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La posizione della CEDU nell’ordinamento italiano

IL DIVIETO DI TORTURA IN EUROPA

1. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamental

1.2 La posizione della CEDU nell’ordinamento italiano

La disamina della Convenzione europea non può prescindere da una considerazione più attenta della posizione che essa occupa all’interno del nostro ordinamento dove un contributo continuo e significativo in materia è rappresentato dagli interventi della Corte Costituzionale la quale, attraverso le diverse posizioni assunte negli anni, ne ha permesso l’evoluzione. Il primo aspetto che deve essere esaminato è la sua collocazione nell’ambito delle fonti

185 Corte cost. sent. n.210/2013. 186 Ibidem.

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del nostro diritto interno; tale problematica è stata oggetto di un lungo dibattito, il quale ha dato luogo a diverse opinioni circa il valore da attribuire alla Convenzione.

Prima della revisione costituzionale dell’Art. 117 Cost., la Corte Costituzionale aveva mantenuto una posizione formalistica circa la collocazione della Convenzione in quanto aveva fatta propria la tesi, più accreditata anche in dottrina, in base alla quale alle disposizioni della CEDU andava riconosciuto lo stesso valore della fonte interna di recepimento, ossia il valore di legge ordinaria, con la conseguenza che le eventuali antinomie dovevano essere risolte in base al criterio cronologico187.

Una significativa apertura nella valorizzazione della Convenzione proveniva da coloro i quali sostenevano la possibilità di attribuirle una “copertura costituzionale”. Le soluzioni vennero ricercate innanzitutto nell’Art. 2 Cost. con il quale si voleva dare fondamento a tale tesi guardando al rango dell’oggetto tutelato, ma il riconoscimento dei “diritti inviolabili dell’uomo” appariva troppo generico. L’inadeguatezza dell’Art. 10 Cost, poi, è data dalla circostanza per cui con l’affermazione “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute” esso alludendo alle norme consuetudinarie, estranee per ciò stesso alla CEDU. Ancora, l’Art. 11 Cost. consentendo le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni, viene tradizionalmente riferito all’ordinamento comunitario: la CEDU non può essere assimilata al diritto comunitario perché non crea un ordinamento sovrannazionale al quale lo Stato italiano ha ceduto parte della sua sovranità.

Il problema è stato risolto dalla revisione dell’Art. 177 Cost. in base al quale

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi

internazionali.

187 “Quando l'esecuzione è avvenuta mediante legge ordinaria, essi acquistano pertanto la forza

ed il rango di legge ordinaria che può essere abrogata o modificata da una legge ordinaria successiva. È rimasta minoritaria in dottrina, e non è mai stata condivisa dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, né di questa Corte, la tesi secondo la quale i trattati internazionali, pur introdotti nel nostro ordinamento da legge ordinaria, assumerebbero un rango costituzionale o comunque superiore, così da non poter essere abrogati o modificati da legge ordinaria in forza del principio del rispetto dei trattati (pacta sunt servanda), norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta.” Corte cost. sent. n. 323 del 1989.

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permettendo così di portare a maturazione le tendenze in atto della giurisprudenza costituzionale, fornendo la necessaria cornice costituzionale in virtù della sua nuova prescrizione188.

Buona parte dei problemi applicativi relativi alla posizione della CEDU sono stati poi risolti dalle sentenze gemelle della Corte Costituzionale n. 348 e 349 del 2007, in base alle quali da un lato la Corte ha affermato che le norme CEDU hanno una forza di resistenza maggiore rispetto alla legge ordinaria, non potendo essere abrogate o modificate da una legge successiva; dall’altro, la stessa Corte ha ritenuto che le disposizioni CEDU, così come interpretate dalla Corte di Strasburgo (e questo costituisce la novità autentica di questa giurisprudenza), si collocano in una posizione intermedia tra legge ordinaria e Costituzione, riconoscendogli il valore di norme interposte, di livello sub-costituzionale. Questo implica che, come tutte le norme interposte, anche la CEDU deve rispettare la Costituzione e nell’eventuale contrasto tra norme interposta e norma legislativa interna “occorre verificare congiuntamente la conformità a Costituzione di entrambe e precisamente la compatibilità della norma interposta con la Costituzione e la legittimità della norma censurata rispetto alla stessa norma interposta189”. Il giudice costituzionale prosegue precisando che poiché le

norme della CEDU vivono nell'interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte europea “la verifica di compatibilità costituzionale deve riguardare la norma come prodotto dell'interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata” e che “tale controllo deve sempre ispirarsi al ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi internazionali, quale imposto dall'art. 117, primo comma, Cost., e la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della Costituzione”.

