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Gli Operai Giovanni Rosso e Giovanni Scorcialupi e l’angolo sud-est

dell’eremita Giovanni “soldato”

III.5- Gli Operai Giovanni Rosso e Giovanni Scorcialupi e l’angolo sud-est

Giovanni Cocchi e Parasone Grassi non furono gli unici Operai del secolo XIV direttamente legati alla decorazione pittorica del nuovo cimitero dell’ecclesia ma- ior; anzi, proprio quando il campo santo stava prendendo nuova forma intorno agli anni Trenta, il ruolo di Giovanni Rosso (1319-1332) e del suo successore Giovanni Scorcialupi (1332-1337) – più volte nominati – si mostra rilevante.

Nell’inventario dei beni posseduti dall’Opera redatto nel 1368 dall’Operaio Lupo degli Occhi121 si parla di due altari: quello d’Ognissanti, “fatto et dotato per mes- ser Iohanni Rosso…, come appare per l’ultimo testamento del soprascripto messer Iohanni”, e quello di Santa Trinità, “facto et dotato per messer Iohanni Scorcialu- pi…, come apare per l’ultimo testamento del decto messer Iohanni”122.

Questi altari erano stati edificati proprio nella parte meridionale della galleria est, dove probabilmente era sorto il nucleo originario dell’edificio, ovvero l’ecclesia Sancte Trinitatis Campi Sancti123, e dove furono collocate le prime tombe terra- gne124.

Il fatto che Giovanni Rosso – morto nel 1332 – per disposizione testamentaria si fosse fatto seppellire e avesse fatto costruire l’altare di Ognissanti sempre nello stesso punto proverebbe, secondo Caleca125, che sia lui il responsabile della com- missione dell’affresco con la Crocifissione, attribuito a Traini, concepito come una grande pala d’altare. Quasi a emularlo, lo Scorcialupi – morto nel 1337 – chiese di essere sepolto a fianco del predecessore e di far erigere un altare intitolato alla Trinità126.

121 Caleca 1993, p. 11.

122 ASPi, Opera del Duomo, 494, c. 72v, Caleca 1993, p. 11; Ronzani 2005, p. 63. 123 Sulla interessante questione dell’ecclesia si veda supra, capitolo II e: Caleca 1993 pp. 8-9; Id., 1996, p.16; Ciardi, “Quest’insigne dormentorio de’ morti”: chiesa, cimitero, museo, in Baracchini Castelnuovo 1996 pp. 57-68; Ronzani 2005, soprattutto le pp. 16-20; 67-70.

124 La sepoltura di Giovanni Rosso risulta essere la più antica tomba terragna esistente dell’edificio. Si veda Banti 1998.

125 Per la vicenda degli Operai Giovanni Rosso e Giovanni Scorcialupi: Caleca 1993, pp. 11-14; Id. 1996, pp. 18-22.

126 Se l’altare di Ognissanti fu edificato subito dopo la morte di Giovanni Rosso (tanto che viene menzionato nel testamento del suo successore); l’altare intitolato alla S. Trinità fu

93. Il tabernacolo di Lupo di France- sco sopra l’ingres- so principale del Camposanto

il laico genuflesso al cospetto della Vergine col Bambino (fig. 94) nel tabernacolo marmoreo che sovrasta la porta est del Camposanto (fig. 93, 95)), eseguito forse dallo scultore Lupo di Francesco129, capomaestro intorno agli anni ’20, quelli del

