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(1)

Geometria Iperbolica Complessa

A.A. 2010/2011 - SNS, Pisa

Esercitazioni e Complementi

1

Esercitazione del 03/11/2010

Indichiamo con D il disco unitario in C, ovvero l’insieme {z ∈ C : |z| < 1} e con Da il disco di raggio a > 0, ovvero {z ∈ C : |z| < a}. Ricordiamo alcuni

risultati classici della teoria di una variabile complessa. Thm 1.1 (Liouville) Per ogni r > 0, Hol(C, Dr) = Dr.

Cor 1.2 Sia f ∈ Hol(C, C). Se f (C) ha complementare a parte interna non vuota, allora f `e costante.

Dim: Sia z0 nella parte interna del complementare di f (C); si consideri la

funzione

g(z) = 1 f (z) − z0

Essa `e olomorfa e vale

|g(z)| ≤ 1

dist(z0, f (C))

< +∞ dunque, per Liouville, f `e costante. 

Thm 1.3 (Casorati-Weierstrass) Sia U ⊆ C un aperto e sia z0∈ U un suo

punto. Se f ∈ Hol(U \ {z0}, C) ha una singolarit`a essenziale in z0, allora per

ogni V intorno di z0 in U l’immagine f (V \ {z0}) `e densa in C.

Prp 1.4 (Schwarz) Sia f ∈ Hol(D, D) con f (0) = 0. Allora |f (z)| ≤ |z| ∀ z ∈ D

e |f0(0)| ≤ 1. Se inoltre esiste z ∈ D per cui vale l’uguaglianza |f (z)| = |z| o se |f0

(0)| = 1, allora f (z) = az con a ∈ S1.

Il lemma di Schwarz `e il primo passo verso la classificazione degli automor-fismi del disco, infatti porta in maniera naturale alla seguente proposizione. Prp 1.5 Se f ∈ Aut(D) `e tale che f (0) = 0, allora f (z) = az con a ∈ §1.

Dim: Ovviamente, f (z) = az `e un automorfismo del disco e fissa l’origine. D’altra parte, se f ∈ Aut(D), anche f−1 ∈ Aut(D) e se f(0) = 0, anche f−1(0) = 0, quindi, per il lemma di Schwarz, si ha

|f (z)| ≤ |z| |z| = |f−1(f (z))| ≤ |f (z)|

da cui |f (z)| = |z| per ogni z e dunque, sempre per il lemma di Schwarz, f (z) = az.

Con la notazione Autp(X) si indica il sottogruppo di Aut(X) fatto da quegli

elementi che fissano p. Il risultato precedente pu`o allora essere riformulato dicendo che

(2)

Rem 1.1 Se J `e un sottogruppo di Aut(X) che sia transitivo su X e che contenga Autp per un qualche punto p ∈ X, allora J = Aut(X).

Thm 1.6 Si ha Aut(D) =  z 7→ az + b bz + a | a, b ∈ C, |a| 2− |b|2= 1  =  z 7→ eiφ z − w wz − 1 | w ∈ D, 0 ≤ φ < 2π 

Dim: Usando la proposizione precedente, `e facile vedere che entrambi questi gruppi contengono Aut0(D). Inoltre, la transitivit`a `e ovvia. L’unica verifica

da fare (facile, ma noiosa) `e che entrambi questi gruppi siano effettivamente composti da automorfismi del disco. 

Generalizziamo ora il lemma di Schwarz nel caso di una generica mappa dal disco in s`e.

Prp 1.7 (Schwar-Pick) Sia f ∈ Hol(D, D), allora |f (z) − f (w)|

|f (w)f (z) − 1|≤

|z − w|

wz − 1| ∀ z, w ∈ D Se esistono z, w per cui vale l’uguaglianza, allora f ∈ Aut(D). Dim: Sia

gw(z) =

z − w wz − 1

Allora h = gf (w)◦ f ◦ gwsta in Hol(D, D) e fissa l’origine e dunque, per Schwarz,

si ha |h(ξ)| ≤ |ξ|, da cui

|f (z) − f (w)| |f (w)f (z) − 1| ≤ |g

−1 w (z)|

Notiamo che g−1w = gw e dunque

|f (z) − f (w)| |f (w)f (z) − 1| ≤

|z − w| |wz − 1|

Il caso di uguaglianza segue sempre dal lemma di Schwarz. 

Questi risultati possono essere trasportati dal disco al sempipiano H = {z ∈ C : Im(z) > 0} tramite il biolomorfismo

z 7→ i1 + z 1 − z e il suo inverso z 7→ z − i z + i Quindi, ad esempio Aut(H) =  z 7→ αz + β γz + δ : α β γ δ  ∈ SL(2, R) 

(3)

e, per ogni f ∈ Hol(H, H), vale

|f (z) − f (w)| |f (z) − f (w)| ≤

|z − w| |z − w| Esercizio Dimostrare che per f ∈ Hol(D, D) si ha

|f0(z)|

1 − |f (z)|2 ≤

1

1 − |z|2 ∀ z ∈ D

Esercizio Sia f ∈ Hol(D, D) con f (0) = 0. Sia n ≥ 1 e ζ = e2iπ/n. Allora

|f (ζz) + f (ζ2z) + . . . + f (ζnz)| ≤ n|z|n

∀ z ∈ D e se vale l’uguaglianza per un valore di z, si ha f (z) = azn.

1.1

Teorema della mappa di Riemann

Da quanto detto, `e evidente che, dal punto di vista dell’analisi complessa, il disco e il piano complesso sono abbastanza dissimili. Infatti, pur essendo omeomorfi, non sono biolomorfi (facile corollario di Liouville); d’altra parte, il disco e il semipiano superiore sono invece biolomorfi.

Thm 1.8 (Riemann) Sia G ( C un dominio semplicemente connesso, allora G `e biolomorfo a D.

Dim: In G, ogni unit`a di O(G) ha una radice quadrata, in quanto G `e sempli-cemente connesso; supponiamo 0 ∈ G e sia a ∈ C \ G. Allora w(z) = z − a `e olomorfa su G e non nulla, quindi esiste v(z) ∈ O(G) tale che v2(z) = z − a.

Notiamo che v : G → C `e iniettiva, in quanto lo `e il suo quadrato, ed inoltre v(G) ∩ (−v(G)) = ∅. Quindi esiste un disco B = B(c, r) tale che v(G) ⊂ C \ B. Poniamo g(z) =1 2r  1 z − c− 1 v(0) − c 

Allora la funzione f (z) = g ◦ v(z) manda G in D, `e iniettiva e f (0) = 0. Definiamo dunque la famiglia

F = {f ∈ Hol(G, D) | f iniett., f(0) = 0, f0(0) > 0}

Per quanto appena detto, F non `e vuota. Sia B = sup{f0(0) | f ∈ F }. Allora esiste {gn} ⊂ F tale che gn0(0) → B. Poich´e gli elementi di F sono limitati

da una stessa costante, per il teorema di Montel F `e una famiglia normale e dunque esiste gnk che converge ad f sui compatti di G. Ovviamente |f (z)| ≤ 1,

f (0) = 0 e f0(0) = B. Inoltre, per il teorema di Hurwitz, il limite di funzioni iniettive `e iniettivo o costante ed f , non essendo costante, `e dunque iniettiva. Per cui f ∈ F .

Ora, mostriamo che f `e anche surgettiva. Supponiamo quindi che f (z) 6= w0

per ogni z ∈ G. Allora

F (z) = s

f (z) − w0

(4)

` e ben definita e G(z) =|F 0(0)| F0(0) F (z) − F (0) 1 − F (0)F (z) sta in F , ma G0(0) = |F 0(0)| 1 − |F (0)|2 = 1 + |w0| 2p|w0| B > B che `e assurdo. Quindi f `e surgettiva.

f `e iniettiva e surgettiva tra G e D e dunque `e un biolomorfismo. 

1.2

Teorema di Picard

Lo scopo di questa sezione `e, per l’appunto, di dimostrare il Grande Teorema di Picard, che afferma che tutti i valori eccetto al pi`u uno vengono assunti infinite volte nell’intorno di una singolarit`a isolata.

A tale scopo, analizziamo nel dettaglio il comportamento delle mappe olo-morfe limitate.

Prp 1.9 (Landau - Bloch) Sia f ∈ Hol(D, C) con f (0) = 0, f0(0) = 1 e |f (z)| ≤ M per ogni z ∈ D. Allora esiste B = B(M) tale che f(D) contiene un disco di raggio B attorno all’orgine.

Dim: Osserviamo che, se |f (z)| ≥ a > 0 per ogni z ∈ bDr, allora per ogni

w0 ∈ Da si ha che f (z) − w0 e f (z) hanno lo stesso numero di zeri in Dr per

il teorema di Rouch´e. In particolare, questo significa che f (z) assume almeno una volta ogni valore appartenente a Da, mentre z varia in Dr.

Ora, f (z) = z + a2z2+ . . . e |f (z)| ≤ M , quindi in particolare |an| ≤ M . Se

|z| = r < 1, si ha |f (z)| = |z + (f (z) − z)| ≥ |z| − max |z|=r|f (z) − z| ≥ r − M (r 2+ . . . + rn+ . . .) = r − M r 2 1 − r ≥ 1 6M > 0 non appena r = 1/4M . Quindi f (D) contiene D1/6M. 

Thm 1.10 (Schottky) Sia f : Dr → C olomorfa su Dr e tale che f (z) 6= 0, 1

per ogni z. Allora per ogni t ∈ (0, 1) si ha

|f (z)| ≤ Ω(a0, t) ∀ z ∈ Dtr con a0= f (0). Dim: Sia H(z) = log (r log f (z) 2iπ − r log f (z) 2iπ − 1 )

Tale funzione `e olomofa per |z| ≤ r e non assume i valori log(√n ±√n + 1) + 2imπ

per n > 0, m interi. Quindi esiste una costante C tale che H(z) non copre una palla di raggio C.

(5)

Sia poi

H1=

H(z) − H(ξ) H0(ξ)

con ξ ∈ Dre H0(ξ) 6= 0. Tale funzione `e olomorfa in |z − ξ| < r − |ξ|, quindi H1

riempie un disco di raggio B(r − |ξ|) per la proposizione precedente e H riempie un disco di raggio B(r − |ξ|)H0(ξ) ≤ C. Dunque H0(ξ) ≤ C B(r − |ξ|) per |ξ| < r. Allora |H(ξ)| ≤ |H(0)| +C B Z 1 r − sds = |H(0)| + C B log r r − |ξ| quindi se |z| ≤ tR, |H(z)| ≤ |H(0)| + CBlog1−t1 .

