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La condanna della Corte europea per i fatti del G8 di Genova: le violenze della scuola Diaz e della caserma d

LA TORTURA IN ITALIA

5. Lo spettro della tortura in alcuni casi italian

5.3 La condanna della Corte europea per i fatti del G8 di Genova: le violenze della scuola Diaz e della caserma d

Bolzaneto

Il climax di violenze che si sono consumate durante il G8 di Genova svoltosi nel luglio del 2001 rappresenta una delle pagine più buie della storia italiana. Prima di Genova - teatro di una delle più intense vicende di sospensione dei diritti, dei pestaggi e dei maltrattamenti perpetrati presso la scuola Diaz e la caserma Nino Bixio di Bolzaneto, della morte di Carlo Giuliani - un precedente era stato quello di Napoli: il 17 marzo 2001, “il giorno orribile” (come è stato definito dai giudici nel processo celebrato a carico degli agenti accusati dei reati commessi durante la manifestazione), alcuni manifestanti accorsi nel capoluogo partenopeo per il

Global forum venivano condotti presso la caserma Raniero Virgilio a suon di

botte e umiliazioni320. Il 17 marzo la democrazia morì per un giorno: il giudice Donzelli, estensore della sentenza, lo ha definito un vero e proprio «rastrellamento indiscriminato».

Il processo per presunti abusi compiuti da poliziotti nei confronti di manifestanti no global si è concluso con dieci condanne: la sentenza arriva il 22 gennaio 2010, nove anni più tardi rispetto al verificarsi dei fatti e presenta, nella ricostruzione dei magistrati, molti punti in comune con la vicenda di Genova, rappresentandone così un vero e proprio precedente.

In occasione del summit internazionale del G8, nella Genova agli inizi del nuovo millennio, il centro degli scontri tra le forze dell’ordine e i manifestanti fu rappresentato dalla scuola Diaz e dalla caserma Bixio di Bolzaneto321.

La notte del 21 luglio 2001, dopo aver partecipato alla manifestazione contro il vertice di Capi di Stato e di Governo del G8, un centinaio di giovani si trovava nella scuola Diaz-Pertini, adibita a luogo di soggiorno e pernottamento dei partecipanti alla manifestazione sotto l’egida Genoa Social Forum. Durante la notte di sabato, la polizia eseguì un’operazione rilevante, per numero di uomini e mezzi impiegati, facendo irruzione nella scuola al fine di procedere ad una

320 N. Trocchia, 17 marzo 2001, prima di Genova ci fu Napoli, in www.ilfattoquotidiano.it, 17

marzo 2013.

321 Per la ricostruzione, sono state utilizzate come fonti tutte le sentenze (primo grado, appello e

cassazione) del procedimento penale interno nonché la ricostruzione della sentenza Corte EDU, Cestaro c. Italia.

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perquisizione ad iniziativa autonoma per raccogliere elementi di prova ed eventualmente arrestare esponenti dei c.d. black-block responsabili di atti di saccheggio e devastazione avvenuti nei giorni precedenti. Con l’operazione, furono posti in essere veri e propri atti di violenza, gli occupanti sorpresi nel sonno furono picchiati322: i singoli momenti della vicenda sono stati oggetto delle diverse imputazioni durante il lungo iter processuale, ma certo è che i novantatré manifestanti presenti nella scuola Diaz-Pertini furono arrestati e accusati di associazione per delinquere finalizzata al saccheggio e alla devastazione; la maggior parte furono assistiti dal personale medico presente sul posto e trasferiti in ospedale per gli interventi necessari in considerazione delle gravi lesioni riportate.

La storia di Mark Covell è una tra le tante storie di chi quella notte, durante l’irruzione alla scuola Diaz, ha subito ogni tipo di violenza e umiliazione: venne pestato brutalmente dalla polizia fino a finire in coma.

Proprio in quel momento un agente gli saltò addosso e gli diede un calcio al petto con tanta violenza da incurvargli tutta la parte sinistra della gabbia toracica, rompendogli una mezza dozzina di costole. Le schegge gli lacerarono la pleura del polmone sinistro. Covell, che è alto 1,73 e pesa meno di 51 chili, venne scaraventato sulla strada. Sentì ridere un agente e pensò che non ne sarebbe uscito vivo.

