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3 IL SEQUESTRO FUNZIONALE ALLA CONFISCA

3.4 Le problematiche inerenti il profitto del reato

Il sequestro per equivalente è disposto qualora non sia stato rinvenuto il profitto derivante dal reato ed «il vincolo di pertinenzialità non funge più da criterio di individuazione del bene suscettibile di confisca, ma degrada a parametro di quantificazione del sacrificio patrimoniale che dovrà sopportare il reo»226. La determinazione del profitto, tuttavia, mantiene importanza e, anzi, costituisce di fatto il limite al quantum apprendibile nella variante di valore. In altri termini, impedisce di sottoporre a vincolo cautelare somme o altri beni dell'indagato in

225 F. Dinacci, Le cautele per equivalente tra costituzione, obblighi europei e positivismo giuridico, in La giustizia patrimoniale penale, cit., p. 316.

226 A. Perini, La progressiva estensione del concetto di profitto del reato quale oggetto della confisca per equivalente, in Giurisprudenza italiana, 2009, III, p. 2075.

misura sproporzionata. Pertanto, risulta necessaria una definizione puntuale del concetto che non sia foriera di ambiguità e incertezze. Secondo la giurisprudenza, «per profitto del reato deve intendersi il vantaggio di natura economica che deriva dall'illecito, quale beneficio aggiunto di tipo patrimoniale, di diretta derivazione causale dall'attività del reo, dovendosi invece escludere un'estensione indiscriminata ed una dilazione indefinita ad ogni vantaggio patrimoniale che possa scaturire da un reato»227. La prassi applicativa ha presto constatato che il profitto del reato subisce spesso delle trasformazioni di vario tipo, in particolare economiche. Il che accade a maggior ragione quando esso consiste in somme di denaro, fungibili per natura e destinate ad essere convertite con l'acquisto di altri beni. Si tratta dei c.d. “surrogati del profitto”. Per arginare le manovre poste in essere per eludere ed evitare l'ablazione, si è attenuata la severità del canone della “diretta derivazione” e sancito che «qualsiasi trasformazione che il danaro illecitamente conseguito subisca per effetto di investimento dello stesso deve essere considerata profitto del reato quando sia collegabile causalmente al reato stesso ed al profitto immediato – il danaro – conseguito e sia soggettivamente attribuibile all'autore del reato, che quella trasformazione abbia voluto»228. Si è così consentito il sequestro dell'immobile acquistato con le somme lucrate dalla vicenda criminosa229. Inoltre, se la spendita del profitto, in base alle circostanze concrete della situazione, è collegabile all'acquisizione di altri beni,

227 Cass., sez. II, 14 giugno 2006, n. 31988, in Giurisprudenza italiana, 2007, IV, p. 2290.

228 Cass., sez. Un., 6 marzo 2008, n. 10280, in Diritto penale e processo, 2008, II, p. 1297.

229 Cass., sez. Un., 30 gennaio 2014, n. 10561, in www.italgiure.giustizia.it, per cui «in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall'art. 322-ter cod. pen., costituisce profitto del reato anche il bene immobile acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l'impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all'autore di quest'ultimo».

non si rientrerebbe nei casi di sequestro e confisca per equivalente, bensì ordinari secondo quanto disposto dalla prima parte dell'art. 322-

ter c.p., comma 1.

La questione dei “surrogati del profitto” disvela una particolare duttilità della nozione in esame, connotata da una vis expansiva maggiore rispetto ai concetti di prodotto o cose servite per commettere il reato230. È chiara la necessità avvertita dall'autorità giudiziaria di evitare che con semplici artifizi si riesca ad eludere la misura ablatoria. Ciononostante, è indicativo del fatto che il concetto di profitto possa prestarsi ad estensioni patologiche, sia quando è l'oggetto della misura (sequestro prodromico alla confisca ordinaria), sia come parametro per quantificare l'entità dell'ablazione (sequestro per equivalente). Il passo è breve, se ad esempio è dato leggere in alcune sentenze che il profitto «deve intendersi comprensivo non soltanto dei beni che l'autore di reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività economica»231. Nel caso di specie, i giudici hanno incluso anche il vantaggio in termini di pubblicità che l'ente ha conseguito dall'aggiudicazione di un appalto pubblico, per la cui assegnazione erano state poste in essere condotte truffaldine per simulare l'esistenza dei requisiti necessari. Non si è più in presenza di un “surrogato del profitto”, inteso come primo rapporto di scambio con altri beni, bensì di una derivazione indiretta e affatto immediata, dai contorni indefiniti. Al punto che si include nell'ablazione anche la valutazione dell'utilità ottenuta dalla pubblicità dell'aggiudicazione, un elemento di difficile e sfuggevole

230 A. Perini, La nozione di “profitto del reato” quale oggetto della confisca per equivalente, in La giustizia patrimoniale penale, cit., p. 910.