Sostituendo l’espressione di H, si ricava una stima in termini di f : |f (z)| = | exp1

2πi (exp 2H(z) + exp(−2H(z))) ≤ exp π(exp 2|H(z)|) quindi

|f (z)| ≤ exp A (1 − t)k

+ dove A = π exp 2|H(0)| dipende solo da f (0) = a0 e k = 2C/B. 

Non `e difficile estendere questo risultato, provando che, se |f (0)| < a0, allora

esiste una costante Ω∗(a0, t) tale che

|f (z)| < Ω∗(a 0, t)

per ogni z ∈ Dtr.

Thm 1.11 (Grande Picard) Se 0 `e una singolarit`a essenziale per la funzione f (z), allora in ogni intorno della forma {0 < |z| < t} la funzione f assume ogni valore finito infinite volte, eccettuato al pi`u uno.

Dim: Supponiamo che f non assuma i valori 0 e 1 se non un numero finito di volte. Definiamo

fn(z) = f (2nz)

Queste funzioni, sull’anello G = {1/2 < |z| < 2}, per n abbastanza grande sono olomorfe e non assumono i valori 0 e 1. Sia z0 un punto di tale anello e sia r

abbastanza piccolo di modo che B(z0, r) e B(z0, 2r) siano entrambe contenute in

G; supponiamo che esista una sottosuccessione tale che |fnk(z0)| < β per ogni k.

Allora |fnk(z)| < Ω

(β, 1/2) per z ∈ B(z

0, r), applicando il teorema di Schottky

su B(z0, 2r) e dunque la sottosuccessione fnk `e limitata, quindi equicontinua,

quindi convergente in B(z0, r).

Se invece fn(z0) → ∞, allora le funzioni gn = 1/fn rispettano le stesse

ipotesi e gn(z0) → 0, quindi esiste gnk convergente assolutamente sui compatti,

(6)

tutte le gnk devono avere almeno una radice in B(z0, r) che `e assurdo. Dunque

gnk→ 0 e fnk→ ∞ uniformemente sui compatti di B(z0, r).

Dunque la famiglia fn `e localmente normale in G, ma dunque `e normale e

questo `e assurdo. Se infatti fnk → F , allora f `e limitata in un intorno di 0 e

dunque `e estendibile ad una funzione olomorfa in 0; se invece fnk → ∞, allora

g = 1/f `e olomorfa in 0 e vale 0, ma allora f avrebbe al pi`u un polo 1/g in 0. 

(7)

2

Esercitazione del 09/11/2010

Richiamiamo brevemente le definizioni delle pseudodistanze di Caratheodory e di Kobayashi. Siano X uno spazio complesso e x, y due suoi punti; allora la pseudodistanza di Caratheodory tra x e y `e definita da

cX(x, y) = sup{dD(f (x), f (y)) : f ∈ Hol(X, D)}

La pseudodistanza di Kobayashi `e la versione duale di questa; purtroppo, il tentativo pi`u naturale, che consiste nel porre

δX(x, y) = inf{dD(a, b) : ∃f ∈ Hol(D, X) con f (a) = x, f (b) = y}

fallisce in quanto δX non rispetta la disuguaglianza triangolare. Dunque si

definisce dX(x, y) = inf    m X j=1 δX(xj, xj+1) : x1= x, . . . , xm+1= y   

che `e, appunto, la pseudodistanza di Kobayashi e rispetta evidentemente la disuguaglianza triangolare.

Ricordiamo che tra tutte le pseudodistanze rispetto a cui le funzioni olomorfe sono contrazioni, quella di Caratheodory `e la pi`u piccola e quella di Kobayashi `

e la pi`u grande. Da questo segue immediatamente

Rem 2.1 In ogni spazio complesso X, per due qualsiasi punti x, y, si ha cX(x, y) ≤ dX(x, y).

Esaminiamo il comportamento della distanza di Kobayashi sul prodotto di spazi complessi.

Prp 2.1 Siano X e Y spazi complessi e siano x, x0∈ X, y, y0 ∈ Y . Allora

dX×Y((x, y), (x0, y0)) = max{dX(x, x0), dY(y, y0)}

Dim: La proiezione π : X × Y → X `e olomorfa, dunque dX×Y((x, y), (x0, y0)) ≥ dX(x, x0)

ed allo stesso modo

dX×Y((x, y), (x0, y0)) ≥ dY(y, y0)

Dunque

dX×Y((x, y), (x0, y0)) ≥ max{dX(x, x0), dY(y, y0)}

Per dimostrare l’altra disuguaglianza, supponiamo che dX(x, x0) ≥ dY(y, y0) e

sia α una catena di dischi olomorfi in X da x a x0, ovvero

α :    x = x0, . . . , xk= x0 ∈ X a1, a01, . . . , ak, a0k ∈ D f1, . . . , fk ∈ Hol(D, X)

(8)

Denotiamo con l(α) la lunghezza di tale catena, ovvero l(α) = k X j=1 dD(aj, a0j)

Sia poi β una catena di dischi in Y tra y e y0, ovvero

β :    y = y0, . . . , ym= y0 ∈ Y b1, b01, . . . , bm, b0m ∈ D g1, . . . , gm ∈ Hol(D, Y ) tale che l(α) ≥ l(β).

Possiamo supporre, a meno di raffinare opportunamente le due catene e comporre con automorfismi del disco, che

i. k = m ii. dD(aj, a0j) ≥ dD(bj, b 0 j) per ogni j = 1, . . . , m iii. aj = bj = 0 per j = 1, . . . , m iv. 1 > a0j≥ b0j > 0 per j = 1, . . . , m.

Sia ora hj ∈ Hol(D, X × Y ) data da

hj(z) = (fj(z), gj(b0jz/a 0 j)) e sia γ la catena γ :    (x, y) = (x0, y0), . . . , (xm, ym) = (x0, y0) ∈ X × Y 0, a01, . . . , 0, a0m ∈ D h1, . . . , hm ∈ Hol(D, X × Y )

Allora `e evidente che γ `e una catena di dischi olomorfi tra (x, y) e (x0, y0) tale che l(α) ≥ l(γ) e dunque dX(x, x0) ≥ dX×Y((x, y), (x0, y0)). 

Rem 2.2 Applicando quanto detto al polidisco Dn= D × . . . × D ⊂ Cn si ha che

dDn((x1, . . . , xn), (y1, . . . , yn)) = max

j dD(xj, yj)

Per la pseudometrica di Caratheodory si ottiene lo stesso risultato, ma la dimostrazione `e pi`u complicata.

2.1

Legami con la topologia

Anche se sono degeneri, le pseudometriche di Kobayashi e di Caratheodory sono legate alla topologia dello spazio complesso.

Prp 2.2 Se X `e uno spazio complesso, cX e dX sono funzioni continue da

(9)

Dim: Sia (pn, qn) una successione di coppie in X × X che tende a (p, q) nella

topologia prodotto. Allora

|dX(pn, qn) − dX(p, q)| ≤ dX(pn, p) + dX(qn, q)

per la disuguaglianza triangolare; similmente per cX e dunque basta mostrare

che dX(pn, p) tende a 0 se pn→ p.

Sia U un intorno di p in X; poich´e dX ≤ dU, basta dimostrare l’enunciato

per dU. Se p ∈ Xreg, esiste un suo intorno, contenuto in U , biolomorfo ad un

polidisco e dunque concludiamo conoscendo l’espressione esplicita della metrica. Se p ∈ Xsing, consideriamo una risoluzione di singolarit`a π : eU → U e

la successione rn = π−1(pn) in eU ; supponiamo che, a meno di passare ad una

sottosuccessione dU(pn, p) > δ per ogni n. Poich´e π `e propria, possiamo estrarre

da rn una successione convergente a r e per continuit`a r ∈ π−1(p). Sia V un

polidisco attorno a r; allora dV ≥ dUe ≥ dU, in quanto π `e olomorfa, e come

prima concludiamo con un assurdo, conoscendo esplicitamente dV. 

Spazi singolari e risoluzione delle singolarit`a Uno spazio complesso singo-lare `e uno spazio topologico X con associato un fascio di anelli commutativi OX,

di modo che, localmente, X `e omeomorfo al luogo di zeri {f1 = . . . = fk = 0}

di funzioni olomorfe in Bn e tramite tale omeomorfismo OX corrisponde a

On/(f1, . . . , fk).

Ad esempio, {z2 = w3

} in C2 `e una cubica con punto singolare z = w =

0; ancora, {z2

= xy} in C3 `e un cono su una conica, con singolarit`a sempre

nell’origine, mentre {z2 = yx2} in C3 `e una superficie con luogo singolare la

retta z = x = 0.

Un esempio non immerso in Cn pu`

o essere lo spazio ottenuto da CP2 iden-tificando due punti.

Se X `e uno spazio singolare, si dice risoluzione delle singolarit`a una mappa π : eX → X olomorfa e propria, con eX una variet`a complessa (quindi liscia), tale che π sia un biolomorfismo sulla parte regolare di X e che π−1(Xsing) sia

un’ipersuperficie in eX.

Ad esempio, la mappa t 7→ (t3, t2

) da C a C2 `e una risoluzione delle

sin-golarit`a per z2 = w3, come anche la mappa (r, s, t) 7→ (rs, rt, r) da {st = 1}

a {xy = z2}. Notiamo che nel secondo caso la controimmagine di (0, 0, 0) `e

{r = 0, st = 1}, ovvero una conica (un’ipersuperficie in {st = 1}).

Esempi di degenerazione di dX Gi`a sappiamo che dC = 0; quindi anche

dCn = 0, per la proposizione relativa al prodotto di spazi complessi. Inoltre,

poich´e la mappa z 7→ ez `e surgettiva su C∗, abbiamo che dC∗= 0.

Pi`u in generale, se G `e un gruppo di Lie complesso connesso, dati due punti p e q, possiamo trovare H1, . . . , Hk, traslati di opportuni sottogruppi ad un

parametro, tali che p ∈ H1, q ∈ Hk ed esiste pj∈ Hj∩ Hj+1. Dunque esistono

delle mappe fj : C → G con fj(C) = Hje quindi dG(p, q) ≤P dG(pj, pj+1) = 0.

Infine, se X `e uno spazio complesso e G come sopra agisce su X con un’orbita densa, si ha che, fissato p0 in tale orbita, l’applicazione g 7→ g(p0) `e olomorfa

e dunque i punti dell’orbita densa sono a distanza 0. Per la continuit`a della distanza, dX = 0.

Def: Data una catena di dischi olomorfi α con la stessa notazione di prima, definiamo il suo thread |α| come l’unione delle immagini delle geodetiche del disco che collegano ai con a0i.

