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Divieto, prevenzione e repressione della tortura: obblighi internazionali e loro attuazione in Italia.

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea:

Divieto, prevenzione e repressione della tortura:

obblighi internazionali e loro attuazione in Italia

Il Candidato

Il Relatore

Doriana Palmisano

Chiar.mo Prof. Roberto Romboli

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“Ho riconosciuto Giulio solo dalla punta del naso. Sul suo volto tutto il male del mondo […] La tortura non è semplicemente un atto di crudeltà che colpisce le carni di un individuo, è volontà di annichilamento della persona e volontà di mortificazione e degradazione della sua dignità.”

Paola Deffendi, madre di Giulio Regeni, torturato e ucciso in Egitto tra gennaio e febbraio 2016.

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Indice

Pag.

Introduzione I

Capitolo I

Tortura: evoluzione storica dell'involuzione

1. La nascita della tortura 1

2. Chi, come, perché torturare: dall’Antica Roma al secolo dei Lumi 5

2.1 Chi 5

2.2 Come 7

2.3 Perché 11

3. Il contributo del pensiero illuminista: i primi segni di cedimento e la

dichiarazione dei diritti 13

3.1 Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo 15

4. La tortura, la guerra e i regimi totalitari 16

5. La guerra che non insegna: la tortura nella seconda metà del XX secolo 20 6. Una moderna tortura: cosa succede ancora oggi nel mondo 25 7. Considerazioni in merito al mutamento concettuale e pratico: come e cosa

è cambiato nel “modo di fare tortura” 30

Capitolo II

La tortura nel diritto internazionale: divieto, prevenzione e

repressione

1. Proteggere i diritti umani: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 34

(4)

3. Il divieto di tortura nei Trattati internazionali e regionali 45 4. La Dichiarazione sulla protezione di tutte le persone sottoposte a tortura ed altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti e la Convenzione contro la Tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti 49

4.1 Organi e procedure di controllo: il Comitato contro la tortura (CAT) 53 4.2 Il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura 57 4.3 Il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la Tortura delle

Nazioni Unite (OPCAT) 57

5. Brevi cenni al diritto penale internazionale e l’istituzione della Corte

Penale Internazionale 59

5.2 Il recepimento dello Statuto di Roma nell’ordinamento italiano: la L.

237/2012 62

5.2 L’Art. 7 dello Statuto della Corte Penale Internazionale: tortura come

crimine contro l’umanità 64

5.4 Tortura e diritto penale internazionale 67

Capitolo III

Il divieto di tortura in Europa

1. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle

libertà fondamentali 70

1.1 La Corte europea dei diritti dell’uomo 73

1.2 La posizione della CEDU nell’ordinamento italiano 77

2. L’Art. 3: divieto assoluto di tortura 81

3. Il significativo contributo della giurisprudenza della Corte europea dei

diritti dell’uomo 83

3.1 La soglia di gravità come criterio interpretativo 83 3.2 La distinzione tra tortura, pena o trattamento inumano, pena o

trattamento degradante 88

(5)

4. La Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti (CEPT) e il Comitato di prevenzione della

tortura (CPT) 100

4.1 Risultati delle visite del CPT in Italia 102

5. Il divieto di tortura nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea 109 5.1 Il regolamento CE 1236 del 2007 e il decreto legislativo n. 11 del 2007

110

Capitolo IV

La tortura in Italia

1. Premessa 113

2. La tortura e la tutela costituzionale 118

2.1 Il divieto costituzionale di tortura: Art. 13, comma 4 e Art. 27, comma

3 Cost. 121

3. Il reato che non c’è: la prolungata assenza di una disposizione ad hoc nel

codice penale 124

4. Una prospettiva comparatistica: il reato di tortura nei principali

ordinamenti europei 127

5. Lo spettro della tortura in alcuni casi italiani 133

5.1 I maltrattamenti nel carcere di Asti 134

5.2 La morte di Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva e Stefano Cucchi 137 5.3 La condanna della Corte europea per i fatti del G8 di Genova: le

violenze della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto 141 6. I problemi relativi all’introduzione del reato di tortura in Italia 151

7. L’adempimento italiano: la L. 110/2017 156

Conclusioni 162

(6)

I

Introduzione

La scelta di affrontare, attraverso il presente lavoro, la tematica della tortura deve essere letta alla luce di un rinnovato – seppur sconvolgente - utilizzo da parte dell’uomo di talune pratiche volte a esercitare qualsiasi forma di coercizione violenta sia fisica che psicologica nei confronti di altri uomini. Dietro questa semplice parola, si cela una realtà fatta di paura e terrore che dall’Antica Roma al Medioevo, dalla Grande guerra alle prigioni di Guantanámo, ha subito profonde trasformazioni senza perdere di vista il suo obiettivo primario: infliggere le sofferenze più atroci nella carne e nella mente delle sue vittime. Legalmente ammessa e utilizzata per secoli nei procedimenti giudiziari, la tortura viene considerata uno strumento utile ed efficace nonché legittimo, dove il dolore provocato alla vittima è solo un piccolo prezzo da pagare per il raggiungimento di un fine più importante, qualunque esso sia. Condannata aspramente dai più autorevoli esponenti dell’Illuminismo, viene gradualmente abolita da tutti gli Stati europei più progrediti nonché, successivamente, da altre nazioni in tutto il mondo. All’entusiasmo che ha accompagnato la sua condanna formale, corrisponde però una realtà fattuale ben diversa in cui il ricorso alla tortura non è stato abbandonato ma ha solo mutato veste per poter sopravvivere soprattutto nelle società civili e democratiche, dove l’utilizzo di mezzi sempre più raffinati capaci di procurare nella vittima il massimo grado di sofferenza senza provocarne la morte o lasciare segni evidenti delle sevizie subite ha comportato una

escalation nell’utilizzo di una tortura più sofisticata1.

Sebbene un’ulteriore trattazione sul divieto di tortura potrebbe risultare scontata, priva di qualsiasi tratto di originalità e ridondante, in realtà, il problema del ricorso a pratiche che violano la dignità umana è ancora di una - tragica – straordinaria attualità. Ripercorrere le tappe più importanti che hanno segnato la consacrazione del divieto assoluto di tortura in ambito internazionale serve a comprendere perché, ad oggi, si avverta ancora la necessità di continuare a parlarne, nonostante gli apparenti progressi realizzati dall’umanità nel corso dei secoli. Cambiano le definizioni, cambiano i contenuti, cambiano le finalità ma la

1 G. Gioffredi, Obblighi internazionali in materia di tortura e ordinamento italiano, Eunomia.

(7)

II

sostanza permane: resta una pratica compressiva della libertà dell’individuo, lesiva delle sue capacità fisiche e psichiche, limitativa dei diritti di cui ciascuno dovrebbe godere.

La sopravvivenza della tortura è stata favorita dalla sua straordinaria capacità di continuare ad operare in maniera occulta cambiando continuamente le modalità d’azione: è chiaro che ad ogni uomo del XXI secolo, con il suo bagaglio di diritti conquistati nelle lunghe lotte per la loro stessa rivendicazione, farebbe ribrezzo apprendere, tramite un quotidiano, dell’utilizzo di pratiche come “la tavola”, una tra le più famose di epoca medievale, dove la vittima veniva attaccata mani e piedi a quattro funi montate su rulli e poi veniva allungata fino alla completa slogatura delle articolazioni e oltre; diversa è invece la percezione del soggetto di fronte alle violenze subite da alcuni manifestanti durante un forum politico tra vertici di Stato.

