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Stili di Attaccamento e Disturbi del Comportamento Alimentare

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Academic year: 2021

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S

OMMARIO

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO 1:L’ATTACCAMENTO ... 6

1.1 Comportamento di attaccamento e legame di attaccamento ... 8

1.2 Pattern di attaccamento e Modelli Operativi Interni (IWM) ... 13

1.3 Trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento ... 18

1.4 Adolescenza e attaccamento ... 20

1.5 Attaccamento e Funzione Riflessiva ... 26

1.6 Attaccamento insicuro e psicopatologia ... 30

CAPITOLO 2:IDISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE ... 32

2.1 Statistiche e fenomenologia ... 33

2.2 Eziologia e fattori di rischio ... 36

2.3 Anoressia Nervosa ... 42

2.4 Bulimia Nervosa ... 52

2.5 Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder) ... 57

2.6 L’intersezione: l’importanza dell’attaccamento nella “strutturazione della coscienza corporea” ... 64

CAPITOLO 3:OBIETTIVI ED IPOTESI ... 70

3.1 Background ... 70 3.2 Obiettivi ed ipotesi ... 71 CAPITOLO 4:METODO... 73 4.1 Campione ... 73 4.2 Strumenti ... 75 4.3 Procedura ... 79

4.4 Analisi dei dati ... 87

CAPITOLO 5:RISULTATI ... 89

CAPITOLO 6:DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ... 106

6.1 Discussione ... 106

6.2 Conclusioni ... 109

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3

I

NTRODUZIONE

Il ruolo dell’Attaccamento sullo sviluppo di esiti psicopatologici relativi al comportamento alimentare, costituisce un argomento di studio ampiamente trattato in letteratura. Consapevoli dei limiti conoscitivi riguardanti la questione e dei limiti dell’impianto di ricerca, si tenterà, all’interno del seguente elaborato, di fornire una visione il più possibile completa dell’argomento. La cornice teorica di riferimento all’interno del quale si colloca la ricerca è definita dalla Teoria dell’Attaccamento. Nel primo capitolo infatti, si descriveranno i costrutti fondamentali di essa, la quale individua in John Bowlby (1969) il proprio iniziatore ed è interessata a studiare il processo evolutivo del bambino in una prospettiva relazionale. Si opererà una distinzione tra Comportamento di Attaccamento, Legame di Attaccamento e Sistemi di Attaccamento, facendo riferimento sia alla dimensione biologica che a quella ambientale.

Si delineerà poi, la necessità di distinguere i vari pattern di attaccamento che possono scaturire da relazioni significative variamente soddisfacenti e, successivamente, definire e spiegare il concetto di Modelli Operativi Interni

(IWM), schemi rappresentazionali strutturatisi nell’ambito dell’interazione con la

Figura di Attaccamento, particolarmente utili ai fini della comprensione di psicopatologie e di strategie familiari disadattive.

In seguito, verranno distinte le varie tipologie di attaccamento che definiscono gli individui adulti, differenziandole da quelle di bambini e adolescenti. Verranno poi

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esaminati i diversi cambiamenti che connotano il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, sia dal punto di vista neurocognitivo, tentando di individuare in che modo queste acquisizioni influenzano i progressi metarappresentazionali e di ragionamento sociale, sia dal punto di vista della riorganizzazione degli IWM; il presupposto è che la riorganizzazione identitaria e rappresentazionale tipica della fase adolescenziale eserciti una poderosa influenza sulle capacità adattive e relazionali dei giovani adolescenti.

Sarà poi descritto il costrutto di funzione riflessiva (Fonagy, 1997), prodotto di una prospettiva psicologica che individua nell’interazione adulto-bambino, il principale canale che permette al neonato il riconoscimento delle emozioni, evidenziando il nesso con lo strumento simbolico. Uno sguardo infine, sarà orientato ai vari tipi di psicopatologia variamente associati ai diversi pattern di attaccamento.

Nel secondo capitolo si farà specifico riferimento ai Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), manifestazioni cliniche di un disagio che individua nel cibo solo lo strumento per esprimersi e non la propria causa, con uno sguardo ai dati epidemiologici attuali.

Successivamente si analizzeranno i fattori eziopatogenetici e quelli di rischio enfatizzando i fattori predisponenti psicologici e a quelli familiari.

Si approfondirà poi, lo studio di tre diverse classi di disturbi: Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder) con particolare attenzione all’analisi relativa a criteri diagnostici, sottotipi, manifestazioni cliniche, esordio, decorso e diagnosi differenziale. Si

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descriverà poi l’importanza dello stile di attaccamento nella “strutturazione della coscienza corporea”, costrutto descritto e approfondito da Selvini Palazzoli (2006) come risultato di un processo di apprendimento avvenuto nell’ambito del rapporto tra la nutrice e la primaria fonte esperienziale del bambino, il corpo.

Nei capitoli successivi verranno illustrati il progetto di ricerca e la metodologia utilizzata; verranno presentati i principali risultati emersi e discusse le relative implicazioni, alla luce della letteratura esistente in merito.

La letteratura ha cercato spesso di individuare un’associazione tra gli stili di attaccamento e gli sviluppi psicopatologici; in particolare, gli studiosi che hanno confrontato gli stili di attaccamento tra gruppi di pazienti con DCA e soggetti sani, hanno trovato una prevalenza di stili di attaccamento insicuro in soggetti con DCA e stili in gran parte sicuri nei controlli (Friedberg e Lyddon , 1996; Kenny & Heart, 1992). Anche Fonagy (Fonagy et al. 1996) ipotizza la possibilità di rilevare una relazione tra attaccamenti insicuri e psicopatologia. Attili (2004) ha condotto uno studio finalizzato ad individuare le organizzazioni mentali dell’attaccamento nei disturbi del comportamento alimentare, rintracciando come i DCA siano raramente associati a modelli mentali dell’attaccamento sicuro. I vari pattern di attaccamento dunque, si esprimeranno sul piano comportamentale, cognitivo ed emotivo del soggetto in funzione delle rappresentazioni mentali maturate con le Figure di Attaccamento.

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C

APITOLO

1:

L’A

TTACCAMENTO

«Poiché fare il genitore con successo è una chiave di volta per la salute mentale delle successive generazioni, abbiamo bisogno di sapere tutto il possibile riguardo alle molteplici condizioni sociali e psicologiche che influenzano in senso positivo o negativo lo sviluppo di tale processo»1 . Con questa affermazione, John Bowlby, psichiatra e psicoanalista britannico, getta le fondamenta della struttura che avrebbe costituito la Teoria dell’Attaccamento (TdA). Nell’esaminare la natura del legame del bambino verso la madre, lo studioso considera tale legame come l’esito di un sistema di schemi comportamentali che, in condizioni normali, si sviluppa nei primi mesi di vita ed ha la funzione adattiva di garantire al bambino una certa prossimità con la figura significativa per eccellenza.

Questa teoria supera la concezione psicoanalitica dello sviluppo infantile, discostandosi dal modello pulsionale e ponendo l’accento sul modello relazionale: mentre nel primo caso il bambino sviluppa con la madre un legame guidato da una

motivazione secondaria ad ottenere la gratificazione dei bisogni primari

(soprattutto orali), in questa nuova prospettiva il legame è fondamentale per garantire sicurezza e protezione nei confronti dei pericoli e quindi promosso da una motivazione primaria. Il modello freudiano ha comunque rappresentato per Bowlby la prima finestra di osservazione e viene riconosciuto dallo studioso come

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BOWLBY,J. (1989). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 1.

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il punto di partenza della propria dissertazione. La prospettiva è dichiaratamente etologica ed estende i principi che regolano il mondo animale al contesto umano. La selezione naturale ha operato in modo che all’interno dell’individuo fosse presente un’organizzazione psicologica a base innata, chiamata Sistema dell’

Attaccamento, deputata a garantire la protezione dai pericoli tramite il

mantenimento della vicinanza con la madre. L’attaccamento infatti è considerato un sistema motivazionale primario nel piccolo in quanto la regolazione della sicurezza è il compito primario nella vita del bambino. Un importante contributo alla riflessione bowlbyana deriva dalla teoria evolutiva darwiniana per cui il comportamento del bambino, le sua cognizione, il suo sviluppo emozionale e motivazionale hanno una funzione adattiva e debbono essere studiati secondo i principi delle scienze naturali.

