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L'Age d'or del Camposanto di Pisa. Cantieri e fasi decorative pittoriche nella prima metà del Trecento

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Academic year: 2021

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FACULTÉ DES LETTRES SECTION D’HISTOIRE DE L’ART

L’âge d’or del Camposanto di Pisa.

Cantieri e fasi decorative nella prima metà del Trecento

THÈSE DE DOCTORAT présentée à la Faculté des lettres de l’Université de Lausanne pour l’obtention du grade de

Docteur ès lettres par

Margherita Orsero Directeur de thèse

Prof. Serena Romano Gosetti di Sturmeck Co-directeur de thèse

Prof. Clario Di Fabio

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Indice

INTRODUZIONE 11

I- Fortuna critica, stato degli studi e questioni aperte 17

I.1- Una lunga storia critica 21

I.2- I quesiti ancora aperti 37

I.2.1- Le anomalie architettoniche e la ‘vera’ nascita del Camposanto 38 I.2.2- Le diverse fasi decorative pittoriche e la sequenza dei cantieri 39 I.2.3- Una committenza d’eccezione per un luogo straordinario 41

II- Un nuovo cimitero all’interno della nuova platea pubblica 43 II.1- Il campus sanctus prima del Camposanto monumentale 46 II.2- La questione dell’ecclesia Sancte Trinitatis e il Camposanto 51 II.3- Una strategia di ‘lancio’ per il nuovo cimitero: la ‘vera’ nascita del

Camposanto monumentale 58

III- Le prime fasi del cantiere pittorico del Camposanto 61 III.1- Le Storie di Cristo e il ciclo del Trionfo della morte nella letteratura

artistica 61 III.2 Francesco Traini e Buonamico Buffalmacco al lavoro sulla parete est 65

III.2.1- La Crocifissione 68

III.2.2- Le Storie di Cristo post mortem 72

III.3- Il ciclo del Trionfo della morte tra tradizione e innovazione 77 III.3.1- Il Trionfo della morte 77 III.3.2- Il Giudizio Universale 88 III.3.3- L’Inferno 104 III.3.4- La Tebaide 110

III.3.5- Le sinopie 116

III.4- La parete dipinta sulla piazza: tra preesistenze e anomalie 119

III.4.1- La preparazione delle pareti 119

III.4.2- Le ‘testine’ sotto il Trionfo della morte 126 III.4.3- La tomba dell’eremita Giovanni “soldato” 130 III.5- Gli Operai Giovanni Rosso e Giovanni Scorcialupi e l’angolo sud-est 143

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IV.La nuova città e gli affreschi del Camposanto 155 IV.1- Una nuova ipotesi per la committenza: il conte Fazio Donoratico

della Gherardesca 157 IV.2- Ancora su Fazio, Saltarelli e Bonaggiunta da Calcinaia 171 IV.3- Il ‘Giudizio Particolare’ del Conte Fazio 175 IV.4- Dopo il conte Fazio. Ulteriori indizi per la datazione delle prime fasi

decorative pittoriche 181

V. L’Assunta di Stefano fiorentino 185

V.1 - Questioni tecniche e materiali 193

V.2- L’Assunta come ‘stendardo particolare’ 214

V.3- Questioni cronologiche: moda, costume e datazioni 219

VI. La successione dei cantieri pittorici nella prima metà del Trecento.

Fasi, sequenza esecutiva e cronologie 235

CONCLUSIONE 243

Appendice 1 - ‘Ricostruire Stefano’ 247

Appendice 2 - Gli affreschi 289

Appendice 3 - Gli artisti 333

Appendice 4 - Gli Operai 355

Appendice 5 - Timeline 369

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INTRODUZIONE

Chiunque varchi la grande porta regia del Camposanto rimarrà abbagliato dal fasci-no di questo luogo unico e maestoso. Così capitò a me, studentessa al primo anfasci-no di storia dell’arte in cerca del famoso ciclo del Trionfo della morte di cui tanto si era parlato a lezione.

La ricerca che qui comincia si rivolge ad alcuni fra gli affreschi più significativi del panorama artistico del Trecento italiano: il ciclo del Trionfo della morte e le Storie di Cristo post mortem di Buonamico Buffalmacco, la Crocifissione di Francesco Traini e l’Assunzione della Vergine di Stefano Fiorentino, apparsi sulle pareti orien-tale e meridionale del Camposanto tra gli anni Trenta e Quaranta del XIV secolo1. Il nuovo cimitero dell’ecclesia maior che si decise di costruire a partire dal 1277 – sotto l’impulso del carismatico arcivescovo Federico Visconti – è il prodotto di esigenze religiose, devozionali, memoriali, identitarie e ovviamente artistiche che non possono essere studiate e comprese se non tramite un approccio interdisciplinare. Per di più, la decorazione pittorica prese il via in un momento oltremodo particolare per la città, tanto da poter parlare di âge d’or.

Se l’aquila che sussurra all’orecchio della Caritas, nel pulpito di Giovanni Pisa-no in Duomo, e il monumento realizzato per l’imperatore Arrigo VII da TiPisa-no di Camaino, proprio dietro all’altare maggiore dello stesso edificio, sono l’emblema più significativo della posizione politica di Pisa, comune ghibellino per eccellen-za; quello che accadrà all’interno del Camposanto – non a caso – negli anni della ‘signoria’ del conte Bonifazio Donoratico della Gherardesca, rispecchierà questo glorioso periodo della società pisana nella prima metà del Trecento, proprio dopo la fine del dominio imperiale di Ludovico il Bavaro.

Sebbene in molti, moltissimi si siano occupati del Camposanto, e gli affreschi tre-centeschi costituiscano uno dei problemi più spinosi e dibattuti della storia dell’arte italiana, parecchi aspetti e quesiti legati alla decorazione pittorica sembrano essere stati sottovalutati, incompresi o lasciati in sospeso.

Pur tenendo come punti di partenza fondamentali le tesi sviluppate da Antonino

1 Nonostante non si parlerà di Taddeo Gaddi - perchè in corso uno studio sull’artista da parte di Cyprien Fuchs all’Université de Neuchâtel - il ciclo delle Storie di Giobbe verrà preso in considerazione al momento dell’analisi delle sequenze dei cantieri in Camposanto.

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tutto quello che mi hanno potuto insegnare sul restauro e sulla tecnica dell’affresco. Questo è stato l’incipit di una nuova fase del mio percorso dottorale: poter studiare da vicino, affiancata da restauratori di grande esperienza, l’intero ciclo del Trionfo della morte seguendone tutte le fasi del restauro2.

Ma c’è di più. Durante il mio lungo soggiorno presso i laboratori dell’Opera Pri-maziale di Campaldo ho potuto toccare con mano i frammenti sopravvissuti al de-vastante incendio del 1944, tra i quali ho riconosciuto subito un pezzo di mandorla entro cui stava in trono l’Assunta. Da quel momento in avanti, con l’aiuto dei re-stauratori Cristina Martini e Cristiano Fico, e sotto la direzione di Carlo Giantomas-si e Donatella Zari – cui devo moltisGiantomas-simo - sono andata alla ricerca dei frammenti dell’affresco di Stefano - mescolati in mezzo a tantissimi altri in 24 scatole prove-nienti dall’ISCR nel lontano 1954 – dando vita ad una sorta di enorme e complica-tissimo puzzle.

Malgrado i frammenti dell’Assunta ritrovati si siano rivelati un numero davvero esiguo, il lavoro di triage effettuato ha dato origine ad un progetto parallelo alla mia tesi dottorale in collaborazione con la società milanese 3im Virtual Projects: la colorazione digitale dell’affresco di Stefano e la creazione di un’applicazione per dispositivi mobili utilizzabile in Camposanto per rivedere in parete l’opera tramite la realtà aumentata.

Il lavoro che si leggerà nelle seguenti pagine è diviso in sei capitoli ed è completato da un apparato finale composto da cinque appendici. Dopo una prima parte intro-duttiva sulla fortuna critica, lo stato degli studi e i quesiti ancora aperti, si passa ad analizzare la genesi del nuovo cimitero dell’ecclesia maior, per poi inoltrarsi nell’e-same delle diverse fasi della decorazione pittorica; il quarto capitolo è dedicato a nuove proposte di committenza laica, mentre il quinto alla particolarissima Assunta di Stefano fiorentino. Nell’ultima parte del lavoro si cercherà, infine, di definire la successione e le cronologie dei vari cantieri che si sono susseguiti in Camposanto. Un sentito grazie va al professor Mauro Ronzani per il confronto e il dialogo co-stante sulle questioni pisane e il grande interesse dimostrato nel seguire l’intero iter del mio studio.

Un ringraziamento del tutto speciale va, infine, ai miei due direttori di tesi, i pro-fessori Serena Romano e Clario Di Fabio, che sono stati per me in questi anni di

2 Tengo a ringraziare moltissimo il fotografo Domenico Ventura per le bellissime fo-tografie scattate agli affreschi a seguito dell’ultimo restauro e che si potranno vedere in questo lavoro.

Caleca e Mauro Ronzani, con questo lavoro ci si è sforzati di ripartire da zero, cer-cando di superare le frontiere tra le discipline storiche.

