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LA TORTURA IN ITALIA

7. L’adempimento italiano: la L 110/

L’entrata in vigore della L. 110/2017 (Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano) ha segnato la fine di un’inadempienza quasi trentennale: al codice penale, tra i delitti contro la libertà morale dell’individuo, sono stati aggiunti gli Artt. 613- bis e 613- ter, concernenti i reati di tortura e di istigazione del pubblico ufficiale alla tortura.

L’Italia può dunque finalmente affermare di aver adempiuto agli obblighi internazionali sebbene, secondo i primi commenti, il testo approvato – ben lontano da quello originariamente proposto - renderebbe la legge quasi superflua e inapplicabile in moltissimi casi, anche gravi, come quelli del G8 di Genova352; è opportuno pertanto avanzare qualche osservazione a margine del nuovo testo di legge, rilevando quali siano le maggiori criticità rispetto alla scelta di politica criminale fatta dal legislatore.

L’Art. 1 della legge 110 dispone che, al Libro II, Titolo XII, Capo III, Sezione III del codice penale, dopo l’Art. 613 (stato di incapacità procurato mediante violenza), sono aggiunti

«Art. 613-bis (Tortura). - Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni.

Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti.

352 Tale considerazione emerge da una lettera di tre pagine indirizzata al Presidente della

Camera dei deputati, Laura Boldrini, da parte di undici magistrati, inquirenti e giudicanti, titolari dei processi sull’irruzione alla scuola Diaz e sui fatti avvenuti presso la caserma di Bolzaneto, all’indomani dell’approvazione in Senato del d.d.l. sul reato di tortura. Secondo i magistrati, la nuova legge sarebbe in concreto inapplicabile a fatti analoghi rispetto a quelli verificatisi durante il G8 di Genova, i quali costituiscono il massimo esempio di tortura avvenuto nel nostro Paese. – D.d.l. Tortura, i magistrati dei processi di Genova scrivono alla

Boldrini: “Questa legge è inapplicabile ai fatti del G8” in www.ilfattoquotidiano.it, 26 giugno 2017.

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Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà. Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell'ergastolo.

Art. 613-ter (Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura). - Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l'istigazione non è accolta ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni»353.

L’Art. 2 modifica l’Art. 191 c.p.p. (prove illegittimamente acquisite) aggiungendo il comma 2-bis in virtù del quale si stabilisce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni e delle informazioni ottenute mediante il delitto di tortura salvo contro le persone accusate di tale delitto al fine di provarne la responsabilità penale; l’Art. 3 modifica l’Art. 19 del T.U. sull’immigrazione (Divieto di espulsione e respingimento. Disposizioni in materia di categorie vulnerabili, d.lgs. n.286, 25 luglio 1998) che, dopo il comma 1, aggiunge

«1.1. Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani».

Infine, all’Art. 4 prevede l’esclusione dell’immunità (anche nel diritto internazionale) a stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in altro Stato o da un Tribunale internazionale; al comma 2 dispone dell’estradizione dello straniero verso lo Stato richiedente nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura.

Il reato di tortura, così come approvato, si presenta come un reato comune ai sensi dell’Art. 613-bis, comma 1 (“Chiunque… è punito”), relegando al comma 2 della stessa disposizione la “tortura di Stato”, ossia quella commessa da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, che riceve ulteriore attenuazione dalla previsione di cui al comma 3 il quale dispone, nel caso in cui le sofferenze risultano unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti, la non applicazione della pena di cui al comma 2.