129 Nella letteratura critica riguardante la scultura pisana dei primi decenni del Trecento, il nome di Maestro Lupo di Francesco viene citato innumerevoli volte. Scultore e architet- to pisano, fu allievo di Giovanni Pisano - sotto il quale, insieme al padre Cecco di Lupo, lavorò già nel 1299 per l’Opera del Duomo - e di Tino di Camaino, del quale prese il posto come Capomastro dell’Opera del Duomo di Pisa nel 1315. Sappiamo, grazie a documenti conservati nell’ASPi, che mantenne il titolo di Caputmagister almeno fino al 1322 e risulta di nuovo attivo attivo a Pisa nel 1336, insieme a Gherio uno dei tre figli; nello stesso anno è attestato al lavoro anche per il Duomo di Lucca. Gli furono attribuite moltissime opere, ma solo due sono documentate a Pisa: si tratta del monumento per i caduti nella battaglia di Montecatini iniziato nel 1315 e probabilmente mai terminato e il cosiddetto “pulpito della predica” portato a termine intorno al 1320, ma andato distrutto forse nell’incendio del Duo- mo nel 1595. A lungo si è creduto che Lupo avesse collaborato con Tino di Camaino alla re- alizzazione del monumento funebre per l’imperatore Arrigo VII, ma grazie a un’attenta ri- lettura del registro relativo alla contabilità del Duomo tra il 1315 e il 1316 da parte di Silvio Masignani nel 1998 (Id., Tino di Camaino e Lupo di Francesco: precisazioni sulla tomba

Per Caleca, ciò costituirebbe la prova che gli affreschi ad esso retrostanti – le Storie di Cristo post mortem attribuite a Buffalmacco – furono commissionati da lui o dai suoi esecutori testamentari, dato che l’altare era collocato proprio in corrispondenza dell’Ascensione127. Lo studioso, però, si spinge oltre, e collega lo Scorcialupi - in nome dell’“unitarietà di concezione ed esecuzione” - anche al ciclo eseguito da Buffalmacco sulla parete sud, vale a dire al Trionfo della Morte, al Giudizio Uni- versale con l’Inferno e alle Storie dei Santi Padri128.

Caleca avanza, inoltre, l’ipotesi che proprio con Giovanni Rosso sia da identificare

realizzato solamente nel 1349. A quell’anno, infatti, risale una serie di pagamenti riscontra- bili nei registri delle entrate e uscite dell’Opera del Duomo per la costruzione dell’”altare collocato sui gradini, sul quale deve stare il sangue di san Clemente nel giorno del venerdì santo”(l’introduzione del culto all’interno del Camposanto era un’altra operazione di ‘mar- keting’ utilizzata per il rilancio dell’edificio. Per approfondire la questione si veda Ronzani 2005, pp. 62-64.

127 Caleca 1996, p. 20; Ronzani 2005, p. 63. 128 Caleca 1996, p. 22.

96. Tino di Camai- no, Arca di San Ra-

nieri, particolare.

Pisa, Museo dell’Opera.

94. Giovanni Rosso nel taberna- colo sopra l’ingres- so principale del Camposanto.

95. Porta regia del Camposanto.

147 146

dell’imperatore Arrigo VII, in “Prospettiva”, 87-88, 1998, pp. 112-119), si è compreso che

i documenti nei quali il nome dello scultore pisano viene citato si riferiscono alla tomba per i caduti nella battaglia di Montecatini tra i quali compare un “principo” che il Papini (Id.,

La collezione di sculture del Campo Santo di Pisa, in “Bollettino d’Arte” 9, 1915, pp. 209-

216) giustamente identificò con Carlotto d’Angiò principe d’Acaia e non con Arrigo VII a cui spettava invece il termine “imperator” trovato nei documenti relativi alla sua tomba. Nel 1993 lo studioso spagnolo Josep Bracons Clapés (Id., Lupo di Francesco, mestre pisà,

autor del sepulcre de Santa Eulàlia, in La catedral de Barcelona, in “D’Art” 19, 1993,

pp. 43-51) fa una scoperta importante che dà credito all’ipotesi di Mario Salmi del 1933 (Id., Un monumento della scultura pisana a Barcellona, in Miscellanea di storia dell’arte

in onore di I.B. Supino, Firenze 1933, pp. 125-139) secondo la quale il “maestro di San