Mentre la squadra antisommossa cercava di forzare il cancello, per ingannare il tempo alcuni agenti cominciarono a colpire Covell come se fosse un pallone. La nuova scarica di calci gli ruppe la mano sinistra e gli danneggiò la spina dorsale. Alle sue spalle, Covell sentì un agente che urlava “Basta! Basta!” e poi il suo corpo che veniva trascinato via. Intanto un blindato della polizia aveva sfondato il cancello della scuola e 150 poliziotti avevano fatto irruzione nell’edificio con caschi, manganelli e scudi. Due poliziotti si fermarono accanto a Covell, uno lo colpì alla testa con il manganello e il secondo lo prese a calci sulla bocca, spaccandogli una dozzina di denti. Covell svenne323.

I procedimenti penali avviati a carico degli occupanti per i capi di accusa di associazione per delinquere volta al saccheggio e alla devastazione, resistenza aggravata alle forze dell'ordine e porto abusivo di armi si sono conclusi con l’assoluzione degli interessati; la procura della Repubblica di Genova aprì un'indagine per stabilire gli elementi sui quali si era fondata la decisione di fare irruzione nella scuola Diaz-Pertini, e per chiarire le modalità di esecuzione dell'operazione, l'aggressione con il coltello che era stata commessa nei confronti

322 P. Garofalo, op. cit., p.15; Corte di Cassazione, sez. V penale, 5 luglio 2012, n. 38085. 323 N. Davies, Le ferite di Genova, traduzione M. G. Cavallo, 7 aprile 2015, in

www.internazionale.it. Questo articolo è stato pubblicato sul Guardian il 17 luglio 2008, con il titolo “The bloody battle of Genoa”.

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di un agente e la scoperta delle bottiglie molotov, nonché gli eventi che avevano avuto luogo nella scuola Pascoli324.

La brutalità delle condotte poste in essere dalle forze dell’ordine quella notte, seppure la perquisizione fosse legittima (ai sensi dell’Art. 41 T.U.L.P.S.325) è stata censurata durante tutti i gradi di giudizio: Michelangelo Fournier, all'epoca del G8 del 2001 a Genova vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma, ha descritto di fronte ai magistrati il momento dell'irruzione nella scuola Diaz come “una macelleria messicana”.

Gli agenti si divisero nei piani dell'edificio, parzialmente immersi nel buio. La maggior parte di loro aveva il viso coperto da un foulard, essi cominciarono a colpire gli occupanti con pugni, calci e manganelli, gridando e minacciando le vittime. Alcuni gruppi di agenti si accanirono anche su degli occupanti che erano seduti o allungati per terra. Alcuni degli occupanti, svegliati dal rumore dell'assalto, furono colpiti mentre si trovavano ancora nei loro sacchi a pelo; altri lo furono mentre tenevano le braccia in alto in segno di resa o mostravano le loro carte d'identità. Altri occupanti tentarono di scappare e si nascosero nei bagni o nei ripostigli dell'edificio, ma furono riacciuffati, colpiti, talvolta tirati fuori dai loro nascondigli per i capelli (sentenza di primo grado, pagg. 263-280, e sentenza d'appello, pagg. 205-212).

In primo grado (i capi d’accusa erano falso ideologico, calunnia semplice e aggravata, abuso di ufficio, lesioni personali semplici e aggravate nonché porto abusivo di armi da guerra) il tribunale di Genova326 dichiara dodici degli imputati colpevoli di delitti di falso, calunnia semplice, calunnia aggravata, lesioni personali semplici e porto abusivo di armi da guerra; in appello327, la decisione viene parzialmente riformata arrivando alla condanna di ventiquattro imputati tra i quali questa volta figurano i vertici della polizia di Stato; nel frattempo però per la maggior parte dei reati era scaduto il termine di prescrizione. Con la sentenza n. 38085/12 del 5 luglio 2012, la Corte di cassazione confermò essenzialmente la sentenza impugnata, dichiarando tuttavia prescritto il delitto di lesioni aggravate per il quale dieci imputati e nove imputati erano stati rispettivamente condannati in primo e in secondo grado. Con la sentenza di condanna della Corte di Cassazione, che ha confermato l’accertamento dei fatti compiuti dal giudice di merito, è stata interrotta una spirale di impunità politica e giudiziaria: questa sentenza assume il carattere dell’eccezionalità e straordinarietà per la qualità e

324 Dalla ricostruzione del procedimento penale interno della Corte EDU, sentenza Cestaro c.

Italia.

325 L’art. 41 del TULPS consente agli ufficiali e gli agenti della polizia giudiziaria, che abbiano

notizia, anche se per indizio, della esistenza, in qualsiasi locale pubblico o privato o in qualsiasi abitazione, di armi, munizioni o materie esplodenti, non denunciate o non consegnate o comunque abusivamente detenute, di procedere immediatamente a perquisizione e sequestro.