L’individuazione della “persona privata della libertà personale” sembra accogliere l’obbligo di incriminazione previsto dall’Art. 13, comma 4 Cost. mentre il riferimento alla persona affidata a custodia, potestà, vigilanza,

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controllo, cura o assistenza sembra richiedere «l’accertamento della sussistenza di un rapporto qualificato, quale elemento implicito di fattispecie, idoneo ad imporre certi obblighi di tutela a carico del reo nei confronti della vittima354»; desta perplessità il riferimento alla persona offesa che si trovi “in condizioni di minorata difesa”: tale terminologia è nota all’ordinamento penale ma è conosciuta come circostanza aggravante del reato, in grado di incidere sulla determinazione della pena sulla base di caratteristiche personali della persona offesa355 e non all’an della responsabilità penale, non potendosi tollerare una diversa configurazione giuridica del fatto, pena la violazione dell’Art. 3 Cost., a seconda che la vittima sia una persona giovane che gode di buona salute piuttosto che un anziano, essendo la tortura una pratica da vietare e punire in termini assoluti356.

Il comma 2 contempla l’ipotesi in cui il reato di tortura è commesso da soggetto qualificato il quale, richiamando espressamente le condotte di cui al comma 1, farebbe pensare alla volontà legislativa di introdurre una circostanza aggravante357: si stabilisce, infatti, per il pubblico ufficiale o l’incaricato di

pubblico servizio che commetta i fatti di cui al precedente comma abusando dei propri poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione la reclusione da cinque a dodici anni. Questa ipotesi rappresenta «la vera lacuna di tutela da cui era affetto il nostro ordinamento358» ai sensi dell’Art. 1 della Convenzione ONU il quale oltre a fare espressamente riferimento alla figura del funzionario pubblico o di qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, richiede che gli atti siano caratterizzati dal dolo specifico di ottenere informazioni o confessioni, punire il soggetto per un atto che ha commesso o si sospetta abbia commesso, intimidirla, esercitare pressioni o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione; il legislatore, con questa scelta che si discosta dalla previsione internazionale, potrebbe aver reso la norma inefficace per il tipo di

354 I. Marchi, Il delitto di tortura: prime riflessioni a margine del nuovo Art. 613-bis c.p., in

Diritto Penale Contemporaneo, Milano, 31 luglio 2017, pp. 3 ss.

355 Le circostanze di persona che possono aggravare il reato consistono solitamente in uno stato

di debolezza fisica o psichica, quali, ad esempio, l’età avanzata o l’eventuale handicap fisico o psichico della vittima.

356 I. Marchi, già cit.

357 In realtà tali timori potrebbero essere fugati in considerazione di una serie di indici testuali

che depongono a favore della natura di fattispecie autonoma del comma 2, e dunque della sua sottrazione al giudizio di bilanciamento con eventuali attenuanti. – F. Cancellaro, Tortura:

nuova condanna dell’Italia a Strasburgo, mentre prosegue l’iter parlamentare per l’introduzione del reato, in Diritto Penale Contemporaneo, Milano, 29 giugno 2017.

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sanzione inflitta. Ulteriori perplessità desta il 3 comma che esclude l’applicazione del 2 comma qualora le sofferenze siano il risultato dell’esecuzione di legittime misure privative o limitative dei diritti: per aversi tortura, dunque, le sofferenze dovrebbero essere ulteriori rispetto a quelle inflitte - per loro stessa natura - da misure privative o limitative dei diritti359; le semplici sofferenze non possono integrare il reato di tortura, essendo legittima, ad alcune condizioni l’inflizione di una sofferenza che non raggiunga determinati limiti di gravità.

Altri risvolti problematici riguardano la condotta e l’evento: per quanto riguarda la condotta, desta preoccupazione l’utilizzo al plurale dei termini «violenze o minacce» che non solo comporta una deviazione dal testo ONU (il quale facendo riferimento a “qualsiasi atto” impone che anche la singola violenza o minaccia venga punita se idonea a cagionare “dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche”) ma distorce la natura del reato prevedendo come requisito modale la reiterazione delle condotte, rendendolo un reato abituale. L’utilizzo al plurale restringe in maniera ingiustificata la portata applicativa del reato, escludendo tutte quelle ipotesi in cui le sofferenze sono causate dal singolo atto senza la necessità della reiterazione e della protrazione nel tempo: così, il singolo atto di violenza brutale, come ad esempio una pratica singola di waterboarding, non sarebbe punito. Il legislatore avrebbe potuto evitare tali conseguenze con una opportuna modifica, necessità che era emersa anche in seno alla Commissione giustizia del Senato.

