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L'altra agricoltura ... verso un'economia rurale sostenibile e solidale

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Academic year: 2021

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(1)

Unità di animazione: ATI INEA - Agriconsulting

INEA - Via Barberini, 36 00187 Roma tel. 0647856455 AGRICONSULTING SpA - Via Vitorchiano, 123 00189 Roma tel. 06330881

Web - www.reteleader.it

L’AL

TRA AGRICOL

(2)

Rete Nazionale per lo Sviluppo Rurale

L’altra agricoltura…

verso un’economia rurale

sostenibile e solidale

(3)

Il quaderno è stato prodotto nell’ambito delle attività previste nella Misura 3.1 del Programma “Creazione di una Rete Nazionale per lo Sviluppo Rurale” del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Decisione della Commissione Europea n. C (2002) 251 del 9/02/02).

Le attività della Rete sono state affidate dal Mipaaf all’ATI composta da INEA e Agriconsulting SpA.

La pubblicazione riporta una sintesi della discussione avvenuta nell’ambito del Seminario “L’altra agricoltura... verso un’economia rurale, sostenibile e soli-dale”, organizzato dalla Rete nazionale per lo sviluppo rurale, che ha avuto luogo nei giorni 24-26 gennaio 2008, presso l’Università della Calabria. La versione completa degli atti è disponibile sul sito www.reteleader.it.

I contenuti delle relazioni e le posizioni espresse dai relatori nel corso degli interventi non riflettono necessariamente la posizione degli editori sugli argomenti trattati.

Gli atti sono a cura di: Giuliana Paciola (INEA - Sede Regionale della Calabria) e Pamela Giannotta (Dott.ssa in Discipline Economiche e Sociali).

La segreteria tecnica è stata curata da Rosanna Peluso (INEA - Sede Regionale della Calabria).

Il gruppo di lavoro che si è costituito per la trascrizione da nastro delle registrazioni audio del seminario è stato coordinato da Giuseppe Gaudio (INEA -Sede Regionale della Calabria) e composto dai seguenti studenti del Corso di laurea in Discipline Economiche e Sociali per lo Sviluppo e la Cooperazione: Angelisi Sonia, Caroprese Enza, Chirico Luisa, Coscarello Mario, Cossari Isabella, Filice Manuela, Garofalo MariaCarmela, Garofalo Jessica, Genovese Pamela, Giannotta Pamela, Raimondi Francesca.

(4)

I

NDICE

Presentazione...pag. 7

Introduzione...pag. 8

APERTURA DEI LAVORI

Presentazione del seminario e dei workshop...pag. 11

di Raffaella Di Napoli SESSIONE PLENARIA

I processi di sviluppo rurale in Europa: l’agricoltura sociale, le strategie di resistenza

dei contadini e le politiche...pag. 17

Presiede Elena Saraceno, Esperta Sviluppo Rurale

Percorsi di sviluppo rurale: il modello “contadino”...pag. 19

di Jan Van der Ploeg

Il ruolo e le prospettive future dell’agricoltura sociale in Italia e in Europa...pag. 34

di Francesco Di Iacovo

Processi di resistenza in agricoltura e reti alternative...pag. 47

di Ada Cavazzani

Reti di economia solidale: situazione attuale e prospettive future...pag. 61

di Davide Biolghini

Le politiche di sviluppo 2007-2013: minaccia o opportunità per le aree rurali?...pag. 68

di Giuseppe Gaudio WORKSHOPS

Workshop 1 Sistemi di welfare e reti di protezione sociale nelle aree rurali...pag. 73

Coordinatori: Tatiana Castellotti, INEA Sede Regionale della Calabria e Raffaella Fragale, ARSSA Calabria

Sintesi del Workshop, di Tatiana Castellotti...pag. 75

RELAZIONE INTRODUTTIVA

Agricoltura etico-sociale e imprenditorialità non profit in agricoltura...pag. 76

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TESTIMONIANZE

Il distretto rurale di economia solidale in Friuli...pag. 82

di Alberto Grizzo

L’associazione San Pancrazio di Cosenza...pag. 87

di Alessandro Scazziota

La rete delle fattorie sociali...pag. 90

di Alfonso Pascale

Workshop 2 Educazione e formazione... tra identità e tradizione...pag. 93

Coordinatori: Davide Colace e Luigia Florio, ARSSA Calabria

Sintesi del Workshop, di Davide Colace...pag. 95

RELAZIONE INTRODUTTIVA

Le fattorie didattiche come modello di economia sociale tra formazione e relazionalità...pag. 97

di Maria Concetta Manfredi TESTIMONIANZE

Le fattorie didattiche nell’esperienza della CIA...pag. 99

di Rosa Critelli

La fattoria San Bernardino...pag. 102

di Domenica Donnici Loiacono

Le aziende agricole multifunzionali...pag. 103

di Adriana Tamburi

Workshop 3 Beni e territori sottratti alla mafia: occasioni di lavoro e sviluppo...pag. 105

Coordinatori: Catia Zumpano, INEA e Federica Roccisano, Cooperativa Hermes

Sintesi del Workshop, di Catia Zumpano...pag. 107

RELAZIONE INTRODUTTIVA

Sviluppo, occupazione e non solo: il ruolo delle cooperative...pag. 109

di Giuseppe Gaudio TESTIMONIANZE

La Cooperativa Valle del Marro...pag. 113

di Antonio Napoli

La Cooperativa Valle del Bonamico...pag. 118

di Piero Schirripa

La Cooperativa Hermes...pag. 122

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Workshop 4 Le strategie contadine: autonomia, sovranità alimentare e biodiversità...pag. 125

Coordinatori: Giovanni Folliero, Università della Calabria e Giuliana Paciola, INEA Sede Regionale per la Calabria

Sintesi del Workshop, di Giovanni Folliero...pag. 127

RELAZIONE INTRODUTTIVA

Nuove contadinità: pratiche innovative di resistenza...pag. 130

di Alessandra Corrado TESTIMONIANZE

Agro-biodiversità, sovranità alimentare e mercato globale...pag. 135

di Antonio Onorati

Le reti di sementi contadine, la selezione partecipativa e la valorizzazione delle varietà tradizionali...pag. 140

di Riccardo Bocci

L’attività contadina nelle aree fragili: casi studio nell’Appennino ligure-piemontese...pag. 145

di Giovanni Carrosio

Vincoli e potenzialità: bio-diversità agraria e altra agricoltura nel Salento...pag. 148

di Luca Carbone

Workshop 5 Il mercato tra sostenibilità, etica e solidarietà...pag. 153

Coordinatori: Anna Elia e Annamaria Vitale, Università della Calabria

Sintesi del Workshop, di Annamaria Vitale...pag. 155

RELAZIONE INTRODUTTIVA

Reti sociali, filiere corte e pratiche innovative di produzione e consumo...pag. 157

di Silvia Sivini TESTIMONIANZE

I mercati contadini in Calabria: processi di integrazione tra reti alternative di produzione e consumo...pag. 166

di Anna Elia

I Gruppi di Acquisto Solidale...pag. 171

di Andrea Saroldi

La Rete di economia solidale...pag. 174

di Davide Biolghini

L’Associazione Fratello Sole...pag. 180

di Doris Fagin

Percorsi di innovazione intorno alla produzione-consumo di cibo:

alcune riflessioni sulla base dell’esperienza toscana...pag. 181

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Workshop 6 Presente e futuro della cultura contadina...pag. 189