Dall’analisi delle fonti in materia, emerge come molteplici siano le dichiarazioni e le convenzioni che hanno introdotto un esplicito divieto di tortura come corollario di un principio più ampio quale la tutela della dignità umana, nonché hanno imposto agli Stati aderenti obblighi di prevenzione e repressione del fenomeno stesso; la presenza di un ampio ventaglio di strumenti di tutela mostra come sia fortemente avvertita nel panorama internazionale l’esigenza di proteggere l’individuo da una realtà – purtroppo - ancora esistente. Un ruolo centrale nella ricostruzione del quadro normativo generale è rappresentato dalla Convenzione ONU contro la tortura il cui contenuto è stato spesso capace di sciogliere alcuni tra gli aspetti più problematici della lotta alla tortura. Ancora nel contesto internazionale, non poteva essere tralasciato il ruolo svolto dalla Corte penale internazionale, il quale Statuto annovera la tortura tra i crimini più gravi ed efferati contro l’umanità. A livello regionale, ha meritato oggetto di studio l’Art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la cui formula lapidaria – che prevede il divieto di tortura e pene o trattamenti inumani e degradanti - è stata arricchita nel tempo da una cospicua giurisprudenza della Corte europea la quale ha contribuito qualitativamente allo sviluppo della fattispecie. L’inesausta attività del Consiglio d’Europa, sempre più attenta alla materia dei diritti umani, ha poi comportato l’adozione di una convenzione ad hoc e la creazione del Comitato di prevenzione della tortura al quale sono attribuite particolari competenze.

(8)

III

Il cuore di questo lavoro è rappresentato dalla situazione nostrana dove il verificarsi di alcuni fatti di cronaca - più o meno recenti ma indubbiamente rilevanti – ha fortemente scosso l’opinione pubblica e riempito le pagine dei quotidiani locali e nazionali, mostrando come anche nella patria di Beccaria lo spettro della tortura si aggiri indisturbato tra gli individui, non essendo rimasto immune dal diffondersi di pratiche che annientano e sviliscono l’individuo. “Costituzionalmente vincolato” dall’Art. 13, comma 4 Cost. nonché firmatario di tutte le dichiarazioni e le convenzioni volte a contrastare il ricorso a pratiche qualificabili come torture, il nostro Paese, fino a poco tempo fa, figurava tra quelli inadempienti rispetto agli obblighi internazionali assunti, in quanto sprovvisto di uno strumento giuridico ad hoc capace di qualificare la tortura come reato ai sensi del codice penale e, conseguentemente, di prevedere sanzioni adeguate e dissuasive. L’argomento usato per giustificare il mancato adempimento - cioè che le diverse fattispecie di reato già previste nel nostro ordinamento sono di per sé sufficienti a coprire ogni ipotesi di tortura - si era già in numerose occasioni dimostrato non convincente: la sentenza del Tribunale di Asti che manda assolti agenti della polizia penitenziaria responsabili per mancanza di una norma, il lungo e travagliato iter giudiziario per i fatti della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto che non è mai riuscito ad individuare gli autori materiali dei maltrattamenti qualificati come torture da parte della Corte EDU, avevano già manifestato la necessità di rimediare al vuoto normativo. L’introduzione del reato di tortura in Italia - nella definizione contenuta già dalla Convenzione ONU del 1984, che il nostro Paese ha già sottoscritto e ratificato da quasi tre decenni – rappresenta un atto di civiltà giuridica, nonché di difesa, salvaguardia dei diritti e della dignità delle persone (soprattutto ma non solo) private della libertà personale.

Le cause del ritardo sono riconducibili, da un lato ai continui scontri di posizione tra le varie forze politiche i quali non hanno permesso di presentare tempestivamente un testo di legge in materia che fosse condiviso e condivisibile; dall’altro, la coscienza assopita della società che ha impedito per molto tempo di dare rilevanza all’impellente necessità di introdurre un reato ad hoc: secondo un’indagine realizzata da Doxa2 per Amnesty International, per un italiano su due

2 Doxa è un istituto specializzato in sondaggi d’opinione, ricerche di mercato e analisi

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IV

la tortura nel nostro Paese non esiste. Nonostante ciò, dalla stessa indagine emerge come la mancanza del rispetto per i più elementare diritti umani viene vissuta come una materia importante su cui intervenire, tanto che sei italiani su dieci sono favorevoli all’introduzione di uno specifico reato di tortura nel nostro ordinamento. Un ruolo attivo e di primaria importanza, invece, è stato assunto delle associazioni umanitarie3 che da sempre tentano di richiamare l’attenzione delle forze politiche e dell’opinione pubblica sulla necessità di provvedere alla definizione di uno strumento che sia capace, a livello interno, di tutelare il soggetto da qualsiasi forma di violenza, maltrattamento, sevizia che leda la dignità umana alla sua radice.

Di recente, la legge 14 luglio 2017, n. 110 recante “Introduzione del reato di tortura nell’ordinamento italiano” ha posto formalmente l’Italia in linea con gli obblighi internazionali ponendo fine ad un vuoto normativo quasi trentennale; una legge che – come si vedrà - è stata fin da subito aspramente criticata in quanto si allontana dal testo della Convenzione ONU contro la tortura del 1984 e tradisce le alte aspettative cresciute negli anni di chi sperava che il legislatore italiano si facesse guidare dalla Convenzione stessa; una legge carente di profili, invece, importanti, confusa e soggetta a possibili interpretazioni distorsive. La reazione complessiva al testo di legge approvato non sembra essere positiva sebbene, una volta affievolita la polemica rispetto a ciò che doveva o non doveva essere fatto, resta di fatto che una legge esiste; i tempi non sono ancora maturi per poter affermare quanto questa legge sia capace di assolvere al compito di prevenzione e repressione del fenomeno. Pertanto, l’analisi sarà limitata ai risultati ottenuti finora, dovendo attendere il se e il come la legge verrà applicata da parte degli operatori della giustizia.

3 Particolarmente attive in Italia sono state Amnesty International Italia, Associazione Antigone

(10)

1

CAPITOLO I

TORTURA: EVOLUZIONE STORICA

DELL’INVOLUZIONE

1. La nascita della tortura

Individuare il momento storico in cui la pratica della tortura ha fatto la sua comparsa nel mondo è il punto di partenza per poterne seguire, passo dopo passo, la sua evoluzione o, per meglio dire, la sua involuzione.

La tortura, e l’uso che di essa gli uomini ne hanno fatto nel corso dei secoli, esiste da sempre. Le sue radici sono profonde e difficili da sradicare, tanto da essere sopravvissuta in tutta la sua mostruosità fino ai giorni nostri.

Da un punto di vista etimologico, il sostantivo tortura deriva dal latino tardo

tortura che, a sua volta, deriva dal classico torquēre, cioè torcere1 ed indica il

movimento di avvolgersi su sé stessi una o più volte, curvarsi. Non a caso, quando parliamo di tortura, la nostra mente richiama scenari che riguardano principalmente sofferenze fisiche, di un corpo che si torce dunque.

La tortura, in realtà, va identificata con qualsiasi forma di violenza, sia essa fisica che morale, praticata nei confronti di un individuo e volta a estorcere una confessione, ottenere qualcosa o, ancora, per pura crudeltà, indurre afflizione e sofferenza.

Come afferma Franco Di Bella «c’è da credere che la tortura sia nata con l’uomo stesso, imposta da esigenze di vita sociale piuttosto che da crudeltà istintiva2». Era, infatti, fortemente avvertita l’esigenza di utilizzare qualsiasi strumento, anche il più crudele e feroce, pur di accertare la verità e amministrare la giustizia3.

1 http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=tortura – Ultimo accesso: 28 giugno 2017. 2 F. Di Bella, Storia della Tortura, Odoya, Bologna, 2008, p. 10.

(11)

2

In passato, c’è stato chi ha creduto di dover attribuire l’invenzione della tortura a qualcuno, con un nome ed una fisionomia, meglio se un tiranno dell’antichità contraddistintosi per la particolare fama di rigore e ferocia4. Quello che veramente risulta importante, invece, è stabilire in quali condizioni storiche sia maturata l’assunzione di quel modo di procedere tra gli istituti del diritto giudiziario5. Accolta nel sistema giudiziario, ne accolse i fini e li fece propri, diventando cioè tortura giudiziaria.

La tortura non è rappresentata ugualmente presso tutti i popoli noti all’antichità. In particolare, della tortura non si farebbe menzione nel codice babilonese di Hammurabi; non se ne trova parola nemmeno nelle consuetudini giuridiche indiane; tace come questi anche la Sacra Scrittura. Questo silenzio non è una prova certa ma ci permette di ritenere che babilonesi, indiani ed ebrei non conoscessero la tortura come mezzo di inquisizione6.

Gli antichi Egizi, invece, conoscevano e praticavano la tortura. Il ricorso a pratiche crudeli, quali bastonate e frustate al fine di intimorire, punire o confessare, era piuttosto frequente.