326 Sentenza n. 4252/08 del 13 novembre 2008. 327 Sentenza n. 1530/10 del 18 maggio 2010.

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quantità di alti funzionari dello Stato coinvolti e condannati. La stessa sentenza non ha però condannato gli esecutori materiali delle torture perché nei confronti dei reati contestati è scattata la prescrizione, cosa che non sarebbe avvenuta se nel codice penale fosse stato previsto il delitto di tortura.

Merita a tal proposito sottolineare come, durante il ricorso in Cassazione, la Procura della Repubblica di Genova aveva provato a sollevare la questione giuridica di utilizzabilità del delitto di tortura ai sensi dell’Art. 3 CEDU, facendo leva sul carattere di norma interposta della CEDU: il procuratore generale aveva sollevato l’eccezione di illegittimità costituzionale dell'articolo 157 c.p., in materia di prescrizione dei reati in relazione all'Art. 3 della CEDU e, di riflesso, con l'articolo 117, primo comma, della Costituzione.

Nella motivazione della sentenza, la Corte, nell’esaminare l’eccezione sollevata, ha osservato come «le violenze perpetrate dalla polizia nel corso dell'intervento presso la scuola Diaz-Pertini [erano] state di una gravità inusitata». L’«assoluta gravità» starebbe nel fatto che queste violenze generalizzate, commesse in tutti i locali della scuola, si erano scatenate contro persone all’evidenza disarmate, dormienti o sedute con le mani alzate; si sarebbe trattato dunque di «violenza non giustificata e, come correttamente rilevato dal Procuratore generale, [esercitata con finalità] punitiva, vendicativa e diretta all’umiliazione ed alla sofferenza fisica e mentale delle vittime»328.

Per la Corte di cassazione queste violenze potevano definirsi «tortura» secondo la Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti oppure dei «trattamenti inumani o degradanti» ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione329.

La Corte di cassazione rilevò che, mancando un reato ad hoc nell’ordinamento giuridico italiano, le violenze in causa erano state perseguite come delitti di lesioni personali semplici o aggravate in relazione alle quali, in applicazione dell’articolo 157 del codice penale, era intervenuta la prescrizione nel corso del procedimento. La Suprema Corte notò che era questo il motivo per cui il Procuratore Generale aveva denunciato la contraddizione tra la regolamentazione della prescrizione dei reati prevista dall’articolo 157 del codice penale - nella misura in cui tale disposizione non includerebbe fra i delitti imprescrittibili i maltrattamenti di cui all’articolo 3 della Convenzione - e l’articolo 3 della Convenzione che, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte, comporterebbe l’obbligo di sanzionare adeguatamente i maltrattamenti e sarebbe dunque di ostacolo alla prescrizione dei delitti o dell’azione penale in materia. La Corte di cassazione ritenne tuttavia che un cambiamento delle regole della prescrizione, come proposto dal procuratore generale, si poneva al di fuori dei poteri della Corte costituzionale in quanto,

328Sentenza n. 38085/12 del 5 luglio 2012, reperibile in www.penalecontemporaneo.it 329 Ibidem.

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ai sensi dell’articolo 25 della Costituzione italiana, soltanto il legislatore poteva stabilire i reati e le sanzioni penali330.

L’episodio della scuola Diaz-Pertini mostra come se è vero che luoghi come il carcere, dove l’individuo è effettivamente privato della libertà personale, sono più esposti al rischio di torture, talvolta questa può essere perpetrata anche nei confronti di persone libere.

La tortura non avviene necessariamente nei confronti di persone legalmente private della libertà personale. Sarebbe una delimitazione che taglierebbe fuori tanti casi di tortura che avvengono per le strade nei confronti di persone neanche formalmente fermate o arrestate331.

Per contro, la completa ricostruzione delle violenze e i maltrattamenti che si sono consumate presso la caserma Nino Bixio di Bolzaneto - adibita a carcere provvisorio durante il G8 per procedere all’identificazione ed eventuale smistamento di fermati e arrestati presso ospedali o carceri - è altrettanto lunga e complessa: i supplizi ai quali furono sottoposti i manifestanti arrestati o fermati possono essere ripercorsi in parte da una ricostruzione fatta da Viviana Zanetti.

