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IL DIVIETO DI TORTURA IN EUROPA

1. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamental

1.1 La Corte europea dei diritti dell’uomo

La Corte europea dei diritti dell’uomo è un tribunale internazionale con sede a Strasburgo e si compone di tanti giudici quanti sono gli Stati membri del Consiglio d’Europa che hanno ratificato la CEDU (ad oggi quarantasette) i quali siedono a titolo individuale e non rappresentano nessuno Stato. Nell’esame dei ricorsi, la Corte è assistita da una cancelleria formata essenzialmente da giuristi provenienti da tutti i Paesi membri (chiamati anche “referendari”). Questi ultimi sono completamente indipendenti rispetto al loro Paese di provenienza e non rappresentano né i ricorrenti né gli Stati.

La Corte assicura l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: la sua missione consiste nell’accertare che i diritti e le garanzie previsti dalla Convenzione siano rispettati dagli Stati ma per fare ciò occorre che la Corte sia investita dell’esame di un ricorso che può essere introdotto da un individuo e talvolta da uno Stato qualora ritenga di essere vittima diretta di una o più violazioni dei diritti e delle garanzie previsti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli; la violazione deve essere imputabile ad uno degli Stati parte alla Convenzione. Qualora constati la violazione di uno o più di questi diritti e garanzie, la Corte pronuncia una sentenza la quale ha carattere vincolante: lo Stato interessato ha l’obbligo di conformarsi alla decisione.

La CEDU rappresenta, dunque, sul piano internazionale, l’unico caso in cui la previsione di un dettagliato catalogo di diritti è accompagnata dall’istituzione di un apposito giudice: la Corte europea dei diritti dell’uomo. A ciò si aggiunge un’altra peculiarità data dalla circostanza che, ai sensi dell’Art. 34 CEDU, i singoli (siano essi una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati) che sostengano essere vittime di una violazione da parte di uno Stato membro di uno dei diritti convenzionali, possono ricorrere alla Corte. La possibilità del ricorso individuale deve essere letta nella prospettiva di assicurare che la tutela dei diritti fondamentali proclamati dalla Convenzione venga rispettata dagli Stati parte in tutte le loro articolazioni, in primis dal potere legislativo e dal potere giudiziario. Il controllo che la Corte è chiamata ad effettuare è un controllo di tipo esterno rispetto all’ordinamento preso in considerazione: in questo, il sistema CEDU differisce da quello dell’Unione Europea dove la Corte di Giustizia opera un controllo di tipo interno.

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Alla Corte inoltre, ai sensi dell’Art. 32 CEDU, competono tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli addizionali. Il ruolo di interprete ufficiale della Convenzione attribuito alla Corte europea, il quale garantisce una definitiva uniformità di applicazione attraverso la sua interpretazione centralizzata della CEDU, attribuisce a quest’ultima una particolare rilevanza che è stata sottolineata anche dalla nostra Corte Costituzionale180.

In considerazione di questi caratteri della Convenzione, la rilevanza di quest'ultima, così come interpretata dal “suo” giudice, rispetto al diritto interno è certamente diversa rispetto a quella della generalità degli accordi internazionali, la cui interpretazione rimane in capo alle Parti contraenti [...] (sent. Corte Costituzionale n. 349/2007)

Questo ruolo della Corte viene confermato anche dall’Art. 46 CEDU rubricato “Forza vincolante ed esecuzione delle sentenze”. Da questa norma emerge il carattere certamente vincolante dell’interpretazione della Corte in relazione allo specifico caso concreto deciso, il quale obbliga gli Stati “a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti”.

La Corte europea intrattiene rapporti diretti con una pluralità di Stati e di ordinamenti diversi, essendo chiamata a valutare non solo che questi ultimi rispettino il diritto convenzionale al loro interno, tenendo conto delle specifiche peculiarità di ciascuno di esso, ma dovendo operare un vaglio di “compatibilità” anche in relazione allo specifico caso concreto che le viene di volta in volta presentato.