I grandi filosofi dell’antichità giustificavano il ricorso a tale pratica sul presupposto che fosse un valido strumento per giungere all’accertamento giudiziario. La morale antica riprovava la crudeltà ma ammetteva la tortura. Ciò che veniva rimproverato non era l’uso di per sé della tortura ma la circostanza che fosse adoperata per puro divertimento, configurando un’ipotesi di abuso del diritto.

È soprattutto con i Greci e i Romani che la tortura diventa una vera e propria abitudine quotidiana, una caratteristica, uno strumento giudiziario e non solo. È proprio in seno a questi popoli che cominciano a proliferare i metodi più vari al fine di infliggere pene e tormenti.

La tortura romana era definita questio per tormenta. La questio era l’interrogatorio giudiziario e tormentum lo strumento, cioè la tortura per arrivare alla conoscenza della verità7. Presso i Romani, dunque, la tortura era considerata

4 “Tarquinio il Superbo... fue crudelissimo uomo, fue lo primo che fe’ tormenti alle persone,

fece carcere, usò condannagioni pecuniarie e corporee”. Così scrive Iacopo della Lana nel suo

commento alla Divina Commedia, composto pochi anni dopo la morte di Dante. – P. Fiorelli,

La tortura giudiziaria nel diritto comune, Vol. 1, Giuffrè, Milano, 1953, p. 2.

5 P. Fiorelli, op. cit. 6 P. Fiorelli, op. cit.

(12)

3

una tecnica procedurale per provare i reati e per questo, regolarmente codificata con un protocollo abbastanza rigido. Anche nel torturare, bisognava seguire delle regole ben precise.

Almeno in epoca precristiana, appare distonico parlare di “supplizio cinese” in quanto non ve ne è traccia fra i sistemi giudiziari formalmente riconosciuti. Tuttavia, i Cinesi consideravano il ricorso alla tortura un ottimo espediente extragiudiziario.

Diversamente da quanto si potrebbe immaginare, complici le etichette usate con troppa disinvoltura, le popolazioni barbariche non ricorrevano alla tortura, questo perché i barbari consideravano l’uomo come essere libero e perciò non assoggettato all’autorità statale. Pertanto, era impensabile che lo Stato sottoponesse a tortura qualsiasi uomo8. Nella maggior parte delle leggi germaniche, non si trova traccia di tortura. I tipici mezzi di prova dei barbari erano il giuramento e il giudizio di Dio, in particolare si faceva ricorso al duello giudiziario e il ricorso a tali strumenti era difficilmente compatibile con l’uso della tortura9.

Con il Medioevo e l’affievolirsi del diritto romano, si assiste ad un momentaneo declino della tortura rimpiazzata dall’ordalia, una forma di giudizio divino importata dai barbari e ritenuta “più civile”. L’età feudale segna per l’Europa occidentale un regresso della tortura in favore di quei mezzi di prova a cui i barbari avevano sempre guardato con maggiore simpatia. Questo, però, non deve far necessariamente pensare ad una conseguente sparizione della tortura nei secoli in cui si sviluppò l’età medievale.

Infatti, «la tortura, che risorge in tutta l’Europa al decadere dell’età feudale, risorge appunto come parte integrante di questo nuovo ordine giuridico10 ».Non passò molto che anche l’ordalia declinò nelle simpatie popolari oltre che nel favore dei giuristi11 riconsegnando la chiave della giustizia in mano alla tortura, caratterizzata sempre più da sistemi devastanti. Il vuoto lasciato dalle ordalie fu colmato con la tortura. Del ritorno in onore della tortura, fu complice anche una

8P. Garofalo, Diritti umani e tortura. Potenza e prepotenza dello Stato democratico, Città aperta

Edizioni, Troina (EN), 2009, p. 44.

9 P. Fiorelli, op cit.

10 P. Fiorelli, op. cit., p. 67. 11F. Di Bella, op. cit., p. 83.

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4

rinnovata conoscenza dei testi giustinianei che ignoravano le ordalie ma ammettevano la tortura.

La processione degli orrori proseguì, in particolare per effetto della Santa Inquisizione - dove la Chiesa fu impegnata nella sua lotta contro l’eresia e la caccia alle streghe - ma subendo una forte battuta d’arresto con la “ventata di ragione” portata dall’Illuminismo12.

Accolte con entusiasmo dai sovrani europei, le idee illuministe condussero ben presto ad una serie di atti legislativi al fine di abolire la tortura. Un entusiasmo condiviso da grandi filosofi e pensatori13 che non riuscì comunque ad arrestare le grandi barbarie protrattesi ancora nei secoli successivi.

Oggi possiamo affermare che né le distanze geografiche né il passare del tempo, sono serviti a scalfire l’utilizzo di strumenti di tortura nella società, anche se alcuni Stati ne hanno fatto maggiormente ricorso o alcuni periodi sono stati più proliferi di altri14. Da Oriente a Occidente, la tortura ha continuato a trarre linfa per il suo sostentamento. Per crudeltà e diffusione, le differenze erano e sono assolutamente impercettibili. Chi potrebbe mai dire quali tra gli artifici utilizzati sia stato meno crudele di un altro o più umano di altri?

Di indubbio rilievo, invece, sono le caratteristiche che ha assunto il modo di fare tortura nel corso dei secoli. Alcune realtà, di fatto, possono essere considerate universali, come fa notare Garofalo:

cambiano regioni e tempi, nomi di strumenti e dinamiche applicative degli stessi, ma permane con costante ferocia la stessa illogica accettazione della società e disponibilità del potere all’uso della tortura15.

12 In “La tortura giudiziaria nel diritto comune, Vol. I.”, Fiorelli offre un’adeguata e

approfondita evoluzione degli sviluppi della dottrina italiana e straniera sulla tortura, pp. 131 e ss.

13 Tra le colonne portanti del movimento della ragione, vale la pena citare Montaigne, Voltaire,

Montesquieu, Beccaria e Verri.

14P. Garofalo, op. cit., p. 43 15P. Garofalo, op. cit., p.45.

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5

2. Chi, come, perché torturare: dall’Antica Roma al secolo dei

Lumi

Il segreto della longeva vita della tortura fu probabilmente il cambiamento, la capacità di indossare il giusto vestito per ogni occasione. Attraversare i secoli rimanendo attrice della tragedia - talvolta da protagonista, altre solo da comparsa - è stato possibile solo grazie alla maestria con la quale è riuscita a insinuarsi nella vita degli uomini in nome della giustizia.

Tutte le epoche storiche hanno conosciuto la tortura, ognuna con il suo modo di infliggere sofferenza, per raggiungere scopi diversi, abbandonando nelle mani del carnefice uomini e donne colpevoli, o presunti tali, di aver commesso un qualche reato, di aver attentato alla pace e alla tranquillità della vita cittadina. Nel ricostruire l’evoluzione dell’uso della tortura nei secoli antecedenti alla rivoluzione illuminista, appare interessante sottolineare come i suoi mutamenti abbiano interessato principalmente tre diversi profili: i destinatari, le modalità, gli scopi perseguiti.

2.1 Chi

Inizialmente, non a tutti poteva essere inferta la tortura. Nel mondo greco e romano, soltanto gli schiavi16 e gli stranieri potevano subire tali supplizi in cause di qualsiasi genere e gravità, mentre gli uomini liberi e i liberti godevano di esenzione17. Senza schiavi non era possibile svolgere alcun processo: “essi vi

16 Non si potevano tormentare i servi perché deponessero contro i loro padroni. La regola, che

nel diritto romano aveva una chiara ragion d’essere giacché si vedeva nello schiavo quasi un’appendice della persona del padrone, e quindi pareva che estorcere allo schiavo una

deposizione contro di lui fosse come estorcere una confessione al padrone stesso, aveva perduto nei tempi di mezzo gran parte del suo significato, in seguito al mutamento di certe condizioni sociali, e in particolare del rapporto di schiavitù. – P. Fiorelli, op. cit., pp. 280-281.