Coordinatori: Monica Caggiano e Francesca Giarè, INEA

Sintesi del Workshop, di Monica Caggiano...pag. 191

RELAZIONE INTRODUTTIVA

I cambiamenti sociali e culturali nel mondo agricolo e rurale...pag. 192

di Osvaldo Pieroni TESTIMONIANZE

Il progetto di orto-giardini naturali a scuola...pag. 197

di Gianfranco Zavalloni

L’Associazione all’Ombra del Mediterraneo...pag. 201

di Costanza Ferrini

La coltivazione del cedro in Calabria...pag. 203

di Sonia Angelisi

Bibliografia...pag. 207

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Presentazione

Nel presente volume, sono pubblicati gli atti del Seminario “L’altra agricoltura... verso un’economia rurale, sostenibile e solidale” che ha avuto luogo nei giorni 24-26 gennaio 2008, presso l’Università della Calabria. Organizzato dall’INEA - Sede Regionale per la Calabria e dalla Rete Nazionale per lo Sviluppo Rurale, con la collaborazione del Dipartimento di Sociologia e Scienza della Politica e del Corso di Laurea Specialistica in Di-scipline Economiche e Sociali per lo Sviluppo e la Cooperazione della Facoltà di Economia dell’Università de-gli Studi della Calabria. Il seminario, rivolto ad un ampio pubblico, ha registrato la partecipazione di oltre 250 persone provenienti non solo da contesti territoriali diversi (nazionale ed internazionale), ma anche da con-testi socio-culturali diversi: dagli studiosi ed esperti agli amministratori, dagli operatori sociali pubblici, del vo-lontariato e del privato, ai tecnici delle Organizzazioni Professionali Agricole e dei Sindacati, dal mondo del-la scuodel-la ai tanti studenti universitari.

Il seminario ha rappresentato un momento di incontro, e soprattutto di confronto, tra tutti i soggetti che in varia misura ed a vario titolo si occupano delle problematiche affrontate e l’eterogeneità dei partecipanti ha dato la misura dell’originalità dell’incontro.

L’idea di organizzare il seminario è nata dal fatto che è unanimemente riconosciuto che il processo di mo-dernizzazione, in corso nel settore primario, è stato messo in crisi dal mutamento dei modelli di consumo alimentari, da una maggiore attenzione verso le problematiche ambientali e dall’impatto delle logiche di modernizzazione sui processi produttivi locali. All’interno di queste dinamiche trovano spazio sia le strategie incentivate dalle politiche di sviluppo rurale sia quelle, in parte o totalmente escluse dalle stesse, finalizzate alla riappropriazione del controllo sui processi produttivi e sul mercato.

A circa un anno dalla conclusione della programmazione 2000-2006 è risultato opportuno avviare una ri-flessione sull’effettivo valore aggiunto che l’agricoltura può apportare ai processi di sviluppo nelle aree ru-rali. E questo al fine di intervenire tempestivamente sulle problematiche in corso e meglio affrontare la nuo-va fase di programmazione delle politiche strutturali, in generale, e dei Programmi di Sviluppo Rurale re-gionali, in particolare.

Avendo ampiamente soddisfatto le aspettative dei partecipanti, al termine dei lavori è stata unanime la ri-chiesta, di “lasciar traccia” di questo straordinario incontro attraverso la divulgazione dei risultati. Un ringraziamento sincero e meritato va indistintamente a tutti i partecipanti, relatori, testimoni e uditori che hanno voluto condividere questo seminario di studio e lavoro contribuendo alla stesura di questo volu-me. Nel dare atto a tutti del lavoro svolto posso dichiarare che l’augurio è quello di poterci ancora ritrovare per continuare a dibattere tali problematiche, utili e necessarie.

Il Presidente INEA On. Lino Carlo Rava

(9)

Introduzione

Lo sviluppo delle aree rurali nella politica comunitaria sta assumendo in questi ultimi anni un’importanza crescente. Le ragioni muovono da un lato dall’esigenza di raggiungere nuovi obiettivi comunitari nel pro-cesso più generale di coesione economica e sociale e, dall’altro, dall’esigenza di rilanciare la nuova PAC. Ciò ha avviato una profonda riflessione sui percorsi dello sviluppo rurale.

Nella realtà, l’azienda agricola si apre all’esterno e diventa parte integrante di percorsi di sviluppo territo-riale. Queste caratteristiche si ritrovano in aziende agricole che perseguono un equilibrio tra l’attuazione di processi produttivi che generano prodotti agricoli competitivi, la sostenibilità economica, connotazioni etiche e solidali, consumo consapevole e l’offerta di servizi di carattere sociale. L’agricoltura appare come una nuo-va frontiera delle attività aziendali che può tronuo-vare nuovi slanci e impulsi nell’ambito della politica di sviluppo rurale.

L’uso dell’azienda agricola per la sostenibilità economica e per il soddisfacimento di bisogni sociali, quali il re-cupero e l’inserimento di soggetti svantaggiati, attività didattiche e formative, inclusione sociale e opportu-nità di reddito nelle aree rurali, ancora invisibile a molti policy makers, è una realtà. Le aziende cercano di resistere alla modernizzazione del settore, riorganizzandosi dal basso (costruendo reti informali, utilizzan-do marchi etici, social labels, sistemi che auto-certificano la tracciabilità sociale del proutilizzan-dotto), su una utilizzan- do-manda sensibile alle istanze etiche e dando luogo a “filiere corte” di consumo “consapevole” in alternativa all’economia globalizzata.

Entrambi i processi cercano di dare risposta, accrescendo i livelli competitivi delle aree rurali, a problemati-che inerenti i sistemi di welfare e di inclusione sociale, nonché di miglioramento della qualità della vita, e/o a problematiche inerenti la sostenibilità etica e sociale dei processi produttivi.

I percorsi sono molto diversi tra loro in termini di tipologie di attività, di categorie sociali coinvolte e in ter-mini di obiettivi specifici.

Pur tuttavia, è possibile rintracciare un obiettivo globale e un filo comune che lega le diverse e complesse attività: • si esce dai confini dell’azienda agricola per costruire reti economiche e sociali che rivitalizzano le aree

rurali;

• concetti come quelli di reciprocità, collaborazione, partecipazione, eticità e solidarietà convivono con quel-li di benessere, mercato e profitto;

• si ricostruisce un tessuto sociale aperto a nuovi soggetti;

• la funzione produttiva primaria sempre più si confonde con una funzione sociale ed etica;

• si mette in moto un processo e una progettualità integrata che coinvolge diversi soggetti e diversi livelli (economico, sociale, istituzionale);

• si creano alleanze tra agricoltori, tra questi e i cittadini delle aree rurali ed urbane, tra questi e i deciso-ri politici;

• le diverse attività rientrano negli obiettivi di carattere generale all’interno delle politiche dei Fondi Strut-turali quali quelle di favorire la sostenibilità ambientale, le pari opportunità e l’occupazione;

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• si contribuisce a realizzare forme alternative ed innovative di mercato affinché il valore aggiunto possa restare sempre più legato alla produzione e al territorio.