Ai giorni nostri il lavoro dello storico dell’arte – almeno per quanto mi è stato trasmesso dai miei due maestri, Serena Romano e Clario Di Fabio – è impensabile solamente come lavoro filologico o stilistico ‘puro’. In questo senso i dati storici e archivistici non devono solamente fornire informazioni per il ‘contesto’, ma sono intimamente e vitalmente intrecciati alla ricerca storico-artistica.

È in quest’ottica - il più possibile interdisciplinare - che lo studio che qui si pre-senta ha preso il via. Non si è adottato un metodo innovativo o rivoluzionario, ma si è solamente cercato di analizzare i problemi da un’altra prospettiva, tenendo sempre ben presente l’obiettivo ultimo di tutta la ricerca, ovvero far luce su quali fossero state le ragioni che avevano spinto a creare un monumento inedito quale è il Camposanto, come lo vediamo oggi; come lavorarono gli artisti in questo grosso cantiere; e soprattutto chi fossero i personaggi che stavano dietro a queste scelte, consci del fatto che non potesse trattarsi solamente dei domenicani, come più volte, invece, è stato ribadito dalla critica.

È bene chiarire subito che le difficoltà con una ricerca di questo tipo sono svariate: l’immane e autorevole letteratura critica, la mancanza di fonti dirette sugli affreschi presi in esame e lo stato di conservazione precario di molti di essi.

I registri di “entrate e uscite” dell’Opera del Duomo presentano, infatti, un buco documentario che va dal 1318 al 1343, anni in cui presumibilmente furono realiz-zati gli affreschi di Traini, Buffalmacco e Stefano. Lo studio della società pisana trecentesca è stato, quindi, imprescindibile per riuscire a trovare qualche indizio preliminare e utile per la ricostruzione della storia della decorazione pittorica. Le fasi della ricerca sono state molteplici.

La lunga frequentazione degli archivi pisani (Archivio di Stato di Pisa, Archivio Capitolare di Pisa, Archivio dell’Opera del Duomo), che mi ha permesso di verifi-care tutte le fonti già edite e di cominciare ad intravedere piano piano nuove piste da seguire, si è alternata alle assidue visite al Camposanto per vedere gli affreschi dal vivo che erano ancora – o già – in parete.

Lo studio delle fotografie storiche presso il GFN, l’ISCR, la Soprintendenza di Pisa, la Biblioteca Hertziana di Roma ha permesso, inoltre, la scoperta di alcune novità tecnico-materiali inerenti l’Assunta di Stefano Fiorentino, affresco ritenuto fino al 2016 completamente perduto durante l’incendio del 1944.

A seguito delle scoperte ‘stefanesche’ sono riuscita ad entrare in contatto con l’ec-cezionale squadra dei restauratori dell’Opera della Primaziale Pisana guidata da Carlo Giantomassi, Donatella Zari e Gianluigi Colalucci che ringrazio molto per

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15 14

Avvertenze

Tutte le date dei documenti citati sono riportati dallo stile ‘pisano’ allo stile ‘comu-ne’, a meno che non sia esplicitamente segnalato.

Si è deciso, inoltre, di usare la terminologia adottata da Mauro Ronzani nel suo lavoro del 20053, in cui: ‘campo santo’ sta ad indicare il cimitero a cielo aperto che iniziò ad essere costruito nel 1277; mentre per ‘Camposanto’ si intende l’edifi-cio come lo vediamo oggi, frutto dei significativi cambiamenti apportati a ridosso dell’avvio della decorazione pittorica degli anni Trenta del XIV secolo.

Si segnala che per le citazioni del celebre volume del 1974 di Luciano Bellosi Buffalmacco e il Trionfo della morte, si è fatto riferimento all’edizione a cura di Roberto Bartalini pubblicata nel 2016.

In ogni capitolo le note e le immagini sono numerate ripartendo da 1.

Nel testo il rimando alle immagini è segnalato con ‘fig.’ / ‘figg.’ se le fotografie sono all’interno del testo; oppure con ‘tav.’ / ‘tavv.’ se le fotografie sono inserite nell’Appendice 2 dedicata agli affreschi.

Elenco delle abbreviazioni:

AAPi= Archivio Arcivescovile di Pisa ACPi= Archivio Capitolare di Pisa ASFi= Archivio di Stato di Firenze ASPi= Archivio di Sato di Pisa AOP= Archivio Opera del Duomo Dipl.= Diplomatico

OPA= Opera Primaziale Pisana

ISCR= Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro GFN= Gabinetto Fotografico Nazionale

Cha= Guido da Pisa, Expositiones et glose super “Comediam” Dantis, Chantilly, Musée Condé, Ms. 597

3 M. Ronzani, Un’idea trecentesca di cimitero: la costruzione e l’uso del Camposanto

nella Pisa del secolo XIV, Pisa 2005, p. 26, nota 51. ricerca e di crescita professionale una guida e un punto di riferimento,

trasmetten-domi il loro entusiasmo per la ricerca storica intrecciata a quella storico-artistica e, soprattutto, insegnandomi a ‘vedere’ e non solamente a ‘guardare’.

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I

Fortuna critica, stato degli

studi e questioni aperte

Edificio straordinario, concepito con intenti pratici e devozionali ma caricato al tempo stesso da precisi intenti di simbolismo civico, il Camposanto di Pisa è di-ventato, nei sette secoli della sua esistenza, uno dei luoghi più ammirati, visitati e ritratti d’Europa (figg. 1-7).

Sebbene nell’ultimo decennio del Novecento gli studi dedicati al monumento nel suo insieme – sia dal punto di vista architettonico, sia come spazio prettamente cimiteriale e cultuale – abbiano segnato un’importante svolta, continua a mancare un lavoro organico sugli affreschi della prima metà del XIV secolo che vada oltre la spinosa questione attributiva e prenda in conto i temi della logica che determina la sequenza decorativa, anche in rapporto con le scelte intraprese dalla committenza. Concepito alla vigilia della ‘grande depressione’, succeduta alla sconfitta della Me-loria (1284) e alla distruzione del Porto Pisano (1290), e rilanciato, poi, nei primi decenni del Trecento, esso si colloca, in termini di cronologia artistica, in una fase storicamente cruciale, in cui diverse personalità, variamente legate alla figura e all’opera di Giotto, ne interpretano e ne sviluppano l’eredità artistica allo scopo di assicurarsi committenze di rilievo, vale a dire spazi eminenti di mercato, a Firenze, in Toscana, nell’Italia delle corti.

In quest’ottica, constatata la presenza nel Camposanto – oltre che di un pittore loca-le come Francesco Traini – di personalità eterodosse e fra loro divergenti in termini di intenzione artistica, come Buffalmacco e Stefano fiorentino, accanto a Taddeo Gaddi, ‘erede’ più pacato e osservante di un’ortodossia giottesca vera o presunta, si intende ragionare sulle scelte della committenza pisana, vale a dire sui suoi intenti, la sua coscienza e le sue motivazioni specifiche, identificandole e giustificandole storicamente.

Proprio in relazione al complesso affrescato, la critica, in effetti, ne ha finora inda-gato in prevalenza le vicende interne, mentre quelle contestuali sembrano essere state in una certa misura disattese. Una prospettiva del genere ha, in qualche modo, lasciato in ombra la possibilità di apprezzarne e valutarne l’importanza e il signi-ficato storico proprio in quanto ‘ciclo’, internamente vincolato da nessi dei quali occorre, da un lato, dimostrare l’esistenza, mentre se ne deve, dall’altro, svelare,

1. Veduta interna dell’area a cielo aperto. Pisa,

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19 19 18

6. Veduta della galleria meridionale oggi. Pisa, Camposanto.

5. Veduta della galleria meridionale ante 1944. Pisa, Camposanto.

4. Veduta aerea del Camposanto. 3. Scorcio dalla galleria settentrionale ante 1944. Pisa, Camposanto.

2. Veduta dalla galleria settentrionale. Pisa, Camposanto.

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con le logiche di sviluppo, la realizzazione in ‘fasi operative’. Scelte e tempistiche determinate variamente – come sempre accade - da motivazioni politico-celebrati-ve, liturgiche, devozionali, e anche dalle esigenze della committenza, pubblica e o privata. Tutti aspetti che ebbero verosimilmente influenza su scelte concrete, come l’iconografia, la collocazione nell’ambito della topografia dell’edificio e in rapporto alla sua concreta fruizione liturgico-processionale-devozionale e funerario-celebra-tiva, ma anche sulle logiche di impaginazione, di leggibilità, di composizione, ov-vero di percezione visiva e di apprezzamento estetico dell’apparato di decorazione parietale.

La domanda di fondo - a cui si spera, con questo lavoro, di poter contribuire a ri-spondere in modo più preciso - è chi siano stati i committenti e gli ideatori di questo vasto programma iconografico.

Gli studi fino ad ora – come si vedrà – hanno dato rilievo prevalentemente al ruolo esercitato dai Domenicani o dagli Operai della Primaziale Pisana, ma la vicenda fu certamente più intricata e complessa di come possa apparire e vi fu certamente spazio per l’‘interferenza’ da parte di esponenti di grandi famiglie o, comunque, di privati cittadini di spicco.

I.1- Una lunga storia critica

In molti si sono interrogati sulla storia e sulla decorazione del Camposanto di Pisa, dando così origine ad una ricchissima bibliografia nell’ambito della quale, tuttavia, spicca il fitto studio filologico degli affreschi che si dispiegano sulle pareti del mo-numento.