Sia la Corte di Strasburgo che la Corte Costituzionale perseguono il medesimo obiettivo nella tutela dei diritti fondamentali dell’uomo ma attraverso due modalità differenti: alla prima compete l’interpretazione uniforme della CEDU e dei suoi Protocolli, alla seconda accertare il contrasto tra norma interna e norma interposta e, in caso affermativo, verificare se le norme Cedu garantiscono una

188 A. Morrone, Sui rapporti tra norme della CEDU e ordinamento costituzionale in Lo strumento

costituzionale dell’ordine pubblico europeo. Nei sessant'anni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (1950-2010). Atti del Convegno internazionale di studi: Bologna, 5 marzo 2010, L. Mezzetti e A. Morrone (a cura di), G.

Giappichelli Editore – Torino, p. 196.

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tutela dei diritti fondamentali almeno equivalente rispetto al livello garantito dalla Costituzione190.

Con la successiva sentenza n. 311 del 2009, la Corte intende ribadire per un verso che “ad essa è precluso di sindacare l’interpretazione della Convenzione europea fornita dalla Corte di Strasburgo” per altro verso, precisa come nell’ipotesi di contrasto tra queste norme e altre norme contenute nella nostra Costituzione “esclude l’operatività del rinvio alla norma internazionale e, dunque, la sua idoneità ad integrare il parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.; e, non potendosi evidentemente incidere sulla sua legittimità, comporta – allo stato – l’illegittimità, per quanto di ragione, della legge di adattamento191”.

Di recente, la Consulta è intervenuta nuovamente sull’incidenza che l’interpretazione della CEDU deve avere nel nostro ordinamento interno, specificando come l’obbligo di conformarsi alle interpretazioni maturate in seno alla giurisprudenza di Strasburgo va riferito solo alle c.d. sentenze pilota, fornendo “indici idonei ad orientare il giudice nazionale nel suo percorso di discernimento192”.

Fuori da queste ipotesi, le interpretazioni della Corte europea non imporrebbero un obbligo di interpretazione conforme né potrebbero assurgere a parametro interposto di costituzionalità delle norme nazionali. Ciò premesso, bisogna prendere atto che i parametri individuati dalla Corte per stabilire quando un’interpretazione sia “consolidata” sono indefiniti e questo non dovrebbe escludere per i giudici nazionali, al fine di evitare un eventuale condanna futura dell’Italia una volta che l’orientamento di Strasburgo diventasse consolidato a posteriori, la possibilità di uniformarsi comunque a tale orientamento, anche qualora “non presentasse ancora i caratteri di una simile stabilità193”.

190 A. Morrone, Sui rapporti tra norme della Cedu e ordinamento costituzionale, op. cit., p. 197. 191 Corte cost. sent. n. 311/2009.

192 Secondo la Corte, il giudice nazionale dovrebbe essere orientato dalla “creatività del principio

affermato, rispetto al solco tradizionale della giurisprudenza europea; gli eventuali punti di distinguo, o persino di contrasto, nei confronti di altre pronunce della Corte di Strasburgo; la ricorrenza di opinioni dissenzienti, specie se alimentate da robuste deduzioni; la circostanza che quanto deciso promana da una sezione semplice, e non ha ricevuto l’avallo della Grande Camera; il dubbio che, nel caso di specie, il giudice europeo non sia stato posto in condizione di apprezzare i tratti peculiari dell’ordinamento giuridico nazionale, estendendovi criteri di giudizio elaborati nei confronti di altri Stati aderenti che, alla luce di quei tratti, si mostrano invece poco confacenti al caso italiano.” Corte cost. sent. n. 49/2015.

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2. L’Art. 3: divieto assoluto di tortura

L’Art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sotto la rubrica «Proibizione della tortura», con una formula lapidaria, stabilisce

Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

Dalla solo lettura della disposizione, emerge inequivocabilmente che nessuno può essere sottoposto a tortura, ma cosa sia la tortura è un problema che non viene affrontato né tantomeno risolto.

Il carattere assoluto di tale divieto e il diritto assoluto a non subire atti contrari alla dignità umana, invece, è corroborato dal successivo Art. 15 CEDU il quale, nello stabilire possibili casi di deroga ai diritti contenuti nella Convenzione in caso di stato di emergenza, al comma 2 vieta espressamente la sospensione anche temporanea dei diritti garantiti all’Art. 3 in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione. In questo modo, la Convenzione ha configurato il divieto di tortura come un principio fondamentale di tutela dei diritti dell’uomo appartenente alla categoria dei “principi inderogabili”194.