Michele in Borgo” - identificato poi dalla critica con Lupo - lavorò a Barcellona per l’Arca di Santa Eulalia, nella cripta della cattedrale. Nell’archivio della cattedrale di Barcellona lo studioso ha trovato, infatti, un documento dell’ottobre del 1327 che cita “Lupo Francisci magister lapidum” come testimone di un atto con il quale Jaume Fabre “mestre d’obras de la catedral de Barcelona” affrancava lo schiavo greco Joan Rostoll. Tra le opere in Pisa che sono attribuite quasi unanimemente dalla critica a Lupo si possono citare: il tabernacolo del Camposanto di Pisa, il pulpito della chiesa di San Michele in Borgo e il tabernacolo sovra- stante l’ingresso della stessa chiesa, un programma di ampliamento del 1325 della chiesetta

di Santa Maria della Spina e una parte delle sculture che ne decorano l’esterno, il sepolcro della Gherardesca già nella chiesa di San Francesco a Pisa e ora al Museo di San Matteo. Queste opere, tuttavia, gli sono state attribuite per via indiziaria e pongono ancora dubbi e interrogativi. Polzer (Id., S. Maria della Spina, Giovanni Pisano and Lupo di Francesco, in “Artibus et Historiae” 26, 2005, 51, pp. 9-36) ha inoltre proposto un’altra opera per Lupo di Francesco: il monumento funebre per il cardinale Luca Fieschi conservato in parte al Museo diocesano di Genova ed eseguita tra il 1338 circa e il 1343. Clario Di Fabio (Id.,

Gli scultori del monumento del cardinale Luca Fieschi nella Cattedrale di Genova. Pre- cisazioni e proposte, in Arnolfo di Cambio: il monumento del cardinal Guillaume de Bray dopo il restauro, atti del Convegno Internazionale, Roma-Orvieto, 9-11 dicembre 2004, a

cura di M. Coccia, L. Morozzi, volume speciale di “Bollettino d’Arte”, s. VII, 2009, pp. 263-288) pur concordando sul fatto che Lupo prese parte nella creazione della tomba, ha tuttavia individuato due mani diverse e ha suggerito il nome di Bonaiuto di Michele per il secondo artista, inizialmente chiamati “maestro degli angeli della tomba Fieschi” il primo e “maestro della tomba Fieschi” il secondo. Lupo, sempre stando a Di Fabio, avrebbe inoltre scolpito le Virtù Cardinali conservate nella chiesa della Maddalena, ricalcandone le forme dalle Virtù eseguite per la Tomba dell’imperatrice Margherita da Giovanni Pisano, forse per integrarle al monumento del cardinale Fieschi che ebbe diversi punti di contatto con il marito di Margherita, Arrigo VII. Si riporta di seguito alcuni dei contributi più significativi sull’artista e si rimanda a Caleca 1993, p. 13, nota 31 per il regesto documentario.

A.Ducci, Il pulpito di San Michele in Borgo tra osservazioni del modello e invenzione

originale, in San Michele in Borgo, Pisa 2106, pp. 121-134; G. Kreytenberg, Ein unpubli- ziertes Fragment für Grabmail fur Kardinal Luca Fieschi von Lupo di Francesco und ein neuer Vorschlag zur Rekonstruktion des Monuments, „Mitteilungen des Kunsthistorischen

Institutes in Florenz“, 56.2014, 2, pp. 153-169; C. Di Fabio, Scalpelli toscani tra Milano

e Genova nella prima metà del Trecento, in “L’artista girovago”. Forestieri, avventurieri, emigranti e missionari nell’arte del Trecento in Italia del Nord, atti del colloquio (Lausan-

ne, 10 mai 2010) a cura di S. Romano e D. Cerutti, Roma 2012, pp. 47-78; Id., Segni di ege-

monia: mecenatismo e committenze di Luca Fieschi a Genova, in G. Ameri, C. Di Fabio, Luca Fieschi cardinale collezionista mecenate (1300-1336), Cinisello Balsamo 2011, pp.