Come si legge nella Relazione comunicata alla Presidenza il 28 gennaio 2014, infatti, all’interno della Commissione si era creato un orientamento, poi rimasto minoritario, «favorevole a prevedere l’integrazione del reato di tortura anche mediante un solo atto di minaccia o di violenza, ritenendosi che non si debba comunque far dipendere la sussistenza del reato dalla resistenza opposta dalla vittima e quindi dalla eventuale reiterazione della violenza»360.

Il termine «gravi» ha sostituito quello originariamente previsto (acute) al quale si aggiunge l’agire «con crudeltà».

Tale coppia concettuale, purtroppo, presta il fianco a fondate critiche per il forte deficit di determinatezza della condotta e per la palese confusione tra livelli diversi di disvalore d’azione361.

359 Per un maggiore approfondimento dei risvolti penalistici, si rimanda a I. Marchi, già cit., pp.

5 ss.

360 G. Serges, già cit.

361 I. Marchi, già cit.; A. Gamberini, La punizione della tortura entra dalla porta di servizio, il

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A ciò si aggiunga la discutibile decisione del legislatore di inserire tra le modalità alternative della condotta «il trattamento inumano e degradante» che, come più volte sottolineato dalla giurisprudenza della Corte EDU, sono altra cosa rispetto alla tortura, essendo quest’ultima il gradino ultimo di una scala crescente di rimproverabilità.

Anche l’evento rappresenta un nodo problematico difficile da sciogliere: il legislatore individua come alternative le «acute sofferenze fisiche» o il «verificabile trauma psichico». Oltre ad essere discutibile la scelta del legislatore di limitare la tortura psicologica ai soli casi in cui sia verificabile, resta il problema di che cosa significhi o come possa essere «verificabile».

Posto che il processo penale è di per sé un meccanismo di accertamento dei fatti, come sottolinea Manconi, la verificabilità del trauma

«significa introdurre un elemento di valutazione che impone probabilmente perizie psichiatriche o psicologiche. Ma i processi per tortura avvengono per loro natura anche a dieci anni dai fatti commessi. Come si fa a verificare dieci anni dopo un trauma avvenuto tanto tempo prima?362».

La sensazione che emerge è piuttosto quella di una formulazione che ostacola ancora di più l’applicazione della norma, dovendosi considerare anche l’esistenza di tecniche di tortura sempre più sofisticate e avanzate come la c.d. no-touch

torture capace di creare solo momentaneamente disturbi o stati d’ansia, «con il

rischio di far ritenere il nostro Stato non pienamente in linea con l’obbligo di incriminazione della tortura di matrice internazionale363».

Anche l’elemento soggettivo è stato al centro di continue oscillazioni e oggetto di ripetute modifiche; da ultimo si è optato per la previsione di un dolo generico sia per il reato comune che per il reato commesso dal pubblico ufficiale, espungendo dal testo del disegno di legge anche l’iniziale riferimento all’avverbio «intenzionalmente» previsto dalla Convenzione ONU.

Fatto salvo il problema del comma 2, la cui natura circostanziale è stata messa in dubbio364, si prevedono una circostanza aggravante ad effetto comune, se dal fatto deriva una lesione personale e due circostanze aggravanti indipendenti, in caso di lesioni gravi o gravissime; l’ultimo comma dell’art. 613-bis c.p. prevede poi altre due circostanze aggravanti ad effetto speciale che impongono la pena di

362 C. Torrisi, A. Zitelli, Reato di tortura in Italia: “Un testo provocatorio e inaccettabile. Una

legge truffa” in http://www.valigiablu.it , 4 luglio 2017.