Sono posti all’attenzione pratiche di sviluppo rurale come risposta alle logiche di liberalizzazione e di globa-lizzazione dei mercati, che costituiscono un’inversione di tendenza rispetto al modello imprenditoriale in-centivato dalle politiche agricole. Le strategie operative attraverso cui gli agricoltori riescono ad allargare i confini rispetto al modo di produzione convenzionale possono fare riferimento ai seguenti aspetti: • processi innovativi e alternativi di economia sostenibile e solidale;

• processi di diversificazione delle attività aziendali con attività extraziendali.

Entrambi questi processi praticano strategie di sviluppo dal basso e con un approccio endogeno. La creazio-ne di reti su base territoriale con attori diversi che operano anche in altri settori contribuisce a definire per-corsi di sviluppo alternativi.

È in questo ambito, conoscere (le ricerche) per decidere (le politiche), che si è collocato l’evento sui nuovi per-corsi innovativi e alternativi di cambiamento e di sviluppo nelle aree rurali. Il Seminario ha voluto rappre-sentare un momento di valorizzazione e di approfondimento sulle novità dei percorsi aziendali che oggi ani-mano le aree rurali. Novità che si accompagnano a numerose innovazioni organizzative e che, oggi, carat-terizzano il settore primario, facendolo uscire dal declino in cui lo ha relegato un processo di modernizzazione fortemente globalizzato e settorializzato.

Per questo motivo nel seminario oltre alla riflessione teorica, approfondita ed innovativa, sono state pre-sentate concrete esperienze sul campo, raccogliendo anche testimonianze di dirigenti, studiosi ed operatori. Quindi, coniugando conoscenze tecniche ed accademiche con esperienze sul campo, il seminario ha tenuto in-sieme il momento teorico-metodologico con quello applicativo.

L’articolazione del volume segue il programma secondo il quale si sono svolti i lavori che prevedeva una ses-sione plenaria introduttiva, sei sessioni parallele di approfondimento, una tavola rotonda e una visita di studio. La sessione plenaria dal titolo: “I processi di sviluppo rurale in Europa: l’agricoltura sociale, le strategie di re-sistenza dei contadini e le politiche” presieduta da Elena Saraceno, esperta di sviluppo rurale, ha dato inizio al Seminario. Nel corso della sessione studiosi ed esperti hanno delineato gli aspetti teorici e metodologici del-lo sviluppo rurale nonché i principali orientamenti delle politiche. Neldel-lo specifico, fornendo alcuni riferimen-ti di carattere generale e di analisi riguardanriferimen-ti le economie rurali e locali, sono state introdotte le proble-matiche intorno alle quali si sono poi articolate le diverse sessioni di lavoro.

Nelle sei sessioni parallele (workshop) sono stati individuati quegli elementi che permettono di agire in un contesto locale, attraverso una riflessione sulle diverse tipologie di attività riconducibili al campo dell’agri-coltura sociale e alla costruzione di un modello di produzione contadino.

I sei workshop, compresi in queste due tematiche, sono dimostrati strettamente integrati. L’agricoltura sociale, termine che comprende attività congiunte di produzione di beni agricoli e di servizi alle persone migliora le condizioni di vita e promuove l’inclusione lavorativa e sociale. Questo tipo di attività, entrata nel dibattito sul-la multifunzionalità del settore primario, ha raccolto un interesse crescente negli anni più recenti sia da par-te del mondo agricolo che da parpar-te di operatori sanitari e dei servizi sociali, degli studiosi, degli Enti locali e

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dei policy makers. C’è sempre maggiore interesse intorno alla capacità delle attività agricole, e delle risorse che queste utilizzano, di rispondere anche ad esigenze di carattere sociale per due ordini di motivi: da un la-to, a seguito del più generale ripensamento del ruolo che l’agricoltura può svolgere nella società; dall’altro, a seguito della crisi dei tradizionali sistemi di welfare nel rispondere ai nuovi bisogni in contesti rurali. Si è dibattuto di questi temi nei seguenti workshop:

1. sistemi di welfare e reti di protezione sociale nelle aree rurali; 2. educazione e formazione... tra identità e tradizione;

3. beni e territori sottratti alla mafia: occasione di lavoro e sviluppo.

L’altro aspetto considerato: il modello di produzione contadino, il riorientamento al mercato e la questione del-la vendita dei prodotti, ancora ai margini del dibattito politico piuttosto che scientifico, ha esplorato i possi-bili spazi di mercato e offerto alcune riflessioni sulle strategie di resistenza delle aziende agricole contadine, sui prodotti cosiddetti etici e sui comportamenti di acquisto consapevoli dei consumatori. L’obiettivo dei lavo-ri era di comprendere le modalità di organizzazione e le carattelavo-ristiche di una simile rete nonché di com-prendere il contributo che questa fornisce nel sostenere modelli di sviluppo che privilegiano l’economia locale a quella di mercato. I contributi ascoltati hanno testimoniato come, in risposta alle crescenti disuguaglianze economiche e sociali che l’attuale modello di globalizzazione economica ha prodotto, si stanno affermando pratiche alternative che si richiamano al concetto di economia solidale.

Di queste tematiche si è dibattuto nei seguenti workshop:

4. le strategie contadine: autonomia, sovranità alimentare e biodiversità; 5. il mercato tra sostenibilità etica e solidarietà.

L’interrogativo su che cosa rimane della cultura della società contadina tradizionale è stato oggetto dell’ulti-mo workshop:

6. presente e futuro della cultura contadina.

Tale workshop ha rappresentato un momento di riflessione, in chiave problematica e non esaustiva, sui cam-biamenti sociali e culturali del mondo agricolo e rurale.

La discussione sui percorsi possibili, le soluzioni adeguate, su quali governance e quali politiche per lo sviluppo sostenibile delle aree rurali nel corso di una tavola rotonda presieduta da Ada Cavazzani.

Diversi soggetti portatori di esperienze diverse e appartenenti a contesti sia teorici che metodologici diversi hanno dibattuto su tali problematiche. Ciò ha dato modo alla platea di ascoltare opinioni e di individuare possibili soluzioni sulla tematica dello sviluppo sostenibile delle aree rurali.

Da evidenziare, infine, la visita di studio effettuata presso la Cooperativa “Valle del Bonamico” ed il “Con-sorzio GOEL” nella Locride e presso la Cooperativa “Valle del Marro - Libera terra” nella Piana di Gioia Tau-ro. Entrambe rappresentano interessanti esperienze di lotta e contrasto “sul campo” (pur con modalità at-tuative diverse) alla criminalità organizzata.

