cosa, mira ad impedire lo svolgersi di attività che con il suo uso possano protrarre o aggravare le conseguenze del reato o determinarne ulteriori. A punto che l'istituto in esame «presenterebbe [...] in maniera più accentuata l'effetto inibitorio dell'esercizio di un diritto di natura sostanzialmente personale tipico delle misure interdittive, piuttosto che il vincolo di indisponibilità sul bene che costituisce l'essenza della misura cautelare reale»42. Oltretutto, il sequestro preventivo condivide i mezzi di impugnazione delle misure cautelari personali, ossia il riesame, l'appello e il ricorso per Cassazione. Una differenza degna di rilievo, invece, è che l'istituto in esame può operare in presenza di qualsiasi ipotesi di reato, non venendone subordinata l'applicazione alla previsione di determinati illeciti, come avviene per le misure coercitive personali. Senza ciò

40 F. Cordero, Procedura penale, Giuffrè, 6° edizione, 2001, p. 548 per cui «Nessun accenno ai “gravi indizi”, ma (a parte la confisca obbligatoria ex art. 240 secondo comma, n. 2) è requisito implicito nell'idea della “cosa pertinente al reato”: l'imputazione li presuppone; durante le indagini preliminari, bisogna valutarli». Per una critica a questa impostazione, si rimanda a L. Fiore, Accertamento dei presupposti e problematiche applicative in tema di sequestro preventivo, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1995, p. 551.

41Si rimanda a P. Balducci, Il sequestro preventivo nel processo penale, cit., p. 143. Si riporta inoltre l'interessante osservazione di M. Cirulli, In tema di presupposti del sequestro preventivo, in Giurisprudenza italiana, 1992, II, p. 316, per cui l'art. 273 c.p.p. «assume una valenza generale, la cui operatività non può limitarsi alle misure cautelari, ma va estesa a quelle reali (le quali, come si vedrà sono esse pure personali, sia pure mediatamente, in quanto incidono su diritti della persona)».

42 L. Fiore, Accertamento dei presupposti e problematiche applicative in tema di sequestro preventivo, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1995, p. 548.

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togliere come anche la cautela reale presenti un contenuto afflittivo che incide su diritti costituzionali, anche diversi dalla proprietà. Basti menzionare le recenti tensioni emerse con il diritto al mantenimento dell'occupazione nella vicenda Ilva di Taranto, per nominare un esempio emblematico entrato nel dibattito pubblico italiano. In virtù di queste affinità, dunque, l'orientamento dottrinale inizialmente formatosi suggerì l'applicazione analogica dell'art. 273 c.p.p. al sequestro preventivo, principalmente sulla base di argomenti sistemici. In realtà, benché sia da salutare con favore lo sforzo garantista intrapreso da questa prima dottrina, non si può condividere la tesi della necessaria presenza dei gravi indizi di colpevolezza. Innanzitutto, ciò implicherebbe talvolta una vanificazione delle finalità preventive perseguite dal sequestro. Come detto, questo può essere disposto nel corso delle indagini preliminari e, nei casi d'urgenza, di iniziativa della polizia giudiziaria quando il reato si manifesta anche senza che sia stato attribuito ad un potenziale autore. Se questi non viene individuato, sarà impossibile pervenire alla raccolta dei gravi indizi di colpevolezza che permettano di imputare il reato commesso ad una specifica persona. Se si insistesse contrariamente, la conseguenza inevitabile sarebbe impedire l'adozione del provvedimento tutte le volte in cui ha sì avuto luogo un reato ma non è ancora possibile formulare anche solo un addebito provvisorio. Senza ciò escludere che le finalità di tutela della collettività sottese all'istituto potrebbero comunque presentarsi in suddette situazioni. Si pensi al caso in cui si rinvengano degli alimenti adulterati, la cui libera circolazione potrebbe agevolare la commissione di altri reati, in primis ai danni della salute dei consumatori, e non si abbiano ancora informazioni sufficienti per poter seguire una pista investigativa che conduca all'autore della condotta incriminata.