363 I. Marchi, già cit.

364 Si vedano, a tal proposito, le argomentazioni di I. Marchi, già cit., p. 4 ss. e A. Gamberini,

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anni trenta di reclusione, se dal fatto deriva la morte quale conseguenza non voluta, e quella dell’ergastolo in caso di morte cagionata volontariamente. Tra le raccomandazioni contenute nella lettera del Consiglio d’Europa, si auspicava l’introduzione di pene adeguate nonché di garanzie volte a perseguire effettivamente gli autori dei reati e a risarcire le vittime senza che tale possibilità venga preclusa da istituti come la prescrizione365, clemenza, amnistia, perdono o sospensione della pena: la nuova legge, invece, non fa riferimento ad alcuno di questi aspetti, determinando un grave ammanco di tutela.

La corsa contro il tempo nel ricercare una soluzione alla lacuna normativa, accentuata dalle pressioni esercitate dagli organi internazionali, le reiterate condanne della Corte EDU, le denunce delle associazioni operanti nel settore della tutela dei diritti umani, la necessità di individuare un testo condiviso dalle opposte forze politiche, hanno determinato un risultato insoddisfacente: tali fattori hanno inciso profondamente sulla qualità del testo il quale appare intriso di contraddizioni e compromessi. Il rischio maggiore è quello di demandare alla giurisprudenza un ruolo che non le è proprio, cioè «fare quelle scelte di politica criminale a cui il legislatore pare essersi sottratto366».

365 Contrariamente a quanto stabilito nel disegno di legge approvato dalla Camera il 9 aprile

2015, nel testo di legge approvato dal Senato è venuto meno l’inserimento del reato di tortura tra quelli elencati nell’ultimo comma dell’art. 157 c.p., che ne avrebbe permesso il raddoppio dei termini di prescrizione.

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Conclusioni

[…] Ora, onorevoli colleghi, questo bisogna confessar chiaramente: che oggi in tutto il mondo civile, nella mite ed umana Europa, a occidente o a oriente e anche in Italia (ma forse in Italia meno che in altri Paesi d’Europa) non solo esistono ancora prigioni crudeli come ai tempi di Beccaria, ma esiste ancora, forse peggiore che ai tempi di Beccaria, la tortura! Questi sono argomenti sui quali di solito si ama di non insistere; si preferisce scivolare e cambiar discorso. Eppure bisogna avere il coraggio di fermarcisi. Ai primi di settembre, al congresso dell’Unione parlamentare europea ad Interlaken, al quale intervennero numerosi colleghi che vedo presenti in quest’aula, ci accadde, nel discutere un disegno preliminare di costituzione federale europea, di imbatterci in un articolo, che nella sua semplicità era più terribile di qualsiasi invettiva: “È vietata la tortura”. Nel leggerlo, abbiamo provato un’impressione di terrore: in Europa, nel 1948, c’è dunque ancora bisogno di inserire nel progetto di una costituzione federale, da cui potranno essere retti domani gli Stati uniti d’Europa, questa avvertenza? Le costituzioni, come voi sapete, hanno quasi sempre, nelle loro norme, un carattere polemico: le leggi nascono dal bisogno di evitare ciò che purtroppo si pratica. Ora il fatto che si senta il bisogno di vietare nella civile Europa la tortura vuol dire che nella civile Europa la tortura è tornata in pratica. […]367