Nella TdA assumono particolare rilevanza le componenti ambientale ed esperienziale in quanto costituiscono un elemento determinante nello sviluppo affettivo normale e patologico.

L’apprendimento di modalità comunicative efficaci avviene all’interno della cosiddetta relazione diadica con la madre, primaria fonte di alimentazione della vita del piccolo. All’interno di essa si manifesta un ampio numero di interazioni faccia a faccia che favoriscono lo scambio non verbale dei segnali emotivi. Il bambino apprende così vari aspetti della vita emotiva: il significato delle emozioni, la loro rilevanza per il proprio benessere, le emozioni negative legate alla trascuratezza emotiva, la regolazione affettiva. È in questo modo che le

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emozioni del piccolo si trasformano da fenomeno psicobiologico a vero e proprio evento psicologico ovvero ad esperienza di rilevanza soggettiva.

L’intersoggettività primaria è una modalità comunicativa contingente ovvero reciprocamente influenzata dal comportamento dell’altro: in questo spazio condiviso, oltre a sperimentare esperienze e conseguenze di mutua regolazione, di armonia o di violata reciprocità, il bambino acquisisce per la prima volta il senso di sé come agente capace di azioni in grado di influenzare l’altro e di determinare delle conseguenze. L’intersoggettività secondaria, infine, permetterà alla dìade di sintonizzare reciprocamente i propri stati interni (Barone, 2010).

Il senso di sé e lo sviluppo di facoltà cognitive, percettive e sensoriali definiranno dunque, i precursori dell’attaccamento.

1.1 Comportamento di attaccamento e legame di attaccamento

Il sistema dell’attaccamento si attiva in condizioni interne o esterne di insicurezza o stress emotivo e fa emettere quei comportamenti definiti comportamenti

dell’attaccamento oppure fa in modo che vengano esperite le emozioni relative

(ansia, paura, angoscia). «Nessuna forma di comportamento è accompagnata da intense emozioni più che il comportamento di attaccamento»2.

Il comportamento di attaccamento inizia a manifestarsi nel momento in cui il bambino non solo riconosce la madre mostrando una chiara discriminazione percettiva nei suoi confronti (sorriso, vocalizzi, sguardo prolungato) ma inizia anche a comportarsi in modo da mantenere una certa vicinanza con essa. Questo

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comportamento si riscontra più palesemente in seguito ad esperienze di separazione momentanea con la figura significativa ovvero quando, uscendo la madre dalla camera, il bambino piange o cerca di seguirla con lo sguardo, ed al momento del ricongiungimento con essa, quando il bambino la accoglie sorridendo, alzando le braccia od emettendo grida di gioia.

Mary Ainsworth e gli studiosi Shaffer e Emerson hanno studiato il comportamento di attaccamento in bambini di differenti contesti geografico-culturali e hanno fornito dei resoconti concordanti su molti dati:

 la notevole oscillazione interindividuale dell’età di comparsa del comportamento di attaccamento;

 la frequenza con cui il comportamento di attaccamento è diretto verso figure diverse dalla madre: nel mese successivo alle prime manifestazioni, solo una parte dei bambini dirigeva il comportamento anche verso altri membri della famiglia e all’età di 18 mesi tutti i bambini si mostravano attaccati ad un’altra figura oltre la madre;

 il padre come figura che, dopo la madre, più spesso suscita il comportamento di attaccamento;

 la considerevole variazione nell’ordine di ore o giorni dell’intensità e della regolarità di manifestazione del comportamento di attaccamento: le variabili responsabili di questi cambiamenti a breve termine sono orgasmiche (fame, stanchezza, malattia) e ambientali.

 il ruolo attivo del piccolo all’interno della relazione: nonostante molti dati concordino sul fatto che siano le cure della madre ad influenzare lo

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sviluppo del comportamento di attaccamento, non è da trascurare il fatto che spesso sia proprio il piccolo a promuovere l’interazione ed a influenzarla attraverso la messa in atto di atteggiamenti seduttivi.

Questi risultati, hanno permesso di affermare che il sistema di attaccamento, seppur influenzato da fattori culturali, ha origini prevalentemente biologiche.

A partire dalla fine del primo anno di vita, il comportamento di attaccamento, perde il connotato di continuità ed inizia a manifestarsi solo in quelle situazioni di sovraccarico emozionale (ansia, malattia, paura) per poi scomparire in situazioni di scarsa rilevanza emotiva. Ciò non costituisce un cambiamento di intensità o frequenza del comportamento di attaccamento rispetto al periodo precedente: succede che «l’ aumento della portata percettiva del bambino»3

e la sua accresciuta capacità di comprendere gli eventi esterni, modificano le circostanze che suscitano il comportamento stesso (Bowlby, 1969). Le differenze individuali tra i bambini sono infatti definite a partire da questo momento e risultano valutabili attraverso l’utilizzo di metodi come la Strange Situation. Questa procedura sperimentale, ideata da Mary Ainsworth, si articola in otto fasi durante le quali il bambino viene osservato giocare in presenza della madre, poi in sua assenza, in presenza di un estraneo ed infine da solo. In particolare vengono registrati i comportamenti del piccolo al momento dell’allontanamento e poi della ricongiunzione con la madre (Ainsworth et al., 1978).

Oltre al comportamento di attaccamento, la TdA, chiarisce e differenzia dal precedente, il concetto di legame d’attaccamento, definendolo nei termini di «un

3 B

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insieme di relazioni a livello neurofisiologico e psichico […] in grado di generare interiormente una figura materna quale fonte di sicurezza e benessere, da cui il bambino prende lo slancio per rivolgersi al mondo esterno»4. Non tutti i rapporti umani, seppure significativi, possono essere considerati legami d’attaccamento: affinchè un legame possa essere considerato tale devono essere presenti almeno 3 condizioni di base: 1) la ricerca di vicinanza tra la persona attaccata e quella che offre attaccamento, 2) la presenza di reazioni di protesta, ovvero la comparsa del “comportamento di attaccamento”, di fronte alla separazione, 3) lo sviluppo di una base sicura, cioè di una particolare atmosfera di sicurezza e fiducia tra il piccolo e la figura di riferimento. Il concetto di base sicura, introdotto da Mary Ainsworth e valorizzato da Bowlby, è stato utilizzato per spiegare efficacemente come il bambino, per esplorare il mondo abbia bisogno di sentirsi sicuro e di avere la certezza di trovare, in caso di difficoltà, aiuto e sostegno nella figura di riferimento.

Il complesso sistema di interazioni instauratosi tra madre e bambino assume la forma di uno schema generale che condizionerà tutte le successive relazioni del bambino, anche in età adulta. Ciò implica che la qualità dell’esperienza di relazione è determinata dalla capacità della madre di mostrarsi responsiva ovvero dalla sua attitudine a comprendere, contenere e rispondere adeguatamente alla richiesta affettiva del piccolo.

Alla fine del primo anno di vita, al momento dell’imprinting filiale, nel bambino vengono fissate non solo le caratteristiche visive del caregiver ma anche le sue modalità allevanti le quali saranno accettate dal piccolo in maniera

4 F

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imprescindibile dalla loro qualità. Siano esse adeguate o carenti, il bambino le riconoscerà come valide e adatterà ad esse le proprie richieste affettive: svilupperà dunque i cosiddetti Modelli Operativi Interni (IWM), rappresentazioni interne di sé e della madre che regoleranno il passaggio da una gestione diadica ad una gestione autonoma di emozioni e comportamenti. I modelli interni fungeranno da script, mappe cognitive di riferimento con duplice funzione:

1. prevedere ed interpretare le possibili reazioni della madre alle proprie richieste di cura e conforto;

2. definire aspettative circa le proprie reazioni alle risposte concrete del caregiver.