Per quanto la sua architettura e la sua decorazione scultorea non siano al centro di questo lavoro, i dati relativi alle origini e alle varie fasi costruttive dell’edificio sono fra i primi elementi da cui è necessario partire per comprendere appieno la logica sottesa alla creazione del corpus pittorico, che si svilupperà (e anche questo costi-tuisce un problema da risolvere) solamente a partire dagli anni Trenta del Trecento. A paragone con l’interesse destato dai cicli affrescati, la struttura architettonica e i rilievi plastici risultano meno considerati e studiati. Dalla tradizione storiografica

7. Veduta aerea della piazza del Duomo.

8. Carlo Lasinio, veduta interna del Camposanto.

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post-vasariana, infatti, il Camposanto era visto più come un ‘contenitore’ di pitture murali che come un edificio complesso e decorativamente articolato. Monumen-to-documento di questa logica di approccio all’edificio si può considerare l’opera di Carlo Lasinio, celebre e preziosa raccolta di incisioni dei dipinti1 (figg. 8-10). Solo a partire dalla fine dell’Ottocento tale logica fu almeno in parte ridimensio-nata, grazie a una serie di studi fondati sullo spoglio dei documenti d’archivio, che consentirono una più articolata visione della storia edilizia della fabbrica, situarono in maniera chiara nel 1277 l’inizio dei lavori di costruzione e portarono a mettere in luce il ruolo nella sua realizzazione delle diverse figure di maestri: molti noti anche per nome, molti altri rimasti invece anonimi2.

Tra gli studi di questo tipo, campeggiano quelli di Leopoldo Tanfani Centofanti3, di Igino Benvenuto Supino4, di Roberto Papini5, e ancora l’interessante lavoro di Clemente Lupi che ha ricostruito con cura la preistoria dell’edificio6. A Peleo Bacci si deve, invece, il merito di aver risolto l’enigma riguardo l’identità del misterioso “Iohanne magistro edificante” – che compare in un’iscrizione a sinistra del portale est – identificandolo con Giovanni di Simone7 (fig. 11).

1 C. Lasinio, Pitture a fresco del Campo Santo di Pisa, Firenze 1812. Il corpus di docu-mentazione grafica e storica, dovuto alla straordinaria ‘fortuna’ del Camposanto, luogo di visita e pellegrinaggio culturale, è molto conosciuto e pubblicato, si vedano, per esempio: R. Cooper, The crowning glory of Pisa: XIX century. Reactions to the Camposanto, “Italian Studies”, 37 (1982), pp. 77-100; E. Castelnuovo, Dal mito all’oblio. Fortune e sfortune del

Camposanto di Pisa, “Art e dossier”, 29 (1988), pp. 6-8; Id., Grandezza e decadenza, in

Baracchini- Castelnuovo 1996, pp. 3-12; H. Gatti, Il camposanto di Pisa nella letteratura

inglese, “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, 3, 16 (1986), pp. 239-270; F.

Mazzocca Fortune ottocentesche, in Baracchini-Castelnuovo 1996, pp. 165-180; R.P. Ciar-di, L’immagine immutata, in Le arti a Pisa nell’Ottocento, Pisa 1998; Viaggiatori stranieri

a Pisa dal ‘500 al ‘900, a cura di M. Bailo, C. Carmassi, M. Curreli, A. Magliocchi, L.

Bla-succi, Pisa 2003; V. Farinella, Fortune del Medioevo pisano tra 800 e 900, in Pisa crocevia

di uomini, lingue e culture, l’età medievale, atti del convegno, Pisa 25-27 ottobre 2007, a

cura di L. Battaglia ricci, R. Cella, Roma 2009, pp. 375-385.

2 Tra i primi capimaestri, per esempio, emergono nomi di artefici di rilievo quali Giovan-ni Pisano (1297-1313), Tino di Camaino (1313-1315) e Lupo di Francesco (1315-1322). Da annoverare tra gli artisti di rilievo che lavorarono a questo monumentale cantiere è, inoltre, lo scultore Giovanni di Balduccio, oggetto della recente tesi dottorale di Francesca Girelli discussa nel 2019 e condotta sotto la direzione del professor Clario Di Fabio. 3 L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1897. 4 I.B. Supino, Il Camposanto di Pisa, Firenze 1896.

5 R. Papini, Catalogo delle cose d’arte e di antichità nel comune di Pisa, II, Roma 1914. 6 C. Lupi, Sulle origini del Camposanto di Pisa, “Notizie d’arte”, II (1910), pp. 10-20 7 “A(nno) D(omini) MCCLXXVIII, T(em)P(o)R(e) D(omi)NI FREDERIGI ARCHIE-P(iscopi) PIS(ani) ET D(om)NI TERLLATI POTESTATIS, OP(er)ARIO ORLLANDO SARDELLA, (et) IOHANNE MAG(ist)RO EDIFICA(n)TE”. Per molto tempo tale

iscri-9. Carlo Lasinio, Trionfo della morte. 10. Carlo Lasinio, Giudizio Universa-le e Inferno.

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L’analisi stilistica, mirante a rivelare l’apporto di questo o quello scultore, costituì invece il filone precipuo dei contributi degli anni Venti e Trenta del secolo scorso: da quelli di Wilhelm Valentiner8 ed Enzo Carli9 fino ai più recenti interventi di Clara Baracchini10, Mariagiulia Burresi11, Antonino Caleca12, Emilio Tolaini13, Paola Ri-chetti e Gigetta Dalli Regoli14.

zione ha fatto supporre che il Camposanto si basasse su un progetto di Giovanni Pisano (anzi nelle Vite del Vasari del 1550 è un punto cardine della vita dell’artista). La proposta di Bacci uscì sul “Marzocco” del 14 dicembre 1917 (Id., Il “Camposanto di Pisa” non

è di Giovanni Pisano, Il Marzocco, 14 ottobre 1917, pp. 60-75), cui fece seguito Id.,Il “Camposanto di Pisa” non è di Giovanni di Nicola Pisano, nota sulle origini costruttive del monumento, Pisa 1918. Piero Pierotti ha messo in dubbio tale ipotesi nel 1990, tornando

a proporre la tradizionale attribuzione nel suo lavoro Una torre da non salvare, Pisa 1990, pp. 66 e ss. Caleca, tuttavia, nel lungo saggio a guisa di introduzione del rilievo di Carmassi del 1993, si pone a favore nuovamente della proposta di Bacci, risolvendo grazie l’analisi di una serie di documenti definitivamente la questione (Id., Il camposanto di Pisa,

Proble-mi di storia edilizia, in Il camposanto di Pisa, Roma 1993, pp. 5-14). Malgrado

l’attribu-zione a Giovanni di Simone sia stata universalmente accolta, grazie anche al convincente studio di Caleca, Pierotti nel 2012 è ritornato sull’argomento riaffermando ancora una volta la paternità giovannea del primo progetto del Camposanto (Id., Il Camposanto di Pisa non

è di Giovanni di Simone, “Critica d’arte”, 8, 73 (2012), 47/48, pp. 29-36).

Per un resoconto puntuale sul problema critico si veda E. Tolaini, Camposanto di Pisa:

progetto e cantiere; la forma architettonica e la decorazione plastica, Pisa 2008, pp. 36-38.

8 W.R.Valentiner, Observations on Sienese and Pisan Trecento Sculpture, “Art Bulle-tin”, 9 (1927), pp. 177-220.

9 P.Arias-E.Carli, Il Camposanto di Pisa, Roma 1937.

10 C. Baracchini, Il secolo di Castruccio, fonti e documenti di storia lucchese, Lucca 1983; Id. (a cura di), I marmi di Lasinio: le collezioni di sculture medievali e moderne del

Camposanto di Pisa, Firenze 1993

11 M.G. Burresi in Il secolo di Castruccio, fonti e documenti di storia lucchese, Lucca 1983, pp. 168-71; Id., Santa Maria della Spina in Pisa, Milano 1990, pp. 30-31; Id., in

Niveo de marmore, catalogo della mostra (Sarzana 1992) a cura di E. Castelnuovo, Genova

1992, p. 213.

12 Caleca, 1993; Id., Costruzione e decorazione dalle origini al secolo XV, in Baracchi-ni-Castelnuovo 1996, pp. 14-35.

13 Tolaini, Alcune sculture della facciata del Camposanto di Pisa, “Critica d’arte”, 1956, pp. 546-554; Id., Alcune sculture della facciata del Camposanto di Pisa, in Studi in

onore di Matteo Marangoni, Firenze 1957, pp. 155-162; Id., Teste buone e teste cattive. Note a Giovanni Pisano, Giovanni di Balduccio, Tino di Camaino, “La rassegna”, XXVII

(1958), pp. 3-8; Id., Campo Santo di Pisa: progetto e cantiere, in “Rivista dell’Istituto Na-zionale d’Archeologia e Storia dell’Arte”, s. III, XVII (1994), pp. 101-145; fino all’ultimo contributo – già citato – del 2008.

14 G. Dalli Regoli - P. Richetti, “Teste pronte e belle” oppure “visi contraffatti”? Protomi del Camposanto monumentale di Pisa, in Storia ed arte nella Piazza del Duomo,

conferenze 1992-1993, quaderno n.4, Pisa 1995, pp. 135-162; Id., L’arredo scultoreo: i

rilievi in base d’arco, in Baracchini-Castelnuovo 1996, Torino 1996 pp. 115-131.