17 La tortura, nel mondo greco e romano, trovava applicazione nei confronti degli schiavi come

strumento giuridico per ottenere testimonianze valide e, in caso di condanna a morte, come mezzo di punizione anche nei confronti di cittadini liberi, anche se il più delle volte applicata solo agli stranieri. Ad esempio, la norma del periodo prescriveva la morte tramite

avvelenamento con cicuta per i cittadini come nel caso di Socrate, condannato a morte nel 339 a.C.- ma consentiva che l’estremo supplizio venisse applicato con metodi violenti se il condannato era di un’altra città. – P. Garofalo, op. cit., p. 45.

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6

figuravano non soltanto come imputati ma quasi sempre come testimoni, le cui deposizioni apparivano risolutive ai fini giudiziari18”. Era la loro stessa condizione a determinare un trattamento diverso. In quanto esseri inferiori, erano costretti a deporre con la forza, contrariamente agli uomini liberi che deponevano liberamente. Questo meccanismo, che tracciava una linea per così dire discriminatoria per cui gli uomini liberi erano sempre e comunque esenti da tortura per il solo fatto di essere liberi, era destinato ad incepparsi nel momento in cui venne escogitato un espediente per sottoporre anch’essi al supplizio della tortura. Di fronte ai reati di lesa maestà, anche gli uomini liberi potevano essere torturati19.

Prima del Mille, si vennero a delineare tre diverse tipologie di tortura: di primo grado per minori e nobili, di secondo grado per persone di vile condizioni e di terzo grado per gli indiziati di crimini efferatissimi20.

Erano generalmente esenti da tortura alcune particolari categorie di soggetti -i quali ne godevano per ragioni essenzialmente fisiche- come le puerpere, i feriti, le donne incinte, i ragazzi, i vecchi, i malati e tutti coloro in genere che non fossero nelle piene facoltà fisiche e mentali; e ancora i sordi, i muti, i pazzi e i ciechi. Tuttavia, di fronte ai casi di eresia o di delitti di lesa maestà, anche queste parziali “norme umanitarie” non venivano rispettate.

L’immunità, talvolta, era motivata da ragioni sociali e politiche come nel caso di nobili, degli uomini di stato e di chiesa, degli uomini impegnati nel servizio militare e degli uomini di toga. Una volta tornata in auge, la tortura venne ampliamente utilizzata durante il processo e già nel 1350, in Francia, venne meno la differenza tra nobili e plebe: le immunità si assottigliarono fino a dissolversi. Gli eretici -indistintamente uomini e donne- furono perseguitati tra il XII e il XVII secolo da una delle più grandi organizzazioni del terrore che il mondo abbia conosciuto: la Santa Inquisizione21. Il loro torto fu quello di minare le fondamenta della fede di Pietro. Come fa notare Di Bella:

18 F. Di Bella, op. cit., p. 56.

19 Si diceva: gli uomini liberi sono esenti da tortura, ma questa può venire indifferentemente

applicata agli schiavi e ai nemici. Ora, chiunque complotti in un delitto di lesa maestà diventa un nemico, e poiché tutti i nemici diventano schiavi, ergo: la tortura può essere tranquillamente applicata anche ad un uomo libero.

20F. Di Bella, op. cit., p. 50.

21 Spinto dalle istanze dei teologi preoccupati dal dilagare delle eresie, il 15 maggio 1252 Papa

Innocenzo IV emanò la bolla Ad extirpanda con la quale si autorizzava l’uso della tortura a scopo estorsivo di confessioni. Essa consisteva in diversi tipi di violenza, da quella psicologica

(16)

7

Il trattamento riservato all’eretico era diverso da quello dei condannati comuni. L’eretico veniva considerato in agonia e trattato come un moribondo e anche in questi estremi frangenti si cercava con ogni mezzo, di procurare la salvezza della sua anima22.

Con il Quattrocento, secolo di streghe e magia, furono principalmente le donne a subire la tortura, imputate, com’erano, di stregoneria, probabilmente come conseguenza dell’impostazione teologica che fu data al fenomeno della magia nera23.

Particolarmente interessante è quanto stabiliva la Constitutio Criminalis

Carolina24 in merito ai criteri proporzionali che dovevano essere utilizzati per

infliggere i tormenti: bisognava tener conto dell’età, del sesso e della robustezza fisica del reo, senza provocare danni irreversibili o addirittura la morte del soggetto25.

E ancora, procedendo per categorie, troviamo la figura dell’untore, accusato di diffondere il morbo, rappresentando, in definitiva, solo un altro stratagemma per giustificare i mali quotidiani che angosciavano il popolo.

Da un punto di vista soggettivo, dunque, anche il più atroce dei mali è stato selettivo - oggi lo definiremmo “discriminatorio” - nell’individuare chi dovesse o meno essere sottoposto a sevizie e crudeltà.

2.2 Come

Finora, è stato coperto con un velo di mistero ogni e qualsivoglia riferimento alle modalità utilizzate per infliggere pene e tormenti.

Ma in cosa consistevano le torture? Quali erano gli strumenti utilizzati per infliggere acute sofferenze al torturato?

a quella fisica. La bolla, inserita per ordine pontificio negli statuti comunali ed estesa nel 1254 a tutta l’Italia, ebbe solenne conferma da Alessandro IV nel 1259 e Clemente IV nel 1265.

22 F. Di Bella, op. cit., p. 123.

23 La donna incarnava il peccato e la prima donna era stata causa del peccato originale.

L’ascetismo cristiano vedeva in essa uno dei più grandi pericoli della vita quotidiana. Inoltre vi erano, quasi certamente, delle ragioni pratiche che suggerivano di perseguitare le streghe piuttosto che gli stregoni. La donna, ordinariamente, era più nervosa, più suggestionabile, più soggetta alle alterazioni psichiche. In camera di tortura era molto più facile farle confessare ciò che più piaceva agli inquisitori. – F. Di Bella, op. cit., p. 140.

24 Conosciuta anche come “Carolina”, fu promulgata nel 1532 dall’imperatore Carlo V

d’Asburgo e fu a fondamento del diritto penale dell’Impero. Composta da 219 articoli, ne conteneva 57 riguardanti la tortura.

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8

Innanzitutto, pare sia indubbio che l’uomo sia peggiorato col trascorrere del tempo. I mezzi di tortura si fanno mano a mano sempre più crudeli, l’agonia si dilata nel tempo, la dignità umana viene negata, calpestata, umiliata.

Il modo di fare tortura, potremmo dire, conosce due caratteristiche: una di tipo oggettivo e l’altra di tipo soggettivo. Da un punto di vista oggettivo, la tortura inflitta poteva dipendere dal tipo di reato che si voleva scoprire o che si doveva punire. Da un punto di vista soggettivo, vi era differenza se a subire le torture era un uomo, una donna o un adolescente.

Tra le pratiche più conosciute nella storia della tortura, possiamo elencare a titolo esemplificativo le più famose e significative ai nostri fini26.

1. Il cavalletto o eculeo consisteva in un tavolo che si inarcava all’improvviso: il paziente, legato sopra di esso con le gambe e il dorso, veniva violentemente squassato. In questa posizione, il prigioniero veniva sovente sottoposto anche alla tortura dell’acqua che era proseguita finché si rompevano i vasi interni.

2. La corda o strappata prevedeva che il prigioniero venisse legato con le braccia, avvinte dietro le spalle, ad una corda o a una lunga puleggia. La corda penzolava da una carrucola e, una volta tirata, sollevava il paziente ad altezze diverse dal suolo: talvolta il dolore era aumentato da grossi pesi legati alle gambe. A un segno del giudice, la corda veniva lasciata e lo strumento ricadeva sino ad un palmo dal suolo, per cui si slogava vertebre e arti.

Al tormento della corda, erano sottoposti coloro che giocavano d’azzardo, i vagabondi, coloro che portavano armi senza licenza, i bestemmiatori, i rei di turbamento di ordine pubblico, di tentata evasione dalle carceri, contrabbando, accattonaggio, meretricio e altri reati contro il buon costume.

3. Con la tortura dell’acqua, il paziente veniva collocato in posizione inclinata, con la testa verso il basso e il carnefice gli versava in bocca una certa quantità d’acqua sino a gonfiarlo. Data la posizione, lo sventurato rischiava di soffocare ma il peggio veniva quando i manigoldi o altri

26 L’elenco è tratto da F. Di Bella, Storia della Tortura, p. 13 ss. il quale offre un quadro più

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aiutanti del carnefice saltavano sul ventre provocando l’uscita dell’acqua. Si procedeva più volte.