112-137; M.G. Burresi, Armonie e variazioni nella taglia di Lupo di Francesco, in Sacre

Passioni Scultura lignea a Pisa dal XII al XV secolo, Pisa 2000, pp. 109-123; C. Di Fabio, I sepolcri della regina Margherita, del cardinale Luca Fieschi e dei dogi Simone Boccane- gra e Leonardo Montaldo. Prezzi e valori in Giovanni Pisano e in tre monumenti funerari del Trecento genovese, in “Bollettino dei Musei Civici Genovesi”, XXI, 2000, 1, pp. 7-20;

M.G. Burresi, Il sepolcro della Gherardesca: ricostruzione per anastilosi mediante grafi-

ca tridimensionale, Pisa 1996 (soprattutto alle pp. 45-46); Caleca 1996, pp. 18-20; M.G.

Burresi, Santa Maria della Spina in Pisa, Cinisello Balsamo 1990; G. Kreytenberg, Das

Marmorbildwerk der Fundatrix Ettalensis und die Pisaner Skulptur zur Zeit Ludwigs des Bayern, in Witteslbach und Bayern, I, 1, Die Zeit der frühen Herzöge. Von Otto I. zu Lu- dwig dem Bayern, a cura di H. Glaser, cat., München-Zürich 1980, pp. 445-452; M. Seidel, Skulpturen am Aussenbau von S. Marua della Spina in Pisa, “Mitteilungen des Kunsthi-

storischen Institutes in Florenza” 16, 1972, 3, pp. 269-292; E. Carli, Per un maestro dei

tabernacoli, “Belle Arti”, anno I, 1948, n°2 1946, pp. 102-103; E. Tolaini, Su Alcune statue dell’oratorio di S. Maria della Spina, “Belle Arti”, anno I, n°1, 1946, pp. 39-46; E. Carli, Un tabernacolo trecentesco e altre questioni di scultura pisana, “La critica d’arte”, XIII

febbraio 1938, pp. 16-22; Id., Il monumento della Gherardesca nel Camposanto di Pisa, 97. Burgundio di

Tado nell’Arca di

San Ranieri.

98. Giovanni Pisano,

sculture della lu- netta ovest del Bat- tistero,

Particolare.

Pisa, Museo dell’Opera.

suo mandato; mentre il laico che viene amabilmente accompagnato per mano da un arcangelo verso la schiera degli eletti nel Giudizio Universale dovrebbe essere – stando sempre a Caleca – Giovanni Scorcialupi.

Identificare il Rosso nel personaggio in atto di devozione all’interno dell’edicola pare ragionevole per diversi motivi, tra cui spiccano – lo ha ricordato Caleca – i suoi legami con Lupo di Francesco al quale affidò diversi lavori, come il pulpito minore della cattedrale o il supporto del Vaso del Talento130.

Non sono da sottovalutare, inoltre, i precedenti del Pietro Operarius di San Gio- vanni, eletto il 15 marzo 1306, forse ritratto da Giovanni Pisano nella lunetta ovest del Battistero131 (fig. 98); e dell’Operaio Burgundio Tadi (o di Tado) – in carica dal 1298 al 1319 – che probabilmente si fece ritrarre da Tino di Camaino nell’Arca di San Ranieri132 (figg, 96-97), e da Giovanni Pisano – tra il 1301 e il 1310 – nel per- gamo (fig. 99) da lui commissionato, come ricorda l’iscrizione sul terzo pilastro del lato esterno meridionale: “In nomine Domini Amen Borghogno di Tado fece fare lo perbio nuovo lo quale è in duomo cominciosi corente ani Domini MCCCII: fu finito in ani Domini corente MCCCXI del mese diiciembre [sic]”.

Il committente appare inginocchiato nell’atto di pregare tra gli evangelisti Marco e Giovanni e dall’altra parte del blocco di figure si troverebbe, invece, Giovanni Pisa- no tra gli evangelisti Luca e Matteo, come figura di sostegno, secondo la tradizione medievale dei ritratti di artisti, nel ruolo di Atlante133.

“Bollettino d’Arte”, marzo 1933, pp. 408-417; W.R. Valentiner, Observations on Sienese

and Pisan Trecento Sculpture, “The Art bullettin” 9, 1927, pp. 177-220.