Il primo rilievo corretto del Camposanto risale solamente al 1993 ed è ad opera dell’architetto Massimo Carmassi15; insieme al testo di Antonino Caleca che lo in-troduce segna una svolta nello studio storico-architettonico dell’edificio, cui fa eco l’anno dopo un lungo saggio di Tolaini16 che si prefigge di fare chiarezza sul proget-to originario evidenziandone le modifiche e i ripensamenti sopraggiunti durante le varie fasi costruttive che si succedettero nei lunghi decenni di attività del cantiere. Nel 1996, il fondamentale volume einaudiano curato da Clara Baracchini ed Enrico Castelnuovo17 ospita un ulteriore contributo di Caleca18 che, basato su di un accura-tissimo lavoro di archivio, si distingue nel metodo dall’approccio di Tolaini, fonda-to – per precisa scelta dell’aufonda-tore - “esclusivamente sull’analisi di dati strutturali e costruttivi”, così come anche il suo ultimo volume del 200819.

Qualche anno più tardi, nel 1998, vede la luce un nuovo, importante lavoro, de-dicato all’edificio nella sua specifica funzione di cimitero e contenente, ad opera di Ottavio Banti, un’analisi sistematica di tutte le sepolture, anche sotto il profilo epigrafico20.

L’ultimo contributo di grande respiro – che ha rappresentato un punto di partenza fondamentale per il presente lavoro – risale al 2005. Si tratta del volume pubblicato dallo storico Mauro Ronzani, che, grazie a un meritorio studio dei documenti d’ar-chivio, ripercorre le origini del Camposanto fino ad arrivare al secolo XIV.

15 C. Carmassi, Il camposanto di Pisa, Roma 1993. Per una panoramica sulla storia dei rilievi del Camposanto si veda Tolaini 2008, pp. 38-41.

16 Tolaini, Campo Santo di Pisa: progetto e cantiere, “Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte”, s. III, XVII (1994), pp. 101-146.

17 A partire dal 1986 la Scuola Normale Superiore di Pisa divenne il fulcro per incontri, seminari, convegni e conferenze di studiosi che si occupavano del Camposanto con inte-ressi e competenze diverse. I risultati andarono a confluire, in parte, nel volume Il

Campo-santo di Pisa curato da Clara Baracchini ed Enrico Castelnuovo edito da Einaudi nel 1996

e che tuttora rappresenta un punto di partenza imprescindibile per chiunque si approcci al Camposanto.

18 Caleca 1996, pp. 14-35. 19 Tolaini 2008, p. 37.

20 O. Banti, Le iscrizioni delle tombe terragne del Campo Santo di Pisa (secoli XIV-

XVIII), Pontedera 1998. 11. La tarda iscrizione commemorativa della fondazione del Camposanto nel 1277.

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Bellosi27 – seguito, poi, da diversi saggi di Maria Laura Testi Cristiani28che negli affreschi attribuiti a Buffalmacco ha proposto invece di distinguere due ‘mani’ dif-ferenti. La presenza di Traini sarebbe dunque limitata alla sola Crocifissione29 (af-fresco che ha suscitato solo moderata attenzione da parte degli studiosi ‘moderni’, probabilmente a causa dello stato di conservazione molto critico) legata all’altare di Ognissanti che si trovava sulla parete orientale.

Quanto agli altri pittori che lavorano alla parete sud e che sono menzionati dalla tradizione storiografica antica – ovvero Stefano Fiorentino e Taddeo Gaddi – gli studi si concentrano per lo più sul ruolo di Stefano come collegamento tra Pisa e Milano30 e discutono, con opinioni anche in deciso contrasto, l’attribuzione delle Storie di Giobbe a Taddeo Gaddi, accettata dalla maggior parte della critica, ma non da Andrew Ladis nell’importante monografia da lui dedicata all’artista nel 1982, che costituisce, tra l’altro, l’unico catalogo ragionato esistente dell’artista31.

27 L. Bellosi, Buffalmacco e il Trionfo della morte, Torino 1974.

28 M.L. Testi Cristiani, Percorsi e tempi della visione nel Trionfo della Morte, “Critica d’Arte”, LIII, 16 (1988), pp. 33-48; Id., Voci dialoganti e coro nella “umana commedia”

del Trionfo della morte, “Critica d’Arte”, 54, 19 (1989), pp. 57-68; Id., Maestri e maestran-ze nel “Trionfo della Morte” di Pisa, I, “Critica d’Arte”, LVI, 5-6 (1991), pp. 44-56; Id., Maestri e maestranze nel “Trionfo della Morte” di Pisa, II, “Critica d’Arte”, LVI, 7 (1991),

pp. 38-47; Id., Il Trionfo della Morte nel Camposanto monumentale di Pisa e la cultura

artistica letteraria religiosa di metà Trecento, in Italia 1350-1450: tra crisi, trasformazio-ne, sviluppo, Atti del XIII Convegno Internazionale di Studi (Pistoia, 10-13 maggio 1991,

Pistoia 1993, pp. 387-418; Id., Il Trionfo della Morte nel Camposanto monumentale di

Pisa: temi macabri di metà trecento, in Il trionfo della morte e le danze macabre, Atti del

VI convegno internazionale (Clusone 19-21 agosto 1994), Clusone 1997, pp. 73-101; Id.,

La Umana Commedia nel Trionfo della Morte di Buffalmaaco nel Camposanto di Pisa,

Pisa 2017.

29 Fa eccezione lo studio di Joseph Polzer del 2010 (Who is the “master of the

Cru-cifixion” in the Camposanto of Pisa?, “Studi di Storia dell’arte”, 2010, pp. 9-40) che,

separandosi dalla tradizione locale e da tutti gli studi moderni, sottrae anche quest’opera a Traini donandola ad un altro artista, un miniatore come Traini, che chiama “Hymnal Master”. Traini, il più grande pittore pisano, sarebbe per lui, quindi, del tutto assente dal Camposanto.

30 M. Gregori, Stefano fiorentino: itinerario da Assisi a Chiaravalle, in Un poema

ci-stercense. Affreschi giotteschi a Chiaravalle Milanese, a cura di S. Bandera, Milano 2010,

pp.11-30; L. Cavazzini, Trecento lombardo e visconteo, in Arte lombarda dai Visconti agli

Sforza, catalogo della mostra a cura di Mauro Natale e Serena Romano, Milano 2015, pp.

47-55; S. Romano, La grande sala dipinta di Giovanni Visconti. Novità e riflessioni sul

palazzo Arcivescovile di Milano, in Modernamente antichi, atti di convegno (Lausanne, 20

maggio 2013), Roma 2014, pp. 119-166.

31 A. Ladis, Taddeo Gaddi, Critical Reappraisal and Catalogue Reasoned, Columbus University and London 1982. In esso è pubblicato anche il problematico documento (Ladis 1982, p. 255) che attesta la presenza di Taddeo Gaddi a Pisa nel settembre di un anno in

re-In esso – a tutt’oggi lo standard reference book sulla vicenda storica complessiva dell’edificio – lo studioso mira ad affrontare le questioni ancora aperte con un me-todo il più possibile interdisciplinare21.

Vi sono poi gli studi che hanno non solo più specifico taglio storico artistico, ma che affrontano in prevalenza tematiche legate alla vicenda e alle caratteristiche della decorazione pittorica.

Fra gli anni Settanta e Novanta del secolo scorso matura negli studi la convinzione che l’impresa decorativa prese il via dalla parete orientale per poi passare a quella meridionale22. Mentre, fino alla prima metà di quel secolo gli studi – non solamente locali – attribuivano la maggior parte di queste pitture – la Crocifissione (tav. 1) e le Storie di Cristo post mortem (tav. 2-4) sulla parete est; il ciclo del Trionfo della Morte (tav. 5-8) su quella sud – al più eminente pittore pisano, Francesco Traini23, la tendenza più recente gli assegna unicamente la Crocifissione24 e attribuisce tutte le altre a Buonamico Buffalmacco – l’allievo ‘eretico’ di Giotto, protagonista delle novelle di Giovanni Boccaccio25 e di Franco Sacchetti26 – che, in quanto pittore “gi-rovago”, arriverebbe a Pisa, non da Firenze, ma probabilmente da Parma, passando per Arezzo, centri nei quali gli vengono accreditati lavori che, in quanto eseguiti su muro, postulano la sua presenza in loco.

In quest’ottica, lo studio fondamentale è quello celeberrimo del 1974 di Luciano

21 M. Ronzani, Un’idea trecentesca di cimitero: la costruzione e l’uso del Camposanto

nella Pisa del secolo XIV, Pisa 2005.

22 Per la bibliografia specifica sui differenti artisti e sugli affreschi si veda infra,

Appen-dice 3. Gli artisti.

23 I.B. Supino, Il Trionfo della morte e il Giudizio universale nel Camposanto di Pisa, “Archivio storico dell’arte”, VII (1894), pp. 21-40; Id. 1896; Id., Arte pisana, Firenze 1904; Papini 1914; M. Meiss, The problem of Francesco Traini, “The Art Bulletin”, XV, 2 (1933), pp. 97-173; Id., An illuminated Inferno and Trecento painting in Pisa, “The Art Bulletin”, XLVII (1965), pp. 21-34; Id., Notable Disturbance in the Classification of

Tu-scan Trecento Painting, “The Burlington Magazine”, 113 (1971), pp. 457-469; Id., Fran-cesco Traini, a cura di H.B.J. Maginnis, Washington 1983; L. Coletti, I Primitivi, Novara

1941-1947; G. Paccagnini, Il problema documentario di Francesco Traini, “Critica d’arte”, XXIX (1949), pp. 191-201.