Le previsioni riguardanti le reazioni della madre verranno poi generalizzate ed estese agli individui che sono al di fuori di quella relazione e quindi anche a coloro con i quali il bambino instaurerà, da adulto, relazioni affettive. È in questo modo che lo sviluppo affettivo influenza quello cognitivo e lo sviluppo della personalità.

Inizialmente, tali rappresentazioni non sono fisse ma assumono caratteristiche variabili in linea con le continue e nuove esperienze dell’individuo; sono tuttavia destinate a diventare stabili ed influenzare, a loro volta, la realtà dell’individuo secondo un andamento circolare che confermerà i modelli iniziali (tendenza degli schemi ad autoperpetuarsi).

 Selezione cognitiva delle informazioni: gli IWM fungeranno da filtro nell’elaborazione delle informazioni che provengono dall’esterno secondo processi cognitivi di percezione, di memoria e di attenzione selettiva. Si

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selezioneranno inconsapevolmente solo le informazioni congruenti con le proprie aspettative, formatesi in base alle risposte delle figure significative alle richieste di accudimento;

 Scelta sociale: l’individuo riproporrà, da adulto, situazioni e relazioni con caratteristiche sovrapponibili a quelle delle relazioni precoci, proprio in virtù della tendenza a rafforzare gli IWM.

Le rappresentazioni interne dunque, guideranno il comportamento dell’individuo nelle situazioni nuove ed in quelle stressanti della vita infantile e di quella adulta.

1.2 Pattern di attaccamento e Modelli Operativi Interni (IWM)

Per spiegare la tendenza degli schemi di attaccamento a diventare proprietà del soggetto, la Teoria dell’Attaccamento invoca il concetto, appena descritto, di rappresentazioni dei genitori e del sé. Queste rappresentazioni vanno a stabilirsi come influenti strutture cognitive; esse si basano sull’esperienza di vita reale del bambino circa le modalità di interazione con i genitori e riflettono l’immagine che i genitori hanno del bambino stesso. Tale immagine viene trasmessa al piccolo non solo da come il genitore lo tratta ma anche da ciò che il genitore gli dice, e governerà i suoi sentimenti verso sé stesso e verso i genitori, le sue paure e i suoi desideri. Una volta formatisi, questi modelli diventano sempre più stabili fino ad operare a livello inconscio. In condizioni normali, man mano che il bambino cresce e i genitori modificheranno il proprio modo di interagire con lui, i modelli operativi interni verranno aggiornati. Ciò dimostra che sebbene esista un certo divario di tempo tra la formazione e l’aggiornamento, questi modelli

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continueranno ad essere delle rappresentazioni sufficientemente fedeli alla realtà. Nel caso di attaccamenti insicuri questo aggiornamento del modello è impedito dall’esclusione difensiva di esperienze dolorose ed informazioni discrepanti. Ciò comporta una persistenza del modello in uno stato scorretto ed immutato che guiderà comportamenti disfunzionali anche nelle situazioni che vedranno il soggetto interagire con persone che lo trattano in maniera completamente diversa rispetto a quanto hanno fatto i suoi genitori da bambino.

Abbiamo assodato, dunque, che la competenza comunicativa degli individui dipende dalle risposte della Figure di Attaccamento (FdA), determinanti nella formazione dei modelli operativi interni. Le varie modalità di interazione madre-bambino daranno luogo a speculari pattern d’attaccamento.

1) Attaccamento Sicuro (o di tipo B): è proprio di quelli individui che durante

il primo anno di vita hanno sperimentato una madre accudente e responsiva ovvero in grado di accogliere e rispondere tempestivamente ed adeguatamente alle richieste affettive del piccolo; sensibile dunque, ai bisogni del proprio bambino di conforto e protezione. Questi soggetti risultano in grado di esprimere le proprie emozioni, positive e negative, in maniera fiduciosa; sono in grado di comunicare il proprio disagio ed esplorare in autonomia l’ambiente circostante perché sicuri di poter ristabilire, in caso di necessità, il contatto con la madre, la loro base sicura. Questo tipo di attaccamento consente di avere una buona autostima, fiducia nelle proprie capacità, riconoscimento dei bisogni degli altri, atteggiamento empatico, buona capacità di risoluzione dei conflitti e

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relazioni affettive stabili ed equilibrate in età adulta; un’immagine di sé come individuo degno d’amore, tollerante alle separazioni temporanee, capace di affrontare le difficoltà; l’altro è considerato come persona disponibile e pronta a negoziare.

Un pattern sicuro costituisce fattore protettivo rispetto ad esiti psicopatologici nel corso dello sviluppo.

2) Attaccamento Insicuro – Ansioso Evitante (o di tipo A): peculiare di

soggetti che nel primo anno di vita hanno esperito vissuti di scarso riconoscimento del proprio bisogno d’affetto, di ridicolizzazione dei propri tentativi di contatto e di svalutazione delle proprie paure. Sul piano emotivo questi individui saranno restii ad esprimere chiaramente le proprie emozioni e sul piano comportamentale tenderanno a mostrare una falsa autonomia poiché hanno appreso, all’interno della relazione precoce, a negare il proprio bisogno di sicurezza; sanno che un comportamento indipendente verrà premiato dal genitore. Questo tipo di attaccamento dà luogo ad una rappresentazione dell’altro come distante, assente in caso di necessità, e ad una rappresentazione di sé come individuo non amato né amabile cui si affiancheranno, in età adulta, sentimenti di tristezza, solitudine, rabbia, bassa autostima e tendenza alla negazione dei propri bisogni affettivi e non, con maggiore rischio di esiti psicopatologici e difese immature di tipo proiettivo.

3) Attaccamento Insicuro – Ansioso Ambivalente (o di tipo C): è la tipologia

caratteristica di coloro che hanno interagito con una figura imprevedibile, a tratti disponibile a riconoscere ed accogliere le manifestazioni di

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sconforto e paura, a tratti indifferente ad esse e riluttante ad occuparsene. La madre dunque, non si è mostrata in grado di rispondere in maniera soddisfacente alle esigenze del piccolo il quale svilupperà una rappresentazione dell’altro connotata da requisiti di inaffidabilità, ostilità e incoerenza. La rappresentazione del self invece è connotata da caratteristiche di vulnerabilità e scarsa capacità di affrontare le difficoltà. Sul piano emozionale questi soggetti tendono a manifestare in maniera esagerata le proprie emozioni, enfatizzano i loro bisogni al fine di ottenere maggior attenzione. Sul piano comportamentale manifestano aggressività e risultano difficilmente consolabili perché invasi da sentimenti contrastanti di angoscia e rabbia. Questo tipo di attaccamento favorisce esiti psicopatologici connotati da ansia da separazione, disturbi psicosomatici, ossessioni e fobie.

Questi tre pattern rientrano, da un punto di vista teorico, nella categoria degli attaccamenti organizzati malgrado solo uno di essi sia considerato ottimale. Essi infatti mostrano: la capacità dei bambini di anticipare la reazione della figura d’attaccamento alle proprie richieste di conforto; la buona coordinazione dei vari sistemi di controllo (sistema dell’attaccamento, esplorativo, della paura e affiliativo); la buona coordinazione delle risposte fisiologiche, emotive, cognitive e comportamentali.

4) Attaccamento disorganizzato (o di tipo D): è lo stile di attaccamento tipico

di chi abbia fatto esperienza di una madre totalmente inadeguata nell’offrire accudimento in quanto maltrattante o trascurante, con uno stato

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mentale “non risolto” scaturito da sintomi psichiatrici o lutti irrisolti e modalità di interazione caratterizzate da confusione di pensiero ed azione. Sul piano comportamentale ed emozionale la reazione del bambino costituisce il risultato di una somma di riposte incoerenti ma coesistenti: espressioni di paura, tentativi di contatto, evitamento, freezing, dondolii stereotipati, silenzio, rotolamenti. Questo avviene perché il bambino deve barcamenarsi in una situazione per lui paradossale: ha paura della madre ma allo stesso tempo bisogno di essa. Questi soggetti corrono il rischio di sviluppare modelli mentali degli altri multipli ed incoerenti, e rappresentazioni di sè stessi come esseri minacciosi e minacciati. Questo stile di attaccamento risulta predittivo di disturbi dissociativi in età adulta con prevalenti sentimenti di paura ed angoscia catastrofica sul piano emozionale e con tendenza ad isolamento e violenza sul piano comportamentale.