Di conseguenza, le sue decisioni sono il frutto combinato di enunciazioni di principio e di bilanciamento legati alle specificità non solo dell’ordinamento preso in considerazione, ma soprattutto della singola vicenda giudiziaria, che, per giunta, deve essere valutata nella sua globalità, cioè tenendo conto di tutti gli elementi in gioco; un giudizio di tipo casistico in cui assume rilievo il criterio del pregiudizio effettivo subito dal ricorrente181.

Ciononostante, la Corte svolge un importante ruolo di interprete a carattere generale, volto a rafforzare il contenuto delle norme convenzionali e destinato ad assumere un maggiore rilievo. Nella prospettiva di intensificare la funzione nomofilattica della Corte, il Protocollo n. 16 alla CEDU, aperto alla firma degli Stati Parte e all’Unione Europea dal 2 ottobre 2013, prevede un meccanismo di “interpello preventivo” della Corte europea da parte dei giudici nazionali i quali possono presentare alla Corte delle richieste di pareri consultivi su questioni di

180 R.E. Kostoris (a cura di), Manuale di procedura penale europea, Giuffrè Editore, Milano,

2015, p. 51.

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principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli il cui impiego sia rilevante per la decisione di un caso giudiziario pendente presso di loro.

Il valore autorevole della giurisprudenza di Strasburgo è sempre stato riconosciuto a livello europeo. La Corte stessa, però, nel definire i rapporti tra la CEDU e gli ordinamenti degli Stati Parte, ha elaborato la c.d. dottrina del margine di apprezzamento, in base alla quale essa stessa pone un limite al suo potere di controllo: gli Stati conservano una certa autonomia di azione e di manovra nell’applicazione della Convenzione prima che questo possa configurare una concreta violazione dei diritti garantiti dalla CEDU; la Corte continua a vegliare sul rispetto dei diritti fondamentali da parte degli Stati ma lascia loro uno “spazio” che gli consenta di perseguire altri interessi statali.

La Corte vuole evitare di imporre dei parametri agli Stati che confliggano con il sistema interno di ciascuno di essi, ritenendo che le autorità nazionali si trovino in una posizione migliore per poter attuare i diritti convenzionali nel proprio ordinamento.

La dottrina del margine di apprezzamento dovrebbe bilanciare le esigenze di uniformità applicativa della Convenzione con le esigenze di rispetto delle diversità nazionali, ma è un equilibrio assai difficile da raggiungere182.

Nel sistema CEDU, il giudice comune rappresenta il primo garante nell’applicazione dei diritti previsti convenzionalmente. Ai sensi dell’Art. 13 CEDU, si stabilisce che ogni persona i cui diritti o libertà convenzionalmente riconosciuti siano violati ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, mentre l’Art. 35 CEDU stabilisce che la Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne: il previo esaurimento delle vie interne è condizione di accesso alla Corte europea la cui giurisdizione, dunque, si qualifica come sussidiaria.

Un ultimo profilo centrale nell’inquadramento generale della CEDU è quanto disposto dall’Art. 46, il quale prevede l’obbligo per lo Stato di dare esecuzioni alle sentenze di condanna della CEDU che abbiano riconosciuto la violazione di uno dei diritti garantiti dalla Convenzione. Tale obbligo può riguardare due situazioni diverse: la prima è circoscritta alla necessità di conformarsi alla sentenza definitiva di condanna laddove la Corte abbia ravvisato una violazione

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dello Stato Parte in relazione ad una specifica ed isolata vicenda giudiziaria. Si tratta di un obbligo di risultato, potendo lo Stato scegliere liberamente tra gli strumenti messi a disposizione dal proprio ordinamento quelli più idonei da utilizzare per farvi fronte; per quanto riguarda il contenuto dell’obbligo, ai sensi dell’Art. 41 CEDU, lo Stato dovrà procedere primariamente a rimuovere le conseguenze derivanti dalla violazione e, solo se il diritto dello Stato non lo consente, in via sussidiaria, la Corte accorderà un’equa soddisfazione alla parte lesa.