(10)

Data una curva γ : [0, 1] → X, la sua lunghezza rispetto a dX `e il massimo

limite sulle partizioni {0 = t0, . . . , tn= 1} di [0, 1] delle somme

X

j

dX(γ(tj), γ(tj+1))

Tale lunghezza, se finita, si indica con L(γ). Definiamo la metrica di lunghezze diX(x, y) = inf{L(γ) : γ : [0, 1] → X, γ(0) = x, γ(1) = y}

Prp 2.3 di X= dX

Dim: Osserviamo che L(|α|) ≤ l(α) e che, ovviamente, dX ≤ diX. Inoltre

diX(x, y) ≤ inf

α L(|α|) ≤ infα l(α) = dX(x, y)

dove gli estremi inferiori sono presi al variare di α tra le catene olomorfe di dischi tra x e y. 

Rem 2.3 In generale cX 6= ciX; ad esempio se X = {r < |z| < r−1} ⊂ C,

oppure se X = {s < |z| < 1, 0 < |w| < r} ⊂ C2 con 0 < r, s < 1.

2.2

Aperti convessi in C

n

Sia X un aperto strettamente convesso, limitato e con bordo Ck

in Cn, con k ≥ 6.

Tutti i risultati che seguono si possono generalizzare ad un qualunque aperto convesso di Cn per approssimazione. Lo scopo di questa sezione `e dimostrare che, per un convesso, cX = δX = dX.

Prp 2.4 Sotto le ipotesi precedenti, δX rispetta la disuguaglianza triangolare.

Dim: Siano z, w, s ∈ X. Fissiamo  > 0, siano ζ, ω, ω0, σ ∈ D e f, g ∈ Hol(D, X) tali che

f (ζ) = z, f (ω) = w, g(ω0) = w, g(σ) = s e

δX(z, w) > dD(ζ, ω) −  δX(w, s) > dD(ω

0, σ) − 

Possiamo supporre ζ = 0, ω = ω0 > 0 e σ > ω. Inoltre, a meno di restringerle ad un disco pi`u piccolo, possiamo supporre che f e g si estendano con continuit`a a D. Sia h(ξ) = λ(ξ)f (ξ) + (1 − λ(ξ))g(ξ) ξ ∈ D con λ(ξ) = (ξ − σ)(ξ − σ −1) (ξ − ω)(ξ − ω−1)

Notiamo che λ `e olomorfa su D \ {ω} ed ha un polo semplice in ω; quindi h `e olomorfa, in quanto λ viene moltiplicata per (f − g) che ha uno zero in ω.

Inoltre λ(0) = 1 e λ(σ) = 0, per cui h(0) = z, h(σ) = s. Infine, notiamo che λ(bD) ⊆ [0, 1] ⊂ R. Dunque h(bD) ⊂ X per convessit`a e dunque, per il principio del massimo per funzioni olomorfe, h(D) ⊂ X. Quindi

δX(z, s) ≤ dD(0, σ) = dD(0, ω) + dD(ω, σ) ≤ δX(z, w) + δX(w, s) + 2

(11)

Cor 2.5 Sotto le ipotesi precedenti δX = dX.

Lo studio della distanza di Kobayashi su X pu`o dunque essere ridotto allo studio delle propriet`a estremali delle applicazioni dal disco in X. Da ci`o viene la seguente definizione.

Def: f ∈ Hol(D, X) si dice estremale rispetto a z1, z2 ∈ X se f (0) = z1 e

f (ζ) = z2 con ζ > 0 e

dD(0, ζ) = δX(z1, z2) = dX(z1, z2)

Una tale applicazione si dice estremale rispetto a z ∈ X e v ∈ TzX se f (0) = z,

f0(0) = λv con λ > 0 e se g ∈ Hol(D, X) con g(0) = z, g0(0) = µv con µ ≥ 0, allora λ ≥ µ.

f (D) si dice disco estremale (rispetto a z1, z2o rispetto a z, v).

Il risultato chiave che vogliamo dimostrare `e il seguente.

Thm 2.6 Per ogni coppia di punti z1, z2(o ogni coppia z ∈ X, v ∈ TzX) esiste

un’unica f estremale per essi. Inoltre f (D) `e estremale per ogni coppia di punti in esso (o per ogni punto ed ogni direzione nel suo tangente).

Verrebbe naturale cercare di dimostrare il precedente risultato con tecniche variazionali, in quanto una funzione estremale `e la soluzione di

inf{ζ : ∃f ∈ Hol(D, X) t.c. f (0) = z1, f (ζ) = z2, ζ > 0}

o del corrispondente problema di estremo superiore per la derivata. Purtroppo tali tecniche non danno il risultato sperato.

Introduciamo un’altra classe di funzioni, tra cui cercheremo la nostra estre-male.

Def: f ∈ Hol(D, X) propria si dice stazionaria se si prolunga ad una funzione 1/2-h¨olderiana su D (che indicheremo sempre con f ), se f (bD) ⊂ bX e se esiste p : bD → R>0 1/2-h¨olderiana tale che

ζ 7→ ζp(ζ)νX(f (ζ)) ζ ∈ bD

si estende a ˜f olomorfa su D, dove νX(·) `e la normale al bordo di X.

Prp 2.7 Se f `e stazionaria allora `e estremale per z = f (0) e v = f0(0).

Dim: Sia g ∈ Hol(D, X) con g(0) = z, g0(0) = λv con λ ≥ 0. Poich´e g `e limitata esiste quasi sempre limr→1−g(rξ) e tale limite sta in X per quasi ogni

ξ. Per la stretta convessit`a, si ha1

Rehf (ζ) − g(ζ), νX(f (ζ))i ≥ 0

per quasi ogni ζ ∈ bD e l’uguaglianza accade solo se f (ζ) = g(ζ), il che descrive un insieme trascurabile se f 6≡ g. Dunque, se f non coincide con g,

0 < Rehf (ζ) − g(ζ), p(ζ)νX(f (ζ))i = Reh(f (ζ) − g(ζ))ζ−1, ˜f (ζ)i

(12)

Ora, l’espressione a destra `e limitata su bD e armonica in D, dunque 0 < Rehf0(0) − g0(0), ˜f (0)i = (1 − λ)Rehf0(0), ˜f (0)i

Se ora scegliamo g(ζ) ≡ z, allora λ = 0 e dunque segue che Rehf0(0), ˜f (0)i > 0. Quindi in generale λ < 1, quindi f `e estremale. 

Vale inoltre la seguente proposizione, che non dimostriamo.

Prp 2.8 Se f `e stazionaria e a ∈ Aut(D), allora fa = f ◦ a `e stazionaria.

Cor 2.9 ef : D → Cn non assume mai il valore 0.

Dim: Sappiamo, dalla dimostrazione della proposizione precedente, che ef (0) 6= 0; componendo con opportuni automorfismi, abbiamo che ˜fa(0) = ˜f (a(0)) 6= 0.



Prp 2.10 Un disco stazionario `e disco estremale unico per le sue coppie z1, z2.

Dim: Sia f la funzione stazionaria, e sia g ∈ Hol(D, X) tale che f (0) = g(0) = z1, g(ω) = f (ζ) = z2 con 0 < ζ, ω. Supponiamo che g 6≡ f e ζ ≤ ω, allora

G(ξ) = g(ωξ/ζ) ∈ Hol(D, X); allora G(0) = z1, G(ζ) = z2 e G 6≡ f .

Dunque, per quasi ogni ξ ∈ bD, si ha

Rehf (ξ) − G(ξ), νX(f (ξ))i > 0

da cui

Reh(f (ξ) − G(ξ))ξ−1, ˜f (ξ)i > 0

ma il membro sinistro `e una funzione armonica che si annulla per ξ = ζ e dunque tale disuguaglianza `e assurda per il principio del minimo. Allora segue che ζ > ω, dunque f `e estremale e unica. 

La stessa dimostrazione si riadatta all’estremalit`a per un punto ed una direzione del tangente.

Cor 2.11 Le funzioni stazionarie sono iniettive.

Il risultato seguente, tecnico e di complicata dimostrazione, `e indispensabile per dimostrare il teorema 2.6. Ne forniamo solo l’enunciato.

Prp 2.12 Sia Xt una perturbazione C6 di X; allora una funzione stazionaria

f : D → X = X0 ammette una perturbazione di classe C6 ft : D → Xt per t

abbastanza piccolo, tale che ft(0) = f (0) e ft0(0) = λtf0(0) con λt> 0.

Inoltre, per una famiglia di spazi X che rispettino le ipotesi e di funzioni f stazionarie e tali che diamX, le curvature normali di bX e dist(f (0), bX) siano lontani da 0, esiste una costante C tale che

i. dist(f (ζ), bX) ≤ C(1 − |ζ|) per ζ ∈ D ii. |f (ζ1) − f (ζ2)| ≤ C|ζ1− ζ2|1/2 per ζj∈ D

(13)

iv. | ˜f (ζ1) − ˜f (ζ2)| ≤ C|ζ1− ζ2|1/2 per ζj∈ D.

Ora possiamo dimostrare il teorema.

Dim del Teorema 2.6: Supponiamo che 0 ∈ X ⊂ Bn. Sia

Xt= tX + (1 − t)Bn

allora Xt⊃ X `e fortemente convesso, bXtha la regolarit`a di bX. Le curvature

normali, i diametri, la distanza di z1 dal bordo sono limitate da due costanti

positive indipendenti da t. Sia

T = {t ∈ [0, 1] : ∃ftstazionaria con ft(0) = z1, ft(ζt) = z2, ζt> 0}

allora 0 ∈ T , ovviamente. Inoltre, per la Proposizione 2.12, T `e un insieme aperto e, per le stime sulle costanti di H¨older, T `e un insieme chiuso (non `e difficile mostrare che il limite `e ancora una funzione stazionaria). Dunque T `e tutto l’intervallo [0, 1] e quindi esiste f : D → X stazionaria. Allora f `e anche l’unica estremale per z1, z2 (o ogni altra coppia di punti in f (D)). 

Osserviamo che il teorema suddetto `e interpretabile in termini di esistenza e unicit`a di geodetiche complesse nei convessi iperbolici; infatti la f di cui vengono provate esistenza e unicit`a non `e altro che una parametrizzazione rispetto alla lunghezza d’arco di una curva analitica geodetica tra z1e z2, che `e poi geodetica

tra due qualunque suoi punti.

Ora per confrontare cX e δX, costruiamo una sorta di inversa per una

funzione stazionaria.

Prp 2.13 Dati z1, z2, esistono f : D → X e F : X → D olomorfe tali che

z1, z2∈ f (D) e F ◦ f = IdD.