Siamo nel 1948 quando Piero Calamandrei - con tutto lo stupore che accompagna queste parole – avverte la necessità di tenere tutti in allerta perché intuisce l’importanza di parlare ancora di tortura, al di là dello sbigottimento e dello scetticismo, affinché resti viva la consapevolezza che la battaglia non è ancora vinta: il monito mosso all’epoca dinnanzi alla Camera dei deputati riecheggia oggi - a distanza di quasi settant’anni e agli occhi di chi scrive - drammaticamente attuale: la tortura è ancora una realtà viva, una prassi scalfita ma non completamente distrutta, sopravvissuta sotto copertura con l’aiuto di coloro i quali giustificano l’umiliazione, le sevizie, la brutalità fisica e verbale, indipendentemente dal fine ultimo perseguito. La protezione dei diritti dell’uomo deve passare anche attraverso la tutela di tutti quegli atti che provocano nella persona qualcosa in più rispetto alla “semplice” violenza corporale: la tortura non è solo un problema di dolore; si ha tortura ogni qualvolta i maltrattamenti, le sevizie, le umiliazioni causano gravi sofferenze fisiche o mentali e inoltre quando la violenza è intenzionale, cioè viene esercitata volontariamente nei confronti del soggetto attraverso atti diretti non solo a ferirlo nel corpo o nell’anima ma anche ad offendere gravemente la dignità umana368. Torturare equivale a svilire l’essere

367 P. Calamandrei, Discorsi pronunciati alla Camera dei deputati nelle sedute del 27 e 28

ottobre 1948, Il ponte. Rivista mensile di politica e letteratura diretta da Pietro Calamandrei,

Anno V – n. 3, marzo 1949, reperibile in www.ristretti.it .

368 A. Cassese, Umano-Disumano. Commissariati e prigioni nell'Europa di oggi, Roma-Bari

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umano, distruggere il suo potere di decidere per sé stesso, la sua fiducia, le sue convinzioni, producendo il più profondo oltraggio per i suoi diritti umani. Il percorso seguito con il presente lavoro ha mostrato come nonostante il divieto di tortura abbia trovato accoglimento in numerose dichiarazioni e convenzioni internazionali firmate e ratificate dai Paesi di tutto il mondo (concordi nel ritenere tale pratica lesiva della dignità umana) essa continua ad essere utilizzata soprattutto come mezzo di legittimazione del potere statale perché la tortura è un crimine che attiene direttamente all’esercizio del potere punitivo dello Stato. La maggior parte degli episodi di tortura, infatti, si consumano in contesti in cui l’individuo è privato della libertà personale, trovandosi già in una condizione fisica e psichica vulnerabile, che si aggrava maggiormente quando sono gli stessi soggetti ai quali lo Stato affida la sicurezza ad abusare della condizione precaria in cui si trova la vittima. La privazione della libertà dell’individuo non fa perdere la sua dignità ma indubbiamente la mette a rischio di violazioni indebite: è innegabile come l’ambiente carcerario spesso sia teatro di soprusi e vessazioni, laddove invece il pubblico ufficiale ha un dovere di custodia e protezione nei confronti del soggetto. Cionondimeno, alcuni episodi di violenza si consumano anche nei confronti di persone che non sono legalmente private della libertà personale: circoscrivere il fenomeno in questi termini, infatti, farebbe sfuggire ingiustificatamente alla nostra analisi una serie di episodi qualificabili come tortura.

Il processo di adeguamento dell’ordinamento italiano rispetto alle garanzie di tutela, prevenzione e repressione offerte dal panorama internazionale ed europeo è stato lungo e pieno di ostacoli, il che ha determinato nel frattempo un grave ammanco di tutela nei confronti di tutti i cittadini, italiani e stranieri, che siano risultate vittime di violenze e violazioni dei loro inalienabili diritti. Il periodo di inerzia legislativa ha agevolato il verificarsi di situazioni incresciose che ha lasciato liberi ed impuniti i presunti torturatori. Con l’entrata in vigore della legge n. 110 il legislatore ha provveduto ad introdurre nel nostro ordinamento penale il reato di tortura il che segna un primo passo, seppur non completamente soddisfacente, verso l’adempimento degli obblighi internazionali assunti dall’Italia; questo però non può bastare: non si può pensare di essere giunti alla fine, anzi è necessario proiettarsi verso l’inizio di una nuova stagione caratterizzata da una maggiore attenzione sociale e politica che può essere

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sfruttata positivamente per estirpare il ricorso alla tortura. Bisogna innanzitutto

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