5) Attaccamento Evitante / Ambivalente (o di tipo A/C): presenta

caratteristiche molto simili al tipo D ma si differenzia da esso per la presenza preponderante di pattern evitanti e ambivalenti rispetto ai comportamenti stereotipati, di freezing e di isolamento. I modelli mentali sviluppati corrispondono ad un essere sempre allerta e pronto a modificare la propria strategia comportamentale su quella degli altri, momento per momento.

Per Bowlby, affinchè «la comunicazione tra individui proceda armoniosamente, ciascuno deve essere consapevole del punto di vista dell’altro, delle sue mete, dei suoi sentimenti e delle sue intenzioni, e ciascuno

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deve adattare il proprio comportamento in modo che possa venir negoziata una certa unificazione delle mete»5. È per questo motivo che risulta estremamente importante e necessario che ognuno disponga di modelli sufficientemente accurati del sé e dell’altro che vengano aggiornati all’interno di una comunicazione libera ed efficace: proprio in questo le coppie madre-bambino con attaccamento sicuro sembrano distinguersi rispetto alle altre.

1.3 Trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento

La Teoria dell’Attaccamento si concentra sui modelli di rappresentazione e sulla capacità dell’individuo di regolare gli stati emotivi interni alla luce degli apprendimenti acquisiti nell’ambito della relazione con la madre. Ricerche sulla relazione tra attaccamento e disturbi del comportamento alimentare mostrano una prevalenza di stili insicuri e di stili disorganizzati (o, in età adulta, non risolti) sia nei pazienti che nei loro genitori, sottolineando l’importanza della trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento rispetto alla comprensione di queste patologie e delle strategie familiari disadattive.

La trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento è quel fenomeno per cui gli individui, nelle relazioni con i propri figli, utilizzano uno stile di interazione simile a quello proprio della loro FdA. Ciò non rappresenta un mero comportamento di imitazione, ma piuttosto l’effetto dell’azione esercitata dai modelli operativi interni che permettono al genitore di cogliere il significato reale dei segnali provenienti dall’ altro. Un soggetto che ha ricevuto supporto emotivo e

5 B

OWLBY,J. (1989). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 15

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che dunque ha acquisito una certa competenza emotiva diverrà in grado, da adulto, di riconoscere i segnali del proprio piccolo e mettere in atto delle risposte adeguate. È per questo che gli IWM degli adulti assumono un senso all’interno al legame con i figli.

La classificazione degli stili di attaccamento negli adulti si differenzia da quella di bambini e adolescenti e si basa: 1) sul resoconto dei soggetti riguardo le esperienze precoci con le figure d’attaccamento; 2) sulla coerenza del racconto; 3) sull’attribuzione di senso rispetto al significato delle esperienze; 4) sulla capacità di comprensione delle scelte dei genitori.

Questi indici permettono di individuare 4 diverse tipologie di adulti:

1. Autonomi/liberi (Free, F): i resoconti danno testimonianza di una figura di riferimento sempre presente, viene attribuita grande importanza alle relazioni con i genitori ma i soggetti si considerano ormai indipendenti da quei legami; in caso di esperienze dolorose questi soggetti mostrano di aver compreso e perdonato le scelte dei genitori. Questo tipo corrisponde ad un attaccamento sicuro in infanzia;

2. Preoccupati/invischiati (Engaged, E): i resoconti risultano connotati da sentimenti di rabbia a causa di una mancanza di supporto e di cura da parte dei genitori (ma non di rifiuto), emerge poi l’incapacità di assumere un’ identità autonoma e indipendente dalla famiglia d’origine alla quale questi soggetti risultano ancora molto legati. I soggetti con questi IWM non sono in grado di assumere un ruolo all’interno di una relazione. Questa categoria corrisponde ad un attaccamento insicuro-ambivalente.

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3. Distaccato/distanziante (Dismissing, D): le descrizioni riflettono un esplicito disinteresse rispetto ai legami affettivi ed un disconoscimento dell’importanza che quei legami avrebbero avuto nella formazione della personalità. Il ricordo delle esperienze infantili risulta povero e frammentato e le figure di attaccamento, seppur idealizzate, fanno pensare a soggetti rifiutanti ed affettivamente non disponibili. Questa categoria corrisponde ad un attaccamento ansioso – evitante.

4. Non risolto (Unresolved, U): le descrizioni rivelano una mancata elaborazione e risoluzione di traumi o lutti oltre che un’incapacità di gestire una narrazione dotata di logica e coerenza. Questa categoria corrisponde ad un attaccamento disorganizzato.

1.4 Adolescenza e attaccamento

La Teoria dell’Attaccamento offre il proprio contributo non solo allo studio delle prime fasi dello sviluppo dell’individuo ma anche di tutto il ciclo vitale, contribuendo così alla comprensione delle trasformazioni, della funzione e degli esiti delle differenti fasi.

I legami affettivi, durante il ciclo vitale, vanno incontro ad una riorganizzazione che includerà non solo il legame figlio-genitori ma anche il legame con i fratelli, il partner sessuale, gli amici. Così, per ogni nuova fase dello sviluppo, gli individui devono rinegoziare l’equilibrio tra l’essere in rapporto con le figure significative e l’essere autonomi. Nelle fasi successive all’infanzia, diminuisce in maniera naturale l’orientamento esclusivo ai genitori ed in particolare alla madre e gli

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attaccamenti si qualificano sempre più come attaccamenti multipli, ovvero legami significativi con più persone contemporaneamente. La possibilità di sviluppare attaccamenti multipli costituisce una prova di grande flessibilità del sistema relazionale del bambino e rappresenta un elemento vantaggioso per lo sviluppo normale: ad esempio di fronte ad un attaccamento insicuro con la madre e di uno sicuro col padre, gli effetti del primo potranno essere mitigati dall’influenza del secondo, accrescendo le probabilità di sviluppare un attaccamento sicuro per il bambino.

Dal punto di vista evolutivo e dell’attaccamento, durante la prima adolescenza, si va incontro a cambiamenti in varie aree:

 Trasformazioni fisiche e puberali che influenzano la percezione propria e altrui;

 Cambiamenti affettivi dovuti al graduale distacco dalla figure d’attaccamento;

 Modificazioni cognitive dovute a fenomeni fisiologici di maturazione cerebrale: pensiero astratto, ragionamento logico, metacognizione, funzione riflessiva, sistemi di memoria episodica e semantica;

 Preferenza per il gruppo dei pari.

Questi complessi cambiamenti hanno importanti influenze sull’organizzazione dell’attaccamento nonostante il rapporto genitori-figli permanga ancora forte: gli studiosi parlano di «riorganizzazione e rinegoziazione dei legami familiari»6 (Steinberg, 1990). Durante l’adolescenza infatti, il tempo condiviso con i genitori,

6 Cfr. S

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le decisioni condivise e l’intimità affettiva si riducono notevolmente e il funzionamento familiare può andare incontro a notevoli modificazioni. Si può affermare che l’acquisizione di capacità cognitive più mature e la possibilità di predire in modo più accurato il comportamento dell’altro, rende possibile, in adolescenza, l’espressione di configurazioni di attaccamento di accresciuta complessità.

Le differenti organizzazioni di attaccamento, sono influenzate, in particolare da A) strutture cognitive, B) funzioni linguistiche e C) regolazione affettiva, e danno luogo a differenti tipi di personalità.

1. Gli adolescenti sicuri mostrano una maggiore capacità di integrare sentimenti positivi e negativi facendo uso della capacità riflessiva, di comprendere gli stati mentali personali e quelli dei genitori. Per tali motivi, in adolescenza possono adattarsi meglio e comprendere cambiamenti personali e relazionali che riguardano i genitori. Questo dimostra anche l’influenza che lo stile di attaccamento ha sulla capacità di mentalizzazione degli adolescenti: la capacità di comprendere le proprie ed altrui emozioni permette lo sviluppo di una relazione e di un confronto empatici. La competenza comunicativa del genitore viene infatti sperimentata ed appresa dal figlio all’interno della relazione. I soggetti sicuri utilizzano la capacità riflessiva a vantaggio delle relazioni e per una gestione efficace dei conflitti. Da un punto di vista cognitivo invece presentano una memoria dichiarativa integrata nelle componenti autobiografiche e semantiche. L’espressione linguistica risulta chiara e

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coerente, breve ed esaustiva. Questi soggetti mostrano un atteggiamento positivo verso di sé e nei confronti degli altri, con propensione ad instaurare relazioni intime senza perdere l’autonomia.