Dim: Consideriamo la funzione f stazionaria data dal teorema 2.6 per z1, z2;

ovviamente f (D) contiene z1 e z2. Inoltre, fissato z ∈ X, poniamo

φz(ζ) = hz − f (ζ), ˜f (ζ)i

Sappiamo che, per convessit`a,

Rehz − f (ζ), p(ζ)νX(f (ζ))i < 0 ζ ∈ bD

e dunque

windhz − f (ζ), p(ζ)νX(f (ζ))i = 0

quindi

windφz= windζ = 1

Questo vuol dire che φz = 0 ha una sola soluzione per ogni z ∈ X. Se z =

f (ζ1), allora φz(ζ1) = 0 che `e dunque l’unica radice. Inoltre, poich´e φz dipende

olomorficamente da z, cos`ı fa anche la sua radice. Quindi possiamo definire la funzione F : X → D data da F (z) = ζ se φz(ζ) = 0; tale funzione `e olomorfa e

realizza F ◦ f = IdD.  Thm 2.14 cX = δX = dX.

(14)

Dim: Siano f e F date dalla proposizione precedente e sia f (ζ1) = z1, f (ζ2) =

z2. Allora

dX(z1, z2) = δX(z1, z2) ≤ dD(ζ1, ζ2) = dD(F (z1), F (z2)) ≤ cX(z1, z2)

D’altra parte, gi`a sappiamo che cX≤ dX e dunque dX = δX = cX. 

Il contenuto di questa sezione `e un’esposizione sommaria del lavoro di Lem-pert, sviluppato nei due articoli

• Lempert, Laszlo Holomorphic retracts and intrinsic metrics in convex domains, Analysis Mathematica, 8 (1982)

• Lempert, Laszlo La m´etrique de Kobayashi et la repr´esentation des do-maines sur la boule, Bulletin de la SMF, 109 (1981)

(15)

3

Esercitazione del 16/11/2010

Uno spazio complesso X si dice iperbolico (secondo Kobayashi) se dX `e una

distanza; X si dice iperbolico completo se `e iperbolico e lo spazio metrico (X, dX)

`

e completo secondo Cauchy.

Prp 3.1 Se X `e iperbolico, dX ne induce la topologia di spazio complesso.

Dim: Abbiamo osservato che dX `e una metrica di lunghezze e X, in quanto

spazio complesso, `e di Hausdorff e localmente compatto. Da questo la tesi segue. 

Notiamo che se X `e iperbolico e Y `e un sottospazio, allora Y `e iperbolico; inoltre, se X1, X2sono sottospazi di X, X1∩ X2`e iperbolico. Per quanto fatto

nella precedente esercitazione, il prodotto di spazi iperbolici `e iperbolico. Esempio: Ogni aperto limitato di Cn `e contenuto in un polidisco; un polidisco

`

e iperbolico in quanto prodotto di dischi e dunque un dominio limitato di Cn `e

iperbolico in quanto sottospazio di uno spazio iperbolico.

Prp 3.2 Sia f ∈ Hol(X, Y ), sia Y0⊂ Y un sottospazio e sia X0 = f−1(Y0). Se

X e Y0 sono iperbolici completi, allora X0 `e iperbolico completo.

Dim: Sia Γf il grafico di f in X × Y ; Γf `e un sottospazio chiuso del prodotto.

Se f0 `e la restrizione di f a X0 e Γf0 `e il suo grafico, allora

Γf0 = Γf∩ (X × Y0)

e dunque Γf0`e chiuso in X ×Y0. Quest’ultimo `e uno spazio iperbolico completo,

allora Γf0, in quanto sottospazio chiuso, lo `e pure e la proiezione πX: X × Y0 →

X induce un isomorfismo tra Γf0 e X0, che dunque `e iperbolico completo. 

Thm 3.3 Sia X uno spazio complesso e π : eX → X un rivestimento. Allora i. per ogni p, q ∈ X, per ogniep ∈ π−1(p), si ha

dX(p, q) = inf{dXe(ep,eq) |eq ∈ π

−1(q)}

ii. X `e e iperbolico se e solo se X `e iperbolico iii. se X `e iperbolico, allora π : ( eX, d

e

X) → (X, dX) `e una locale isometria e

π∗dX = dXe.

Dim: i. π `e olomorfa, quindi dX(p, q) ≤ dXe(p,eq). Se ora α `e e una catena di dischi tra p e q, possiamo sollevarla a α dae ep. Allora il punto terminale di α sar`a unq ∈ πe −1(q) e l(α) = l(α); dunquee

inf{d

e

X(p,eq) |e q ∈ πe

−1(q)} = inf{l(β) | β catena tra

e

p e un punto di π−1(q)} ≤

≤ inf l(α) = inf l(α) = de X(p, q)

ii. Sia eX iperbolico e siano p, q in X tali che dX(p, q) = 0. Scelto p ine

π−1(p); allora trovo eqn in π−1(q) tali che dXe(ep,eqn) = 0. Poich´e dXe induce la

(16)

Se d’altra parte X `e iperbolico, posso subito dire che d

e

X(p,eq) = 0 solo see stanno entrambi nella fibra su uno stesso punto p di X. Sia eU un aperto che incontra la fibra su p nel solop; allorae

d

e

X(p, b ee U ) ≥ dX(p, bπ(U )) ≥  > 0 dunque, ogni catena trap ee q `ee lunga almeno . Ovvero d

e

X(p,eq) ≥  > 0.e iii. Sia p ∈ ee X e poniamo p = π(p). Sia U un intorno di p di raggioe 2 di modo che U sia biolomorfo ad ogni componente connessa di π−1(U ) e chiamiamo eU la componente che contienep. Siano V un intorno di p di raggioe  e eV = π−1(V ) ∩ eU .

Consideriamoq ee r in ee V , q e r le loro immagini in V . Poich´e dX(q, r) < ,

esiste una catena α da q a r con l(α) <  e con |α| ⊂ U ; ricordiamo che L(|α|) ≤ l(α).

Sollevando α a α, otteniamo una catena dae eq a un punto di π−1(r), che per`o deve essere contenuto in eU e dunque deve essere r. Dunque de X(q, r) ≥

d

e

X(q,eer); l’altra uguaglianza segue dall’olomorfia della proiezione. Dunque π `e una isometria locale.

Inoltre, notiamo che d e X(p,eq) = infe e γ L(eγ) = infγe sup T X d e X(eγ(ti),eγ(ti−1)) = = inf e γ supT X dX(π(eγ(ti)), π(eγ(ti−1))) = inf e γ L(π ◦eγ) = π ∗d X(p,eq)e

e questo dimostra l’ultima affermazione. 

Un facile corollario `e che ogni superficie di Riemann che abbia come rive-stimento universale, come le superfici di Riemann compatte di genere ≥ 2 o gli aperti di C il cui complementare contenga almeno 2 punti, `e iperbolica. Complementari di rette nel piano proiettivo Consideriamo in CP2 le rette li = {zi = 0} per i = 0, 1, 2 e la retta l3 = {z0+ z1+ z2 = 0}; vogliamo

dimostrare che Y = CP2\ 3 [ i=0 li

non `e iperbolico. Abbiamo che l0∩l1= [0, 0, 1] e l2∩l3= [1, −1, 0], quindi la retta

per questi due punti `e l4= {z0+z1= 0}; notiamo che l4∩Y = CP1\{2 pt} = C∗

e dunque su l4∩ Y la pseudodistanza dY `e degenere.

Consideriamo ora invece

X = CP2\

4

[

i=0

li

con le notazioni di prima. Infatti, X sta nella carta U = {z0+ z1 6= 0} ∼= C2,

ottenuta mandando all’infinito la retta l4. In essa, rispetto alle coordinate x, y,

le rette l0, l1, l2, l3 sono date da

(17)

e dunque sono due coppie di rette parallele. Questo implica che X ∼= (C \ {0, 1}) × (C \ {0, 1})

e dunque `e iperbolico, in quanto prodotto di spazi iperbolici.

3.1

Legami tra iperbolicit`

a e curvatura

Sia X una variet`a complessa con una metrica hermitiana h. Definiamo la curvatura sezionale olomorfa di X in x lungo v ∈ TxX come

Kh(x)[v] = sup{Kf∗h(0) | f ∈ Hol(D, X), f (0) = x, v ∈ Txf (D)}

dove Kf∗h`e la curvatura di f∗h come metrica su D.

Osserviamo che, se scriviamo f∗h = 2λdzdz, allora

Kf∗h= −

1 λ

∂2log λ ∂z∂z

La definizione appena data non coincide, a priori, con la definizione della geometria differenziale; vediamo come in realt`a i due concetti siano il medesimo. Sia h = 2hi,jdzidzj la metrica hermitiana, allora il tensore di curvatura `e

dato da Ri¯jk¯l= − ∂2hi¯j ∂zk∂z¯l + n X p,q=1 ∂hi¯q ∂zk ∂hp¯j ∂z¯l

e dato un vettore del tangente olomorfo v = vi∂/∂zi, si definisce

Hds2(v) = Rjk¯lvivjvkvl

che `e la curvatura sezionale olomorfa lungo v in senso classico. Notiamo che, se X0 `e una sottovariet`a di X e ds2

X0 `e la restrizione della metrica di X a X0, allora si ha Hds2 X0(v) ≤ Hds 2 X(v) ∀ v ∈ T X 0

Infatti, fissando delle coordinate in cui X0 = {zm+1 = . . . = zn = 0} e che diagonalizzino la metrica, per le equazioni di Gauss-Codazzi, si ha

RXjk¯l− RXjk¯0l= m X p=1 ∂hi ¯p ∂zk ∂hj ∂z¯l Dunque Kh[v] ≤ Hds2 X(v). Ora, sia X

0una curva tangente a v ∈ T

xX; scegliamo

delle coordinate in cui

X0= {z2= . . . = zn} hi¯j(x) = δi,j

Se ∂hi¯q(x)/∂zk = 0, allora X0 realizza l’uguaglianza tra Kh[v] e Hds2 X(v);

altrimenti si consideri il cambio di variabili z1= w1

zq = wqaq 2(w

(18)

allora ds2= 2g i¯jdwidw ¯ j con g1¯q = h1¯q− n X r=2 hr ¯qarw1 e ponendo aq =∂h1¯q(x) ∂z1

si ha l’annullarsi delle derivate prime in w1dei coefficienti h1¯q in x. Quindi

Y0= {w2= . . . = wn = 0}

`

e una curva per x, tangente a v che realizza l’uguaglianza. Dunque Kh[v] =

Hds2 X(v).