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APERTURA DEI LAVORI

PRESENTAZIONE DEL SEMINARIO

E DEI WORKSHOP

(13)
(14)

R

AFFAELLA

D

I

N

APOLI

RETENAZIONALE PER LOSVILUPPORURALE

Questo seminario ha rappresentato un’occasione importante in riferimento agli obiettivi che la Rete Leader per-segue. La Rete Leader, infatti, si propone di favorire il dibattito e lo scambio di esperienze fra attori dello svi-luppo rurale, coinvolti in iniziative per lo svisvi-luppo delle aree rurali ai diversi livelli, nazionale, regionale e lo-cale. In particolare trovo il seminario particolarmente interessante perché ha messo insieme studiosi ed esper-ti, ma anche numerose esperienze propositive, in corso e in fase avanzata di realizzazione, a livello locale. La qualità delle relazioni e delle esperienze che sono state presentate permette di confrontarsi con idee in-novative che si stanno sviluppando a livello territoriale, e che stanno proponendo percorsi di sviluppo basa-ti su valori, quali ebasa-ticità, solidarietà, responsabilità, ma anche partecipazione e interdipendenze. Quesbasa-ti ele-menti assicurano che gli interventi abbiano una ricaduta collettiva. Inoltre, rappresentano opportunità im-portanti in riferimento all’elaborazione di politiche di sviluppo finanziate con fondi pubblici, oltre che nazio-nali e comunitari, per migliorare la qualità della vita. Questo può essere un elemento su cui si gioca il futu-ro dei nostri territori rurali e da cui le nostre aree rurali potranno trarre insegnamenti per diventare realmente competitive.

Il lavoro dei workshop è stato un’occasione importante per confrontarsi su quanto si sta realizzando nei ter-ritori. È importante spiegare perché tanti workshop. Organizzare un seminario con tanti gruppi di lavoro di-versi non è usuale, ma sicuramente questo è il valore aggiunto di questa esperienza. Nella fase iniziale del-l’organizzazione di questo evento, si era pensato ad un seminario centrato soprattutto sul ruolo svolto dal-l’agricoltura per favorire forme di inclusione sociale, quindi quello che solitamente viene ricondotto al tema dell’agricoltura sociale. Man mano che si discuteva ci si è resi conto che forse stavamo parlando di qualcosa di più ampio. Le esperienze erano così diversificate che andavano al di là di quello che avveniva all’interno di una singola azienda, ma coinvolgevano in maniera più ampia le comunità locali dove venivano realizza-te. Le diverse iniziative hanno la capacità di mettere a sistema anche le risorse locali, di coinvolgere gli at-tori del terriat-torio in cui sono inserite, di valorizzare le risorse locali, e di contribuire a qualificare i terriat-tori di riferimento. Quindi il ruolo e la dimensione svolta da queste iniziative va oltre quella che era la nostra ipo-tesi iniziale.

Tutte queste esperienze nella loro diversità e nella loro complessità hanno però alcuni elementi in comune, ri-conducibili all’etica sottostante i singoli interventi. Si parla di responsabilità, equità, sostenibilità, partecipazione, interdipendenza fra le persone, tutti valori che non solo costituiscono il fondamento di questi interventi, ma che dovrebbero essere enfatizzati nel processo di impostazione dello sviluppo a livello locale e territoriale. Altri elementi in comune sono gli aspetti di tipo metodologico: l’approccio dal basso, la dimensione territoriale, la capacità di svilupparsi attraverso un processo partecipativo. Il risultato è stato spesso la creazione di parte-nariati, o di gruppi di interesse, costituiti non solo da agricoltori, ma anche da altri attori dello sviluppo locale. Il Workshop 1 si è occupato dei sistemi di welfare e delle reti di protezione sociale nelle aree rurali. Gli aspet-ti interessanaspet-ti di questo argomento sono molteplici, ma, in paraspet-ticolare, è importante sottolineare come sia

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im-portante articolare intorno alla produzione tipologie di azioni differenti capaci di esaltare il fatto che i pro-dotti non lasciano traccia della disabilità e della difficoltà di chi li ha realizzati. Il prodotto non rimane solo un prodotto, ma diventa un bene relazionale.

L’agricoltura richiama una nuova organizzazione delle comunità, per cui emerge la necessità di sviluppare la capacità di mettere in relazione, di integrare, il sistema delle risorse.

Quando parliamo di politiche dobbiamo cercare di far sì che vengano usate per forme di agricoltura sociale e non solo. Dobbiamo andare al di là della concezione che attualmente abbiamo delle politiche di sviluppo rurale. Bisogna favorire l’integrazione tra diversi fondi e diversi strumenti. La riarticolazione dell’uso degli strumenti diventa un argomento cruciale.

Il Workshop 2 si è invece occupato di educazione e formazione. La concezione dell’agricoltura come fornito-re di servizi. La diffefornito-renza che vedo svilupparsi col diffondersi di iniziative di questo tipo è che per molto tempo si è pensato ad un modello di agricoltura multifunzionale (non che questo non avesse dignità o im-portanza strategica) come fornitore di servizi spesso per fruitori esterni al territorio, come ad esempio l’a-griturismo. Qui, invece, si sta introducendo un ruolo fondamentale e strategico per la comunità locale, che di-venta il beneficiario dei servizi offerti dall’agricoltura. La didattica, come forma di inclusione, sicuramente sposta l’attenzione sul ruolo che l’agricoltura svolge non solo come produttore di beni e capacità di offerta per migliorare l’attrattività di un territorio, ma anche come elemento per migliorare la qualità della vita al-l’interno dei territori stessi.

In riferimento alla formazione, si pone la necessità di rivedere quelli che sono gli approcci classici di questo ambito, ponendo attenzione alla preparazione non solo degli agricoltori, ma anche di chi si occuperà di pro-porre politiche di sviluppo e di divulgare alcune tematiche tra gli agricoltori.

Il Workshop 3 ha trattato il tema dei beni e territori sottratti alla mafia. Questa tematica pone l’attenzione su come valorizzare, sostenere, favorire i sistemi rete, che possono contribuire a mantenere e sviluppare le iniziative volte alla lotta all’illegalità e sul ruolo delle istituzioni in questo campo.

L’agricoltura assume il ruolo di veicolo per trasmettere valori culturali. Questa funzione deve essere ben in-terpretata, e, soprattutto, bisogna considerare che è superata l’agricoltura come attività associata ad un’im-magine di fatica, di marginalità.

L’agricoltura diventa occasione di apertura dei territori verso l’esterno. Le esperienze che sono state presentate prospettano un’apertura verso la cooperazione con soggetti o strutture che hanno questa finalità. A volte sin-gole esperienze hanno la capacità di far leva su alcuni valori fondamentali della nostra società. Le prospetti-ve del Workshop 3 tendono a far emergere il nuovo ruolo dell’agricoltura teso a sostenere valori di legalità. Nel Workshop 4 si è discusso di autonomia contadina, sovranità alimentare, biodiversità. Questo workshop introduce alcuni aspetti del successivo, facendo riferimento alla resistenza economica di queste attività e al-la loro capacità di produrre, creare reddito ed economia per il territorio. Un altro aspetto interessante è il ri-chiamo all’uso del territorio e delle sue risorse. Spesso la valorizzazione delle risorse rurali è stata utilizza-ta come strumento di marketing. Sicuramente si tratutilizza-ta di un modo per promuovere delle aree, ma è soprat-tutto un elemento di cui il territorio deve appropriarsi.