130 Caleca 1996, p. 19; Iannella 2018, p. 111.

131 Carli, Giovanni Pisano e Tino di Camaino, in Il Museo dell’Opera del Duomo, Pisa 1986, p. 85.

132 Ivi, pp. 91-92.

133 Si veda: C. Di Fabio, Figura naturale, persone di pietra tra Siena, Firenze e Pisa

nel primo Trecento, in Medioevo, natura e figura, Atti del Convegno internazionale di

studi, Parma, 20-25 settembre2011, a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2015, pp. 575-594. Dello stesso autore su Giovanni Pisano si veda anche: Id., I sepolcri della regina Mar-

gherita, del cardinale Luca Fieschi e dei dogi Simone Boccanegra e Leonardo Montaldo. Prezzi e valori in Giovanni Pisano e in tre monumenti funerari del Trecento genovese, in

“Bollettino dei Musei Civici Genovesi”, XXI, 2000, 1, pp. 7-20; Id., Giovanni Pisano e

l’antico, passione e sublimazione, in Exempla, la rinascita dell’antico nell’arte italiana; da Federico II ad Andrea Pisano, a cura di M. Bona Castellotti, Pisa 2008, pp. 83-88; Id., Il prezzo, il valore e il riconoscimento sociale del lavoro dello scultore. Giovanni Pisano e altri casi nella Toscana del primo Trecento, in Medioevo: arte e storia, Atti del Convegno

internazionale di studi, Parma, 18-22 settembre 2007, a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2008, pp. 609-620; Id., Facie ad faciem, approfondimenti su Giovanni Pisano e il mau-

soleo di Margherita Imperatrice, in “Arte Medievale”, 4, 1, 2010/2011, pp. 143-188; Id.,

99. Giovanni Pisano, Pulpito, Particolare. Pisa, Duomo.

151 150

tra la porta est la porta ovest rimase totalmente libera fino al subentrare di Andrea Bonaiuti (1377-1378), Antonio Veneziano (1384) e Spinello Aretino (1391).

Tornando, quindi, allo Scorcialupi, parrebbe più logico, in questo senso, pensare che egli sia eventualmente il committente delle sole scene della vita di Cristo e che l’impiego di Buffalmacco con la sua bottega per continuare ad affrescare la parete attigua risalga a uno o più altri patroni.

Occorre fare a questo punto, tuttavia, un’ulteriore precisazione: la Crocefissione – benché allogata da Giovanni Rosso, come sostiene Caleca – fu eseguita con ogni probabilità durante l’operaiato di Giovanni Scorcialupi, proprio dopo che nella gal- leria meridionale apparve l’affresco – perduto – che corredava la tomba di Giovanni soldato, quindi agli inizi degli anni Trenta del XIV secolo.

Non è forse così forzato, allora, pensare che per la ‘pala ad affresco’ del primo altare che si stava costruendo nell’angolo sud-est (vale a dire quello di Ognissanti) fosse stato proprio lo Scorcialupi a optare per Francesco Traini. Dell’artista aveva potuto apprezzare l’abilità pittorica sicuramente durante il suo mandato come Priore degli Anziani137; e forse sulla parete sud per la tomba di Giovanni Cino, su commissione probabilmente di Bonaggiunta da Calcinaia.

Se con i due Operai Giovanni Rosso e Giovanni Scorcialupi la questione della com- mittenza può dirsi a grandi linee risolta almeno per la Crocefissione e per le Storie di Cristo post mortem, un discorso molto più articolato sarà da fare per comprende- re le modalità secondo cui Buffalmacco andò ad operare sulla parete est e in seguito su quella sud. Molto più complicata, infatti, si presenta la situazione nella galleria meridionale, tanto da far pensare che si debbano individuare due momenti ben di- stinti all’interno della prima fase decorativa pittorica del Camposanto.

Non si tenga conto ora delle teste sotto il Trionfo e del baldacchino affrescato della tomba dell’eremita Giovanni ‘soldato’ e si guardi solamente alle Storie di Cristo e al ciclo del Trionfo della morte.