24 Il primo a farlo fu Carli, si veda: Pittura medievale pisana, Milano 1958.

25 Buffalmacco compare nelle seguenti novelle del Decameron di Giovanni Boccaccio:

Giornata VIII, novella III; Giornata VIII, novella VI; Giornata VIII, novella IX; Giornata IX, novella V.

26 Buffalmacco compare nelle seguenti novelle de Il trecentonovelle di Franco Sacchet-ti: Novella CXXXVI; Novella CLXI; Novella CLXIX; Novella CXCI; Novella CXCII.

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apportato molte informazioni sulla cultura letteraria, visiva e, ovviamente, religiosa di cui sono impregnati37. Importanti sono gli elementi evocati soprattutto da Chiara Frugoni38 che permettono di riflettere sulla relazione tra le pitture e Giovanni Cini Soldato, l’eremita che fu sepolto in un antico sarcofago nel sodo murario proprio al di sotto della Tebaide attribuita a Buffalmacco39. Imprescindibile, nella vicenda che lo concerne, è il ruolo del convento domenicano di Pisa, Santa Caterina, e di alcuni intellettuali dell’Ordine dei Predicatori, tra cui spiccano Giordano da Pisa,

37 J.v. Schlosser, “Poesia e arte figurativa nel Trecento”, La critica d’arte, III, 3 (1938),

pp. 81-90; H. Belting,, “The new role of narrative in public painting of the 300: historia and allegory”, Studies in the history of art, 16 (1985), pp. 151-168; J. Baschet, “Triomphe de la mort, triomphe de l’enfer. Les fresques du Camposanto de Pise”, L’écrit voir, VIII (1986), pp. 5-17 ; Id., Les justice de l’au-delà. Les représentations de l’enfer en France

et en Italie XII-XV siècles, Roma 1993; G. Kreytenberg, “L’enfer d’Orcagna. La première peinture monumentale d’après les chants de Dante”, Gazette des Beaux-Arts, CXIV, 131 (1989), pp. 243-262; R. Kuhns, “The writer as painter. Observations on Boccaccio’s Deca-meron”, in Malerei und Stadtkultur in der Dantezeit. Die Argumentation der Bilder, a cura di H.Belting-D.Blume, München 1989, pp. 65-69; J. Polzer, “Aristotle, Mohammed and Nicolas V in Hell”, The Art Bulletin, XLVI (1964), pp. 457-469; Id., “The role of written word in the early frescoes in the Campo Santo of Pisa”, in World Art. Themes of Unity in

Diversity, Acts of the XXVIth International congress of the history of art, 1986

Washing-ton, The Pennsylvania State University, 1989, II, pp. 361-366; M. Ciccuto, Giunte a una

lettura esemplare di Buffalmacco nel camposanto di Pisa, in Icone della parola. Immagine e scrittura nella letteratura delle origini, Modena 1995 pp. 113-145; L. Battaglia Ricci, Ragionare nel giardino: Boccaccio e i cicli pittorici del Trionfo della Morte, Roma 1987;

Id.,“Il trionfo della morte del camposanto pisano e i letterati”, in Storia ed arte nella Piazza

del Duomo, conferenze 1992-1993, quaderno n.4, Pisa 1995, pp. 197-239; F. Franceschini,

“Maometto e Niccolò V all’ “Inferno”? Affreschi del Camposanto e commenti danteschi”, in Studi per U. Carpi: un saluto da allievi e colleghi pisani, Pisa 2000, pp. 461-487; Id., “Letture e lettori di Dante nella Pisa del Trecento”, in Pisa crocevia di uomini, lingue e

culture, l’età medievale, atti del convegno, Pisa 25-27 ottobre 2007, a cura di L. Battaglia

Ricci, e R. Cella, Pisa 2007, pp. 235-278; J. Soffner „Die Pluralitat der Rahmen in Boc-caccios Decameron: Uberlegungen zur Todesallegorie des Pisaner Camposanto und zu den Novellen VIII, 9 und VI, 9“, in Renaissance – Episteme und Agon, Für Klaus W. Hempfer anläßlich seines 60. Geburtstages, von A. Kablitz, G. Regn, Heidelberg 2007, pp. 381-403. 38 C. Frugoni, “Altri luoghi, cercando il paradiso (Il ciclo di Buffalmacco nel Campo-santo di Pisa e la committenza domenicana”), Annali della Scuola Normale Superiore di

Pisa, 3, 18 (1988), pp. 1556-643.

39 S. Barsotti, Un nuovo Fiore serafico. Il Beato Giovanni Cini, Firenze 1906; A.

Bat-tistoni, “La compagnia dei disciplinati di s. Giovanni evangelista di Porta della pace e la sua devozione verso frate Giovanni Soldato”, Bollettino della deputazione di Storia Patria

dell’Umbria, 1968, pp. 199-228; Caleca 1996; Ronzani 2005. È attualmente in corso una

tesi di dottorato condotta all’Università di Friburgo da Rahel Meier – sotto la direzione di Michele Bacci – inerente la leggenda della Terra Santa e le prime sepolture in Camposanto, tra cui campeggia, appunto, quella del beato Giovanni Cini Soldato.

La questione della datazione e della successione dei cicli affrescati che si dispiega-no sulle pareti orientale e meridionale rimane tutt’oggi piuttosto oscura, avendo a disposizione solamente il documento – reso noto dal Bacci nel 1917 – che attesta Buffalmacco a Pisa nel 133632, e si deve comunque osservare che la concezione generale del programma decorativo (vale a dire, dell’eventuale esistenza di proget-to unico e coerente a monte dell’esecuzione) è una tematica che viene a malapena sfiorata negli studi, mentre sarà un punto cruciale del presente lavoro33.

Per quanto riguarda la questione della committenza, i saggi dello storico Michele Luzzati (1993)34 e di Caleca (1996)35 sono i soli – alla fine del secolo scorso – ad aver concretamente cercato di situare la presenza degli artisti all’interno del monumento legandoli a possibili committenti e fornendo, così, delle interessanti piste di ricerca e un importante punto di partenza per studi futuri. A questi ultimi si aggiunge un articolo del 201736 in cui – partendo, appunto, dalle tesi di Luzzati e Caleca – si è formulata un’ulteriore ipotesi, legando per la prima volta il nome del conte Fazio Donoratico della Gherardesca agli affreschi attribuibili a Buffalmacco sulla parete meridionale. Il ruolo fondamentale che ha potuto giocare il conte Fazio all’interno della creazione del progetto pittorico, affiancato dagli Anziani e dall’ar-civescovo Simone Saltarelli – come si vedrà nei capitoli seguenti – va a modificare la prospettiva con cui si deve guardare all’intera iniziativa che assume in maniera concreta, così, carattere spiccatamente ‘civico’.

Un’altra componente significativa nella letteratura sul Camposanto è costituita da-gli studi a carattere iconografico. Le ricerche sull’iconografia deda-gli affreschi hanno

altà sconosciuto, ma che la maggior parte della critica – a partire da Osvald Sirén (O. Sirén,

Giotto and some of his followers [1917], trad. inglese a cura di F. Schenk, New York 1975,

pp. 144-145) fino a Caleca (1996, p. 28) – ha supposto essere il 1342.

A proposito di tale questione e per un resoconto puntuale sul problema critico si segnala la tesi di laurea magistrale svolta all’Université de Lausanne da Cyprien Fuchs – sotto la direzione di Serena Romano – che verte sul ciclo delle Storie di Giobbe di Taddeo Gaddi al Camposanto pisano.

32 P. Bacci, “Bonamico Buffalmacco e la critica tedesca. Un documento pisano del 1336”, Il Marzocco, 3 giugno 1917, pp. 10-14; Bellosi 1974.

33 Caleca è il solo ad aver affrontato tale tematica in maniera concreta, benché in poche pagine (Caleca 1996, pp. 20-29).

34 M. Luzzati, “Simone Saltarelli arcivescovo di Pisa (1323-1342) e gli affreschi del Maestro del Trionfo della Morte”, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, 3, 18 (1988), pp. 1645-1664.

35 Caleca, 1993; Id. 1996.

36 M. Orsero, “Frammenti di committenza nel Camposanto di Pisa. Una nuova ipotesi”,

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30

Domenico Cavalca e Jacopo Passavanti40.

Domenico Cavalca, in particolare, è considerato – in quanto autore delle Vite de’ Santi Padri – la fonte letteraria per gli affreschi della Tebaide41.

Di grande importanza è, infine, il corpus di conoscenze sulla situazione materiale degli affreschi, le cui condizioni precedenti al 1944 sono documentate dalle opere di Guglielmo Botti42, Lupi43 e Papini44. Durante l’estate di quell’anno, infatti, la storia del Camposanto fu marcata in maniera indelebile dalle vicende dell’ultimo conflitto mondiale: la sera del 27 luglio una granata colpì il tetto del Camposanto che esplose in un devastante incendio, durato diversi giorni, che provocò danni irreparabili45 (figg. 12-16). L’Opera della Primaziale e la Soprintendenza si

attiva-40 L. Bolzoni, “Un codice trecentesco delle immagini: scrittura e pittura nei testi dome-nicani e negli affreschi del camposanto di Pisa”, in Letteratura italiana e arti figurative, atti del XII convegno dell’associazione internazionale per gli studi di lingua e letteratura italia-na a cura di A. Franceschetti, (Toronto, Hamilton, Montreal, 6-10 maggio 1985), Firenze 1988, I, pp. 347-356 ; Id., “La predica dipinta. Il Trionfo della Morte e la predicazione domenicana”, in Baracchini – Castelnuovo, 1996, pp. 97-114; Id., La rete delle immagini:

predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Siena, Torino 2002, pp. 3-46;

Fru-goni 1988..