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Il Workshop 5 è incentrato sull’argomento del mercato, concepito in un’ottica tesa alla sostenibilità, etica e solidarietà. Viene posta attenzione su come viene valutato l’impatto delle politiche e come vengono impostate. La definizione e la valutazione delle politiche non possono essere fasi separate. Occorre impostare le politi-che in modo politi-che non perseguano solo obbiettivi quali produzione e reddito. Probabilmente alcuni elementi importanti per lo sviluppo dei territori rurali hanno perso importanza: non esiste solo la dimensione econo-mica. Ciò che crea realmente ricchezza, oltre la capacità in senso stretto di produrre reddito, coinvolge altri elementi, che arricchiscono l’intero territorio.

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SESSIONE PLENARIA

I PROCESSI DI SVILUPPO RURALE

IN EUROPA: L’AGRICOLTURA SOCIALE,

LE STRATEGIE DI RESISTENZA DEI CONTADINI

E LE POLITICHE

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PERCORSI DI SVILUPPO RURALE: IL MODELLO “CONTADINO”

DI

J

AN

D

OUWE VAN DER

P

LOEG

Vi sono tanti processi e tanti percorsi di sviluppo rurale. Tuttavia, intendo qui considerare lo sviluppo rurale fatto da uomini e donne che lavorano in agricoltura. Non mi limito a questa realtà “interfacciale” perché considero altre forme, altri aspetti dello sviluppo rurale meno importanti. Al contrario, lo sono altrettanto e credo che proprio quando si intrecciano i percorsi agricoli e i percorsi non agricoli si ottengono dei successi. È questa una sinergia molto importante. Nonostante ciò, voglio trattare soprattutto dello sviluppo rurale fat-to di agricolfat-tori, di contadini, anche perché è da questi che nasce un’agricoltura nuova, un’altra agricoltura che comporta anche un’identità nuova, cioè una “identità dei contadini”. Dietro questo processo c’è un rie-mergere del “modello contadino”, non come lavoro, bensì come una realtà analitica, empirica e strutturale, che fa fatica ad essere vista, ma che è una realtà decisiva per la comprensione del processo di cambiamen-to. Voglio dunque focalizzare il mio contributo su questo modello contadino e, per far ciò, intendo descrive-re sinteticamente il contesto da cui ha origine.

La figura 1 è un riassunto molto sintetico dello sviluppo agricolo nel periodo del dopoguerra. La linea supe-riore mostra come si è sviluppata la produzione lorda vendibile, che si è stabilizzata più o meno a partire dal-la metà degli anni ’80, mentre queldal-la inferiore lo sviluppo dei costi.

Figura 1 - Lo sviluppo agricolo del dopoguerra ed i limiti dello sviluppo rurale

Dopo la metà degli anni ’80, lo spazio fra ricavi e costi si riduce sempre di più, cioè il reddito netto dell’a-gricoltura nella sua totalità viene compresso, viene schiacciato. È quello che internazionalmente viene

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chia-mato squeeze on agricolture, ovvero compressione in agricoltura. Questo processo, lo squeeze, che è un fe-nomeno negativo, viene accompagnato da altri fattori. Uno di questi è che durante il processo di moderniz-zazione si ha sempre più una disconnessione dell’agricoltura dalle risorse naturali, sempre più sostituite da risorse artificiali. Questo stesso processo, soprattutto a partire dagli anni ’80, ha comportato una regolazio-ne sempre più dettagliata, pressante e asfissiante. Per gli agricoltori c’è poco spazio per fare, per muoversi, appunto a causa di una regolazione molto forte. Dietro tutto questo, ovvero dietro lo squeeze, la compres-sione, la sconnessione dalla natura, la regolazione, c’è ancora un altro elemento: l’agricoltura è stata sotto-messa sempre di più a nuovi reticoli monopolistici. Si potrebbe dire anche che è stata sottosotto-messa ad imperi alimentari, che modellano sempre di più lo sviluppo agricolo e rurale generando numerose complicazioni. Questi reticoli o imperi alimentari, in primo luogo, stanno modellando e rimodellando i rapporti, le connes-sioni, i processi di compressione, i processi di trasformazione, i punti di entrata, i punti di uscita, in modo ta-le da permettere un controllo monopolistico. Ma allo stesso tempo, questi reticoli ridefiniscono, a livello sim-bolico, ciò che è l’alimentazione, il cibo, la freschezza, la qualità. In terzo luogo, questi imperi alimentari so-no organizzati in modo da permettere un’accumulazione incredibile di ricchezza.

Figura 2 - Valore aggiunto per settore industriale in Italia (1980=100)

Accanto allo squeeze, che introduce la povertà in agricoltura, si verifica specularmente un aumento di ricchez-za. In Italia, dagli anni ’80 fino al 2003, lo sviluppo più rilevante tra i diversi settori interessa proprio l’stria alimentare (raffigurata dalla linea superiore nella figura 2). Quello alimentare è l’unico settore indu-striale che aumenta fortemente il suo valore aggiunto. Nel periodo indicato, tale crescita è pari al 48%, men-tre in quasi tutti gli altri settori (metalmeccanico, chimico, etc.) rimane stabile, anche negli anni successivi.

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In Olanda si verifica lo stesso fenomeno. Il valore aggiunto nel settore dell’industria alimentare ha registra-to un aumenregistra-to del 50%. E quesregistra-to spiega ad esempio perché, in Olanda, l’industria chimica DSM, quella più importante, si è convertita nell’industria alimentare, appunto in ragione dell’accumulazione di ricchezza su-periore che questa permette.

Un’altra conseguenza dell’emergere dei reticoli imperiali è che la crisi agricola è stata quasi “istituzionalizzata”, come crisi permanente, globale e multidimensionale. La figura 3 mostra come, in agricoltura, il processo di pro-duzione si deve articolare con tre processi generali: deve essere più o meno in linea con gli interessi di coloro che lavorano in agricoltura (altrimenti abbiamo una classica crisi agraria), deve inoltre essere coerente con la società globale e con la natura. Il problema attuale è che l’agricoltura, condizionata dai processi sopra citati, entra sem-pre di più in contraddizione con gli interessi di coloro che lavorano in agricoltura, si rompe il rapporto con la na-tura, provocando la crisi ecologica e c’è un distacco crescente tra agricoltura e società nella sua totalità.

Figura 3 - Crisi agraria

Ho già usato diverse volte questa espressione: reticoli imperiali. Ma cosa sono? Come emergono? Come fun-zionano? Da dove vengono? Per spiegare di cosa si tratta, voglio fare due esempi, uno locale ed un altro in-ternazionale. Nella figura 4 è rappresentato un paese tipicamente “locale”.