Si potranno, allora, distinguere: un primo momento legato alle sepolture e agli altari fatti erigere dai due Operai nell’angolo sud-est con le storie di Cristo; e un secondo, che vede, invece, un’impresa molto più vasta e complessa, da ricondurre all’ini- ziativa non solo di Domenico Cavalca (in veste di auctor intellectualis) e dei suoi confratelli del convento di Santa Caterina, dell’arcivescovo Simone Saltarelli e del

137 Nel 1320, infatti, Traini aveva dipinto una Madonna tra i santi Giovanni Battista,

Giovanni Evangelista e Ranieri nella sala degli Anziani del Popolo. Si veda infra, Appen-

dici 3 e 4. Si veda inoltre: Caleca 1996, p. 43 alla nota 78; Pisani 2020, p. 150.

La figura di Giovanni Rosso risalta, tuttavia, più netta rispetto a quella dei suoi colleghi, perché mentre Pietro e Burgundio sono raccomandati rispettivamente dal Battista e da san Ranieri, egli si presenta in tutta autonomia al cospetto della Vergi- ne. Per di più, egli figura sopra la novella porta d’ingresso di un edificio che veniva prendendo una nuova forma, presentandosi dunque come promotore del nuovo pro- getto che avrebbe comportato anche una inedita veste pittorica.

Esaminati insieme questi elementi, se si accetta di ravvisare nella figura del com- mittente del tabernacolo Giovanni Rosso, si è implicitamente portati a pensare che gli Operai godessero di un’autonomia decisionale piuttosto ampia, per quanto fos- sero direttamente soggetti al volere degli Anziani del Comune, organo del quale molti di loro avevano fatto parte prima di ricoprire la carica di Operaio134.

Per quanto riguarda, invece, lo Scorcialupi, pare forzata l’idea di attribuirgli la com- missione di tutte le pitture eseguite da Buffalmacco. In primo luogo, perché è dif- ficile parlare di ‘unitarietà di concezione’ in un monumento che nel giro di pochi decenni aveva cambiato progetto e destinazione d’uso, come si è potuto notare dalle problematiche evidenziate in precedenza; in secondo luogo, perché i cicli affrescati nella prima metà del Trecento manifestano diverse incongruenze e anomalie. Se supponiamo un’unica committenza per le Storie di Cristo post mortem e il ciclo del Trionfo della Morte, diventa difficile spiegare perché, ad esempio, si sia optato per un cambio così drastico di formato, passando dalla tradizionale divisione in riquadri della parete est alle vastissime scene a campo unico della parete sud, senza contare, poi, le innovazioni anche dal punto di vista iconografico che allora si spe- rimentarono e di cui già si è parlato.

Le particolarità legate alla galleria meridionale sono parecchie – lo si è visto - e non si esauriscono certo nelle preesistenze pittoriche trovate sul muro sotto il Trionfo della morte o sotto la Tebaide o nella porta tamponata, ma continuano in manie- ra ancora più perturbante: basti pensare alle incongruenze tecnico-materiali legate alla creazione dell’Assunta di Stefano Fiorentino, di cui si parlerà135, o ancora al fatto che Taddeo Gaddi si sia dovuto spingere fino alla porzione occidentale della galleria sud per affrescare le Storie di Giobbe (lavorando, probabilmente, in senso inverso rispetto allo svolgimento narrativo degli episodi136) quando tutta la parete

Ritratto vero e vero ritratto: Giovanni Pisano e il volto di Margherita di Brabante, in La Giustizia di Giovanni Pisano a cura di G. Zanelli, Genova 2017, pp. 41-61

134 Si veda infra, Appendice 4. 135 Si veda infra, capitolo V.

suo vicario Bonaggiunta da Calcinaia, degli Anziani del Comune e dell’Operaio Scorcialupi in carica in quegli anni, ma - come si vedrà - anche del conte Fazio Do- noratico della Gherardesca, una figura di grande rilievo che solo di recente è stata presa in considerazione138.

155

IV

La nuova città e gli affreschi