231 Cass., sez. II, 6 novembre 2008, n. 45389, in Cassazione penale, 2010, IV, pp. 2714 e ss.

quantificazione. Dunque, se è vero che il nesso di pertinenzialità costituisce il «baluardo eretto a difesa del principio di proporzionalità e di legalità»232, sarebbero auspicabili interpretazioni rigorose del profitto di reato, tanto per circoscrivere l'oggetto dell'apprensione, quanto per impedire quantificazioni sproporzionate del tantundem. Il tema si complica affrontando la questione dei c.d. “costi del reato” e della loro deducibilità. Per introdurre l'argomento, si riporta la sentenza

Fisia s.p.a.233, resa dalle Sezioni Unite. Quattro società si sono aggiudicate un appalto pubblico per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani della regione Campania. Durante le indagini preliminari, l'accusa ha rivelato profili di fraudolenza posti in essere dalle persone fisiche indagate, atti sia a garantirsi l'aggiudicazione dell'erogazione del servizio (tra cui, artifici documentali per simulare il possesso di requisiti necessari ed in realtà inesistenti), sia a occultare l'inadempimento degli obblighi nella fase esecutiva del contratto. In presenza di elementi che consolidavano il fumus della truffa ai danni dello Stato o di ente pubblico (ex art 640, comma 2, n. 1, ex art. 24 del d.lgs. n. 231/2001 per quanto concerne la responsabilità amministrativa da reato delle società coinvolte), il pubblico ministero ha chiesto ed ottenuto il sequestro per equivalente del profitto criminoso. Per la quantificazione del tantundem, l'accusa aveva incluso anche i corrispettivi ricevuti dalle società appaltatrici per i servizi effettivamente svolti (ad esempio, si era pur sempre provveduto allo smaltimento dei rifiuti, non ottemperando ad altre prescrizioni ed obblighi derivanti dal contratto).

Sullo sfondo del caso concreto si proietta la «diversità strutturale tra

232 L. Marzullo, Ancora in tema di sequestro per equivalente funzionale alla confisca del profitto del reato: prime applicazioni (e stessi dubbi) dopo l'intervento delle Sezioni Unite penali, in Cassazione penale, 2010, IV, p. 2728.

233 Cass., sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Cassazione penale, 2008, V, pp. 4544 e ss.

l'impresa criminale – la cui attività si polarizza esclusivamente sul crimine (si pensi ad una società che opera nel solo traffico di droga) – e quella che opera lecitamente e soltanto in via episodica deborda nella commissione di un delitto», ossia la c.d. “criminalità di impresa”. Il contesto richiama i due principi antitetici del prelievo netto e del lordo; Per il primo, il profitto di reato deve essere epurato dai costi sostenuti dall'autore per commetterlo, ossia non si confisca e sequestra tutto ciò che si è ricavato dalla vicenda criminosa, ma solo l'effettivo guadagno decurtato delle spese. Di contro, il principio del lordo non opera tale esenzione. La differenza non è da poco, soprattutto se si tiene a mente che «il terreno privilegiato di utilizzo della confisca per equivalente sembra spaziare – empiricamente – dagli appalti ottenuti e condotti con modalità irregolari (dal ricorso a modalità corruttive fino allo sfruttamento della capacità di intimidazione propria delle organizzazioni di cui all'art. 416 bis c.p.) fino alle operazioni di insider

trading o di manipolazione del mercato avvenute con ingenti (ed

onerosi!) impieghi di denaro otteuto in prestito dai soggetti agenti. Dunque, ben si comprende come confiscare [e sequestrare prima] gli interi ricavi derivanti da un contratto di appalto o dalla cessione di un pacchetto di titoli sia cosa assai differente dall'aggredire il solo plusvalore scaturente da tali operazioni»234. Il privilegiare una soluzione piuttosto che l'altra comporta dei riflessi sulla natura dell'ablazione imposta, tanto in via cautelare, quanto definitiva. Il principio del netto, infatti, si ispira ad una funzione più marcatamente riequilibratrice, intendendo con ciò la sottrazione dal circuito economico delle sole “poste delittuose”. La sua attuazione implica maggiori oneri da parte dell'autorità giudiziaria, tanto nel discernere i