41 E. Callmann, “Thebaid studies”, Antichità viva, 14, 3 (1975), pp. 3-22; E. Frojmovic, “Eine gemalte eremitage in der Stadt in Malerei und Stadtkultur”, in Der Dantezeit. Die Argumentation der Bilder, a cura di H. Belting - D. Blume, München1989, pp. 201-214. Per le relazione con i domenicani si veda invece : F. Bonaini, “Cronaca del convento di Santa Caterina dell’ordine dei predicatori in Pisa”, Archivio Storico Italiano, VI, II (1854), pp. 399-593; C. Delcorno, La predicazione in età comunale, Firenze 1974; Id., Giordano da Pisa e l’antica predicazione volgare, Firenze 1975 ; Id., “Nuovi testimoni della lette-ratura domenicana del 3000 (Giordano da Pisa, Calvalca, Passavanti)”, Lettere italiane, XXXVI (1984), pp. 577-590; Id., “Le “Vite dei Santi Padri” di Domenico Cavalca. Da Pisa a Firenze”, Rendiconti Accademia Nazionale dei Lincei, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, 9, 15, 4 (2004), pp. 791-820; O. Banti, “La biblioteca e il convento di Santa Caterina in Pisa tra XIII e XIV secolo attraverso la testimonianza della “chronica antiqua””, Bollettino Storico Pisano, LVIII (1989), pp. 163-172; C. Iannella, Giordano da Pisa. Etica urbana e forme della società, Pisa 1999; G. Fioravanti, Il convento e lo studium

domenicano di S. Caterina, in Pisa crocevia di uomini, lingue e culture, l’età medievale,

atti del convegno, Pisa 25-27 ottobre 2007, a cura di L. Battaglia Ricci e R. Cella, Pisa 2007, pp. 81-96.

42 G. Botti, Sul metodo di restauro praticato sugli antichi affreschi del Camposanto di

Pisa, Firenze 1858; Id., Sulla conservazione delle pitture del Camposanto di Pisa, Pisa

1864.

43 C. Lupi, “Appunti di archivio: i restauri delle pitture del camposanto urbano di Pisa”,

Rivista d’arte, 6 (1909), pp. 55-59.

44 R. Papini, “Il deperimento delle pitture murali del Camposanto di Pisa”, Bollettino

d’arte, III (1909), pp. 441-457.

45 L. Bertolini, M. Bucci, Il Camposanto Monumentale di Pisa. Affreschi e sinopie, Pisa 1960. A proposito dei frammenti di affresco sopravvissuti all’incendio si veda: l’Appendice 12. Scorcio dell’angolo sud-est dopo l’incendio del 1944. Pisa, Camposanto. 13. Veduta della galleria meridionale dopo l’incendio del 1944.

Pisa, Camposanto. 14. Veduta

della galleria ovest dopo l’incendio del 1944.

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rono per preservare il monumento da maggior rovina, ma il restauro degli affreschi risultò un’operazione assai ardua e delicata a causa delle condizioni generali e del-le misure deldel-le opere46 (figg. 17-19). L’unica soluzione possibile sembrò essere il loro distacco dalle pareti tramite la tecnica dello ‘strappo’ e la loro applicazione su pannelli in eternit (figg. 20-26). Durante questa delicata operazione si arrivò ad una scoperta importante: venne alla luce il più grande ed intatto corpus di sinopie

me-1 ‘Ricostruire Stefano’.

46 P. Sanpaolesi, “Le sinopie del camposanto di Pisa”, Bollettino d’arte, 4, 3 (1948), pp. 34-43 ; Id., “Il Camposanto e i suoi problemi di restauro”, in Atti del 1° convegno

interna-zionale per le arti figurative, Firenze 20-26 giugno 1948, Firenze 1949, pp. 153-159 ; Id.,

“Il restauro del trionfo della Morte del camposanto di Pisa”, Bollettino d’arte, 4, 35 (1950), pp. 341-349; Bertolini-Bucci 1960; M. Bucci, “Camposanto di Pisa anni cinquanta vicende di un restauro alla scoperta di una qualità sconosciuta”, in Storia ed arte nella Piazza del

Duomo, conferenze 1992-1993, quaderno n.4, Pisa 1995, pp. 97-114; L. Tintori, “Note

sul-la tecnica, i restauri, sul-la conservazione del trionfo delsul-la morte e d altri affreschi dello stesso ciclo del camposanto monumentale di Pisa”, Critica d’arte, 7, 58, 2 (1995), pp. 53-62.

15. Veduta

della galleria nord dopo l’incendio del 1944.

Pisa, Camposanto. 16. Veduta

del Camposanto dopo l’incendio del 1944. 17. Buonamico Buffalmacco, Tebaide, particolare dopo l’incendio del 1944 e prima dello strappo. Pisa, Camposanto.

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35 34

18. Scorcio

dell’angolo sud-est dopo l’incendio del 1944. Pisa, Camposanto. 19. Buonamico Buffalmacco, Trionfo della morte, particolare dopo l’incendio del 1944 e prima dello strappo. Pisa, Camposanto. 20. Restauratori all’opera dopo lo strappo per riassemblare gli affreschi. 21. Restauratori all’opera durante lo strappo affreschi. 22. Le Storie di

San Ranieri

strap-pate e applicate sui pannelli in eternit. 23. Restauratori all’opera durante lo strappo affreschi. 24. Restauratori all’opera durante l’applicazione del

Trionfo della mor-te sui pannelli in

eternit.affreschi nel dopo guerra.

25. Montaggio del

Trionfo della morte

nel Salone degli af-freschi adiacente al Camposanto.

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dievali conosciute fino a quell’e-poca47 (figg. 27-28).

Sebbene abbia portato a questa incredibile scoperta, lo strappo effettuato ha avuto anche effetti ‘perturbanti’, poiché ha infranto ogni possibilità di conoscere la si-tuazione relativa delle ‘giornate’: la verifica della loro logica di so-vrapposizione e di posizionamen-to avrebbe infatti permesso di far luce più certa sulla sequenza della decorazione pittorica e sulla cro-nologia relativa degli affreschi.

I.2- I quesiti ancora aperti

Ripercorrendo la letteratura critica sul Camposanto è possibile constatare come una serie di problematiche restino ancora da chiarire, riconsiderare o ridiscutere. Questo identificando come punti di partenza le tesi sviluppate soprattutto da Caleca e da

47 Sulle sinopie si veda la tesi di dottorato di Barbara Dodge, Tradition, innovation and

technique in Trecento mural painting: the frescoes and sinopie attributed to Francesco Traini in the Camposanto in Pisa, PhD. Diss., John Hopkins University, 1978; e il

succes-sivo saggio: Id., “The role of the sinopie in the Traini Cycle of the Camposanto”, in Atti

del XXIV congresso internazionale di storia dell’arte, III, La pittura nel XIV e XV secolo, Il contributo dell’analisi tecnica alla storia dell’arte, a cura di H.W. van Os e J.R.J. Van

Asperen de Boer, Bologna 1983. Si vedano inoltre i due volumi realizzati dall’Opera Pri-maziale Pisana: quello del 1960 (giù citato nelle due note precedenti) e quello del 1979, in occasione dell’inaugurazione del Museo delle Sinopie, in cui Caleca riflette sulla storia critica della decorazione pittorica e sviluppa ulteriormente i risultati del saggio fondamen-tale pubblicato nel 1974 da Bellosi (A. Caleca, “Il Camposanto monumenfondamen-tale. Affreschi e sinopie”, in Pisa, Museo delle sinopie del Camposanto monumentale, a cura di A. Caleca - G. Nencini - G. Piancastelli Politi Nencini, Pisa 1979.

26. Restauratori all’opera durante lo strappo

affreschi.

27. Veduta del pri-mo piano del Museo delle Sinopie con alcune sinopie del ciclo del

Trionfo della morte.

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39 38

steriosa’ “ecclesia Sancte Trinitatis Campi Sancti”49 di cui si perdono le tracce nelle fonti prima della comparsa del “campus sanctus” sono solo alcuni tra i più evidenti elementi problematici di cui si discuterà.

Tali modifiche – che non rappresentano semplici soluzioni d’emergenza50 - sono cruciali per lo studio del cantiere che si intende qui condurre, proprio perché si verificarono a ridosso o in contemporanea con l’avvio della decorazione pittorica. Sarà, infatti, necessario riflettere sul legame che intercorre tra le modifiche archi-tettoniche51 e la creazione del complesso e monumentale apparato pittorico che si dispiega sulle pareti del cimitero, cosa, tra l’altro, insolita e inedita per un edificio di questo tipo.