Tale rappresentazione si basa su una ricerca empirica realizzata in Olanda – ma, di fatto, potrebbe applicarsi dappertutto – e dimostra che ci sono diversi attori che si trovano in un paese, un paese locale. Fra gli agri-coltori, le case per gli anziani, i clienti, ecc., vi è tutto un tessuto sociale ed economico. Cosa succede attual-mente? La casa per gli anziani, l’ospedale concludono degli accordi con altre istituzioni simili, di altri paesi e di altri comuni; emerge così una nuova istituzione potente con una grande domanda concentrata. I suoi rap-porti col mercato obbediscono alle regole formulate dall’Unione Europea, le modalità contrattuali. Ciò nor-malmente implica che si trovano fornitori nuovi che sono localizzati in altri posti.

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La conclusione è che tanti attori locali, tra cui gli agricoltori, ma anche la piccola industria, i fornitori dei ser-vizi, vengono esclusi, non si possono più connettere con l’economia locale, nemmeno con quella regionale. Tutto viene rimodellato. Nella figura 5 è appunto rappresentato l’emergere di un reticolo imperiale.

Figura 5 - L’emergere di un “reticolo imperiale” Figura 4 - Paese “locale”

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Il secondo esempio arriva dal Perù. Ci sono un gran numero di risorse, ma sono risorse sconnesse: c’è l’ac-qua, c’è la terra, c’è capacità tecnica, c’è il credito, c’è il porto, c’è l’aeroporto, c’è tutto per poter produrre. Invece, come conseguenza della politica neoliberale, queste risorse sono sconnesse, possono essere ricombi-nate solamente come parte di un impero.

Figura 6 - Assemblaggio delle risorse locali disponibili

Faccio riferimento ad alcuni aspetti: si tratta di un impero che non conferisce niente di nuovo, semplicemen-te ricombina le risorse già esissemplicemen-tenti, senza introdurre risorse nuove, né valori nuovi. Anzi, espropria i valori già prodotti (come si mostrerà più avanti), combinando gli spazi di povertà con gli spazi di ricchezza, tanto che una sola impresa può accumulare molto e sostituirsi in questo caso all’agricoltura locale. Nella figura 7, si nota come a destra la terra dell’agricoltura contadina appaia come un deserto, a sinistra invece si vede il verde. Quindici anni fa la parte a sinistra era deserto mentre la parte destra, cioè la terra comunale, era verde; la situazione si è dunque capovolta: si vede adesso un nuovo impero che è emerso da poco. Nella figura 8, ancora la situazione degli agricoltori, della comunità contadina, contraddistinta dalla scarsità di acqua, e in cui tutto è organizzato in modo da fare la massima economia con la poca acqua disponibile. Dall’altro lato, quello del nuovo impero, ci sono laghi artificiali, si è accumulata tutta l’acqua, e se ne fa un uso ben diverso (figura 9).

Si usa per produrre prodotti di esportazione come uva da tavola, cipolla, peperoni, asparagi, e tanti altri prodotti che vanno direttamente al mercato europeo. Questi prodotti vengono trasportati con un aereo e venduti ad un prezzo bassissimo (figura 10).

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Figura 7 - L’emergere dell’impero

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Figura 9 - L’esproprio dell’acqua per usi privati

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Tutto questo non sarebbe un problema se in quella proprietà contadina venisse indotto uno sviluppo. Invece non è così: il sistema ecologico viene squilibrato incredibilmente e c’è una situazione socio-economica dram-matica. Quelli che lavorano nei campi ricevono 2 euro a giornata e l’agricoltura locale viene sconnessa pro-prio dall’acqua che viene accumulata dall’altro lato (figura 11).

Figura 11 - L’agricoltura locale sconnessa dall’acqua

Adesso passiamo alla situazione del modello contadino. Il nucleo della condizione contadina è rappresenta-to da una lotta per l’aurappresenta-tonomia in un contesrappresenta-to ostile (figura 12). L’ostilità è stata descritta più sopra con ri-ferimento aireticoli imperiali e la lotta per l’autonomia significa realizzare quello che l’ambiente consente e rispondere alle aspettative per un futuro migliore.

Tipico del modello contadino è che questa lotta per l’autonomia si materializza attraverso la costruzione di un insieme coerente di risorse sociali e naturali, che permette di entrare in co-produzione, cioè in agricoltu-ra. Co-produzione come interazione fra uomo e natura, fra uomo ed ecosistema per poter produrre. La pro-duzione va al mercato, ma il modello contadino non è determinato dal mercato; pur interagendo con esso, lo fa in un modo proprio. Inoltre, questo modello permette non solo la sopravvivenza, ma anche il miglio-ramento e l’ampliamento della base di risorse. Per questo si trova spesso una combinazione con altre attività: mi riferisco alla pluriattività, che quasi ovunque è una caratteristica specifica dell’agricoltura. Inoltre, c’è an-che l’aspetto della cooperazione. Questo modello funziona per affrontare un ambiente ostile, per poter re-sistere. Si tratta di un modello utilizzato anche nell’Europa attuale, soprattutto nel contesto dello sviluppo rurale.

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Figura 12 - La condizione contadina

Occorre che mi spieghi in termini analitici. La produzione agricola si può analizzare come un processo di con-versione: le risorse vengono convertite in prodotti, in servizi, e anche in risorse riprodotte (figura 13). Si ve-rifica una duplice mobilitazione delle risorse: parte di queste viene dal mercato ed un’altra parte viene ri-prodotta nelle aziende stesse e rimane nella comunità locale. Evidentemente ci sono delle differenze: quan-to più è forte il flusso interno delle risorse, tanquan-to più l’agricoltura è di tipo contadino; quando invece è più for-te la dipendenza da risorse esfor-terne, allora si tratta di un’agricoltura imprenditoriale.

Ma cosa succede nel contesto dello sviluppo rurale? In primo luogo, è necessario che l’agricoltura sia diver-sificata. Oltre alla produzione agricola specifica, vi sono ad esempio l’agriturismo, la trasformazione in azien-da, la vendita diretta, l’agricoltura sociale, la manutenzione del paesaggio, il contributo alla biodiversità ma anche la produzione di energia, la conservazione dell’acqua, che in Olanda è molto importante. Si produco-no beni produco-non importabili – il che nel contesto della globalizzazione è molto interessante. Allo stesso tempo, questo processo di diversificazione determina una maggiore autonomia, in rapporto sia ai mercati che ai re-ticoli imperiali, ma produce anche nuovi punti di incontro tra agricoltura e società in generale, di cui parlerò più avanti. Pertanto, ciò che succede nel contesto dello sviluppo rurale è una riduzione del flusso esterno di risorse ed un miglior uso delle risorse interne. Questo processo si combina con il rifondare l’agricoltura sul ca-pitale ecologico, invece di sconnettere la relazione. La pluri-attività gioca un ruolo importante, per rendere più forte questo flusso interno e per creare forme nuove di cooperazione locale. Infine, il processo stesso di conversione viene rafforzato. La multifunzionalità è un aspetto che permette di aumentare l’autonomia, in quanto determina più fonti di incontro, più legami.