234 A. Perini, La nozione di “profitto del reato” quale oggetto della confisca per equivalente, in La giustizia patrimoniale penale, cit., p. 914.

costi deducibili dal lucro illecitamente conseguito, quanto nel quantificare le singole voci economiche. Si è inoltre criticato che così l'agente è esonerato dal «rischio di perdita economica, perché comunque [...] potrà recuperare e conservare i valori patrimoniali in esso investiti»235. Il principio del lordo è, invece, più spiccatamente punitivo, data l'indifferenza dell'ablazione al riparto tra spese e guadagni nel compimento di un reato.

Nel processo Fisia s.p.a., le Sezioni Unite sviluppano un percorso argomentativo fondato sui concetti di “reato contratto” e di “reato in contratto”. Mutuando le parole dei giudici, «nel caso in cui la legge qualifica come reato unicamente la stipula di un contratto a prescindere dalla sua esecuzione, è evidente che si determina una immedesimazione del reato col negozio giuridico (c.d. “reato contratto”) e quest'ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l'effetto che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca. Se invece il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto in sé, ma va ad incidere unicamente sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale (c.d. “reato in contratto”) è possibile enucleare aspetti leciti del relativo rapporto, perché assolutamente lecito e valido

inter partes è il contratto (eventualmente solo annullabile ex artt. 1418

e 1439 c.c.), con la conseguenza che il corrispondente profitto tratto dall'agente ben può essere non ricollegabile direttamente alla condotta sanzionata penalmente»236. La scelta di applicare il principio del netto o del lordo, quindi, dipende dal tipo di reato, dalle modalità in cui esso si è strutturato e dal contesto in cui si inserisce. Più precisamente, la

235 A. Maugeri, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, cit., p. 569.

236 Cass., sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Cassazione penale, 2008, V, p. 4567.

Corte fa proprio l'assunto «in base al quale il profitto derivato dall'attività lecita è il profitto trasferito in forza di un titolo giustificativo valido, mentre il profitto derivato dal reato è trasferito in forza di un titolo non valido perché illecito, il reato appunto»237. La soluzione indicata dai giudici di legittimità risulta equilibrata e condivisibile. Essa parte dal presupposto che non sia possibile fornire una risposta identica ad ogni situazione considerata. Si è sottolineato che «ciò non significa attribuire alla nozione di profitto una geometria variabile – giacché questa rimane saldamente ancorata al rapporto di dipendenza tra provento e reato -, ma evidenziare che il vincolo di pertinenzialità deve essere accertato in concreto distinguendo tra quanto effettivamente pervenuto all'ente collettivo come immediata conseguenza dell'illecito»238 e quanto come corrispettivo di un'attività lecita svolta. L'apprezzabilità della decisione si coglie quando si distinguono fattispecie in cui la condotta delittuosa si innesta in quella lecitamente svolta, dalle ipotesi in cui l'intera vicenda origina, e permane, nell'ambito criminoso. La soluzione è ispirata da buon senso e razionalità. Infatti, «a fronte di “reati contratto”, esattamente si potrà osservare che mai si è posto il problema, se, ad esempio, confiscare allo spacciatore la sola sostanza stupefacente che eccede il costo della dose acquistata per poi essere spacciata; così come mai si è ritenuto di confiscare il profitto di una rapina “depurandolo” dai costi delle armi utilizzate»239. Per la vicenda di un appalto pubblico di opere o di servizi, invece, pur se « acquisito a seguito di aggiudicazione inquinata da illiceità (nella specie truffa), l'appaltatore che, nel dare esecuzione

237 T. Epidendio, La confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, cit., p. 120.

238 L. Pistorelli, Confisca del profitto del reato e responsabilità degli enti nell'interpretazione delle Sezioni Unite, in Cassazione penale, 2008, V, p. 4585. 239 A. Perini, La progressiva estensione del concetto di profitto del reato quale oggetto della confisca per equivalente, in Giurisprudenza italiana, 2009, III, p. 2076.

agli obblighi contrattuali comunque assunti, adempie sia pure in parte, ha diritto al relativo corrispettivo, che non può considerarsi profitto del reato, in quanto l'iniziativa lecitamente assunta interrompe qualsiasi collegamento causale con la condotta illecita»240. Oltretutto, la Cassazione segnala che, opinando diversamente, l'amministrazione statale, in quanto controparte beneficiaria delle prestazioni rese dall'impresa, conseguirebbe un arricchimento ingiustificato, con una duplicazione del sacrificio economico imposto al reo. Per i c.d. “reati in contratto”, quindi, «meritevole di individuazione sarebbe non tanto la differenza tra "costi e ricavi" del reato, quanto quel nucleo del rapporto sinallagmatico rimasto incontaminato dal reato stesso e, in quanto tale, meritevole di riconoscimento giuridico»241.