Dopo essere stati radunati nel cortile davanti al carcere, venivano allineati in piedi, a gambe divaricate e braccia alzate diritte sopra la testa, contro il muro della palazzina con le celle o la rete di recinzione del campo da tennis oppure nei pressi dell’edificio dove si effettuavano le operazioni di foto segnalamento. Spesso, le percosse iniziavano già lì. Una volta entrati nella struttura carceraria, gli arrestati venivano fatti sfilare lungo il corridoio –con la testa abbassata sin quasi all’altezza delle ginocchia – in mezzo a due ali di agenti che li ingiuriavano, sputavano loro addosso e li percuotevano con schiaffi e calci tentando di farli cadere a terra. Che fossero feriti o sani, all’interno delle celle dovevano restare in piedi per ore, con le gambe divaricate e le braccia alzate, o in ginocchio, con il viso rivolto alla parete, oppure nella posizione della “di ballerina” in equilibrio sulle punte dei piedi o su una gamba sola. Obbligati a lunghe attese prima di essere finalmente accompagnati ai bagni, spesso erano costretti ad urinarsi addosso. Di cibo e acqua nemmeno l’ombra. Ovunque si trovassero – dall’atrio al corridoio, dalle celle ai bagni – e senza alcun motivo apparente, venivano presi a pugni da mani coperte da pesanti guanti di pelle nera e picchiati con stracci bagnati o con i manganelli di ordinanza. Venivano spruzzati con sostanze urticanti ed irritanti, insultati, derisi, minacciati di morte, di percosse o di stupro, obbligati a pronunciare offese nei loro stessi confronti, ad inneggiare al fascismo, al nazismo o alla dittatura del generale Pinochet, a sfilare lungo il corridoio facendo il saluto “romano” e il passo “dell’oca”, ad ascoltare “Faccetta nera” e frasi antisemite. I carcerieri spesso tagliavano loro ciocche di capelli da tenere come trofei; alle volte, per dividere in gruppi gli arrestati, li marchiavano sulla guancia, con un pennarello colorato, come capi di bestiame332.

Questi scorci evocativi di quanto accaduto a Bolzaneto non vogliono minimizzare le gravi violazioni dei diritti ai quali furono sottoposti più i manifestanti ma fungere da esempio utile all’analisi verso la qualificazione

330 Corte EDU, sentenza 7 aprile 2015 - Ricorso n. 6884/11, Cestaro c. Italia. 331 P. Gonnella, op. cit., p. 77.

332 Ricostruzione di V. Zanetti, La tortura dalle parti di Bolzaneto e della Diaz. Il legislatore

negligente, gli obblighi internazionali e la Corte costituzionale, in Studium iuris, aprile 2012,

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giuridica di tali comportamenti: come sottolinea la Zanetti, infatti, sebbene per il nostro codice penale i fatti descritti sarebbero qualificabili come lesioni personali, percosse, minacce, abuso d’ufficio e d’autorità, ciò non impedisce di affermare che a Bolzaneto è stata tortura, così come definita dalle convenzioni internazionali333.

Per le violenze e violazioni di Bolzaneto, l’iter processuale avviato a seguito delle denunce per fatti illeciti di coloro i quali avevano subito maltrattamenti e vessazioni, si è concluso in Cassazione nel 2013. La sentenza di primo grado si è conclusa con quattordici condanne che ha evidenziato ancora una volta l’inadeguatezza normativa e la corrispondente inadeguatezza nella determinazione concreta della risposta sanzionatoria; tutti i reati per i quali è stata accertata la responsabilità all’esito dei giudizi di fronte al Tribunale e alla Corte d’Appello di Genova è stata rilevata l’estinzione per intervenuto decorso del termine di prescrizione.

La maggior parte degli imputati dichiarati colpevoli in primo grado è stata, infatti, condannata a pene inferiori ai due anni di reclusione beneficiando, così, della sospensione condizionale; invece, per i pochi puniti con una sanzione maggiore ci ha pensato l’indulto del 2006 a condonare – in tutto o in parte – la loro pena. In appello, infine, i reati sono stati dichiarati prescritti334.

Il verdetto definitivo della quinta sezione penale della Suprema Corte335 ha confermato solo in parte il giudizio della Corte d'Appello di Genova reso con la sentenza del 5 marzo 2010 per 44 imputati, poliziotti, carabinieri, agenti e medici della penitenziaria336: quattro imputati sono stati assolti per questioni procedurali, gli altri reati attribuiti agli imputati sono stati confermati ma molti si sono prescritti o coperti da indulto. Per la Corte, le violenze e le illegalità commesse dalle forze dell’ordine a Bolzaneto hanno provocato un «completo accantonamento dei principi cardine dello Stato di diritto» integrando violazioni sostanziale dell’Art. 3 CEDU. Per contro, la Corte ha dichiarato inammissibili per manifesta infondatezza le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Procura di Genova relativamente all’art. 157 c.p. e all’art. 1 della l. n. 241/2006, nelle parti in cui prevedono rispettivamente l’applicabilità della

333 Ibidem.

334 Ibidem; la prescrizione è intervenuta per 32 dei 33 indagati, mentre per uno la Corte ha

dichiarato il condono per effetto della legge n. 241 del 2006 sull’indulto.