Osserviamo che, dalla definizione variazionale fornita, segue immediatamente che, data φ : X → Y olomorfa, Kφ∗h[v] ≤ Khv] per ogni v ∈ T Y , dove h `e

una metrica Hermitiana su X.

Prp 3.4 Sia ds2la metrica di Poincar`e sul disco unitario e sia dσ2una metrica

hermitiana sul disco con Kdσ2 ≤ −1. Allora dσ2≤ ds2.

Dim: Sia Da il disco di raggio a. Consideriamo su di esso la metrica

ds2a= 4a

2

(a2− |z|2)2dzdz = 2µadzdz

sia inoltre dσ2= 2λdzdz. Poniamo u

a= λ/µa; la nostra tesi `e u1≤ 1. Notiamo

che ua(z0) → u1(z0) se a → 1−, quindi ci basta mostrare che ua ≤ 1; inoltre, se

z → bDa, allora ua(z) → 0, quindi ua ha massimo interno a Da, diciamo in z0.

Se ua(z0) = 0, abbiamo finito. Altrimenti notiamo che

∂∂ log ua(z0) = ∂∂ log λ(z0) − ∂∂ log µa(z0) = −λ(z0)Kdσ2(z0) − µa(z0)

= µa(z0)(−ua(z0)Kdσ2(z0) − 1) ≤ 0

in quanto il punto `e di massimo. Dunque ua(z0)Kdσ2(z0) ≤ −1, ovvero ua(z0) ≤

1. 

Thm 3.5 Sia (X, h) una variet`a Hermitiana con Kh ≤ 1. Allora f∗h ≤ ds2D

per ogni f ∈ Hol(D, X).

Dim: Kf∗h[v] ≤ Kh[fv] ≤ −1 e dunque possiamo applicare la proposizione

precedente, che si dice che f∗h ≤ ds2D. 

Cor 3.6 Sia (X, h) una variet`a Hermitiana con Kh ≤ c < 0, allora X `e

iperbolico.

Dim: A meno di riscalare, Kh ≤ −1. Sia δ la distanza indotta dalla metrica

h, allora per ogni f ∈ Hol(D, X), si ha f∗δ ≤ dD, dunque, per la propriet`a estremale della distanza di Kobayashi, si ha δ ≤ dX e poich´e δ `e una distanza

lo `e anche dX. 

Dunque, ogni superficie di Riemann di genere ≥ 2 o ogni aperto di C \ {0, 1} sono iperbolici.

(19)

3.2

Iperbolicit`

a secondo Brody

X si dice iperbolico secondo Brody se ogni funzione olmorfa f : C → X `e costante. Per il teorema di Liouville, il disco unitario `e Brody-iperbolico.

Osserviamo che, se X `e iperbolico, allora `e Brody-iperbolico, in quando dX(f (p), f (q)) ≤ dC(p, q) = 0.

Prodotto di spazi Se X e Y sono Brody-iperbolici, consideriamo f : C → X × Y , allora πX◦ f e πY ◦ f devono essere costanti, dunque anche f deve

esserlo.

Sottospazi Se i : Y → X `e un’inclusione olomorfa e X `e Brody-iperbolico, allora f : C → Y induce i ◦ f : C → X che `e costante. Dunque Y `e Brody-iperbolico.

Fibrati Sia 0 → F → E → B un fibrato, con F e B Brody-iperbolici; allora f : C → E induce π ◦f : C → B che deve essere costante, ovvero f : C → π−1(b) per qualche b ∈ B, ma π−1(b) ∼= F e dunque f `e costante. Segue che E `e Brody-iperbolico.

Rivestimenti Se π : eX → X `e un rivestimento, allora dal paragrafo pre-cedente `e ovvio che la Brody-iperbolicit`a di X implica quella di eX. D’altra parte, se eX `e Brody-iperbolico, data f : C → X olomorfa, possiamo sollevarla a f : C → eX olomorfa, poich´e π1(C) = {1}, e dunque costante.

Osserviamo che la Brody-iperbolicit`a non `e un invariante birazionale, infatti se Y `e il blow-up di X in un punto, il divisore eccezionale contiene un’immagine non banale di C.

Il teorema di Brody afferma che per uno spazio compatto, iperbolicit`a e Brody-iperbolicit`a sono equivalenti; l’ipotesi di compattezza `e necessaria, infatti l’aperto di C2dato da

X = {|z| < 1, |zw| < 1} \ {z = 0, |w| ≥ 1} `

e Brody-iperbolico. Sia infatti f : C → X, allora tramite la mappa π(z, w) = (z, zw) abbiamo che π ◦ f : C → D2 e quindi `e costante. Ci`o vuol dire che f (C) deve essere contenuta in f−1(0, 0) = {z = 0, |w| < 1}, che `e l’unico insieme su cui f non `e iniettiva; ma anche in quest’ultimo caso, f deve essere costante, in quanto ha immagine contenuta in un disco. D’altra parte, X non `e iperbolico. Siano f0(z) = (z, 0) f1(z) = (1/n, nz) f2(z) = (1/n + z/2, w0) e z1= 1/n z2= w0/n z3= −2/n Allora f0(0) = (0, 0) f0(z1) = (1/n, 0) f1(0) = (1/n, 0) f1(z2) = (1/n, w0) f2(0) = (1/n, w0) f2(z3) = (0, w0)

(20)

quindi

dX((0, 0), (0, w0)) ≤ dD(0, z1) + dD(0, z2) + dD(0, z3) → 0

(21)

4

Esercitazione del 23/11/2010

Riprendiamo brevemente la dimostrazione del teorema di Brody, per mostrare che una mappa olomorfa non costante da C in uno spazio complesso, se esiste, pu`o essere scelta con alcune propriet`a addizionali.

Sia (X, H) una variet`a complessa con una metrica hermitiana, Una map-pa f ∈ Hol(C, X) non costante si dice linea complessa (o curva di Brody) se f0 `e limitata rispetto alla metrica euclidea su C e a quella hermitiana su X. Osserviamo che questo equivale a dire che esiste una costante C tale che f∗H ≤ Cdzd¯z.

Thm 4.1 (Brody) Se (X, H) `e una variet`a hermitiana compatta non iperbo-lica, allora esiste h : C → X linea complessa.

Dim: Sia dX la pseudodistanza di Kobayashi su X e si ponga

FX(v) = inf{kukD | u ∈ T D, f∗u = v, f ∈ Hol(D, X)}

per v ∈ T X.

Se esiste una costante positiva a tale che ak · kH ≤ FX, allora dX `e non

degenere; quindi per ogni n esiste vn∈ T X tale che FX(vn) ≤ 1/n, ma kvnkH=

1. Quindi esiste una successione rn → ∞ di reali positivi e una collezione

fn∈ Hol(Drn, X) di mappe tali che f

0 n(0) = dfn[(∂/∂z)0] = vn, in quanto k(∂/∂z)0kDrn = 2 rn Ora, poniamo un= fn∗H r2 nds2rn

allora un(0) = 1/4. Per il lemma di riparametrizzazione abbiamo che esistono

c ∈ (0, 1/4] e delle funzioni gn tali che

i. g∗nH ≤ cr2nds2rn

ii. gn(Drn) ⊂ fn(Drn).

Definiamo

Fn= {gm|Drn | m ≥ n}

e notiamo che, poich´e cr2

mds2rm≤ cr

2

nds2rn per m ≥ n, tale famiglia `e

equiconti-nua e dunque contiene una sottosuccessione convergente, per la compattezza di X. A meno di raffinare ulteriormente tali famiglie, possiamo supporre che Fn

contenga una successione convergente a hn su Drn, di modo che questo limite

coincida con hn−1 su Drn−1. Dunque ottengo una funzione h ∈ Hol(C, X) tale

che

h∗H = lim g∗nH ≤ lim cr2nds2rn = 4cdzd¯z ≤ dzd¯z

con uguaglianza in 0. 

Cor 4.2 Data f : C → X olomorfa non costante (come prima, (X, H) variet`a complessa hermitiana e compatta), esiste g linea complessa in X tale che g(C) ⊂ f (C).

(22)

Nel caso in cui si facciano ipotesi sulla curvatura sezionale di X, le curve di Brody assumono caratteristiche molto particolari.

Prp 4.3 Sia M una variet`a compatta hermitiana con Hds2

M ≤ 0 e sia X ⊂ M

un sottospazio analitico chiuso. X `e iperbolico se e solo se non esiste un’im-mersione olomorfa isometrica totalmente geodetica f : C → M tale che f (C) ⊆ X.

Dim: Ovviamente, se X `e iperbolico, tali mappe non esistono per il teorema di Brody. Se X non `e iperbolico, allora esiste una linea complessa f : C → M con f (C) ⊆ X e f∗ds2

M ≤ dzd¯z.

Poniamo f∗ds2

M = λdzd¯z, con 0 ≤ λ ≤ 1. Ora, dove λ 6= 0, quindi dove

df 6= 0, quindi nel complementare di un insieme discreto, si ha Kf∗ds2 M = − 1 λ ∂2log λ ∂z∂ ¯z Ora, ricordando che Hds2

V ≤ Hds 2

M|T V se V `e sottovariet`a di M , si deve avere

Kf∗ds2 M = Hds 2 f (C) ≤ Hds 2 M ≤ 0 e quindi ∂2log λ ∂z∂ ¯z ≥ 0

se λ 6= 0. Questo implica che log λ sia subarmonica su C, se estesa a −∞ dove λ = 0; ma log λ ≤ 0 e quindi `e costante, per il principio del massimo per funzioni subarmoniche. Essendo costante log λ, anche λ `e costante e, a meno di omotetie, possiamo supporre λ ≡ 1.

Dunque, f `e un’immersione isometrica; inoltre f (C) `e un sottospazio piatto nei suoi punti lisci, in quanto Kfds2

M = 0. E dunque 0 = Hds2 f (C) ≤ Hds 2 M|f (C)≤ 0 da cui Hds2

f (C) ≤ Hds2M|f (C), il che implica che f (C) `e, nei suoi punti lisci, una

sottovariet`a totalmente geodetica. 

L’importanza di un simile risultato non `e tanto il fatto di poter ”testare” l’iperbolicit`a solo su un insieme ristretto di mappe, ma il fatto che, in caso di curvatura sezionale non positiva, tutte le curve di Brody, a meno di omotetie in partenza, siano immersioni isometriche totalmente geodetiche.

4.1

Complementari di ipersuperfici

Sia X uno spazio complesso; un divisore di Cartier `e un sottoinsieme Z ⊆ X tale che per ogni suo punto z esistano un intorno Uz e una funzione olomorfa

f ∈ Hol(Uz, C) tali che Z ∩ Uz= {f = 0}.