2. Gli adolescenti insicuri - evitanti, tendono a minimizzare l’importanza delle relazioni di attaccamento nelle loro vite attraverso l’idealizzazione o la svalutazione dei genitori col risultato di creare un’ulteriore distanza nei rapporti con le figure parentali. In altre parole enfatizzano gli aspetti cognitivi e falsificano quelli emotivi (falsa affettività), tutto ciò a scapito delle relazioni. La falsa affettività si manifesta attraverso una negazione dei propri bisogni ed un allontanamento degli affetti considerati negativi (rabbia, paura) ma anche tramite la tendenza ad evitare proteste e a compiacere gli altri anche in condizioni per sé stessi disagevoli. Questi soggetti assumono in maniera acritica il punto di vista degli altri assumendo su di sé ogni responsabilità. Proprio in virtù di questa falsa affettività non riescono a riconoscere, e quindi a controllare, le emozioni dalle quali capita talvolta di essere pervasi: ciò si traduce nel rischio di scompensi psichici o fisici e conseguenti disturbi comportamentali. Tendono a presentare una scarsa integrazione tra memoria semantica, che appare conservata, e memoria episodica, solitamente impoverita, probabilmente risultante da meccanismi difensivi che impediscono l’accesso ad informazioni dolorose. L’espressione linguistica è distante e sintetica e quella emotiva molto limitata. Maturano un’alta concezione di sé stessi e bassa degli altri e per questo sono orientati ad una marcata indipendenza per mancanza di fiducia ed intimità con gli altri.

(23)

24

3. Gli adolescenti insicuri - ambivalenti, mostrano un’incapacità di liberarsi da eccessive preoccupazioni o coinvolgimenti nei legami d’attaccamento perché concentrati sull’imprevedibilità della figura di riferimento. Essi privilegiano le emozioni e da adulti falsificano le informazioni cognitive (falsa cognitività) per ingannare l’altro, indurlo ad assumere il proprio punto di vista e raggiungere i propri obiettivi. Raccontano bugie, compiono furti, assumono comportamenti seduttivi per manipolare gli altri. L’esagerazione degli stati emotivi a discapito delle informazioni cognitive li rende solitamente incapaci di valutare gli effetti reali dei propri comportamenti. A livello cognitivo presentano anch’essi una scarsa integrazione tra memoria episodica e semantica. L’espressione verbale assume i connotati di ridondanza ed eccessività. Hanno un’alta espressività emozionale, una concezione negativa del sé e dell’altro ed evitano le relazioni per paura del rifiuto, mancanza di fiducia ed insicurezza personale.

4. Gli adolescenti disorganizzati, infine, presentano un’organizzazione cognitiva disturbata con memorie multiple ed incompatibili tra loro. L’espressione verbale si caratterizza per confusione, illogicità ed incoerenza.

I cambiamenti affettivi, cognitivi e fisici, consentono dunque una revisione dei modelli operativi interni (IWM) nel corso dell’adolescenza; nonostante questo è importante sottolineare che permane una certa continuità nell’organizzazione dell’attaccamento.

(24)

25

Il progressivo distacco dalla figure primarie è scandito da separazioni gradualmente più lunghe e frequenti con periodiche riattivazioni dell’attaccamento ai genitori. Durante queste separazioni, l’adolescente mette alla prova le proprie capacità, ricerca nuove figure di attaccamento e si basa sempre più sulle proprie competenze per operare in autonomia. L’attaccamento continua a garantire all’adolescente una certa sicurezza nelle situazioni emotivamente rilevanti, di stress o di transizione; i genitori, dunque continuano a fornire una

base sicura incoraggiando, nel contempo, il figlio e ponendosi come solido

supporto al difficile tentativo di conquista dell’autonomia, della fiducia personale e dell’identità dello stesso.

Le condizioni che sono risultate più importanti per lo sviluppo della qualità dell’attaccamento fino all’adolescenza sono:

 La continuità delle cure genitoriali

 La sensibilità materna nel corso dell’infanzia  I modelli operativi interni degli stessi genitori

Il genitore infatti, come si è detto, ha sviluppato a sua volta rappresentazioni interne conseguentemente alle esperienze personali e alla qualità della relazione con le proprie figure significative sia in infanzia che in età adulta.

Nella fase adolescenziale, differentemente dall’infanzia, viene ricercata soprattutto la disponibilità psicologica della figura di attaccamento piuttosto che la vicinanza fisica. La relazione con i genitori diventa maggiormente simmetrica e il figlio non solo si aspetta da loro protezione e sostegno ma diviene capace di contraccambiare, in un certo grado, l’aiuto ricevuto.

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26

Un’ultima precisazione riguarda i fattori che influenzano, in questa fase, l’evoluzione delle rappresentazioni interne dell’attaccamento. I processi di riorganizzazione dei modelli operativi interni risultano promossi, fino all’infanzia, sia dallo sviluppo individuale che da esperienze significative (lutti, malattie, traumi); con la fine dell’infanzia e l’inizio dell’adolescenza, questi cambiamenti sembrano prevalentemente influenzati dagli eventi di vita stressanti, rispetto alle relazioni significative precoci.

1.5 Attaccamento e Funzione Riflessiva

Nel descrivere il profilo dell’adolescente si è accennato alla presenza di modificazioni cognitive dovute a processi fisiologici di maturazione cerebrale. Tra queste, la “funzione riflessiva” risulta particolarmente rilevante nel processo di attaccamento. Il costrutto, introdotto da Peter Fonagy (1997), costituisce l’operazionalizzazione, ai fini di ricerca, della nozione di “mentalizzazione” con la quale si fa riferimento alla capacità del soggetto di attribuire a sé stesso e agli altri gli stati mentali e di utilizzare questa capacità per prevedere ed interpretare il comportamento altrui e calibrare il proprio sulla base di quelle stesse previsioni. Qualora questa funzione risulti deficitaria, può, secondo l’autore, «spingere il bambino ad usare il proprio corpo invece che la mente»7.

La funzione riflessiva si compone di 5 dimensioni (Baldoni, 2007):

 Auto-riflessività: capacità di rappresentazione di stati mentali propri;

7 F

ONAGY,P.,&TARGET,M. (1997). Attachment and reflective function: Their role in self-organization. Development and psychopathology, 9(04), p. 679.

(26)

27  Comprensione degli stati mentali altrui;

 Decentramento: capacità di attribuire all’altro uno stato mentale indipendente dal proprio;

 Integrazione: capacità di riconoscere le connessioni tra gli stati mentali propri e altrui;

 Mastery: capacità di rappresentarsi gli stati mentali in termini di problemi e di strategie di risoluzione degli stessi.

Baldoni evidenzia come la funzione riflessiva possa essere studiata non solo in prospettiva cognitivista ma, nell’ambito dello studio dell’attaccamento, anche in chiave sistemica, in quanto costituisce certamente un requisito individuale, ma acquisito nell’ambito di una relazione. La relazione è pensata, in questa prospettiva, come parte di un sistema: di conseguenza la funzione riflessiva rappresenta il risultato di un sistema di relazioni.

La funzione riflessiva si acquisisce nell’ambito delle relazioni d’attaccamento ed è fondamentale per l’organizzazione della personalità e la regolazione delle emozioni; la sua carenza invece, è riveniente dal fallimento della funzione riflessiva genitoriale e costituisce un fattore prognostico negativo per lo sviluppo di disturbi psicologici, comportamentali e somatici.

