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Il divieto di tortura nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

3.1 La soglia di gravità come criterio interpretativo

5. Il divieto di tortura nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

La CEDU e l’Unione europea rappresentano i due grandi sistemi giuridici transnazionali che hanno coabitato sul continente europeo: mentre la CEDU nasce con il preciso intento istituzionale di garantire l’osservanza dei diritti fondamentali da parte degli Stati nel loro ordinamento interno, l’Unione europea, aggregatasi inizialmente intorno alla disciplina transnazionale dei mercati, ha finito gradualmente per utilizzare il diritto come strumento di tutela di quella disciplina e i diritti fondamentali come limite e fondamento della sua attività256. I diritti fondamentali e la loro tutela diventano così terreno comune tra l’Unione e la CEDU.

L’adozione a Nizza della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea il 7 dicembre 2000 (e per tale motivo, conosciuta anche come Carta di Nizza) trasferisce in un testo scritto i risultati dell’elaborazione giurisprudenziale dei diritti fondamentali operata negli anni precedenti dalla Corte di Giustizia, creando uno stretto collegamento tra questi diritti e quelli riconosciuti dalla CEDU; si tratta però di un testo privo di valore cogente e, dunque, una fonte di

soft law. La svolta definitiva si ha nel 2007 quando, con l’adozione del trattato di

Lisbona, la Carta ha assunto lo stesso valore giuridico dei trattati nella gerarchia delle fonti comunitarie ai sensi dell’Art. 6 TUE; inoltre, l’adesione alla Carta ha introdotto un duplice riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo all’interno del Trattato sull’Unione europea.

La Carta di Nizza si apre con una solenne ed esplicita affermazione della rilevanza giuridica del valore della dignità umana: l’Art. 1 stabilisce che

La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata.

Sebbene nessun riferimento alla dignità umana sia contenuto nella Convenzione EDU, essa è frequentemente richiamata dalla Corte di Strasburgo in quanto l’esigenza di proteggere la dignità di ogni essere umano costituisce la ratio dell’Art. 3 CEDU che sancisce il divieto di tortura e pene o trattamenti inumani e degradanti. Questa previsione è ripresa letteralmente dall’Art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea la quale, sancendo che “Nessuno può

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essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti” non aggiunge nulla di più rispetto all’Art. 3 della CEDU, in quanto riproduce pedissequamente la formula, potendo pienamente affermare che le due norme hanno significato e portata identici.

Tuttavia, l’importanza nella menzione della Carta di Nizza si colloca nella prospettiva di un sempre più crescente interesse dell’Unione europea nei confronti della tutela dei diritti fondamentali, dal quale ne discendono non poche conseguenze. L’Art. 6, comma 2 TUE, infatti, sancisce la possibilità per l’Unione di aderire alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (la quale è gravida di implicazioni e per tale motivo, non si è ancora verificata257), mentre il comma 3 stabilisce che i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali.

Il divieto di tortura e pene o trattamenti inumani o degradanti entra, pertanto, nel diritto comunitario sotto un duplice profilo: sancito direttamente all’Art. 4 della Carta dei diritti fondamentali e indirettamente per mezzo del richiamo alla CEDU previsto all’Art. 6 TUE.

5.1 Il regolamento CE 1236 del 2007 e il decreto legislativo n. 11

del 2007

Il crescente interesse da parte dell’Unione europea nell’ambito della protezione dei diritti fondamentali – e in particolare la tutela contro ogni forma di tortura o trattamento inumano o degradante- si è manifestato attraverso l’adozione da parte della stessa di strumenti specifici e più incisivi, finalizzati ad una effettiva tutela dei diritti. Il regolamento CE 1236/2007 adottato dal Consiglio il 27 giugno 2005 (relativo al commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per

257 Ad oggi, l’Unione non ha ancora aderito alla CEDU: la questione si trova attualmente in fase

di stallo, dopo che nel 2014 la Corte di giustizia ha respinto il progetto di adesione elaborato dalle istituzioni europee, affermando che esso metteva a rischio l’indipendenza del diritto dell’Ue. – S. Gradilone, Una questione di diritti, in La rivista Il Mulino, 22 febbraio 2017 –

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la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti) persegue proprio questo obiettivo.

Il rafforzamento della politica e della legislazione europea sull’esportazione ed importazione di prodotti potenzialmente utilizzabili per compiere torture, già avviato nel 2002, è culminato con l’adozione di uno strumento specifico volto a regolare gli scambi con i Paesi terzi di materiale che non rientra tra quelli di armamento nazionale ma che assume rilievo sotto il profilo dei diritti umani. Il regolamento, ai sensi dell’Art. 3, da un lato vieta tutte le esportazioni di merci praticamente utilizzabili solo per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti; dall’altro prevede una deroga subordinata all’autorizzazione dell’autorità competente all’esportazione di queste merci purché si dimostri che il paese nel quale le merci saranno esportate le utilizzerà esclusivamente per l'esposizione al pubblico in un museo in considerazione del loro valore storico. La costruzione dell’Art. 4, il quale prevede il divieto di importazione, è identica alla disposizione precedente.

Il dato particolarmente interessante che emerge ad una prima lettura di questo regolamento è la definizione di tortura o altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti contenuta all’Art. 2258; tuttavia, tale definizione è completamente

plasmata sulla definizione di tortura data dalla Convenzione ONU del 1984259,

non aggiungendo nulla di nuovo in termini contenutistici o esplicativi. Più interessante è invece il considerando 8) del Regolamento nella parte in cui stabilisce che “queste definizioni dovrebbero essere interpretate in funzione della giurisprudenza sull'interpretazione dei termini corrispondenti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo e nei testi pertinenti adottati dall’UE o dai suoi Stati membri”: il riferimento operato dal regolamento comunitario apre così la strada ad una definizione che supera quella di contenuto minimo della Convenzione del 1984 e si armonizza con i risultati interpretativi cui è pervenuta, in questi anni, la Corte di Strasburgo.

Al considerando 26), il regolamento, direttamente applicabile in ciascuno dei Paesi membri dell’Unione, rinvia agli ordinamenti interni la fissazione di

258 Si veda Art. 2 Regolamento CE 1236/2005.

259 Al punto 8) dei considerando del Regolamento si legge “Ai fini del presente regolamento, si

ritiene opportuno applicare le definizioni di tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti contenute nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1984 contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti e nella risoluzione 3452 (XXX) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite”.

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“efficaci, proporzionate e dissuasive” sanzioni in caso di violazione delle disposizioni introdotte dal regolamento.

Conformemente alla delega contenuta nella legge comunitaria 2005, e prima del termine di scadenza della stessa, il governo italiano ha approvato il 12 gennaio 2007 il decreto legislativo n. 11 sulla “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento CE n. 1236/2005”, introducendo sanzioni penali ed amministrative a presidio dei divieti e degli obblighi previsti nella normativa comunitaria ma cadendo, d’altro canto, nel paradosso per cui, nel nostro ordinamento, esistono delle sanzioni per chi viola il divieto di importare o esportare determinate merci che potrebbero essere utilizzate per commettere atti di tortura, ma non una legge che sanzioni chi viola il divieto di tortura stesso.

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CAPITOLO IV

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