Nota d’onest`a: Tipicamente, i divisori di Cartier sono sezioni del fascio K∗/O, dove Ksono le funzioni meromorfe invertibili e Osono le funzioni

olomorfe invertibili. Quindi, quelli definiti ora sono i supporti dei divisori di Cartier.

Prp 4.4 Siano X una variet`a complessa e Z un divisore di Cartier; allora X \Z `

(23)

Dim: Per ogni punto y ∈ Y , sia V un intorno biolomorfo a un polidisco tale che V ∩ Z = {f = 0} con f ∈ Hol(V, C). Allora, a meno di restringere V , possiamo supporre che f sia limitata e quindi f (V ) ⊂ D, a meno di omotetie. Allora Y ∩ V = {f 6= 0} = f−1(D∗) e per un risultato della precedente esercitazione segue che Y ∩ V `e iperbolico completo. 

Ovviamente, se X `e iperbolico, segue subito che anche X \ Z `e iperbolico. Osserviamo che rimuovere da uno spazio oggetti di codimensione ≥ 2 non al-tera il comportamento della pseudo-distanza di Kobayashi, infatti se codimA ≥ 2, allora Hol(D, X \ A) `e denso in Hol(D, X) rispetto alla topologia compatto-aperta e dunque dX coincide con dX\A su X \ A.

L’unico caso interessante `e dunque quando codimA = 1; ad esempio, abbia-mo gi`a visto che, sebbene CP2 non sia iperbolico, il complementare di 5 rette in esso lo `e. Il risultato precedente ci dice che, localmente, il complementare di un divisore `e sempre iperbolico e completo; dunque il problema `e globa-lizzare questa osservazione. Per farlo, introduciamo la nozione di immersione iperbolica.

Se X `e uno spazio complesso, Y ⊆ X, p ∈ Y si dice punto iperbolico se per ogni U intorno di p in X esiste un intorno V tale che V ⊂ U e dY(V ∩Y, Y \U ) >

0.

Y si dice iperbolicamente immerso in X se ogni punto di Y `e punto iperbolico. Notiamo che ogni spazio iperbolico `e iperbolicamente immerso in se stesso. Osserviamo che l’immersione iperbolica `e equivalente al fatto che, dati p, q in Y , esistano Up, Uq intorni di loro in X tali che dY(Up∩ Y, Uq∩ Y ) > 0; inoltre,

se esiste una distanza δ su Y tale che δ ≤ dY su Y , allora Y `e iperbolicamente

immerso in X.

Prp 4.5 Sia Y b X, allora le seguenti sono equivalenti i. Y `e iperbolicamente immerso in X

ii. data una metrica hermitiana h su X, esiste c > 0 tale che f∗(ch) ≤ ds2 D

per ogni f ∈ Hol(D, Y ).

Dim: ii. ⇒ i. dh (la distanza indotta da h) `e una distanza su X contratta

dalle mappe olomorfe a valori in Y , quindi `e maggiorata dalla pseudodistanza di Kobayashi su Y . Dunque Y `e iperbolicamente immerso.

i. ⇒ ii. Per assurdo, siano fn ∈ Hol(D, Y ), an∈ D tali che

fn∗h ≥ nds2D

in an. Poich´e fn(0) ∈ Y e Y `e compatto, fn(0) → p ∈ Y . Sia U un intorno di

p iperbolico completo in X. Se esiste r < 1 tale che fn(Dr) ⊂ U per n ≥ n0,

allora la famiglia {fn|Dr | n ≥ n0} `e normale e quindi ha una sottosuccessione

convergente, ma questo `e assurdo perch´e i differenziali in an divergono. Quindi

per ogni k > 0 esistono zk in D e nk tali che |zk| < 1/k e fnk(zk) 6∈ U . Allora

pk = fnk(0) e qk = fnk(zk) convergono a due punti p e q in Y distinti, ma

dY(pk, qk) ≤ dD(0, zk) → 0. 

Thm 4.6 Sia Y iperbolicamente immerso in X. Se Y `e localmente iperbolico completo, allora Y `e iperbolico completo.

(24)

Dim: Omessa

Cor 4.7 Se Z `e un divisore di Cartier in X e Y = X \ Z `e iperbolicamente immerso, allora `e iperbolico completo.

Dim: Ovvia applicazione del precedente teorema. 

Esempi C \ {0, 1} `e iperbolicamente immerso in CP1. In generale, se Y `e iper-bolico e X \ Y `e costituito di punti isolati, Y `e iperbolicamente immerso in X, in quanto se X \ Y = {p1, . . . , pk, . . .}, allora esistono palle U1, . . . , Uk, . . . di

X attorno ai pi e con chiusure disgiunte. Dunque, Ui∩ Y sono aperti

relativa-mente compatti di Y con chiusure disgiunte e dunque a distanze positive l’uno dall’altro.

Y = CP2\S4

i=0li, con la notazione dell’ultima lezione, `e iperbolico, ma

non `e iperbolicamente immerso in CP2. Infatti, consideriamolo immerso in C2

tramite la carta che ha l2come retta all’infinito. Allora Y `e il complementare di

4 rette, 3 concorrenti in un punto P e due (l4e l3parallele; sia l una retta per P

e sia Q = l ∩l3. Ovviamente, se l ruota attorno a P verso l4, la distanza euclidea

tra P e Q tende all’infinito. Scegliamo due punti A e B su l diametralmente opposti rispetto a P , con AB = k fissato; possiamo fare in modo che, mentre l ruota verso l4, i punti A e B tendano a due punti su l4. Ora, consideriamo una

mappa f : D∗→ l \ {P } che mandi il disco nel disco di centro P e raggio P Q; allora

dY(A, B) ≤ dD(f

−1(A), f−1(B)) → 0

man mano che l ruota verso l4.

Scriviamo esplicitamente la situazione descritta: siano l0 = {y = 0}, l1 =

{x = y}, l3 = {x = 1}, l4 = {x = 0}, dunque P = (0, 0) e l = {ax = by};

allora Q = (1, a/b) e P Q = (1 + a2/b2)1/2. Se b → 0, l ruota verso l 4. Sia

k = 1/2, allora possiamo prendere A = (t, at/b) e B = (−t, −at/b) con t = (1 + a2/b2)−1/2/2; per b → 0, si ha A = (0, 1/2), B = (0, −1/2). Definiamo la mappa

fb: D → C2 data da fb(z) = (z, az/b), allora z1= fb−1(A) = (1 + a

2/b2)−1/2/2 e z2= fb−1(B) = −(1 + a 2/b2)−1/2/2 e dunque dD(z1, z2) = log 1 + b 2√a2+b2 1 − b 2√a2+b2 = log2 √ a2+ b2+ b 2√a2+ b2− b = log (2√a2+ b2+ b)2 4a2+ 3b2 → 0

se b → 0. Ora, osserviamo che possiamo scrivere gb : Da/b → Y come gb(z) =

(bz/a, z); allora, fissato un disco Dt, la famiglia {fb |Dt per a/b > t} `e normale

e converge a ft: Dt→ {x = 0} su Dt. Quindi le ftsi incollano in una f : C →

{x = 0}, f (z) = (0, z)

Abbiamo che le mappe z 7→ gb(ez/b) che mappano Dlog(a/b)in l ∩ Y

conver-gono alla mappa z 7→ f (ez

) che porta C in l4\ {P }.

Anche alla luce dell’esempio precedente, diciamo che una mappa h : C → X `

e una linea complessa limite da Y ⊆ X se `e una linea complessa e per ogni DR⊂ C, h|DR `e limite di mappe da DRin Y . Ovviamente si ha che h(C) ⊆ Y .

Thm 4.8 Sia Y b X. Se Y non `e iperbolicamente immerso, esiste h : C → X linea complessa limite da Y .

(25)

Dim: Se Y `e iperbolicamente immerso, esiste a > 0 tale che ah ≤ FY con

h una metrica hermitiana su X; dunque, supponendo che non esista un tale a, possiamo ripetere la dimostrazione del teorema di Brody. Poich´e Y `e compatto in X, la convergenza non sar`a in Y ma in Y e dunque la linea complessa sar`a in X limite da Y . 

Ovviamente, vale anche il viceversa. Abbiamo inoltre il seguente risultato. Prp 4.9 Sia (X, H) una variet`a complessa hermitiana e sia Y un sottoinsieme relativamente compatto. Data una successione {Un} di aperti relativamente

compatti tali che T Un = Y e non iperbolicamente immersi, possiamo trovare

una linea complessa h : C → X con f (C) ⊆ Y .

Dim: Ovviamente abbiamo una mappa hn: C → X che `e una linea complessa

limite da Un. Allora h∗nH ≤ Cndzdz con Cn > 0; componendo hn con una

trasformazione affine, possiamo assumere che Cn= 1 con uguaglianza per z = 0.

Per Ascoli-Arzel`a, {hn} ha un limite h e ovviamente h(C) ⊆T hn(C) ⊆ Y . 

Cor 4.10 Sia Y un sottospazio compatto di X, allora se Y `e iperbolico, ha un intorno relativamente compatto U iperbolicamente immerso in X.

Dim: Segue ovviamente dalla proposizione precedente. 

Thm 4.11 Sia X uno spazio complesso e sia Z =S Zi un divisore di Cartier,

dove ogni Zi`e irriducibile. Supponiamo che una successione {hm} ⊂ Hol(D, X \

Z) converga a h ∈ Hol(D, X). Allora h(D) `e contenuto in X \ Z o in Z. Pi`u precisamente, h(D) `e contenuto in X \ Z o in T

i∈IZi \ Sj∈JZj dove

I = {i : h(0) ∈ Zi} e J = {j : h(0) 6∈ Zj}.

Dim: Supponiamo che h(0) ∈ Z. Sia V un intorno di h(0) in X tale che V ∩ Z = {f = 0} = {f1· . . . · fk = 0} dove fi = 0 definisce Zi. Allora, se i `e

tale che fi(h(0)) = 0, la funzione fi◦ h ha uno zero, ma le funzioni fi◦ hm non

ne hanno, quindi per Hurwitz fi◦ h deve essere costantemente nulla. Dunque

h(D) ⊂ Zi. Da ci`o segue la tesi. 

Dal precedente teorema possiamo ricavare il seguente risultato di Green e Howard.

Thm 4.12 Sia (X, H) una variet`a complessa hermitiana compatta e sia Z un divisore di Cartier. Allora Y = X \ Z `e iperbolico completo e iperbolicamente immerso in X se

i. non ci sono linee complesse in Y ii. non ci sono linee complesse in Z.