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In aggiunta, si rammenta che il sequestro preventivo non colpisce necessariamente un bene che sia nella disponibilità della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato. La cosa, in quanto "pertinente al reato", ha un rapporto con lo stesso che si declina in un duplice nesso causale, consumato e potenziale. Sotto quest'ultimo profilo, data la strumentalità con l'illecito, l'ordinamento intende impedire che la libera disponibilità della res faccia deteriorare il quadro criminoso. L'esigenza si può presentare anche nell'ipotesi in cui il bene da sequestrare sia reperito presso terzi. A conferma del fatto che anche costoro possano essere destinatari della misura, tutti i mezzi di impugnazione esperibili avverso il sequestro impeditivo prevedono la legittimazione attiva della persona cui le cose sono state sequestrate, oltre a quella dell'imputato. Orbene, richiamato tale aspetto, procedere ad una valutazione circa i gravi indizi di colpevolezza su di una persona pare inutile quando l'apprensione della res è realizzata in capo ad un altro soggetto.

Il difetto di questo primo orientamento sensibile alle istanze garantiste, in ultima analisi, è rintracciabile nell'eccessiva enfasi posta sull'affinità intercorrente tra le misure cautelari personali, ed in specie quelle interdittive, e il sequestro impeditivo. Nelle prime, la presenza dei gravi indizi di colpevolezza è imprescindibile; la misura intacca la libertà personale del destinatario, definita inviolabile dall'art. 13 della Costituzione e, onde evitare che si risolva in un'anticipazione arbitraria della pena, è necessario un quadro probatorio solido e un grado di accertamento profondo, sebbene allo stato degli atti. La prospettiva nel sequestro preventivo muta, in quanto incentrata sulla cosa e non sulla persona. Si è osservato opportunamente che «la situazione di pericolosità che la misura è preordinata a rimuovere proviene direttamente dal bene, più precisamente dal collegamento tra il bene e

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il reato commesso, e solo in via mediata da un soggetto, il quale, tra l'altro, non necessariamente è colui nei confronti del quale si svolge il procedimento penale»43. Ne consegue che l'applicazione del provvedimento non possa prescindere dall'indagare il rapporto di pertinenzialità della cosa con il reato, elemento su cui si costruisce la fattispecie legale dell'istituto de quo.

Per quanto concerne la prima giurisprudenza formatasi negli anni successivi all'approvazione del codice, ben poche e isolate pronunce accolsero la tesi garantista della dottrina sopra menzionata44. L'orientamento maggioritario escludeva invece l'accertamento da parte del giudice dei gravi indizi di colpevolezza. Si è sancito, piuttosto, che il giudice, nel valutare la sussistenza dei requisiti che legittimano il provvedimento, è tenuto a sondare «la concreta fondatezza di una accusa, ma deve limitarsi all'astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato»45.

All'interno dell'orientamento prevalente in giurisprudenza, però, non si è registrata univocità circa i contenuti che detto accertamento dovrebbe investire. Se alcune sentenze46 hanno affermato che il giudice deve limitarsi ad un mero controllo sul piano astratto, affinché la fattispecie sia configurabile come reato senza poter vagliare la concreta

43 L. Fiore, Accertamento dei presupposti e problematiche applicative in tema di sequestro preventivo, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1995, p. 553, dove si riporta il caso del sequestro sui bene della persona offesa nella particolare ipotesi in cui il blocco dei beni riguardi il patrimonio dell'ostaggio del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione.

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45 M. D'Onofrio, Il sequestro preventivo, cit., p. 18.

46 Cass., sez. I, 21 gennaio 1991, in Cassazione penale, 1992, II, p. 2176, per cui «possono diventare rilevanti eventuali difformità tra fattispecie concreta e fattispecie legale, solo quando siano ravvisabili ictu oculi». Cass., sez. V, 23 maggio 1992, n. 1064, in Archivio della nuova procedura penale, 1992, Mass., p. 798. Cass., sez. I, 19 ottobre 1992, ivi, 1993, p. 329. Cass., sez. VI, 23 marzo 1995, n. 5006, ivi, 1995, p. 928. Cass., sez. I, 6 giugno 1996, n. 2181, ivi, 1996, p. 928.

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