4. La veglia spagnola consisteva nel tenere sveglio il presunto colpevole che inizialmente doveva essere di sole quaranta ore ma che in seguito fu prolungato persino di settimane. L’inquisito era collocato su uno sgabello e attorniato da manigoldi che lo tenevano desto di continuo, provvedendo a riscuotere lo sventurato non appena i suoi occhi si chiudevano. Così di seguito, ininterrottamente, giorno e notte e affinché il paziente non perdesse conoscenza, di tanto in tanto si procedeva a rifocillarlo. Il sistema della veglia era ritenuto assai pietoso perché, in apparenza, non procurava danni al fisico. Effettivamente esso non faceva scorrere il sangue ma avveniva sovente che al terzo al quarto giorno il prigioniero usciva di senno. L’invenzione della veglia, il cui ideatore fu il giurista bolognese Ippolito Marsili, rappresentò un progresso civile, o almeno tale fu considerato a quell’epoca rispetto agli altri spaventosi tormenti che venivano applicati in sede giudiziaria. Fu perfezionata e accolta con simpatia specie negli ambienti giuridici ecclesiastici dell’Inquisizione. 5. La gogna o berlina sorgeva nei luoghi di mercato ed era uno strumento

considerato obbligatorio, nel Medioevo, in quasi tutte le regioni d’Europa. Il condannato doveva stare per alcune ora o per alcuni giorni con le braccia e il collo rinserrati da una grossa trave e subire gli sberleffi della moltitudine. Un cartello oppure le grida del “trombetta” indicavano le ragioni della pena.

6. Il marchio rovente fu un sistema di punizione usato fino alla metà dell’Ottocento. Questo lasciava impressa nelle carni una cicatrice a forma di lettera B per i bestemmiatori e la lettera M per i ladri.

7. La mutilazione era riservata agli indigenti perché di solito i ricchi se la cavavano con il pagamento di forti multe. Il carnefice, a seconda della sentenza di condanna, cavava gli occhi, tagliava orecchie, naso e mani. Ai ladri sorpresi per la prima volta veniva recisa la mano sinistra e la destra la seconda volta.

8. La flagellazione veniva inflitta mediante un flagello di cuoio, di varia grossezza e con un numero di colpi progressivo, a seconda della gravità dei reati: da 50 a 100 colpi e anche di più.

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9. Il rogo era riservato agli eretici, a streghe e stregoni, ai responsabili di alto tradimento e talvolta anche ai rei di reati gravissimi. Il condannato a morte era posto al centro delle cataste. Il carnefice appiccava il fuoco alle fascine interne e quindi chiudeva il varco attraverso il quale era entrato e lungo il quale usciva. Il boia, quasi sempre, lo strangolava per pietà anche se ciò gli era impedito dalle leggi penali che prevedevano l’abbrustolimento del reo in piena facoltà di intendere e di volere. Il reo era legato al palo centrale, con una corda al collo e i piedi su un barile, che era quello del catrame: appiccato il fuoco, il carnefice dava un calcio al barile. Non sempre il carnefice era abile in queste due fasi contemporanee dell’esecuzione, per cui capitava sovente che la vittima bruciasse viva.

10. La decapitazione è forse il più antico dei supplizi capitali, quello universalmente riconosciuto e perpetrato, nell’era moderna della tragica invenzione della ghigliottina. La decapitazione venne eseguita per secoli con la spada e terminata con l’ascia

11. La ruota era riservata ai criminali responsbaili di reati preoccupanti dal punto di vista dell’ordine pubblico: omicidio, rapina, furto con scasso, brigantaggio e stupratori. Consisteva in un doppio supplizio. Primo tempo: il condannato veniva legato ad una croce di Sant’Andrea sulla quale erano praticate intaccature corrispondenti al mezzo delle cosce, delle gambe, delle braccia e degli avambracci, quindi il carnefice, mediante una mazza ferrata, assestava violenti colpi in corrispondenza di ogni tacca e tre finali nello stomaco. Secondo tempo: il corpo del condannato così fratturato veniva ripiegato su se stesso in modo che i talloni toccassero la nuca e legato su una piccola ruota di carrozza, fissava orizzontalmente un palo. Sulla ruota si rimaneva più giorni fino ad esalare l’ultimo respiro27.

27 Questi esempi non esauriscono le pratiche tormentatorie conosciute dalla storia ma

ripropongono, brevemente e in maniera semplificativa, alcune tecniche utilizzate nel corso dei secoli al fine di sottolineare le differenze strumentali di cui si è caratterizzata la tortura e operare una comparazione con gli strumenti che, ancora oggi, rischiano di qualificare alcuni atti come veri e propri atti di tortura.

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2.3 Perché

Perché torturare? È forse la domanda che ci saremmo dovuti porre fin dall’inizio della nostra trattazione ma alla quale non avremmo saputo dare risposta esaustiva se non dopo esserci addentrati a pieno nel tunnel dell’orrore.

Questa terza caratteristica della tortura è forse quella che ha subito minori cambiamenti. Infatti, tradizionalmente, e per buona parte della sua esistenza, l’utilizzo della tortura era finalizzato al raggiungimento di tre scopi:

1. Tortura giudiziaria: figlia dell’antica Grecia e dell’antica Roma, la tortura veniva utilizzata come strumento giudiziario che rientrava in una più ampia concezione del diritto e della giustizia perché si trattava di un “procedimento giudiziario con cui si cerca di estorcere all’imputato o ad altro

soggetto processuale, piegandone con forza o con artificio la contraria volontà, una confessione o altra dichiarazione utile all’accertamento di fatti non altrimenti accertati, al fine ultimo di definire il giudizio fondando la sentenza sulla verità così ottenuta28”.

La tortura come raggiungimento di un fine ultimo, un fine ben preciso: la confessione, la prova per eccellenza, che venne definita in seguito dai giuristi “la regina delle prove”.

Talvolta, la tortura giudiziaria serviva come mezzo per ottenere dal soggetto condannato il nome di possibili complici nel reato.

2. Tortura punitiva: già in epoca romana, la tortura veniva attuata anche in sede di esecuzione capitale in quanto considerata una retribuzione proporzionata alla commissione di gravi crimini e veniva subita sia dagli schiavi che dai cittadini29. Talvolta, a giustificazione della tortura, si parlava di scopo deterrente, per incutere terrore e dare esempio a tutti. 3. Tortura per divertimento: talvolta, era usata come passatempo dai tiranni,

a puro titolo di divertimento e fu considerata con molta disinvoltura. Non si può definire diversamente quella inflitta ai gladiatori per divertire il

28 P. Fiorelli, op. cit., pag. 4.

29 Eccezione era fatta in particolare per la pena per crimini direttamente o indirettamente contro

l’autorità pubblica, in questo caso, potevano subirla non solo gli schiavi. Si tratta qui di crimini come la majestatis causa, ma pure la magia, il veneficio, la falsa moneta nonché i crimini contro la salus publica fondata anche sulla sacralità della famiglia, quindi per reati come l’incesto e l’adulterio. In questi casi per i Romani potevano essere sottoposti ai tormenti anche uomini liberi escluse -eccezione nell’eccezione- persone illustri come i milites e gli equites. – M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, Legalizzare la tortura? Ascesa e declino dello stato di

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popolo romano, tant’è che «ancora oggi le mura del Colosseo trasudano il sangue e le pene sofferte dai gladiatori e trasformati in pratiche sportive30 ».

4. Tortura discriminatoria: basti pensare alle persecuzioni subite dal popolo cristiano, veri e propri supplizi inflitti non in applicazione di una qualche responsabilità da reato ma solo allo scopo di spingerli a rinnegare la propria fede.

5. Tortura educativa: può essere considerata una variante che si inserisce quando era funzionale ad iniziare i giovani nel mondo adulto, e quindi guerriero31.

Le motivazioni, dunque, che hanno spinto l’uomo a praticare la tortura sono state nei secoli diverse. Alcune sono rimaste intatte, altre sono cambiate, sono state modificate, affinate. Altre ancora sono state introdotte dalla necessità di difendersi da momenti di crisi, di far fronte a pericoli, di esorcizzare paure e superstizioni di ogni genere.