La giurisprudenza della Corte europea ha svolto, anche in questo caso, un ruolo fondamentale: l’attività pretoria che ha accompagnato l’attuazione della normativa della Convenzione ha dato un significativo contributo per lo sviluppo di molteplici profili della fattispecie di tortura195. La Corte europea, infatti, ha più volte sottolineato come il diritto a non essere vittima di pratiche di tortura o trattamenti degradanti sia parte di un sistema condiviso da tutti gli Stati democratici che formano il Consiglio d’Europa:

il rispetto della dignità umana, che è sotteso al carattere assoluto del divieto di tortura e trattamenti e pene inumane o degradanti, contiene uno dei principi fondamentali su cui si

194 La giurisprudenza della Corte europea ha dato applicazione all’Art. 15, comma 2 della

Convenzione secondo una interpretazione costante e estensiva dell’assoluta inderogabilità dell’art.3. Secondo la Corte europea di Strasburgo “l’obbligo enunciato dall’Art. 3 della Convenzione europea di non sottoporre nessuno a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti consacra un valore fondamentale della società democratica e costituisce il contenuto di una norma imperativa del diritto internazionale generale” (caso Al-Adsani c. Regno Unito, 21 novembre 2001).

Il carattere assoluto della garanzia prevista dall’Art. 3 è ben evidenziato anche dalla sentenza Soering, in cui si afferma “L’Art. 3 non prevede alcuna eccezione e l’Art. 15 non consente di derogarvi in tempo di guerra o di altro pericolo nazionale. Tale proibizione assoluta […] consacra uno dei valori fondamentali della società democratiche che fanno parte del Consiglio d’Europa.” Dato il carattere assoluto del divieto, i comportamenti della vittima, per quanto inaccettabili o pericolosi, non giustificano alcuna deroga. – C. Zanghi, op. cit., p. 178.

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fonda la comunità d’intenti che dal piano politico si è poi tradotta in un ordinamento giuridico internazionale a carattere regionale196.

La violazione dell’Art. 3 della Convenzione configura “non solo la semplice violazione di un principio giuridico che trova origine in un’elaborazione pattizia convenzionale, ma una vera e propria lesione apportata all’assetto dell’ordinamento pubblico europeo197”.

Nel caso Soering c. Regno Unito del 1989 in tema di estradizione, la Corte ha affermato che il divieto di cui all’Art. 3 si applica non solo alle ipotesi in cui il ricorso a tortura o trattamenti degradanti sia effettivo ma si estende anche nel caso in cui sussista “un reale rischio di esposizione a trattamenti o punizioni disumani o degradanti dichiarati da detto articolo”.

Il nucleo di questo divieto contiene non solo l’obbligo negativo per lo Stato di non praticare torture o di infliggere pene o trattamenti inumani o degradanti nei confronti dei cittadini ma, implicitamente, anche l’obbligo positivo di promuovere i diritti, creare le condizioni necessarie per evitare il perpetrarsi delle violazioni e tutelare ogni individuo che rientri nella propria giurisdizione198. Nel famoso caso Irlanda c. Regno Unito del 1978, la Corte europea ha affermato che la Convenzione “proibisce in termini assoluti la tortura e le punizioni e i trattamenti inumani e degradanti, a prescindere dalla condotta della vittima […]”. Il valore assoluto e inderogabile del divieto di tortura e di trattamenti o pene inumane e degradanti, codificato all’Art. 3 CEDU, confermato dalla giurisprudenza della Corte europea, appare in piena sintonia con la dottrina internazionalistica che ritiene esistente una norma di diritto internazionale generale in materia di tortura: il divieto di tortura è universalmente riconosciuto come facente parte dello jus cogens, un principio valevole per tutti gli Stati della Comunità internazionale indipendentemente dalla ratifica di precise disposizioni pattizie in materia199.

196 F. Trione, op. cit., p. 31.

197 Così la Commissione, nel caso Grecia, decisione del 24 gennaio 1968.

198 Come ha precisato la Corte europea nella sua giurisprudenza, gli Stati hanno anche l’obbligo

di predisporre tutte le misure legislative e amministrative affinché gli individui sottoposti alla loro giurisdizione siano tutelati contro gli arbitri o comunque contrari ai diritti umani compiuti da altri individui o da altri enti che non agiscano in qualità di organi statali. - A. Cassese, op. cit., p. 126.

199 F. Trione, op. cit., pp. 30 ss.; V. Piccioni, Divieto di tortura, in La Convenzione europea dei

diritti dell’uomo e delle liberà fondamentali, C. Defilippi, D. Bosi, R. Harvey (a cura di), Edizioni

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3. Il significativo contributo della giurisprudenza della Corte

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