I.2.2- Le diverse fasi decorative pittoriche e la sequenza

dei cantieri

Alle anomalie di tipo prevalentemente architettonico se ne aggiungono altre di ca-rattere prettamente storico artistico che si situano alla base dello studio delle dif-ferenti fasi in cui si articolò il cantiere pittorico nella prima metà del XIV secolo. Ne è un esempio lampante il cambio di formato attuato da Buffalmacco tra la parete est, dove regna la tradizionale compartimentazione delle storie, e quella sud dove domina il campo unico: immense distese popolate da figure, episodi, nuclei narrati-vi, in un modo sconosciuto nella pittura italiana, soprattutto in quella giottesca, che predilige la formula a pannelli separati da fasce decorative.

Sulla parete meridionale, inoltre, si riscontrano diverse preesistenze che meritano di essere analizzate in maniera approfondita: alcune teste – al di sotto del Trionfo della morte – dipinte ad un’altezza insolita, di cui una riscoperta recentemente dalla scrivente; e, ancora, i diversi strati di affresco che sono stati trovati al di sotto della

49 L’ecclesia nel 1300 aveva già un altare e nel 1301 era in buona parte già coperta da un tetto, dopo di che non verrà più menzionata nelle fonti, fatta eccezione per gli atti di elezione di investitura degli Operai che succedettero a Burgundio di Tado.

50 Già Ronzani lo aveva sottolineato nel suo studio, si veda: Ronzani 2005, p. 15. 51 Uno degli ostacoli oggettivi all’indagine è stato la mancanza di un rilievo dell’edifi-cio attendibile e completo. Di fatto, un lavoro eseguito con l’impiego delle tecnologie ad oggi ritenute più ‘oggettive’ ed efficaci – quelle effettuate tramite laser-scanner e nuvola di punti – o non esiste, o non è a disposizione del ricercatore. Lo strumento migliore cui far riferimento, ad oggi, rimane, così, il rilievo dell’architetto Carmassi, eseguito con le tecniche tradizionali.

Ronzani, rispettivamente per la decorazione pittorica e per gli aspetti storici. Quello che il presente lavoro si propone è, dunque, di fare luce sul cantiere di pri-mo Trecento, tentando di cogliere il rapporto che esiste - dal punto di vista della committenza, oltre che da quello pratico e funzionale - fra i tempi e i ritmi costrut-tivi delle strutture architettoniche e quelli degli interventi decoracostrut-tivi, insieme alle motivazioni che possono spiegare le ragioni delle scelte intraprese in campo arti-stico, tanto per quel che concerne gli indirizzi iconografici delle singole commesse quanto per ciò che attiene all’individuazione delle personalità artistiche cui affidare i lotti in cui si articolò l’impresa decorativa pittorica.

Procedendo con ordine, si cercherà ora di enunciare le ‘macro questioni’ cui la pre-sente ricerca si sforzerà di rispondere.

I.2.1- Le anomalie architettoniche e la ‘vera’ nascita

del Camposanto

Rimane ancora da definire in maniera specifica il momento in cui si può cominciare a parlare della ‘vera’ – se così possiamo dire – nascita del Camposanto.

Sebbene la costruzione di questo nuovo cimitero abbia preso il via nel 1277, sia Caleca sia Ronzani – anche se con ipotesi differenti sulle fasi costruttive dell’edifi-cio – giungono a constatare che, intorno agli anni ’30 del Trecento, “si verificarono cambiamenti di progettazione e destinazione d’uso che portarono alla costruzione del Camposanto nell’aspetto architettonico in cui oggi lo vediamo”48.

È bene sottolineare, tra l’altro, che uno degli ostacoli oggettivi all’indagine è stato la mancanza di un rilievo dell’edificio attendibile e completo. Di fatto, un lavoro eseguito con l’impiego delle tecnologie ad oggi ritenute più ‘oggettive’ ed efficaci – quelle effettuate tramite laser-scanner e nuvola di punti – o non esiste, o non è a disposizione del ricercatore.

Lo strumento migliore cui far riferimento rimane perciò, ad oggi, il rilievo dell’ar-chitetto Carmassi, eseguito con le tecniche tradizionali.

L’insolito assottigliamento di un tratto della parete orientale contiguo all’angolo sud-est; la porta tamponata che sorgeva al di sotto del Trionfo della morte; la

‘mi-48 Ronzani 2005, p. 20. Ronzani con il suo studio del 2005 è riuscito a restituirci una panoramica del tutto affidabile e verosimile sulle origini del Camposanto, tuttavia, alcuni aspetti devono essere ripresi e analizzati in rapporto alle pitture.

(21)

I.2.3- Una committenza d’eccezione per un luogo

straordinario

Il Camposanto è un edificio che non risponde alla norma funzionale, tipologica, liturgica di una ‘chiesa’: offre superfici immense, non soggette alle esigenze e alle distribuzioni tipiche di uno spazio cultuale tradizionale. Costringe, così, a inventare nuovi formati e soluzioni compositive e nuove strategie narrative.

Proprio per l’unicità del luogo, le fasi di formulazione del progetto, la gestione finanziaria e di cantiere fino ad arrivare alla scelta delle iconografie e degli artisti – locali e non – sono da ricondurre a personaggi d’eccezione.

La questione della committenza continua a rimanere una zona d’ombra su cui fare maggior chiarezza partendo dall’indagine sulle figure di spicco del panorama citta-dino pisano come: l’arcivescovo Simone Saltarelli, il conte Fazio Donoratico della Gherardesca e gli Operai della Primaziale, diretti delegati del Comune di Pisa go-vernato dal consiglio degli Anziani.

Per riuscire, quindi, a fare luce sull’intera questione – oltre a tenere in conto tutti gli elementi già citati – bisognerà pensare al Camposanto come un edificio straor-dinario in cui, in determinate condizioni e in specifiche occasioni storiche, la coe-sistenza di artisti di diversa provenienza e formazione che lavorano fianco a fianco, da una parte produce fenomeni di innovazione formale e dall’altra funziona da vero e proprio melting pot, incomprensibile nel contesto della filologia e della storia ‘in-dividuale’ di radice vasariana.

Tebaide in corrispondenza del sepolcro dell’eremita Giovanni Cini ‘soldato’ al mo-mento dello strappo nel dopo guerra.

Ragionando sulla successione dei diversi cantieri, invece, particolarmente utili sono i dati inerenti l’esecuzione tecnica dei vari affreschi che – stando all’esame delle fotografie storiche e degli appunti del restauratore Leonetto Tintori52 – furono creati seguendo differenti metodologie.

A questo proposito, del tutto eccezionale sotto vari punti di vista risulta essere l’As-sunta di Stefano Fiorentino che – prima di andare distrutta nell’incendio del 194453 – si trovava sulla porta principale del Camposanto.

Dalle fotografie storiche si evince che oltre ad essere in rilievo sulla parete – cosa oltremodo particolare, come si vedrà – l’affresco non era centrato sulla porta, ma spostato più a destra, tanto da obbligare nel 1376 Andrea da Firenze a ridurre la larghezza del primo riquadro delle sue Storie di san Ranieri.

Tale irregolarità – riscontrata solo da Caleca54 – non è mai stata indagata a fondo, né discussa in relazione alla logica che ha governato la progettazione dei campi figurativi sulla parete meridionale. In questa prospettiva, invece, l’Assunta rischia di essere la chiave di volta per comprendere la successione dei vari cantieri pittorici della prima metà del Trecento nella galleria sud.

Rimane difficile da spiegare, inoltre, il motivo per cui Taddeo Gaddi si sia dovuto spingere fino alla porzione occidentale della galleria sud per affrescare le Storie di Giobbe quando tutta la parete tra la porta est e la porta ovest rimase totalmente libe-ra fino al subentlibe-rare di Andrea da Firenze (1377), Antonio Veneziano (1384-1386) e Spinello Aretino (1390-1391).

52 Tintori 1995.

53 Si veda infra: Appendice 1. ‘Ricostruire’ Stefano.

54 Caleca 1979, p. 68; Id. 1996, pp. 26-27. Il fatto che dell’opera non sia rimasto quasi nulla, probabilmente ha implicato che gli studi più recenti si siano concentrati maggior-mente sulle altre pitture o lo abbiano preso in considerazione solamaggior-mente dal punto di vista puramente stilistico, tralasciando le questioni prettamente materiali.

(22)

43

II

Un nuovo cimitero

all’interno della nuova

platea pubblica

1

Uno dei primi dati da mettere in evidenza per comprendere appieno il significato della costruzione del Camposanto è la fisionomia istituzionale dell’Opera di Santa Maria, che dagli inizi del XIII secolo mutò, passando dalla sfera ecclesiastica a quella civile.

Il 13 aprile 1207, infatti, si rese ufficiale la decisione del Podestà Gerardo Visconti del 12012 di sottrarre la nomina dell’Operarius all’Arcivescovo per riservarla al

1 Della lunga e complessa vicenda del Camposanto – soprattutto delle sue origini fino a poco dopo la metà del Trecento - si è occupato a più riprese, come già segnalato, Ronzani in moltissimi saggi. Frutto di tutte le sue riflessioni e fonte di moltissimi spunti per il mio lavoro è sicuramente il volume del 2005 in cui si racchiudono tutte le notizie necessarie per ripercorrere le tappe fondamentali della storia del monumento e a cui rimando per ulteriori approfondimenti. In questo capitolo si cercherà di mettere in evidenza e discutere alcuni dei fatti più significativi che portarono alla creazione del monumento come lo conosciamo noi oggi, quando si passò, quindi, dal ‘campo santo’ al ‘Camposanto’. Su tale terminologia si vedano le Avvertenze nell’Introduzione alla ricerca.