Dim: Supponiamo che Y non sia iperbolicamente immerso in X. Allora c’`e una linea complessa limite da Y , h : C → X. Allora, per il risultato precedente, h(C) `e contenuto in Y oppure in Z, ma questo `e impossibile. Dunque Y `e iperbolicamente immerso e quindi iperbolico completo. 

E’ chiaro, dal risultato utilizzato per dimostrare l’ultimo teorema, che la seconda condizione pu`o essere rafforzata come segue:

per ogni partizione I ∪ J = {1, . . . , m}, con Z = Z1∪ . . . ∪ Zm, non ci sono

linee complesse in T

i∈IZi\Sj∈JZj.

Tornando all’esempio del complementare di 5 rette in CP2, si pu`o notare che l4\S

3

(26)

5

Esercitazione del 26/11/2010

Esaminiamo alcuni esempi del comportamento di famiglie, fibrazioni e fibrati rispetto all’iperbolicit`a. La situazione tipo che vogliamo studiare `e una mappa olomorfa surgettiva

π : X → Y

Le controimmagini Xt= π−1(t) rappresentano una famiglia di spazi complessi,

parametrizzata su Y .

Esempio Sia Z = CP1× D e poniamo

B0= {(z : 0)} × D B∞= {(0 : w)} × D B1= {((tw : w), t) | t ∈ D}

e z1 = ((1 : 1), 0). Consideriamo l’insieme X = Z \ (B0∪ B1∪ B∞∪ {z1}).

Abbiamo una proiezione ovvia π : X → Y con Y = D, tale che π−1(t) ∼= C\{0, 1} per ogni t ∈ D.

Dunque la base Y e la fibra Xtper ogni t sono iperboliche complete; per`o

XU non `e iperbolico per nessun intorno U di 0 ∈ D. Infatti, siano pn = ((1 :

a), 1/n) e qn = ((1 : b), 1/n) con a 6= b; allora essi tendono a p = ((1 : a), 0) e

q = ((1 : b), 0). Allora

dXU(p, q) ≤ dXU(p, pn) + dXU(q, qn) + dXU(pn, qn)

e poich´e pn→ p e qn→ q, i due primi termini tendono a 0; inoltre, si ha

dXU(pn, qn) ≤ dX1/n(pn, qn)

Notiamo che X1/n = CP1\ {0, ∞, 1/n} × {1/n} e consideriamo la mappa

fn: X1/n+1→ X1/n

data da fn((w0 : w1), 1/n + 1) = (((n + 1)w0 : nw1), 1/n). Dunque, f1◦ . . . ◦

fn((w0: w1), 1/n) = (((n + 1)w0: w1, 1).

Poich´e le mappe fn sono biolomorfismi (quindi isometrie),

dX1/n(fn(pn+1), fn(qn+1)) = dX1/n+1(pn+1, qn+1)

e dunque

dX1/n(pn, qn) = dX1(((n : a), 1), ((n : b), 1))

ma al limite per n → ∞ si ha (n : a) → (1 : 0) e (n : b) → (1 : 0), dunque lim

n→∞dX1/n(pn, qn) = 0

Quindi dXU(p, q) = 0.

Esempio Consideriamo lo spazio

X = {|z| < 1, |zw| < 1} \ {(0, w) | |w| ≥ 1} in C2. C’`

e una proiezione ovvia π : X → D data da π(z, w) = z.

Osserviamo che π−1(t) ∼= D per ogni t ∈ D, ma sappiamo gi`a da una precedente esercitazione che X non `e iperbolico.

(27)

Incidentalmente, si noti che invece base, fibra e spazio totale sono Brody-iperbolici.

Esempio Sia

X = {(z, w) ∈ C2 | 0 < |z|2+ |w|2< 1}

e sia Y = CP1. Allora la proiezione π : X → Y data da π(z, w) = [z : w] `e una famiglia su CP1 con fibra iperbolica (infatti π−1(y) = D∗) e spazio totale iperbolico, ma base dei parametri (compatta) non iperbolica.

Notiamo che questo `e possibile solo poich´e π non ammette una sezione olo-morfa globale, nel qual caso la base sarebbe sottospazio di X e quindi spazio iperbolico.

I precedenti esempi mostrano come l’iperbolicit`a non sia una propriet`a chiu-sa, come l’iperbolicit`a di base e fibre non implichi l’iperbolicit`a dello spazio totale e come l’iperbolicit`a di fibre e spazio totale non implichi quella della base; ovviamente l’iperbolicit`a dello spazio totale e della base implica quella della fibra. L’unico punto rimasto `e se l’iperbolicit`a sia una propriet`a aperta. Risponderemo affermativamente in quanto segue.

Prp 5.1 Sia X uno spazio complesso. Se per ogni punto p esiste δ > 0 tale che il δ−intorno di p

Up(δ) = {q ∈ X | dX(p, q) < δ}

`

e iperbolico, allora X `e iperbolico.

Dim: Fissato p, siano ρ,  tali che δ = 3ρ + . Claim: Esiste C > 0 tale che dUp(q, q

0) ≤ Cd

X(q, q0) per ogni q, q0∈ Up(ρ).

Dim: Sia r > 0 tale che dD(0, r) = , C tale che

dDr(0, a) ≤ CdD(0, a) ∀ a ∈ Dr/2

Siano ora q, q0∈ Up(ρ) e sia α una catena di dischi olomorfi in X tra di essi con

l(α) < dX(q, q0) + η < 2ρ

dove η > 0 `e scelto appositamente per realizzare la disuguaglianza di destra. Ora, poich´e L(|α|) ≤ l(α) ≤ 2ρ e q ∈ Up(ρ), evidentemente si ha che |α| ⊆

Up(3ρ).

Supponiamo che α sia data da mappe fi: D → X, punti ai, bi ∈ D e pi∈ X;

senza perdere di generalit`a, poniamo ai = 0 e |bi| < r/2 (questa, a meno di

raffinare la catena). Inoltre, poich´e pi−1∈ Up(3ρ), allora fi(Dr) ⊆ Up(3ρ + ) =

Up(δ). Se ora creiamo una nuova catena β con mappe gi(z) = fi(rz), punti

ai, bi∈ D e pi∈ X, allora

l(β) ≤ Cl(α) < CdX(q, q0) + η

e si conclude per l’arbitrariet`a di η.

Quindi, per ogni p ∈ X, esiste un intorno Up iperbolico; in esso, esiste un

intorno pi`u piccolo in cui dUp≤ CdX e dunque in cui la pseudodistanza di X `e

davvero una distanza. Ovvero, ogni punto di X ha un intorno in cui dX `e una

distanza; ora, essendo dX una pseudometrica di lunghezze, il fatto che essa sia

(28)

Cor 5.2 Se ogni Up(δ) `e iperbolico completo ed esiste δ > 0 che va bene per

ogni p ∈ X, allora X `e iperbolico completo.

Thm 5.3 Sia π : X → Y olomorfa. Se per ogni y ∈ Y esiste δ > 0 tale che π−1(Uy(δ)) `e iperbolico, allora X `e iperbolico.

Dim: Per ogni p ∈ X, si ha

{q ∈ X | dX(p, q) < δ} ⊆ π−1(Uπ(p)(δ))

poich´e π diminuisce le distanze. Quindi, per la proposizione precedente, X `e iperbolico. 

Thm 5.4 Sia π : X → Y olomorfa. Se Y `e iperbolico ed ammette un ri-coprimento aperto {Ui} tale che π−1(Ui) `e iperbolico per ogni i, allora X `e

iperbolico.

Dim: Per ogni y ∈ Y , sia δ > 0 tale che Uy(δ) ⊆ Ui, allora π−1(Uy(δ)) ⊆

π−1(Ui) `e iperbolico e si conclude. 

Nell’ultimo teorema si pu`o aggiungere l’ipotesi di completezza a Y e alle controimmagini degli Ui e si otterr`a che X `e iperbolico completo. Veniamo ora

al risultato che afferma che l’iperbolicit`a `e una propriet`a aperta.

Thm 5.5 Sia π : X → Y una mappa olomorfa propria tra spazi complessi. i. Se Y `e iperbolico e per ogni y ∈ Y Xy `e iperbolico, allora X `e iperbolico.

ii. Se esiste y0 ∈ Y tale che Xy0 `e iperbolico, allora esiste U intorno di y0

tale che Xy `e iperbolico per ogni y ∈ U .

Dim: i. Sia U aperto relativamente compatto in Y , allora π−1(U ) `e aperto e π−1(U ) ⊆ π−1(U ) (poich´e π `e propria) e dunque anche la controimmagine di

U `e relativamente compatta. Per quanto fatto nelle precedenti esercitazioni, se π−1(U ) non `e iperbolico (e quindi non `e iperbolicamente immerso in X), esiste una linea complessa limite in X da π−1(U ), ovvero esiste f : C → π−1(U ) non costante. Osserviamo per`o che dall’iperbolicit`a di Y segue che π ◦ f `e costante, ma allora f (C) ⊆ Xyper qualche y e si conclude con un assurdo per l’iperbolicit`a

delle fibre.

ii. Per quanto detto in una precedente esercitazione, se Xy0 `e iperbolico,

esiste un suo intorno V iperbolicamente immerso in X. Allora, poich´e π `e propria, esiste U intorno di y0tale che π−1(U ) ⊆ V ; quindi Xy`e iperbolico per

ogni y ∈ U . 

5.1

Esempio di Brody e Green

Sia d un intero pari e maggiore di 50; definiamo V= {z0d+ z d 1+ z d 2+ z d 3+ (z0z1)d/2+ (z0z2)d/2= 0} ⊂ CP3

Per  abbastanza piccolo, ogni V `e una superficie complessa non singolare

compatta e semplicemente connessa, per il teorema di Lefschetz. Osserviamo innanzitutto che V0contiene, ad esempio, le linee complesse

(29)

con µd= ηd = −1. D’altra parte, se  6= 0, abbiamo che la mappa [z0: z1: z2: z3] 7→ [z20: z 2 1 : z 2 2 : z 2 3: z0z1: z0z2] applica Vsurgettivamente su Wd/2= {w d/2 0 + . . . + (w5)d/2 = 0} ⊆ CP5. Ora,

abbiamo il seguente teorema di Green:

Thm 5.6 (Green) Ogni mappa olomorfa g : C → Wd/2ha immagine

contenu-ta in un sottospazio lineare di dimensione ≤ (n−1)/2 non appena d ≥ 2n2. Inol-tre, c’`e una partizione I1, . . . , Ik degli indici {0, . . . , 5} tale che gi/gj `e costante

se i, j ∈ Iq e ogni elemento contiene almeno 2 indici.

Chiaramente, una mappa f : C → V induce una mappa g : C → Wd/2.

