• Non ci sono risultati.

Il divieto costituzionale di tortura: Art 13, comma 4 e Art 27, comma 3 Cost.

LA TORTURA IN ITALIA

2. La tortura e la tutela costituzionale

2.1 Il divieto costituzionale di tortura: Art 13, comma 4 e Art 27, comma 3 Cost.

L’assenza di una disposizione normativa che vieti il ricorso alla tortura viene normalmente fatta risalire alla data di entrata in vigore in Italia della Convenzione contro la tortura del 1989, mediante la quale il nostro paese si è impegnato a provvedere, ai sensi dell’Art. 4, affinché «qualsiasi atto di tortura costituisca un reato a tenore del diritto penale». In realtà, se si considera che la Costituzione repubblicana del 1948, ai sensi dell’Art. 13, comma 4 prevede che «È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà» il vuoto normativo risulta essere ancor più datato: la tortura è «l’unico reato imposto costituzionalmente», non essendovi altra disposizione costituzionale che utilizzi il termine “punire” non prevedendo altri obblighi di criminalizzazione278 e rappresentando pertanto un unicum nel panorama costituzionale.

[…] la ratifica dell’Italia di trattati e convenzioni che la vietano, quindi, obbedisce a un dovere di coerenza costituzionale come per una sorta di rima davvero obbligata, perché è già con l’entrata in vigore della Costituzione italiana del 1948 che sorge l’imperativo legislativo di vietare la tortura e criminalizzarne il ricorso279.

Tale divieto si colloca all’interno di una disposizione, l’Art. 13, che ha lo scopo di proteggere il bene più vicino all’individuo: la sua sfera fisica280.

L’Art. 13, comma 1 proclama l’inviolabilità della libertà personale, operando un’innegabile ed esplicito richiamo all’Art. 2 Cost. e al catalogo di diritti ad esso collegato. La libertà personale riguarda «lo stato di libertà fisica» e si presenta “come diritto soggettivo perfetto nella misura in cui la Costituzione impedisce alle autorità pubbliche l'esercizio della potestà coercitiva personale281”: pertanto, la tutela della libertà personale si ricollega alla sfera delle coercizioni e delle limitazioni fisiche282. Tuttavia, emerge più volte dalla giurisprudenza della Corte

278 A. Pugiotto, Repressione penale della tortura e Costituzione: anatomia di un reato che non

c’è, in Diritto Penale Contemporaneo, Milano, 17 febbraio 2014, p. 6.

279 Ibidem.

280 F. Dal Canto, I diritti e i doveri costituzionali, in R. Romboli (a cura di), Manuale di diritto

costituzionale italiano ed europeo, Vol. I, G. Giappichelli Editore, pp. 177 ss.; M. Ruotolo (a

cura di), Costituzione della Repubblica italiana, Commentario Costituzione Art. 13, in Leggi d’Italia, pp. 3 ss.

281 Corte cost. sent. n.11/1956. 282 Corte cost. sent. n.105/2001.

122

Costituzionale come anche la lesione/mortificazione della dignità umana può comportare violazione della libertà personale

[…] perché la libertà personale venga effettivamente incisa deve verificarsi una "degradazione giuridica" dell'individuo nel senso dell'avverarsi di "una menomazione o mortificazione della dignità o del prestigio della persona, tale da poter essere equiparata a quell'assoggettamento all'altrui potere in cui si concreta la violazione dell'habeas corpus"283.

Un ulteriore percorso interpretativo, che ha però avuto un impatto limitato nella giurisprudenza costituzionale, è stato quello volto a ricondurre nel novero dell’Art. 13 le limitazioni della libertà morale284.

Una parte della dottrina, che ha trovato un certo riscontro giurisprudenziale, ha poi ritenuto di avanzare una lettura ancora più estensiva dell’Art. 13 secondo la quale il concetto di "libertà personale" non si radica nel solo art. 13, ma coinvolge, necessariamente, gli Artt. 2 e 3 della Costituzione

Quest'ultima tesi, sottolineando la centralità del valore del libero sviluppo della personalità (Art. 3, 2° co., Cost.), permette di cogliere più di ogni altra la complessità del significato dei diritti enumerati, a partire dalla libertà personale, intesa, in questa prospettiva, come libertà psicofisica, come libertà della mente e del corpo nella loro indissolubile unità285.

Queste interpretazioni consentono di affermare una piena ed indiscutibile tutela garantita a livello costituzionale da qualsiasi atto o comportamento volto a ledere l’individuo nella sua libertà personale, intesa come libertà da ogni forma di coercizione fisica, mortificazione della dignità umana, limitazione della libertà morale e dunque, implicitamente, dalla tortura.

I commi successivi della medesima disposizione costituzionale dispongono poi le adeguate garanzie e i limiti che devono sussistere qualora risulti necessario limitare la libertà personale per tutelare interessi di pari rango286. Il perno della

283 Corte cost. sent. n.210/1995; nei medesimi termini si vedano anche Corte cost. sent.

419/1994 e 68/1964.