Ad un certo punto della storia, una nuova esigenza si fa largo tra la coscienza degli uomini: la tortura non può e non deve più essere per lo Stato strumento di “risarcimento” di un crimine o di un’offesa subita, sia essa pubblica che privata. Per trovare l’accoglimento di istanze abolizioniste in senso proprio, occorre attendere molti secoli. Sarà in particolare nel Settecento –solo una piccola minoranza di autori anche nel Cinquecento e Seicento- che si verrà a registrare la vittoria del diritto sulla tortura, il quale può vantare in rapida successione provvedimenti legislativi che prevedevano il divieto di tortura. L’influenza esercitata dai pensatori illuministi fu fonte di idee rinnovatrici per i sovrani europei. Così, il sassolino lanciato dall’Illuminismo diventa valanga32.

30 P. Garofalo, op. cit., p. 47.

31 Nei riti di iniziazione specifici per ogni etnia e cultura, i giovani venivano sottoposti a torture

vere e proprie al fine di potere dimostrare, sopportando le terribili sofferenze e, a volte, le menomazioni permanenti che le torture lasciavano, di essere pronti a far parte del mondo degli adulti. Ogni cedimento veniva pagato caramente, anche con l’allontanamento dalla tribù. - P. Garofalo, Diritti umani e tortura. Potenza e prepotenza dello Stato democratico, pp. 34-35.

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3. Il contributo del pensiero illuminista: i primi segni di

cedimento e la dichiarazione dei diritti

“Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo!33”.

I tempi per un’inversione di rotta erano ormai maturi ed anche gli uomini erano pronti per il cambiamento34. L’Illuminismo è un’epoca fiduciosa, ottimista,

coraggiosa, rispondeva a “quello che si pensa ma non si dice” per convenienza o per timore. Fu proprio grazie a questi ingredienti -alla fiducia, all’ottimismo e al coraggio degli uomini illuminati- che si giunse a numerose conquiste e, per quanto a noi interessa, ad una vera e propria demolizione teorica della tortura. In molti, tra filosofi e pensatori, diedero il loro contributo occupandosi apertamente della tortura. Nonostante il nome di Cesare Beccaria e del suo Dei

delitti e delle pene35 riecheggi di grande gloria, non fu il solo, anche se il suo contributo fu certamente il più influente36.

Gli argomenti avversi alla tortura fanno perno essenzialmente sulla sua inutilità e irrazionalità rispetto all’obiettivo dichiarato, cioè dimostrare la colpevolezza del soggetto sospettato di aver commesso il reato, senza tralasciare le riflessioni relative alla sua ingiustizia, quindi le ragioni morali del suo rifiuto37.

L’inutilità della tortura fu sostenuta già nella tarda antichità in particolare dai Padri della Chiesa. Nel Cinquecento, Montaigne la definirà una pratica “disumana e inutile”. Ma perché inutile? Per Friedrich von Spee la tortura è senz’altro inutile per l’accertamento della verità in quanto vi è la possibilità concreta che l’imputato, al fine di sfuggire ai tormenti e alle sofferenze della tortura, confessi un crimine che non ha commesso o si confessi responsabile di un crimine qualunque magari suggerito dal torturatore.

33 I. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? 1784.

34 “La sorte della tortura legale si poté dire segnata fino da quando il pensiero illuminista si fu

volto a scardinare nella sua integrità il sistema tradizionale di cultura” – P. Fiorelli, La tortura

giudiziaria nel diritto comune, Vol. II, Giuffrè, Milano, 1954, p. 261.

35 Pubblicato a Livorno nel 1764, ebbe una fortissima risonanza e diffusione in tutta Europa,

facendosi portavoce di moltissime idee rinnovatrici.

36 Si ricordino, tra gli altri, il contributo di Pietro Verri e Joseph von Sonnenfels. 37 Cfr. M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, op. cit., pp. 57-58.

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Pietro Verri nelle sue Osservazioni sulla tortura ribadisce, innanzitutto, che i tormenti non sono un mezzo per scoprire la verità e che se anche conducessero alla scoperta della verità, sarebbero comunque ingiusti38. La tortura, dunque, è uno strumento inutile.

L’irrazionalità della tortura muove dal fatto che essa si comporta allo stesso modo indipendentemente dal soggetto che subisce i tormenti. Essa opera un’equiparazione tra reo e innocente, riservandogli il medesimo trattamento. Tutto ciò risulta contrario a ogni possibile requisito di giustizia ed equità:

un mezzo che si fonda sulla eliminazione della distinzione tra colpevole e innocente è costitutivamente estraneo a un discorso di giustizia, necessariamente da espungere dalla sfera della legalità, perché ne vìola il più elementare presupposto39.

La tortura è ingiusta. Ingiusto è ogni atto che compie il male in modo superfluo, sovrabbondante. Per gli illuministi, la tortura è uno strumento atroce, disumano ed intrinsecamente eccessivo. Ma la tortura è eccessiva, è costitutivamente un eccesso, è impossibile limitarla o moderarla.

“La tortura o è eccessiva o non è, o è efficace, e quindi estrema, o non è. È ingiusta strutturalmente, è una delle forme dell’ingiustizia. Ancora, non è addomesticabile, non c’è speranza di umanizzarla, se essa è di per sé una della più evidenti forme di disumanità40”.

Il seme abolizionista gettato dagli illuministi cominciò a dare i suoi frutti. Federico II il Grande, re di Prussia, fu il primo ad abolire la tortura nel 1740. Soltanto tre anni dopo la prima edizione del volume di Beccaria, Caterina II di Russia, redigendo di proprio pugno il codice russo nel 1767, bandiva la tortura da tutto il territorio del proprio regno, anche se il regime dei tormenti giudiziari fu formalmente abolito soltanto nel 1801 con Alessandro III41. A partire dal 1770, la tortura comincia ad essere bandita dai vari Paesi europei: le prime furono la Sassonia e la Danimarca, nel 1772 la Svezia -che già nel 1734 aveva limitato la tortura ai soli delitti più gravi-; non molto dopo, nel 1776 la Polonia e l’Austria- Boemia; e ancora il Palatinato e la Svizzera, nel 1780 la Francia42, nel 1786 la Toscana, nel 1787 il Belgio43, nel 1789 la Sicilia.

38 Cfr. P. Verri, Osservazioni sulla tortura, Claudio Gallone editore, Milano, 1997, p. 65. 39 M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, op. cit., p. 61.

40 M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, op. cit., p. 72. 41 F. Di Bella, op. cit., p. 90.

42 L’abolizione formale della question préparatoire in Francia è legata al nome di Luigi XVI

ma, in pratica, l’abolizione effettiva dei tormenti fu decretata dall’assemblea costituente nel 1789. – F. Di Bella, op. cit., p. 200.

43 La tortura in Belgio fu soppressa effettivamente soltanto nel 1794, quando la nazione fu unita

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È una storia, quella dell’abolizione della tortura, che alle origini era esclusivamente europea. Soltanto nel 1800 l’abolizionismo ha sconfinato i limiti europei44.

3.1 Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo

L’Illuminismo si ribella, si rivolta contro una pratica arcaica, disumana, guidata dall’ignoranza e dalla cecità e che, nei secoli precedenti, aveva indotto ad una morte sofferente uomini e donne. Un meccanismo di orrori e sevizie, ormai incompatibile con i concetti di giustizia e ricerca della verità che si facevano strada all’alba del XVIII secolo. La brutalità della tortura raggiunse l’apice con il periodo dell’Inquisizione, dove si consumarono le più varie e atroci violenze. Le argomentazioni degli intellettuali illuministi riguardo la tortura -ma anche la pena di morte e la moderazione delle pene- diventarono essenziali nella nuova dottrina dei diritti dell’uomo: da queste, nacquero la Dichiarazione dei diritti del

buon popolo della Virginia del 12 giugno 1776 prima e la Dichiarazione di indipendenza americana del 4 luglio 1776 dopo. In ambedue le dichiarazioni si

afferma l’uguaglianza fra gli uomini i quali sono dotati di diritti inalienabili45.