Numerosi studi condotti da Fonagy, Target, Baldoni e Trombini hanno dimostrato come una capacità riflessiva scarsamente sviluppata risulta correlata con:

1) lo sviluppo di un attaccamento insicuro (distanziante o preoccupato); 2) ridotta capacità di espressione emotiva;

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28

3) ridotta capacità di regolazione e controllo degli affetti: scompensi psicosomatici, alessitimìa;

4) disturbi psichici: disturbi di personalità, disturbi del comportamento alimentare, depressione;

5) comportamenti antisociali: bullismo, violenza, abusi; 6) aumentata vulnerabilità ai traumi.

La relazione tra mentalizzazione e scarsa regolazione degli stati affettivi risulta giustificata dal fatto che «le percezioni somatiche non sono sottoposte ad una elaborazione simbolica adeguata e non assumono, quindi, un significato psicologico»8. Sappiamo infatti, che la funzione simbolica è un precursore della funzione riflessiva. L’aggettivo “riflessiva”, si riferisce non tanto alla percezione dell’esperienza corrente, quanto piuttosto alla sensazione che deriva da una specifica attribuzione di significato e quindi alla funzione valutativa. Lev Vygotskij postula la coscienza (e le altre funzioni psichiche superiori) come risultato dell’interazione sociale che favorisce lo sviluppo cognitivo servendosi dello strumento simbolico (soprattutto quello linguistico). Attraverso l’interiorizzazione di tale strumento è possibile passare da processi psichici elementari quali memoria naturale e attenzione spontanea, a funzioni psichiche superiori come la memoria logica, l’attenzione volontaria e il ragionamento concettuale. Quest’ultimo ci permette di trasformare le percezioni concrete in concetti astratti, di adoperare schemi logici di classificazione (il cane è un

8 Cfr. B

ALDONI,F. (2008). Alle origini del trauma: confusione delle lingue e fallimento della funzione riflessiva. G.CROCETTI,A.ZARRI (Eds.): Gli dei della notte sulle sorgenti della vita. Il

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29

animale), di seriazione e di implicazione (se…allora). Tutto ciò permette di acquisire le facoltà riflessive.

Sul piano della funzione riflessiva, l’acquisizione di schemi logici di implicazione permette di interpretare i comportamenti altrui come il risultato di stati mentali contingenti. Questa competenza, dice Baldoni, «ha un effetto di protezione per il bambino rispetto all’incoerenza del genitore e permette un’elaborazione adeguata dell’esperienza, rendendola non traumatica»9

. In termini pratici, pensando alle situazioni proposte da Attili nel Separation Anxiety Test (SAT), procedura di indagine dello stile di attaccamento, un bambino con una buona funzione riflessiva è in grado di attribuire l’allontanamento dei genitori a ragioni indipendenti dal proprio comportamento e di non interpretarlo, ad esempio, come una messa in discussione dei loro sentimenti per lui.

Il fallimento della funzione riflessiva conduce, invece, ad una confusione simbolica: ciò si traduce nella tendenza del soggetto ad attribuire una valenza traumatica a gran parte delle esperienze e in un ricorso massiccio alle difese. La relazione tra scarsa mentalizzazione ed aumentata vulnerabilità ai traumi è così spiegata.

Anche nell’adulto la funzione riflessiva è fondamentale: di fronte ad un comportamento patologico del figlio, il genitore scarsamente capace di riflettere sugli stati mentali del figlio, metterà in atto una risposta inappropriata e restituirà ad esso un’immagine estremamente negativa.

9 Cfr. B

ALDONI,F. (2007). Modelli operativi interni e relazioni di attaccamento in preadolescenza. In G. Crocetti & R .Aragosta (Eds.), Preadolescenza. Il bambino caduto dalle fiabe. Teoria della

(29)

30

1.6 Attaccamento insicuro e psicopatologia

Sono stati finora enunciati i principi che regolano i legami d’attaccamento, le caratteristiche dei relativi comportamenti ed i vari pattern possibili di relazione. Si è arrivati a concludere che i differenti pattern di attaccamento possono costituire fattore di rischio o di protezione per lo sviluppo di esiti psicopatologici e sono state descritte le modalità attraverso le quali questo può avvenire. Concentriamoci ora sugli stili di attaccamento insicuri e sulle possibili psicopatologie associate ad essi.

In generale, le psicopatologie associate ad attaccamento insicuro sono quelle definite internalizzanti od esternalizzanti e cioè, rispettivamente centrate su strategie inconsce di inibizione od esagerazione delle emozioni o, in altri casi, di scissione delle emozioni dai pensieri cui dovrebbero essere connesse. Vediamole nello specifico.

Ad un attaccamento evitante possono essere associati disturbi emotivi, psicosomatici, disturbi della condotta con manifestazioni di isolamento ed aggressività, disturbi da deficit d’attenzione e iperattività, disturbi del comportamento alimentare di tipo anoressico – restrittivo (soprattutto in adolescenti) e disturbi di personalità di tipo narcisistico o antisociale.

Le patologie associate ad un attaccamento ambivalente sono invece i disturbi d’ansia, le fobie, i disturbi psicosomatici (asma, dermatite), i disturbi della condotta, i disturbi da deficit d’attenzione, i disturbi del comportamento alimentare di tipo anoressico-purgativo (riscontrabili soprattutto in adolescenti) e i disturbi di personalità di tipo istrionico e borderline.

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31

Le patologie rivenienti da un attaccamento disorganizzato possono invece manifestarsi come fenomeni dissociativi della coscienza. Nel bambino questi fenomeni si concretizzano in strategie di cut off cioè comportamenti che hanno l’obiettivo di ridurre la ricezione degli stimoli che potrebbero dar luogo ad emozioni spiacevoli. A lungo termine, in seguito alla maturazione cerebrale e quindi allo sviluppo delle facoltà cognitive, i processi di cut off si verificano a livello mentale evolvendo in una riduzione o perdita della capacità della mente di integrazione dei contenuti; oltre ai disturbi dissociativi, lo stile disorganizzato potrebbe dar luogo al disturbo di personalità borderline e a disturbi alimentari di tipo bulimico.

È importante tuttavia fare una precisazione: affermare che l’attaccamento condizioni, con buona probabilità, il modo di percepire, rapportarsi e pensare a sè stessi e agli altri e che, dunque, influenzi personalità e stile cognitivo, non corrisponde a dichiarare che lo stesso determini una patologia. Ad intervenire nell’ eziologia di un disturbo sono fattori disparati che vanno individuati caso per caso. Uno stesso sintomo infatti può assumere una funzione diversa da relazione a relazione ed uno stesso pattern di attaccamento può esprimersi secondo modalità diverse sul piano comportamentale, cognitivo ed emotivo, in funzione delle rappresentazioni mentali interne e della loro efficacia nel mantenere una certa relazione con le FdA.

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32

C

APITOLO

2:

I

D

ISTURBI

D

EL

C

OMPORTAMENTO

A

LIMENTARE

I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) costituiscono una condizione psicopatologica caratterizzata da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale (APA, 2013), non secondari ad alcuna condizione medica o psichiatrica conosciuta (Fairburn e Harrison, 2003). Nella recente classificazione diagnostica del DSM-5 sono incluse 8 categorie diagnostiche quali:

1. Pica;

2. Disturbo da ruminazione;

3. Disturbo da evitamento / restrizione dell’assunzione di cibo; 4. Anoressia Nervosa;

5. Bulimia Nervosa;

6. Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder); 7. Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con specificazione;

8. Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione.

Le prime tre categorie riguardano prevalentemente i disturbi della nutrizione in infanzia mentre le sindromi più frequenti in adolescenza e in età adulta sono l’Anoressia Nervosa, la Bulimia Nervosa ed il Disturbo da Alimentazione Incontrollata, forme che costituiranno il fulcro della nostra rassegna.