284 Il riferimento va alla sent. 30/1962, nella quale la Corte affermò che "la garanzia dell'habeas

corpus non deve essere intesa soltanto in rapporto alla coercizione fisica delle persone, ma anche alla menomazione della libertà morale, quando tale menomazione implichi un assoggettamento totale della persona all'altrui potere".

285 Così Modugno richiamato in Dal Canto e Ruotolo, già citati.

286 Il comma 2 dell’Art. 13 prevede che le restrizioni della libertà personale possano essere

disposte nei soli casi e modi previsti dalla legge e con atto motivato dell'autorità giudiziaria. Si ha, pertanto, accanto alla riserva di giurisdizione, una riserva assoluta di legge. Al comma 3, è confermata la riserva di giurisdizione il quale nel prevedere che "in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge", l'autorità di pubblica sicurezza possa adottare "provvedimenti provvisori", sancisce che essi "si intendono revocati e restano privi di ogni effetto" se non sono "comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria, e se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore. Il comma 5, infine, ammette la carcerazione preventiva, richiedendo però che la legge ne stabilisca i limiti massimi. Per un’analisi più

123

disposizione è il comma 4 che si colloca, dunque, a metà strada tra l’esigenza di limitare la libertà del soggetto alla luce di un delicato bilanciamento tra libertà personale e attività di repressione e prevenzione dei reati287 e il necessario riconoscimento di tutti i diritti fondamentali il quale, non a caso, presenta un indubbio collegamento con l’Art. 27, comma 3 in base al quale «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Come sottolinea Giuliano Serges, da queste norme emerge, anche se in maniera implicita, quel filo rosso che lega tortura e carcere: per quanto riguarda l’Art. 13, comma 4 risulta evidente come la tortura si estrinsechi in una forma di violenza fisica e morale e che “la vocazione storica principale del carcere” è quella di ospitare persone limitate nella libertà personale; il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità contenuto all’Art. 27, comma 3, invece, riguarda

[…] il legame carcere-tortura, in quanto, da un lato, la reclusione in carcere è una pena e, dall’altro, la tortura appartiene senza dubbio alla categoria dei trattamenti disumani288

mentre il divieto di pene che non tendano alla rieducazione del condannato

[…] sott’intende un legame tra carcere e tortura, poiché un trattamento penitenziario che tenda a “risocializzare” il condannato comporta necessariamente l’esclusione a priori di qualunque forma di violenza – fisica o morale – sul detenuto289.

L’analisi di Serges relativa a queste disposizioni aiuta, inoltre, a superare le criticità relative alla preoccupazione che emerge se si legge la norma nel senso di circoscrivere l’ambito applicativo solo a quello penitenziario: il compito dello Stato è quello di punire adeguatamente ogni forma di violenza fisica o morale sulle persone sottoposte a qualunque forma di restrizione della libertà la quale si riferisce certamente al soggetto che si trovi in stato di detenzione, ma anche a colui che viene fermato, arrestato o sottoposto ad interrogatorio.

Il mancato riferimento esplicito al termine tortura si colloca nella prospettiva di non limitare la tutela alla sola tortura giudiziaria, essendo al tempo intesa prevalentemente in tal senso, attribuendole un significato più ampio e capace di abbracciarne le successive evoluzioni, in linea con quella concezione di

approfondita, si veda M. Ruotolo (a cura di) Costituzione della Repubblica italiana,

Commentario Costituzione Art. 13, in Leggi d’Italia, pp. 6 ss.

287 Corte cost. sent. n.11/1956.

288 G. Serges, L’introduzione dei reati di tortura in Italia ed in Europa quale corollario della

tutela «fisica e morale» della persona umana «sottoposta a restrizioni di libertà», in

costituzionalismo.it, Fascicolo 2, 2015.

124

Costantino Mortati di un testo costituzionale aperto al futuro, una «Costituzione presbite che vede bene lontano» nella previsione di un solenne e formale impegno ad una futura attività legislativa.

[…] con l’articolo 13, comma 4, non ci si limita più a dire che la tortura è “vietata” (concezione interdittiva), bensì si afferma che essa debba essere punita (concezione repressiva), «con una perentorietà che non si trova in altra formula costituzionale»290.

I padri Costituenti non solo hanno saputo formulare una norma capace di superare quella concezione, tipica dell’Illuminismo, esclusivamente interdittiva ma hanno lungamente anticipato quanto verrà successivamente previsto (quasi quarant’anni dopo) dalla Convenzione contro la tortura: la straordinaria portata dell’Art. 13, comma 4 risiede nel fatto di prevedere la tortura quale «unico delitto costituzionalmente imposto291».

A fronte della costruzione impeccabile dell’Art. 13, comma 4 Cost. che vieta la tortura e impone di punire chi la commette, lo scandalo italiano è costituito dall’assenza di un reato, rimanendo pertanto il dettato costituzionale parzialmente inattuato.

3. Il reato che non c’è: la prolungata assenza di una disposizione

Outline

Documenti correlati