L’influenza di queste dichiarazioni fu tale da ripercuotersi, pochi anni più tardi, sull’esperienza postrivoluzionaria francese che diede alla luce, il 26 agosto 1789, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, adottata dai deputati degli Stati Generali eretti in Assemblea nazionale costituente dopo due mesi di dibattito. Il testo trae origine dalla filosofia dell’Illuminismo francese e rimane ancora, dopo più due secoli, un testo fondamentale considerato come l’archetipo

44 “Più difficile è cogliere il momento esatto della scomparsa fuori d’Europa, dove la vecchia

prassi di civiltà indigene e la nuova di conquistatori e colonizzatori bianchi la conservò in vita più a lungo. Ma quando, alla metà del XIX secolo, il principio dello stato di diritto e il riconoscimento della libertà dei cittadini si fecero, almeno sulla carta, patrimonio comune di tutte le nazioni del mondo e diedero o ridiedero a civiltà giuridiche lontane tra loro un comune fondamento ideale, non si trovò più paese che non si schierasse cogli altri nel ripudio formale della violenza come mezzo per estorcere nei processi la verità o per dar nome di verità a menzogna coatta”. – P. Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto comune, Vol. II, p. 269.

45 Thomas Jefferson scrisse che “Tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati

dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità” e che per garantire questi diritti “sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati.”

Jefferson è stato il 3° presidente degli Stati Uniti d’America ed è inoltre considerato uno dei padri fondatori della Nazione.

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di tutte le dichiarazioni, vero codice di libertà e di diritti dell’individuo e consacrazione delle precedenti Dichiarazioni americane46.

Non a caso, l’abolizione effettiva dei tormenti fu decretata dall’Assemblea costituente il 9 ottobre 1789.

4. La tortura, la guerra e i regimi totalitari

Concluse le ultime abolizioni ufficiali della tortura agli inizi dell’Ottocento, lo stesso secolo vedeva il generarsi in tutti gli stati del mondo di un ordine giuridico dove l’abolizione della tortura era ormai un presupposto storico. Si concludeva così la vita della quaestio per tormenta come istituzione giuridica. Una sola, purtroppo, delle sue vite che hanno contraddistinto nel corso della storia questo crudele strumento di verità47.

Una sola che, però, è già qualcosa. Nel bilancio degli anni successivi, il senso giuridico dell’umanità può segnare positivamente che nessuna legge è venuta a ristabilire la tortura, in nessun paese, sotto nessun regime politico. “La condanna dell’istituto come non più compatibile con i principi ispiratori d’un moderno ordinamento processuale, è sentita universalmente come definitiva48”.

Più che alle leggi ordinarie o ai codici dei vari stati, la conferma proviene dalle costituzioni degli stati di tutto il mondo che hanno spesso occasione di sancire il divieto di tortura, fissando in forma non equivoca i principi dell’ordinamento sociale. Tale divieto molte volte è compreso in proibizioni più generali, altre volte è invece espresso e preciso, come in alcune costituzioni europee del primo Ottocento, in varie costituzioni del mondo mussulmano, e in altre dell’America latina.

Nonostante le cautele giuridiche alle quali gli stati di tutto il mondo avevano fatto ricorso, la tortura torna a riconquistare un ruolo che gli illuministi non avrebbero mai potuto immaginare: «la violenza della guerra facilita l’applicazione e

46 C. Zanghi, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, G. Giappichelli editore, Torino,

2002, p. 11.

47 P. Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto comune, Vol. II. 48 P. Fiorelli, op. cit., p. 270.

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l’accettazione sociale della tortura e delle sue applicazioni più crudeli49». Viene

esaltato il ruolo dell’odio e della paura e il riconoscimento dell’odio e della paura del nemico, dove il nemico talvolta risiede nel diverso colore della pelle, in un’altra religione. L’odio e la paura si consacrano così in un desiderio di vendetta non solo per il torto subito ma anche per il torto potenziale che si potrebbe subire e si manifesta nelle crudeltà peggiori verso l’individuo e la collettività nemica. In un contesto come quello dittatoriale, la tortura ha un ruolo preventivo prima che estorsivo: si tortura non per punire ma per terrorizzare, per punire i dissidenti, per rimarcare la prepotenza della dittatura.

Con il nazismo, Hitler, le persecuzioni antisemite, Himmler, le SS e la Gestapo, i campi di eliminazione, le camere a gas, Auschwitz-Birkenau, i genocidi, le foibe, lo sterminio dei nemici del popolo, Berija, il culto della personalità, Stalin, la Ghepeù, i gulag e via dicendo, l’umanità ha saputo fare impallidire il ricordo delle atrocità commesse in millenni di storia.

“Il documento base del ritorno della tortura come sistema di indagine porta la firma del 12 giugno 1942. «Si autorizza ed è obbligatorio per i casi previsti nell’interesse del Terzo Reich l’interrogatorio di terzo grado, intendendo per ciò alimentazione ridotta (pane e acqua), giaciglio duro, cella buia, privazione del sonno, esercizi spossanti e flagellazione». Per la flagellazione sopra i venti colpi, precisava il documento con proclamati scopi umanitari, occorre l’intervento di un medico. Ma i carnefici del Terzo Reich si fermavano sempre alla diciannovesima battuta.50”

Le atrocità delle polizie segrete di stato nella Russia comunista, nella Germania nazionalsocialista e -sia pure in misura molto meno grave- in Italia sotto il regime fascista e nazifascista, sono la prova schiacciante di come il totalitarismo abbia giocato un ruolo preminente nella riapparizione della tortura in questo secolo51. La tortura in un regime totalitario è necessaria.

La Germania nazista si servì di un servizio di polizia segreta (Geheime Staatspolizei, comunemente abbreviata in Gestapo) ideato specificatamente al fine di investigare e combattere tutte le tendenze pericolose per lo Stato. Le azioni della Gestapo non erano limitate dalla legge e non erano soggette ad alcun

49 P. Garofalo, op. cit., p. 50. 50 F. Di Bella, op. cit., pp. 263-264.

51 Mentre l’Europa si preparava al grande conflitto mondiale, la vittoria repubblicana nella

Spagna del 1936 determinava una reazione delle forze reazionarie fasciste ed ecclesiali che portarono al golpe del generale Francisco Franco, detto El Caudillo. La guerra civile spagnola fu una lotta fratricida e sanguinosa e l’uso della tortura a scopo estorsivo di informazioni fu normalmente praticato dalle milizie franchiste.

Tra le dittature fasciste più crudeli, il XX secolo ha ospitato la Grecia del golpista Gorge Papadopulos. Le torture nella “Grecia dei Colonnelli” furono strumento quotidiano. Sparizioni, violenze, uso di strumenti di tortura nuovi e antichi, erano pratica costante. – P. Garofalo, op. cit., pp. 60-61.

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controllo giudiziario: finché eseguiva la volontà del Reich, stava agendo legalmente. Il potere che più spesso veniva abusato era quello della custodia protettiva, che consentiva di imprigionare nei campi di concentramento uomini e donne senza alcun procedimento giudiziario. Le persone imprigionate dovevano addirittura firmare un documento nel quale dichiarava che la persona veniva arrestata. Normalmente, la firma veniva estorta sottoponendo la persona e veri e propri atti di tortura. Nel 1943, il controllo della Gestapo passò nelle mani di Heinrich Himmler, il quale fu particolarmente impegnato nell’identificazione di ebrei, socialisti, omosessuali ed altri oppositori per il loro trasporto nei campi di concentramento nonché il diretto organizzatore della soluzione finale della questione ebraica.

Nei lager, si consumarono le forme più crudeli di tortura, complici anche le nuove tecnologie e l’impiego di strumenti innovativi. Non furono soltanto le camere a gas, i forni crematori, le esecuzioni capitali a determinare gli orrori dei campi di concentramento. I deportati furono privati della libertà -personale e di circolazione diremmo oggi, nonché della libertà di pensiero e di espressione- violati nelle loro abitazioni, privati dei loro beni, divisi dai loro affetti, costretti con la forza a suon di manganellate, sputi, schiaffi, calci ad abbandonare la loro casa, rinchiusi per ore dentro un treno merci come delle bestie, spogliati dei loro vestiti e della loro dignità, privati di un’identità, costretti a lavorare per ore, esposti alle variazioni climatiche, denutriti, impoveriti da ogni sorta di pensiero ottimista, perduti anche nella memoria. Torture, sicuramente fisiche ma soprattutto psicologiche, furono quelle che si consumarono nei campi di concentramento al fine di eseguire sperimentazioni umane usando i deportati come cavie da laboratorio. Gli esperimenti medici presso le sale chirurgiche dei Auschwitz effettuati dal medico tedesco Joseph Mengele, conosciuto anche come l’angelo della morte, sono il segno evidente di come l’uomo, nel tempo, sia peggiorato. Prove di sterilizzazione e castrazione, ricerche sulla cura ormonale per gli omosessuali, esperimenti di congelamento/raffreddamento prolungato, le ricerche sui gemelli monozigoti.