Abbiamo i seguenti casi

i. Qualche fi`e nulla. Allora la mappa in CP2data dalle altre componenti

ha valori in una curva di genere ≥ 2 (per  piccolo abbastanza) e dunque per Picard deve essere costante.

ii. Nessuna fi`e nulla, ma f1/f0e f2/f0sono costanti. Allora si pu`o dedurre

che anche f3/f0`e costante ed abbiamo finito.

iii. Nessuna fi `e nulla e, wlog, f1/f0 non `e costante. Allora la partizione

di cui nel teorema deve avere la forma

I1= {g0, gi} I2= {g1, gj} I3= {g4, gk}

con {i, j, k} = {2, 3, 5}. Si ha che i 6= 2, 5, altrimenti f2/f0 sarebbe costante e

g2 e g5sarebbero nella stessa partizione. Dunque i = 3 e f3/f0`e costante; ora,

qualunque scelta si compia, f2/f1`e costante e riscrivendo in base a questi dati

l’equazione definente V si ottiene che f1/f0`e costante. Assurdo.

Dunque non ci sono mappe olomorfe non costanti da C in V per  6= 0,

(30)
(31)

7

Esercitazione del 14/12/2010

Dalla teoria della distribuzione dei valori di mappe olomorfe, nella scorsa eser-citazione abbiamo ricavato il lemma di Borel: f1, . . . , fN : C → C∗ olomorfe e

tali cheP fi≡ 1 sono linearmente dipendenti su C. Ne diamo ora alcune forme

equivalenti.

Prp 7.1 Le seguenti sono equivalenti:

Borel f1, . . . , fN : C → C∗ olomorfe e tali che P fi ≡ 1 sono linearmente

dipendenti su C;

i. se f1, . . . , fN : C → C∗ sono olomorfe e tali che P fi ≡ 1, allora una di

esse `e costante;

ii. se g1, . . . , gM : C → C∗ sono olomorfe e tali che P gi ≡ 0, allora esiste

una partizione I1∪ . . . ∪ Ik di {1, . . . , M } tale chePIαgi ≡ 0 e i, j ∈ Iα

sse gi/gj≡ const., con |Iα| ≥ 2 per ogni α.

Dim: i. ⇒ ii. Si haP λifi = 0 con, wlog, λ1 = 1; sottraendo all’ipotesi si

ottiene

(f1− f1) + f2(1 − λ2) + . . . + fN(1 − λN) = 1

ovvero

f2(1 − λ2) + . . . + fN(1 − λN) = 1

A meno di eliminare i casi in cui λi = 1, abbiamo ora h1, . . . , hk : C → C∗

olomorfe e tali che P hi ≡ 1 con k ≤ N − 1; dunque possiamo ripetere il

procedimento di prima, applicando di nuovo Borel e riducendo ulteriormente il numero delle funzioni. Il procedimento si ferma quando rimaniamo con una sola funzione per la quale vale (1 − µ)g ≡ 1, ovvero g `e costante.

ii. ⇒ iii. Siano date le gi e definiamo la partizione I1, . . . , Ik di {1, . . . , M } di

modo che i, j ∈ Iα sse gi/gj `e costante. Poniamo

hα=

X

i∈Iα

gi

e osserviamo che h1+ . . . + hk ≡ 0; poich´e ogni hα`e multiplo di gi per i ∈ Iα,

allora hα≡ 0 oppure hα6= 0 sempre. Wlog, supponiamo che h1, . . . , hmsiano

mai nulle e che hm+1, . . . , hk ≡ 0. Per 2 ≤ α ≤ m, poniamo fα= −hα/h1, di

modo che si abbia P fi ≡ 1; notiamo che le fi cos`ı definite sono olomorfe mai

nulle e dunque esiste fαcostante, diciamo fα≡ µ. Ora, se h1= C1gicon i ∈ I1

e hα= Cαgj con j ∈ Iα, otteniamo che

−hα h1 = µ ⇒ −Cαgj C1gi = µ ⇒ gj= − µC1 Cα gi

ovvero j ∈ I1, che `e assurdo. Dunque hα = 0 per ogni α (e poich´e le gi non

erano nulle, questo implica che |Iα| ≥ 2 per ogni α).

iii. ⇒ i. Supponiamo date f1, . . . , fN : C → C∗ olomorfe a somma 1.

Definia-mo f0= −1, di modo che f0+P fi ≡ 0 e consideriamo la partizione I0, . . . , Ik.

Sia I0la classe di equivalenza di f0, allora, se I = I0 abbiamo finito, in quanto

tutte le funzioni sono costanti; altrimenti, consideriamo cheP

i∈Iαfi≡ 0 `e una

(32)

La terza formulazione equivalente del lemma di Borel ci permette di dare una precisa connotazione geometrica alla degenerazione di una curva olomorfa che ometta abbastanza iperpiani.

Thm 7.2 Siano H1, . . . , Hn+2iperpiani di CPn in posizione generale, con n ≥

2. Sia poi f : C → CPn una funzione olomorfa la cui immagine non interseca nessun Hi. Allora f (C) `e contenuta in un iperpiano.

Dim: Consideriamo l’inclusione CPn ,→ CPn+1, dove CPn viene identificato con z0+ . . . + zn+1) = 0 e gli iperpiani H1, . . . , Hn+2possono essere considerati

come l’intersezione di questo con gli iperpiani zi = 0. Dunque f si solleva a

F = (F0, . . . , Fn+1) : C → CPn+1tale che Fi6= 0 eP Fi= 0. Quindi esiste una

partizione degli indici {0, . . . , n + 1} data dagli insiemi I1, . . . , Ik. Siano J = I1

e K = {0, . . . , n + 1} \ J ; definiamo l’iperpiano HJ K= ( X i∈J zi= 0 )

Dalla proposizione precedente, si ha che f (C) ⊂ HJ K. 

Gli iperpiani di CPn ottenuti dall’intersezione di HJ K con H = {P zi= 0}

sono detti iperpiani diagonali ; `e facile verificare che HJ K= \ i∈J Hi ! ⊕ \ i∈K Hi !

da cui la nomenclatura di diagonale. Se infatti n = 2, gli iperpiani diagonali di 4 rette a tre a tre non concorrenti in CP2 sono esattamente le tre diagonali del quadrilatero da esse formato.

Thm 7.3 Sia f : C → CPn olomorfa che omette gli iperpiani H1, . . . , Hn+p

in posizione generale. Allora f (C) `e contenuta in un sottospazio di dimensione ≤ [n/p].

Dim: Sia Fi : Cn+1 → C la forma lineare che definisce il sollevamento in

Cn+1dell’iperpiano Hi e sia ef : C → Cn+1\ {0} il sollevamento di f . Poniamo

hi= Fi◦ ef , allora hiha valori in C∗; poniamo inoltre {1, . . . , n+p} = I1∪. . .∪Iq

con i, j ∈ Iα se e solo se hi/hj `e costante.

Claim: Fissato α0, Jα0=

S

β6=α0Iβ ha al pi`u n elementi.

Se cos`ı non fosse, sia J formato da n + 1 elementi di Jα0 e da 1 elemento di Iα0;

costruiamo una partizione J =S Jαdefinendo Jα= J ∩Iα. Le funzioni {Fj, j ∈

J } sono n+2 forme lineari su Cn+1e quindi sono linearmente dipendenti, dunque

per il teorema precedente ogni Jα deve avere almeno due elementi. Ma Jα0 ha

un solo elemento, il che `e assurdo. Dunque Jα0 ha al pi`u n elementi.

Dunque, |Iα| ≥ p per ogni α e qp ≤ n + p. Sia ora I0 ⊂ {1, . . . , n + p} tale

che |I0| = n + 1; definiamo una sua partizione ponendo I0

α = I0∩ Iα; allora le

equazioni

Fi = ciFi0 i ∈ I

0 α, i 6= i0

per un fissato i0 ∈ Iα0 sono kα− 1, dove kα| = |Iα0|. Dunque le funzioni hi

soddisfano almeno k1− 1 + . . . + kq− 1 equazioni linearmente indipendenti, ma

k1− 1 + . . . + kq− 1 = n + 1 − q ≥ n + 1 −

n + p n = n −

n p

(33)

e dunque l’immagine di f `e contenuta in un sottospazio di dimensione al pi`u n/p. 

Cor 7.4 Se f : C → CPn omette 2n + 1 iperpiani in posizione generale, allora f `e costante.

Per dare una descrizione pi`u geometrica, riportiamo alcune definizioni e alcu-ni risultati (senza dimostrazione) da un lavoro di Zaidenberg2. Dati H1, . . . , HN

iperpiani in CPn, diremo che essi sono

(a) in configurazione iperbolica se per ogni ` linea proiettiva in CPn, ` ∩S Hi

contiene almeno 3 punti;

(b) in configurazione iperbolicamente immersa se ogni ` retta proiettiva in CPn intersecaS`6⊂HiHi in almeno 3 punti.

Esempio Sei rette in CP2, tre delle quali passano per un punto p, mentre le altre tre passano per un punto q, non sono in configurazione iperbolica, infatti la retta per p e q le interseca in due soli punti. Due rette per p, due rette per q e la retta per p e q sono in configurazione iperbolica, ma non in configurazione iperbolicamente immersa, in quanto la retta per p e q interseca le altre in due soli punti.

Thm 7.5 H1, . . . , HN rispettano (a) solo se N ≥ 2n + 1.

Thm 7.6 H1, . . . , HN rispettano (a) se CPn\S Hi `e iperbolico.

Thm 7.7 H1, . . . , HN, N ≥ 2n+1 sono in posizione generale solo se rispettano

(a).

Thm 7.8 H1, . . . , H2n+1 sono in posizione generale se rispettano (a).

Thm 7.9 Dati H1, . . . , HN, X = CPn\S Hi `e iperbolico completo e

iperboli-camente immerso se e solo se gli iperpiani rispettano (b).

Thm 7.10 Il complementare di 2n + 1 iperpiani `e iperbolicamente immerso se e solo se sono in posizione generale.

Esempio In CPn, consideriamo Y = {z0· · · zn(z0−z1)(z1−z2) · · · (zn−1−zn) =

0}; X = CPn\Y `e iperbolico completo ma non iperbolicamente immerso. Infatti X ∼= (C \ {0, 1})n e dunque `e iperbolico completo, ma la retta ` = {z

1 =

. . . = zn−1 = 0} interseca gli iperpiani che non la contengono solo nei punti

[0, . . . , 0, 1] e [1, 0, . . . , 0]. Dunque per il teorema di Green e Howard non pu`o essere iperbolicamente immerso.

2M. Zaidenberg, Picard’s theorem and hyperbolicity, Siberian math. J.,vol. 24 (1983),

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