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Figura 13 - Modello di agricoltura contadina

Flaminia Ventura e Pierluigi Milone hanno realizzato una ricerca sulla qualità della vita in campagna. Han-no statisticamente distinto tre zone: le zone nettamente agricole, le zone suburbane e quelle che loro chia-mano aree rurali nuove, dove l’agricoltura, invece di trovarsi in condizione di declino, è più o meno stabile. Hanno combinato queste aree con i flussi della popolazione. Si può stare in un certo posto per necessità, per tradizione ma anche perché si fa una scelta consapevole. È stato osservato che la “scelta consapevole” si di-rige soprattutto verso le aree rurali nuove (44% contro il 23% delle aree agricole tradizionali ed il 33% di quelle suburbane). Perché? Cosa spiega questo? Perché sono attrattive queste aree rurali nuove? Gli autori hanno condotto un’analisi basata su 3.500 interviste, hanno poi costruito un diagramma a sentieri di cui riassumerò i punti più importanti (figura 14).

La qualità della vita – di cui fa parte anche il “senso di appartenenza” – è il punto di partenza. Ma la qua-lità della vita non è uguale dappertutto e questo dipende soprattutto dal capitale sociale nelle diverse zone. Il capitale sociale nelle zone rurali, a sua volta, dipende molto dal ruolo dell’agricoltura: laddove l’agricoltura è multifunzionale, il capitale sociale aumenta. L’agricoltura multifunzionale offre punti di incontro, diretta-mente o indirettadiretta-mente, e contribuisce a mantenere il paesaggio. Tutto questo ha un impatto positivo sul ca-pitale sociale. L’elemento interessante è che queste configurazioni si verificano soprattutto nelle aree rurali nuove, dove l’agricoltura multifunzionale è forte.

Nelle zone agricole specializzate, con un’agricoltura di tipo tradizionale, si ha invece un impatto di tipo nega-tivo su tutto questo; anche nelle zone suburbane, che hanno meno agricoltura – quindi meno multifunziona-lità, meno capitale sociale – la qualità della vita viene considerata peggiore. L’analisi dimostra che sviluppa-re questa altra agricoltura non è importante solo per i contadini, ma migliora anche la qualità della vita e ciò rappresenta un gran contributo, un gran servizio per tutti.

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Nel contesto olandese, si è sviluppato un fenomeno nuovo. Ci sono delle cooperative territoriali, anche molto grandi, che coprono più di 40.000 ettari, con più di 800 agricoltori che vi partecipano. Tutto ciò funziona in un paesaggio, che assomiglia all’Emilia di tanti anni fa con la struttura della biolca, che comunque per gli agri-coltori implica costi alti (vedi figura 15).

Si tratta di un’agricoltura che dovrebbe direttamente entrare in crisi, essere marginalizzata, in quanto non competitiva a livello del mercato mondiale. Invece, i produttori locali hanno introdotto dei cambiamenti, fa-cendo ad esempio della manutenzione del paesaggio e della biodiversità un mestiere, una professionalità che viene remunerata (figura 15). Giovani contadini olandesi hanno cercato di rimodellare lo stesso proces-so produttivo che durante il periodo di modernizzazione era entrato in squilibrio. Senza entrare nei dettagli tecnici, è sufficiente dire che stanno ri-equilibrando il processo produttivo in modo da poter poi usare, di nuo-vo e meglio, l’ecosistema. La chiave di questo cambiamento è la produzione di un letame migliorato, che at-tiva posiat-tivamente la biologia del suolo: la capacità autonoma del suolo di produrre azoto viene aumentata e c’è meno dipendenza dall’azoto esterno. Riequilibrando questo processo, che si trasmette anche a livello re-gionale, le risorse naturali contribuiscono a migliorare l’economia rurale, influiscono positivamente sull’ali-mentazione e così via (figura 16).

Ci sono aspetti di questo processo che sono molto interessanti. Voglio dettagliarne uno, che è l’effetto che passa attraverso il suolo.

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Figura 15 - Paesaggio agrario olandese

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Nella figura 17 compare uno schema analitico in cui sono sintetizzati alcuni livelli (o gruppi funzionali) del-l’ecosistema locale. Al livello più basso ci sono i germi, i microrganismi del suolo che convertono i detriti in azoto.

Figura 17 - Gruppi funzionali al mantenimento della biodiversità

Insieme, questi livelli compongono un sistema complesso che illustra la filiera alimentare della biodiversità, a partire dai germi invisibili, agli insetti, alle farfalle, agli uccelli, ai cervi, ai piccoli predatori. È un sistema in cui il primo livello è mangiato dal secondo livello, che a sua volta è mangiato dal terzo, e così via. Questo sistema assicura la riproduzione di un ambiente naturale molto apprezzato dal pubblico in generale. Con questi elementi gli agricoltori migliorano il processo produttivo, riducono i costi e ottengono maggiori ricavi, assicurando anche la conservazione della biodiversità. Questa è un’agricoltura intelligente, un’agricoltura di tipo contadino, che emerge attualmente nel quadro dello sviluppo rurale.

I contadini delle cooperative olandesi hanno adattato la tecnologia per la distribuzione del letame: invece di iniettarlo nel suolo come è obbligatorio fare in Olanda, lo distribuiscono nel prato, per evitare di distrugge-re la biodiversità del sottosuolo (figura 18). C’è però una complicazione: questa tecnologia è vietata e si cor-re il rischio di andacor-re in galera. Così le cooperative hanno negoziato un accordo col Governo, che ha accet-tato in via eccezionale una deroga dalla normativa vigente.

Noi consideriamo questo caso un esempio di nicchia strategica: fare lo sviluppo rurale in un modo intelli-gente significa riuscire a gestire un processo strategico a cui partecipano agricoltori, politici, scienziati. Que-sta nuova realtà contadina non si limita ad alcune eccezioni, ma è diffusa in Europa, molto di più di quello

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che normalmente pensiamo, anche perché non abbiamo una teoria adeguata per comprendere quello che sta succedendo nelle campagne.