335 Sentenza n.37088 del 14 giungo 2013, reperibile in www.penalecontemporaneo.it 336 G8 del 2001, per Bolzaneto 7 condanne e 4 assoluzioni. Trentatré le prescrizioni, in

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prescrizione e dell’indulto anche per i fatti di reato riconducibili alla nozione di tortura.

I fatti di Genova mostrano come il legislatore italiano non sia stato in grado di fornire al giudice gli strumenti adeguati da applicare a vicende certamente drammatiche e incresciose come queste.

Buona parte dei protagonisti dei processi per i fatti del G8 di Genova si sono rivolte al giudice di Strasburgo affinché chiamasse per nome quello che effettivamente è accaduto alla Diaz e a Bolzaneto; dal 2009, molteplici sono stati i ricorsi presentati alla Corte europea per le violenze e i maltrattamenti subiti in violazione dell’Art. 2337 e Art. 3 della Convenzione che hanno originato una serie

di cause tra le quali, ad oggi, due hanno attestato la violazione dell’Art. 3 CEDU e disposto conseguente risarcimento dei danni per le vittime. La prima sentenza di condanna del giudice europeo nei confronti del governo italiano per gli atti commessi dalle forze dell’ordine qualificabili come tortura ai sensi dell’Art. 3 è la Cestaro contro Italia.

Nel panorama delle decisioni pronunciate nei confronti del Governo italiano per violazione dell'art. 3 CEDU, la sentenza Cestaro si distingue dalla precedente giurisprudenza della Corte di Strasburgo poiché costituisce la prima condanna per atti commessi dalle forze dell'ordine qualificabili propriamente come "tortura", ed al contempo il primo accertamento dell'esistenza di carenze sistemiche tali da rendere inefficace la risposta repressiva italiana. Come evidenziato dalla Corte, tale défaillance strutturale, ascrivibile all'inadeguatezza della legislazione penale rispetto alla duplice esigenza di sanzionare gli atti di tortura e di creare il necessario effetto dissuasivo, impone all'Italia di adottare tutte le misure idonee a porvi rimedio, dotandosi innanzitutto di un quadro giuridico adatto e di disposizioni penali efficaci338.

Il signor Cestaro (in qualità di vittima di violenze e sevizie qualificabili come tortura durante l’irruzione delle forze dell’ordine alla scuola Diaz-Pertini) si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell’uomo lamentando la violazione dell’Art. 3 CEDU da parte dello Stato italiano il quale, non prevedendo una fattispecie ad hoc di tortura nel sistema penale italiano, non ha adottato le misure necessarie a prevenire violenze e maltrattamenti del tipo di quelli subiti dal ricorrente. La Corte ha affrontato la presunta violazione dell’Art. 3 prima dal punto di vista sostanziale e poi dal punto di vista procedurale.

1. Violazione sostanziale. La Corte, sulla base di quanto statuito dai diversi gradi di giudizio dei procedimenti penale interni, ha innanzitutto ritenuto

337 Corte EDU, Giuliani e Gaggio c. Italia, 24 marzo 2011, n. 23458/02.

338 S. Negri, Violazioni strutturali e ritardo nell’esecuzione delle sentenze CEDU: il caso

Cestaro c. Italia e l’incerta introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano, Dir.

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accertati maltrattamenti, sia fisici che verbali, subiti dal ricorrente nonché le conseguenze derivanti da essi; successivamente la Corte ha proceduto, con cenni alla giurisprudenza in materia di tortura, alla distinzione tra tortura e trattamenti inumani e degradanti: questa distinzione sembra essere stata sancita dalla Convenzione per marchiare di «una particolare infamia alcuni trattamenti inumani deliberati che provocano sofferenze estremamente gravi e crudeli». Al fine di qualificare gli atti come tortura, la Corte richiama due criteri: l'intenzionalità delle sofferenze inflitte e la gravità delle stesse. Nel caso di specie,

la Corte non può ignorare che, secondo la Corte di cassazione, le violenze nella scuola Diaz-Pertini, di cui è stato vittima il ricorrente, erano state esercitate con finalità «punitiva, vendicativa e diretta all’umiliazione ed alla sofferenza fisica e mentale delle vittime»; inoltre, dal fascicolo risulta che il ricorrente è stato aggredito da agenti che lo hanno preso a calci e colpi di manganello tipo tonfa; colpi inferti al

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