Circa quindici milioni di esseri umani furono torturati, seviziati, umiliati, offesi, uccisi da altri esseri umani.

I campi di concentramento sovietici furono concepiti con lo scopo di internare dissidenti, nemici del regime e persone non politicamente affidabili. Durante il

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periodo delle purghe staliniane degli anni trenta, fu fatto un intenso uso dei gulag che furono utilizzati fino al 1970 anche se progressivamente le condizioni dei prigionieri migliorarono rispetto al periodo di Stalin.

“Appare palese che in un clima di sterminio dei nemici, l’uso della tortura a scopo estorsivo o punitivo non avesse alcuna controindicazione politica, giuridica, sociale o morale. L’uso della tortura, nei gulag e fuori da essi, era praticata regolarmente dalla polizia segreta sovietica52”.

Il sistema di potere dell’Unione Sovietica di Stalin si fondava sull’obbedienza ottenuta con il terrore e la tortura risultava essere un ottimo strumento per ottenerla sia da parte dei cittadini liberi che da parte dei detenuti.

Anche nei gulag - campi di lavoro forzato o “correttivi” - la vita umana perdeva ogni tipo di valore: si estorceva il silenzio dei dissidenti, si diffondeva il panico nel resto della popolazione, si sfruttava la forza- lavoro ottenendola a poco prezzo.

I sovietici utilizzarono diversi strumenti di tortura moderni e fortemente coinvolgenti dal punto di vista psicologico, come ad esempio la deprivazione sensoriale: si obbligavano i prigionieri per giorni e giorni confinati in uno spazio buio senza la possibilità di comunicare con nessuno, né rendersi conto di dove si trovassero. L’esposizione prolungata all’assenza di stimoli può produrre allucinazioni e sconfinare nella pazzia53.

Gli abusi approvati e tollerati in quegli anni avevano fatto temere un ristabilimento legale della tortura ma la tortura

“nel fatto materiale e nello scopo, rimane tale anche se non si cerchi di darle una giustificazione, di ricondurla nell’ambito della legalità [...] Spettava però al nostro secolo il vanto di riportare in vita una tortura applicata in grande, con intenti sistematici, come strumento di difesa di un assolutismo statale risorto e forte come non mai. Spettava al nostro secolo l’onore di risuscitare le forme più atroci di tortura e d’invernarne di nuove e più crudeli, per fare strazio, in un’immane guerra, di prigionieri, di resistenti, di ribelli, d’ostaggi54”.

Al termine della Seconda guerra mondiale, in seguito agli orrori vissuti nei campi di sterminio o di lavoro, venne pubblicamente denunciato e bandito l’utilizzo della tortura, soprattutto da parte delle potenze vincitrici.

L’angoscia provata dall’umanità per le atrocità naziste fu tale che all’Art. 5 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, nel 1948, l’ONU non esitò a proclamare

52 P. Garofalo, op. cit., p. 57. 53 P. Garofalo, op. cit., p. 58.

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espressamente e in maniera inequivocabile che “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.” Ma se secondo la teoria ciclica vichiana dei corsi e dei ricorsi storici la storia è caratterizzata da un continuo ed incessante ripetersi di cicli, rischiamo ancora oggi di rimpiombare nel buio del Medioevo a seconda che lo impongano gli interessi politici, il fanatismo religioso o razziale, l’oltranzismo cieco55 e il

periodo postbellico non sembra averci dato torto.

5. La guerra che non insegna: la tortura nella seconda metà del

XX secolo

Le angherie sofferte da milioni di persone nei campi di concentramento nazisti, gli orrori della guerra di pochi sui cadaveri di molti, il boato dopo lo scoppio della bomba atomica, l’umanità indignata di fronte a così tanta inumanità.

La storia -soprattutto, questa storia- avrebbe dovuto insegnare molto di più di quanto non si sia invece imparato.

Il 10 febbraio 1947 venne firmato a Parigi il Trattato di Pace tra gli alleati vincitori della Seconda guerra mondiale e gli sconfitti alleati della Germania56.

Persero tutti, persero molto, in un modo o nell’altro.

Gli orrori indicibili cagionati dai governi autoritari e totalitari, che hanno calpestato e annichilito la dignità umana e l’esistenza di persone innocenti, il perpetrarsi di gravi e sistematiche violazioni durante la seconda guerra mondiale, suscitarono una forte reazione da parte di tutta la Comunità internazionale che si tradusse nella stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, documento fondamentale nell’affermazione dei diritti dell’uomo, del rispetto della dignità umana e dell’integrità fisica.

55 F. Di Bella, op. cit.

56 Il trattato di pace firmato dalla neonata Repubblica italiana prevede nella sua Parte II sulle

clausole politiche Art. 15 “L'Italia prenderà tutte le misure necessarie per assicurare a tutte le

persone soggette alla sua giurisdizione, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, il godimento dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ivi compresa la libertà

d'espressione, di stampa e di diffusione, di culto, di opinione politica e di pubblica riunione.” https://historiaitalica.files.wordpress.com/2015/05/il-trattato-di-pace-1947.pdf - Data ultimo accesso: 2 luglio 2017.

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“Nonostante il divieto generalizzato della tortura si sia affermato negli ordinamenti positivi degli Stati a partire dalla critica illuministica, e poi nel diritto internazionale in seguito all’esperienza tragica delle dittature totalitarie del Novecento, è pur vero che la tortura è stata ripetutamente e talvolta anche massicciamente e sistematicamente praticata da funzionari e agenti degli stessi Stati liberali e democratici57”.

Terminata la guerra, firmata la dichiarazione, nuovi ostacoli nell’affermazione dei diritti umani si presentavano alle porte della seconda metà del XX secolo. Una parte importante nella storia della crudeltà umana è, senza dubbio, quanto è stato commesso dalle forze armate francesi in Africa, al fine di preservare il dominio coloniale, contro la rivolta politica e sociale del popolo algerino nella guerra franco- algerina consumatasi dal 1954 al 1962.

L’agghiacciante testimonianza di Henri Alleg -direttore del quotidiano algerino di opposizione “Alger républicain” dal 1950 al 1955, cioè fino al giorno in cui il giornale venne proibito- nel piccolo libro intitolato “La tortura” dimostra cosa l’uomo non ha imparato dalla guerra. Alleg condusse una vita clandestina fino al 1957, anno in cui fu arrestato e tenuto prigioniero per un mese a El-Biar, un quartiere alla periferia di Algeri.

In questo libro, Alleg descrive in maniera minuziosa e precisa i supplizi ai quali venne sottoposto da parte di suoi connazionali -paracadutisti della 10° D.P.- durante il mese di prigionia, facendone un resoconto fino al momento in cui venne trasferito in un campo di concentramento58.

Alleg racconta che gli venne ordinato di spogliarsi e di stendersi su un «asse nero, sporco, umido, imbrattato dei vomiti degli altri clienti»; gli vennero fissate delle pinze al lobo dell’orecchio destro e al dito della mano destra, poi successivamente sui genitali, dalle quali passarono forti scariche elettriche; venne imbavagliato per sopprimere le urla mentre intorno a lui «seduti su degli zaini, Cha.. e amici scolavano bottiglie di birra». In ginocchio, venne preso a schiaffi e insulti; portato in un’altra stanza, gli venne inserito un tubo di gomma in bocca fissato al rubinetto e azionato il gettito d’acqua; e ancora «mi misero in piedi. Vacillavo, mi aggrappai all’uniforme di uno dei miei carnefici, sempre sul punto di accasciarmi. Con schiaffi e pedate mi buttavano come una palla l’uno dall’altro»; gli vennero bruciati peli pubici e delle gambe mentre era legato a testa in giù.

57 M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, op. cit., p. 93.

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