Per concludere, si ribadisce l'importanza della nozione di profitto, tanto nel sequestro prodromico alla confisca ordinaria, quanto nel sequestro per equivalente. Anche per il tantundem, infatti, si apprezza il rapporto di derivazione dal reato, quantomeno perché necessario a quantificare l'ammontare delle somme e beni cautelabili. Il nesso di pertinenzialità, ancora una volta, pone dei limiti a ciò o quanto si possa vincolare in via cautelare ed occorre una sua ricerca puntuale che sappia valorizzare le peculiarità del caso concreto, a seconda che si rientri nello schema dei “reati contratto” o dei “reati in contratto”. Si tratta però di accertamenti patrimoniali complessi. L'accusa è tenuta a scandagliare profili complicati, per distinguere tra “costi deducibili” e il ricavato direttamente dal crimine ed ancora compiere le rispettive quantificazioni. Spesso le procure si muovono nell'ambito di affari economici estremamente consistenti, con numerose voci economiche in campo, talvolta di difficile individuazione e comprensione. La

240 Cass., sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Cassazione penale, 2008, V, p. 4568.

241 A. Perini, La progressiva estensione del concetto di profitto del reato quale oggetto della confisca per equivalente, in Giurisprudenza italiana, 2009, III, p. 2077.

ricerca e quantificazione dei profitti è svolta tramite indagini che spesso non hanno ad oggetto elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice. Emerge la criticità che «l'inchiesta patrimoniale gode di uno statuto del tutto insufficiente sia nell'ambito del processo penale che delle misure di prevenzione». Infatti, «l'arsenale investigativo a disposizione della pubblica accusa appare non solo esiguo quanto ai mezzi di ricerca della prova di cui dispone, ma soprattutto incapace di organizzare lo scarno materiale probatorio che talvolta riesce a convogliare nell'indagine penale (intercettazioni, e-mail, documenti)»242. L'inadeguatezza della disciplina è perlopiù addebitabile ad una determinata concezione del processo penale, inteso come momento ed occasione per accertare la responsabilità penale dell'imputato. La ricognizione degli effetti economici del reato è, invece, scarsamente considerata243 ed alimenta «la tentazione [per

l'organo giurisdizionale] di abdicare innanzi all'immane complessità

che connota le transazioni finanziarie della modernità e di rinunciare all'individuazione delle conseguenze patrimoniali del fatto di reato»244. Le problematiche aumentano quando oggetto dell'apprensione non sono beni che, direttamente o per equivalente, sono pertinenti al reato perseguito, bensì quote di patrimonio senza un nesso di derivazione da

242 A. Cisterna, Strumenti e tecniche di accertamento della confisca per sproporzione e della confisca per valore equivalente, in Giurisprudenza italiana, 2009, III, pp. 2085-2086.

243 A. Maugeri, La lotta contro l'accumulazione di patrimoni illeciti da parte delle organizzazioni criminali: recenti orientamenti, in Rivista italiana di diritto penale dell'economia, 2007, II, p. 588: «Un fondamentale limite all'idoneità delle misure in esame è rappresentato dalla parziale inefficienza delle agenzie addette alla loro implementazione, forze di polizia e magistratura competenti a svolgere le indagini patrimoniali; taleinefficienza è dovuta ad una pluralità di cause che vanno dalla mancanza di professionalità specifica, alla mancanza di organici, ad una cattiva allocazione delle risorse umane e materiali, a parte la necessità di investire di più nei processi formativi e di creare migliori meccanismi di coordinamento».

244 A. Cisterna, Strumenti e tecniche di accertamento della confisca per sproporzione e della confisca per valore equivalente, in Giurisprudenza italiana, 2009, III, p. 2086.

un determinato illecito. Si allude ai casi di sequestro e confisca previsti dall'art. 12-sexies della l. 356/1992.