(32)

33

Nella realtà clinica tuttavia, il confine di demarcazione tra questi disturbi risulta tutt’altro che netto: si rivela infatti, sempre più ostica, la collocazione delle forme quanto mai mutevoli dei Disturbi del Comportamento Alimentare all’interno degli alberi decisionali delle nosografie attualmente condivise. Le sindromi più frequenti si presentano con caratteristiche molto diverse rispetto ai quadri definiti

puri e spesso, si registrano fluttuazioni sintomatologiche nell’arco della storia

psicopatologica dello stesso paziente: il 50% dei soggetti anoressici manifesta, ad esempio, sintomi anche bulimici (Dalla Ragione et al., 2012). Non è un caso che all’interno dei nuovi manuali diagnostici sia stata inserita la categoria dei Disturbi del Comportamento Alimentare non Altrimenti Specificati i quali includono le forme parziali e quelle subcliniche riferibili a quei casi che non raggiungono i criteri per una diagnosi di Anoressia o di Bulimia. Queste ultime dunque, costituiscono i quadri tipici e rappresentano gli estremi di un continuum che comprende una serie di profili intermedi costituiti dalle restanti forme sopra citate.

2.1 Statistiche e fenomenologia

L’ indagine epidemiologica internazionale mostra indici di prevalenza dei DCA (numero di casi osservati in una data unità di tempo all’interno di una popolazione) in un rapporto femmine/maschi di 9:1 ed un’incidenza (numero di nuovi casi nella popolazione in un determinato periodo di tempo) maggiore della patologia bulimica rispetto a quella anoressica.

In Italia invece, due milioni di persone soffrono di questi disturbi e decine di milioni di nuovi casi si registrano ogni anno. I DCA colpiscono in prevalenza il

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34

sesso femminile in un rapporto femmine / maschi di 10:1 e l’età di insorgenza della patologia oscilla dai 12 ai 25 anni con un’età media di insorgenza di 17 anni. Il disturbo colpisce il 10% della popolazione femminile, un dato da considerarsi sconvolgente se si pensa che 10 adolescenti su 100 soffrono di una forma del disturbo in un rapporto tipica/atipica di 2:10 e che questi dati non includono tutti i casi che non raggiungono i centri specializzati rimanendo pertanto al di fuori delle statistiche. Tra le forme che consideriamo tipiche, la Bulimia ha una più elevata età di insorgenza rispetto all’ Anoressia e viene diagnosticata con una frequenza addirittura doppia rispetto a quest’ultima.

I tratti distintivi dei Disturbi del Comportamento Alimentare, sono stati soggetti a mutazioni in linea con i cambiamenti culturali e storici dello scenario mondiale, configurandosi come i canali preferenziali per comunicare un disagio che individua nel cibo solo lo strumento per esprimersi e non la propria causa. Gli studiosi parlano di “patoplasticità” per riferisti alla natura “plastica” del disturbo, alla sua adattabilità ai decorsi storici. I fattori patoplastici sono quelli che influiscono sulla fenomenologia del disturbo senza però causarlo direttamente; rappresentano cioè degli elementi di predisposizione allo sviluppo del sintomo e sono determinanti nel modellare la forma che prenderà la malattia. Riportiamo un esempio pratico. Nel medioevo, periodo storico permeato da un forte senso religioso, il disturbo anoressico prendeva la forma del digiuno ascetico (Fabbro, 2012), una pratica finalizzata a perseguire ideali religiosi superiori attraverso la mortificazione del corpo e che conduceva, prevedibilmente, alla morte per cachessia. I primi casi clinici sono stati descritti nel 600’ e più tardi, nell’800’, studiati dai medici del tempo (William Gull, Charles Lasègue) per diventare un

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35

fenomeno dirompente solo a partire dal 900’, periodo che coincide, almeno in una parte dello scenario mondiale, con un aumento significativo dell’offerta di cibo. Il retroscena culturale, fa dunque da chiave di volta per l’interpretazione dei flutti che caratterizzano il comportamento alimentare nel corso della storia. Come anticipato, l’andamento di questi disturbi ha un carattere culturale, oltre che storico. Rispetto a tale dimensione i Disturbi del Comportamento Alimentare sono stati considerati “culture bound” (Gordon, 1991), ovvero legati a specifici paesi e culture. I dati epidemiologici mostrano una distribuzione prevalente nei paesi fortemente industrializzati quali Europa Occidentale, Canada, Giappone, Australia, Stati Uniti e Nuova Zelanda, ed una assenza quasi totale nei paesi poveri dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. La malattia, appare quindi positivamente correlata col miglioramento delle condizioni economiche di questi paesi e con i processi di occidentalizzazione che comportano un cambiamento dei valori relativamente alla costruzione dell’identità della donna, al suo ruolo sociale e familiare e alla diffusione del culto della magrezza.

Un’ ultima precisazione riguarda la diffusione di questi disturbi nella popolazione maschile: anche se in misura meno marcata rispetto alle donne, da circa un decennio, nella popolazione maschile si registra un aumento di incidenza e prevalenza di forme nuove della patologia che vanno sotto i nomi di Bigoressia e Ortoressia.

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36

2.2 Eziologia e fattori di rischio

L’indagine sui fattori eziopatogenetici dei Disturbi del Comportamento Alimentare è passata attraverso vari momenti, ognuno dei quali attribuiva variabilmente i DCA ad un fattore causale unico. Oggi, la comunità scientifica, è concorde nell’affermare la multifattorialità dell’eziopatogenesi del disturbo. Il nucleo patogenetico dei DCA costituisce infatti il l’esito di una complessa interazione tra fattori individuali, familiari e socioculturali i quali, variabilmente, vanno a svolgere funzioni predisponenti, precipitanti e di mantenimento dei DCA. Anche la vulnerabilità genetica gioca un ruolo decisivo: studi su gemelli hanno evidenziato come il disturbo sia prevalente nei gemelli omozigoti rispetto ai dizigoti. Il rischio di sviluppare DCA è maggiore nei familiari di primo grado di individui con questo disturbo. La classificazione dei fattori di rischio è riferibile a tre grandi aree:

 Eziologia: distingue tra fattori individuali, familiari e socioculturali;

 Temporalità: distingue tra fattori prossimali (influenza diretta) e distali (influenza indiretta);

 Psicopatologia: distingue tra fattori specifici e aspecifici.

Fattori predisponenti

Individuali aspecifici

1. Genere femminile;

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37 3. Classe sociale: media o superiore; 4. Età: adolescenza o prima giovinezza;

5. Essere figli adottivi; 6. Eventi avversi.

Individuali specifici

1. Familiarità per sovrappeso ed obesità;

2. Obesità infantile; 3. Storia di diete ripetute; 4. Oscillazioni ponderali;

5. Difficoltà gastrointestinali precoci;

6. Patologie croniche quali diabete mellito, fibrosi cistica, patologie tiroidee;

7. Anomalie nel funzionamento della serotonina; 8. Menarca precoce.

Individuali psichiatrici

1. Disturbo dell’umore: spesso concomitante al DCA (1/3 dei soggetti con BN ha una storia di depressione);

2. Disturbo Ossessivo Compulsivo: spesso associato ad AN e BN, talvolta esacerbato da depressione o dieta.

(37)

38 Individuali psicologici

1. Tratti di personalità: si differenziano in base al tipo di disturbo;

2. Concetto di sé: riferibile a bassa autostima e scarsa consapevolezza di sé.

Familiari

1. Familiarità per disturbi alimentari: nei parenti di primo grado il rischio è 3 volte superiore rispetto ai controlli;

2. Familiarità con disturbi psichiatrici quali depressione abuso di alcool, disturbo ossessivo- compulsivo e disturbo d’ansia;

3. Familiarità per obesità: soprattutto nella madre;

4. Eventi avversi quali la separazione dei genitori;

5. Caratteristiche familiari quali invischiamento, criticismo, alte aspettative, scarsa affettività, scarsa definizione dei ruoli, incapacità di incoraggiare la separazione e l’autonomia.

Socioculturali

1. Pressione sociale alla magrezza e pregiudizio nei confronti dell’obesità;

2. Modelli di performance;

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39

Fattori precipitanti

1. Separazioni, perdite;

2. Malattie;

3. Alterazioni dell’omeostasi familiare; 4. Esperienze sessuali;

5. Traumi ed abusi sessuali; 6. Stress;

7. Attività sportive in cui la prestazione è correlata al basso peso corporeo e/o alla non maturità sessuale;

8. Elevata competizione nel gruppo dei pari.

Risultano problematici i momenti di passaggio tipici della vita dei giovani quali l’inizio di un nuovo ciclo scolastico, il diploma o la laurea, l’allontanamento dalla città di origine o dal nucleo familiare o qualsiasi avvenimento evidenzi carenti abilità di coping. La manipolazione delle condotte alimentari e gli eventuali risultati da essa scaturiti in termini di calo ponderale, forniscono un’illusoria sensazione di aver recuperato il controllo della situazione (Galeazzi et al., 2004).