La seconda situazione che può verificarsi è originata dalla singola vicenda giudiziaria la quale, portata all’attenzione della Corte europea, può far emergere, in realtà, una carenza strutturale dell’ordinamento statale il cui caso concreto rappresenta solo una diretta conseguenza. In questo caso, è necessario ricercare un rimedio generale volto ad evitare delle successive possibili violazioni. A tal proposito la Corte, a partire dalla sentenza C. eur. 22/6/2004 Broniowski c. Polonia, qualora ritenga che la violazione non derivi da comportamenti isolati e autonomi ma sia il risultato di un difetto sistematico dell’ordinamento stesso, ha iniziato a indicare allo Stato anche le concrete “misure di carattere generale” da adottare per impedire il reiterarsi futuro della violazione accertata.

È questo il modello delle c.d. sentenze pilota nelle quali la Corte, per prevenire il rischio di ulteriori violazioni seriali viene a togliere allo Stato quella libertà nella scelta delle misure da mettere in campo per ottemperare alla sentenza europea di cui normalmente gode, svolgendo così un’attività che esorbita dal puro e semplice accertamento dell’infrazione in un caso specifico183.

La sentenza Broniowski tuttavia non sembra rappresentare il punto di arrivo del nuovo orientamento inaugurato da Strasburgo: in alcune successive pronunce rese nei confronti dell’Italia, il giudice europeo si spinge sino ad indicare i rimedi specifici atti a rimuovere le cause della violazione184.

Questi sviluppi volti a valorizzare il ruolo della Corte nella fase dell’esecuzione delle sentenze definitive sono stati formalizzati e trovano oggi una specifica base normativa nell’Art. 61 del Regolamento della Corte in vigore dal 1° aprile 2011.

183 R. E. Kostoris, op. cit., p. 66.

184 B. Randazzo, Il giudizio dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo: un nuovo processo

costituzionale, in Rivista Associazione Italiana Costituzionalisti - www.rivistaaic.it/ - Data ultimo accesso: 24 luglio 2017.

Per citarne alcune, si veda C. eur. 10/11/2004, Sejdovich c. Italia in tema di processo contumaciale; sent. della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 6 marzo 2007 - Ricorso n. 43662/98 - Scordino c/Italia in tema di occupazione acquisitiva; C. eur. 8/1/2013, Torregiani c. Italia in tema di sovraffollamento carcerario.

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Successivamente, la nostra Corte Costituzionale, con la sent. 210 del 2013, ha rilevato come se è pur vero che

la Corte europea quando accerta violazioni della Convenzione connesse a problemi sistematici e strutturali dell’ordinamento giuridico nazionale, pone in essere la c.d. “procedura di sentenza pilota”, che si propone di aiutare gli Stati contraenti a risolvere a livello nazionale i problemi rilevati, in modo da riconoscere alle persone interessate, che versano nella stessa condizione della persona il cui caso è stato specificamente preso in considerazione, i diritti e le libertà convenzionali, offrendo loro la riparazione più rapida, sì da alleggerire il carico della Corte sovranazionale.

In questa prospettiva, la giurisprudenza della Corte EDU, originariamente finalizzata alla soluzione di specifiche controversie relative a casi concreti, si sarebbe caratterizzata nel tempo «per una evoluzione improntata alla valorizzazione di una funzione paracostituzionale di tutela dell’interesse generale al rispetto del diritto oggettivo», fornendo sempre più spesso, nel rilevare la contrarietà alla CEDU di situazioni interne di portata generale, indicazioni allo Stato responsabile sui rimedi da adottare per rimuovere il contrasto185.

allo stesso modo, non è necessario che tali sentenze determinino puntualmente nel loro contenuto le misure strutturali che lo Stato deve adottare, essendo sufficiente che queste risultino individuabili con un ragionevole margine di apprezzamento come conseguenze necessarie della violazione della CEDU in cui lo Stato sia incorso.

La Corte, riferendosi nello specifico al caso Scoppola il quale presenta i connotati tipici di una sentenza pilota (C. eur. 17/8/2009, Scoppola c. Italia) ha ritenuto implicito il dovere dello Stato di non limitarsi a sostituire la pena nel caso di specie, ma di porre riparo a livello normativo alla violazione riscontrata

Gli eventuali effetti della violazione «devono dunque essere rimossi anche nei confronti di coloro che, pur non avendo proposto ricorso a Strasburgo, si trovano in una situazione identica a quella oggetto della decisione adottata dal giudice europeo per il caso Scoppola186».

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