2 ASPi, Dipl. Opera Primaziale, 1208 aprile 13 (stile pisano). Si veda: M. Ronzani, Da

aula cultuale del vescovato a ecclesia maior della città: note sulla fisionomia istituzionale e la rilevanza pubblica del Duomo di Pisa, in Amalfi Genova Pisa Venezia - La cattedra-le e la città nel Medioevo. Aspetti religiosi istituzionali e urbanistici, a cura di O. Banti,

Pisa 1993 (Biblioteca del “Bolettino storico pisano”. Collana storica, 42), pp.71-102; Id.,

Dall’edificatio ecclesiae all’«Opera di S. Maria»: nascita e primi sviluppi di una istituzio-ne istituzio-nella Pisa dei secoli XI e XII, in Opera: carattere e ruolo delle fabbriche cittadine fino all’inizio dell’età moderna, a cura di M. Haines e L. Riccetti, Firenze 1996, pp. 1-70; Id., La formazione della piazza del Duomo di Pisa (secoli XI - XIV), in La piazza del Duomo nella città medievale (nord e media Italia, secoli XII-XVI). Atti della giornata di studio,

Or-vieto, 4 giugno 1994, a cura di L. Riccetti, Orvieto 1997, (“Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano”, XLVI-XLVII, 1990-1991), pp. 19-134.

Le due date corrispondono: all’insediamento del primo Operaio di S. Maria di nomina po-destarile anziché arcivescovile (1201); e alla sentenza arbitrale che sancì la legittimità e la

1. Veduta dall’alto della galleria meridionale del Camposanto.

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ad esempio l’importantissima festa civica, celebrata a metà agosto, dell’Assunzione della Vergine8, nella quale l’Operaio rivestiva un ruolo di prim’ordine che rientra-va nelle competenze di tipo ‘paraliturgico’ che nel corso del XIV secolo si fecero sempre più numerose. In questo senso il 17 marzo del 1312 lo spazio circostante il Duomo fu, per così dire, inaugurato come luogo di raccolta per la cittadinanza. Gli Anziani e l’intero Comune, infatti, quel giorno resero “homagium” ad Arrigo VII di Lussemburgo “in platea ante ecclesiam maiorem beate Virginis Marie civitatis Pisarum”9: cerimonie ufficiali di questo tipo solitamente si sarebbero tenute, invece, all’interno del Duomo10.

A seguito di questa rivoluzione nella fisionomia istituzionale dell’Opera di S. Ma-ria, cominciano ad essere redatti gli atti di elezione ed investitura degli Operai, dai quali emerge che l’Operarius sovrintendeva per conto del Comune a tutti i lavori di costruzione, ampliamento e manutenzione eseguiti al campanile e al Duomo – e implicitamente anche in Camposanto, considerato una sua appendice – ed ammini-strava anche il cospicuo patrimonio immobiliare dell’Opera in città, nel contado e in Sardegna11. Circa la figura dell’Operaio, è interessante constatare che era diret-tamente responsabile del controllo produttivo degli artisti chiamati a lavorare agli edifici della piazza12.

8 Sul culto civico mariano a Pisa si veda anche infra Capitolo V.2.

9 Monumenta Germaniae Historica, Legum, s. IV: Costitutiones et acta publica impe-ratorum et regum, T. IV/2, a cura di I. Schwalm, Hannoverae et Lipsiae, 1909-1911, nr.

753-754, pp. 743-745. 10 Ronzani 1997, p. 118.

11 Per un approfondimento sulla figura dell’Operarius si veda: M. Battistoni, L’Opera

del Duomo di Pisa: il patrimonio e la sua gestione nei secoli XII-XVI, Pisa 2013; e

soprat-tutto la tesi di R. Martino, Gli atti di elezione e investitura degli Operai dell’Opera del

Duomo di Pisa nei secoli XIII e XIV, tesi in Storia Medievale, Università degli Studi di

Pisa, a. a. 2001–2002, relatore M. Ronzani. Grazie ad essa apprendiamo che la procedura d’insediamento era suddivisa in quattro fasi che rimasero costanti nel tempo: il giuramento, l’investitura, l’elenco dei doveri e degli obblighi e la consegna della casa. Una prima ceri-monia di investitura avveniva nel palazzo del Comune, una seconda in Duomo. Gli Operai erano scelti dagli Anziani tra i cittadini che avessero dimostrato capacità amministrativa e sicura probità, dato che all’Operaio spettava anche l’amministrazione dei beni dell’Opera. Sulla gestione amministrativa dell’Opera si veda Battistoni 2013, in particolare alle pp. 92-104 in cui si parla delle cosiddette ‘modulazioni’. Le date d’insediamento degli Operai due e trecenteschi sono indicati in A. Caleca, La lista degli Operai del Duomo di Pisa, in “Bollettino storico pisano”, 59 (1990), pp. 249-261. Si veda anche infra Appendice 4 de-dicata agli Operai.

12 L’Operaio Burgundio di Tado, per esempio, fu coinvolto in una controversia legale nei confronti di Giovanni pisano che era impegnato a lavorare al pulpito del Duomo. Si veda a questo proposito E. Carli, Giovanni Pisano, Firenze 1977, pp. 93-95; Battistoni

Comune3. Se dal punto di vista spirituale l’autorità apparteneva al Capitolo della Cattedrale, che vantava anche l’esclusiva competenza di istituire gli officianti degli altari che sarebbero stati fondati in Duomo e nel Camposanto4, la cura degli aspet-ti materiali era affidata all’Opera di Santa Maria5, ovvero, da questo momento in avanti, alla civitas pisana. Per di più, il Camposanto, costruito a partire dal 1277, fu l’unico monumento interamente edificato sotto la direzione amministrativa di Operai nominati dal potere civile, voluto - fa notare Ronzani – “nel quadro di un vero e proprio progetto d’apertura di una “piazza pubblica”6. Tale platea7 avrebbe costituito, tra l’altro, lo scenario adeguato a cerimonie di particolare rilievo, come

validità di tale procedura. La “Sententia lata inter archiepiscopum pisanum / ex una parte et Comune pisanum ex alia parte” del 13 aprile del 1207 è riportata per intero nell’articolo di Ronzani del 1996 poc’anzi citato alle pagine 25-28. Tale cambiamento non fu di certo improvviso, ma fu il risultato di anni ed anni di pressioni: la volontà da parte del Comune di controllare l’Opera di S. Maria, infatti, era già stata palesata nei Brevia del 1162 e del 1164. Per approfondire la questione delle origini della platea del Duomo, si veda sempre Ronzani 1996 a, p. 2; Ronzani 1997, soprattutto le pp. 19-22; 45-57; 61-69; 73-82, 118.

3 M. Ronzani, Il “cimitero della chiesa maggiore pisana”: gli aspetti istituzionali prima

e dopo la nascita del Camposanto, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa.

Classe di Lettere e Filosofia”, s. III, vol. XVIII (1988), pp. 1665-1690; Id., Dal “cimitero

della chiesa maggiore di Santa Maria” al Camposanto: aspetti giuridici e istituzionali, in

Baracchini-Castelnuovo 1996, p. 52; Id. 1997, pp. 73-82; Id., La Chiesa e il clero secolare, in Storia della civiltà toscana, Firenze 2000, pp. 274-275.

4 Ronzani 1996 b, p. 54.

5 Se sul piano della cura spirituale i monumenti della piazza facevano tutt’uno, a rima-nere fuori dal controllo dell’Opera di S. Maria fu, invece, il Battistero, diretto da un proprio Operaio, la cui nomina fu a lungo motivo di contesa tra l’arcivescovo e il capitolo della cattedrale. Sulla lunga e complessa storia del Battistero, si veda ora l’ampia monografia di A. Caleca, La dotta mano. Il Battistero di Pisa, Bergamo, 1991. E sulla controversia fra il presule e i canonici, sempre utili le rapide, incisive osservazioni di G. Volpe, Studi sulle

istituzioni comunali a Pisa. Città e contado, consoli e podestà. Secoli XII-XIII, Nuova ed.

con una introduzione di C. Violante, Firenze, Sansoni, 1970 (I ed.: Pisa 1902), pp.195, 383-385.

6 Ronzani 1996 b, pp. 54-55.I due operai, inoltre, secondo Camposanto, le con l’atto che anche gli affreschi restrostanti l’nazione d’gli Anziani. rtici delI due operai, inoltre, secon-do Camposanto, le con l’atto che anche gli affreschi restrostanti l’nazione d’gli Anziani. rtici del

7 Interessante constatare che, stando a Ronzani, il termine platea, d’ascendenza classica, viene usato per la prima volta in questo caso nella Pisa medioevale. Si veda Ronzani 1997, p. 77. La questione inerente la creazione della piazza fu, in realtà, assai complicata a partire da quando le nuove autorità comunali – quattro rectores pisane civitatis – eletti nel 1213 decisero in piena autonomia che la platea dovesse sorgere sul lato meridionale del Duomo. Sebbene con la nuova situazione legittimata nel 1207 la civitas avesse competenza d’inter-vento sugli aspetti materiali degli edifici e degli spazi dell’ecclesia maior, esistevano anche altri due soggetti preesistenti con diritto di parola: il vescovo e il Capitolo della cattedrale.

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