Fattori di mantenimento

Riguardano i guadagni secondari legati alla malattia:

1. Rinforzi negativi: evitamento di situazioni interpersonali o sessuali ansiogene;

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2. Rinforzi positivi: effetti del digiuno e della perdita di peso e controllo sul corpo;

3. Posizione di potere in famiglia; 4. Distorsioni cognitive.

Fattori iatrogeni

1. Prescrizioni dietetiche;

2. Preparati ormonali finalizzati a correggere l’amenorrea secondaria; 3. Trattamenti finalizzati alla cura del’infertilità;

4. Rialimentazione forzata.

Ai fini della nostra dissertazione, risulta particolarmente utile approfondire l’analisi relativa ai fattori predisponenti psicologici e a quelli familiari, perché saranno questi ad essere presi in considerazione nello studio sperimentale illustrato nel capitolo successivo. I fattori descritti rappresentano il risultato dell’integrazione di vari approcci che individuano, ora nell’assetto cognitivo, ora nelle caratteristiche di personalità, ora nella tipologia familiare, l’origine dei DCA. Abbiamo distinto le caratteristiche psicologiche in base a due dimensioni: il concetto di sé e i tratti di personalità.

Nel primo caso (concetto di sé) si fa riferimento a 1) bassa autostima, naturale conseguenza di un eccessivo criticismo verso sé stessi, senso di inadeguatezza,

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41

tendenza a derivare la valutazione di sé dalla qualità delle performance, instabilità affettiva e pensiero dicotomico; 2) scarsa consapevolezza di sé, la quale comporta scarsa competenza emotiva e ridotta capacità di rispondere alle sensazioni corporee.

I tratti di personalità invece, sono riferibili ad introversione, conformità, perfezionismo, ascetismo e rigidità, presenti in prevalenza nelle pazienti restrittive (sottotipo dell’Anoressia Nervosa). Pazienti bulimiche, similmente alle restrittive, presentano tratti perfezionistici, ma si differenziano da loro per la presenza di timidezza, compiacenza e tratti di introversione/estroversione. In generale possiamo dire che i tratti distintivi per lo sviluppo dei DCA sono: perfezionismo, tratti ossessivi, dipendenza, intolleranza alle frustrazioni e tendenza alla svalutazione (Fairburn et al., 1999).

Un’interessante riflessione circa le caratteristiche tipiche delle famiglie con figlie anoressiche proviene dalla lunga esperienza psicoterapica di Mara Selvini Palazzoli, che fornisce un’attenta descrizione dei rapporti tra i vari membri. «Non mi accade mai – scrive – nell’incontro con i familiari, di imbattermi in un valido rapporto affettivo fra i genitori»10. La maggior parte di queste famiglie si contraddistingue per una totale dedizione ai doveri, alle norme sociali, per una acuta attenzione alle apparenze esterne, per uno stato permanente di tensione, malumore, irritabilità e di «cosa assolutamente caratteristica, una spiccata propensione alle discussioni interminabili e sfibranti sopra i più futili argomenti,

10 S

ELVINI PALAZZOLI,M. (2006). L’Anoressia mentale. Dalla terapia individuale alla terapia

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42

sintomatica di aggressività nascoste bisognose di sfogo»11. Altro aspetto caratteristico individuato dalla psichiatra, è la figura materna, tipicamente dominante nella famiglia delle anoressiche, affiancata da quella di un padre sopraffatto dalla moglie ed emotivamente assente. Una madre invadente gli spazi altrui, intollerante ed ipercritica, che impedisce alla figlia la maturazione delle esperienze percettive ed emotive catapultandola bruscamente «dalla fase del lattante a quella dell’adolescente, senza fasi intermedie»12

che possano garantire alla futura anoressica esperienze di disidentificazione dalla figura significativa, rendendola carente nella consapevolezza di sé. Anche lo stile di attaccamento scaturisce dalle caratteristiche delle figure genitoriali, ma rimandiamo l’approfondimento di questo aspetto ai paragrafi successivi.

2.3 Anoressia Nervosa

Il termine “anoressia” deriva dal greco άνόρεξις, letteralmente “assenza di appetito”, ed ha costituito spesso occasione di equivoco in quanto non rende esattamente ragione della natura del disturbo. Per utilizzarlo, dunque, si è dovuto fare lo sforzo di dimenticare il significato etimologico della parola in quanto la realtà bio-psciologica delle ragazze anoressiche è totalmente opposta alla mancanza di appetito. Questa’ultima, risulta infatti solo il canale di espressione del disagio, la dimensione sulla quale si gioca il disturbo, non la causa dello stesso. Selvini Palazzoli (2006), individua nella parola tedesca “Pubertätsmagersucht”, letteralmente “mania puberale alla magrezza”, un significato molto più adatto ad

11 Ibid. 12 Ibid.

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43

esprimere la vera essenza del quadro clinico. Il termine “anoressia”, rivela la difficoltà degli autori che per primi hanno descritto questo disturbo, nello studiare pazienti estremamente chiuse e dissimulanti, accontentandosi dunque di una spiegazione a dir poco superficiale. Il cibo infatti, rappresenta per le anoressiche un elemento di importanza fondamentale: non risulta un argomento sgradevole di conversazione, a meno che il discorso non riguardi le loro abitudini o preferenze alimentari. Sono ragazze estremamente attente alla qualità del cibo ed altrettanto preoccupate se introdotte in ambienti in cui il cibo non sia costantemente disponibile. È frequente tra le pazienti l’interesse per la cucina, l’abilità nella preparazione di pietanze elaborate e l’hobby di cucinare, ma solo per gli altri.

Questo genere di anoressia, è molto diverso da quello dei malati organici: se si pensa all’inappetenza dei pazienti neurologici, epatici od endocrini si nota una vera ripugnanza per il cibo, o in altri casi, indifferenza per esso. Nell’ “Anoressia Mentale” si rileva piuttosto una “fame latente” negata e dissimulata dal blocco affettivo del quale i pazienti sono vittime. E quando anche sono assaliti dai corrispettivi cinestesici della denutrizione (vertigini, spossatezza, palpitazione) non attribuiscono gli stessi alla sensazione di fame.

Criteri Diagnostici e sottotipi

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali contiene i criteri per la diagnosi dei DCA che godono del maggior consenso all’interno della popolazione dei terapeuti perché facilmente condivisibili tra i vari professionisti i quali trattano

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44

in maniera interdisciplinare questi disturbi. I criteri diagnostici per l’Anoressia Nervosa sono:

A. Rifiuto di mantenere il peso corporeo al livello minimo per età e statura o al di sopra di esso (perdita di peso che porta a mantenere un peso corporeo al di sotto dell’85% di quello atteso o , in età evolutiva, blocco dell’aumento di peso previsto che porta ad un peso corporeo inferiore all’85% di quello atteso);

B. Intensa paura di acquisire peso o di ingrassare anche quando si è sottopeso; C. Disturbo del modo di sentire il peso o la forma del proprio corpo, influenza eccessiva del peso e delle forme del corpo sulla valutazione di sé, o diniego della gravità della perdita di peso attuale;

D. Nelle donne, dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi. (Una donna si considera amenorroica se i suoi cicli mestruali si presentano solo dopo somministrazione di ormoni, ad esempio estrogeni).

L’Anoressia Nervosa presenta due tipi:

 Tipo Restrittivo: durante l’episodio di anoressia nervosa la persona non presenta frequenti episodi di abbuffate o di comportamenti purgativi quali vomito autoindotto, abuso o uso improprio di lassativi, diuretici o clisteri;  Tipo Bulimico (con abbuffate/condotte di eliminazione): durante l’episodio

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