Figura 18 - Tecnologia adattata illegale

Alcuni anni fa abbiamo realizzato una ricerca “Impact” in 6 paesi europei (Irlanda, Inghilterra, Olanda, Ger-mania, Italia, Spagna) e abbiamo analizzato lo sviluppo rurale non come retorica, ma come pratica empiri-ca. Abbiamo realizzato un’inchiesta tra un numero elevato di aziende professionali (3264), che non posso-no essere considerate marginali. In questi paesi, più del 51% partecipa alla diversificazione, alla produzio-ne di prodotti nuovi, alla conservazioproduzio-ne del paesaggio; circa il 60% ha introdotto nuove forme di gestioproduzio-ne aziendale al fine di ridurre i costi di produzione riduzione dei costi. La pluri-attività è importante, non come primo passo per uscire dall’agricoltura, ma per poter resistere come contadino. Senza entrare nei dettagli, si può certamente affermare che questo processo ha un effetto economico importante in Europa (figura 19). Concludo dicendo che per sviluppare e per rafforzare questo processo, che finora è apparso una realtà sco-moda, in primo luogo è necessario assicurare un più ampio spazio di autoregolazione per i contadini ed inol-tre occorre introdurre nuove strategie istituzionali. Per quanto riguarda le politiche di sviluppo rurale, inve-ce di dettagliare le modalità (come fare, quando fare, cosa fare), è essenziale che vengano stabiliti obietti-vi molto chiari, ai quali gli agricoltori possano riferirsi. Le istituzioni, anche quelle regionali, possono contri-buire a valorizzare il ruolo degli agricoltori, assicurando un contesto favorevole allo sviluppo delle aree ru-rali, basato sul riconoscimento della diversità di iniziative attuate localmente.

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IL RUOLO E LE PROSPETTIVE FUTURE DELL’AGRICOLTURA SOCIALE

IN ITALIA E IN EUROPA

DI

F

RANCESCO

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I

I

ACOVO

Grazie, soprattutto per questo invito che mi consente di confrontarmi con una platea tanto interessante e ric-ca per presenza e livello di attenzione.

Vorrei subito collegarmi a quanto detto prima di me dal Prof. Van der Ploeg, in particolare al ragionamento svolto sugli imprenditori agricoli. Un tema che occorre affrontare e precisare, forse, con meno ideologia e più attenzione alle implicazioni della differenza tra idea di imprenditore e la definizione di contadino. Troppo spesso il termine contadino è usato per indicare una condizione superata dell’operare in agricoltura rispetto a quella di imprenditore.

La differenza, come veniva fatto rilevare, sta nel fatto che l’imprenditore si è andato focalizzando su un nu-mero più limitato di aspetti nella gestione dei processi produttivi, e segnatamente quelli della gestione tec-nica ed economica dei processi di produzione, mentre, il contadino, (termine che individua, allo stesso tem-po, una professione e l’abitare un luogo, la campagna), ha una visione più ampia e multidimensionale del-la propria azione, riguardo ai processi produttivi, aldel-la vita di comunità, aldel-la gestione delle risorse naturali. For-se, in una crisi dell’economia di mercato, in una fase nella quale i meccanismi di produzione e distribuzione si rilegano alla località per confrontarsi su scenari più aperti, vale la pena riflettere sul valore contempora-neo del significato del termine contadino, di ripensare ad una modalità di gestione dei processi produttivi e del vivere di comunità che sappia pensare e guardare in un’accezione meno individualistica e più aperta al confronto trasversale sui temi del vivere economico e sociale insieme.

Di fatto, l’impresa agricola, pur facendo uso di beni pubblici propri d’ogni località – ambiente, capitale uma-no e sociale – uma-non sempre contribuisce a reintegrarne la loro disponibilità al termine dell’uso, specie nelle aree e nelle località dove i rapporti di forza tra queste e le collettività risultano essere squilibrati. Quello della pre-dazione delle risorse collettive è una circostanza tanto più facile da registrare, quanto meno forte è il legame sociale nelle comunità rurali, tanto più forte l’individualismo produttivo e la separatezza tra gestore delle risorse private e comunità locale, quanto meno un imprenditore risulta essere anche abitante della località. Dove l’impresa si rapporta al solo mercato, sono altri soggetti chiamati a ricostruire i beni pubblici utilizza-ti, quando questo non avviene si registra un’erosione dei beni pubblici utilizzati (ambiente, cultura locale, etc.). Per questo motivo è utile pensare a trovare modalità nuove per ricucire la distanza che c’è tra l’esse-re impl’esse-resa agricola e partecipal’esse-re in modo più esteso alla quotidianità locale, ricomporl’esse-re il quadro tra stili d’impresa e stili di vita locale. Ci sono bisogni che, specie oggi, nessuno riesce a soddisfare se non pensando ad altri modi di organizzare i processi produttivi, di stare all’interno delle comunità, all’interno delle società. Forse i contadini, vecchi e nuovi, operanti in diversi contesti geografici, l’hanno capito e semplicemente stan-no cercando di trovare delle strategie coerenti in questa direzione.

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dei servizi alla popolazione e, quindi, in qualche modo rompe gli steccati e si svincola da quella che è la lo-gica di un’impresa che opera puramente per un mercato di prodotti spesso definito altrove, ma, al contrario, s’immerge in un contesto locale, cercando di interpretare in modo contemporaneo e più esteso il proprio ruo-lo all’interno delle comunità.

Se le imprese sono alla ricerca di nuove strategie, anche i sistemi locali lo sono. Nonostante questa eviden-za che lascerebbe pensare a più ampie possibilità di intese, si registrano difficoltà nella capacità di favorire una nuova interazione tra imprese e sistema locale, un legame che non sia riconducibile a soli meccanismi economici ma che, al contrario, sia in grado di avere effetti anche sul legame sociale e sulla gestione delle risorse naturali. In questa prospettiva è utile fare riferimento ad un processo d’innovazione creativa, un per-corso d’innovazione sociale, capace di definire e concordare nuovi metodi, pratiche, comportamenti più at-tenti alla complessità delle esigenze delle persone e stimolare politiche coerenti.

Nel dibattito sullo sviluppo rurale, almeno in Italia, ciò che è finito per prevalere è stata una ostentazione spesso snobistica ed un poco elitaria di alcune risorse rurali che si sono andate collegando con una doman-da basata sull’idea di idillio rurale e sulla disponibilità a pagare di potenziali consumatori esterni al territo-rio di riferimento. In questa prospettiva, attenzione centrale è stata posta sullo sviluppo di capacità impren-ditoriali capaci di leggere le risorse locali e trasformarle in un’offerta capace di intercettare interesse e ric-chezza dall’esterno. Questi percorsi, peraltro, hanno avuto la capacità di trasformarsi in modelli (l’agrituri-smo, i prodotti tipici, il turismo) proposti in modo indistinto ed acritico sull’intero territorio nazionale nella spe-ranza di favorire la creazione di valore rurale, ma in modo poco attento alle specificità locali come alle ca-ratteristiche di un’offerta basata su valori collettivi ed immateriali (paesaggi, cultura locale, risorse e cono-scenze non codificate).

Seguendo quest’idea di sviluppo rurale le imprese si sono trasformate in scout o minatori delle risorse della ruralità, cercando di estrarle dal sistema locale per confezionare un’offerta capace di legarsi alla, vera o pre-sunta, domanda di ruralità, senza curarsi dei vuoti che questo processo di estrazione finiva per determinare nelle comunità locali. Il presupposto economico di questo processo si basava sul fatto che la creazione di ric-chezza economica, da sola, avrebbe colmato i divari ed attivato fenomeni di rinascita delle comunità rurali. Ciò non è stato per più motivi: per l’individualismo delle imprese, poco inclini a riconoscere e rigenerare i va-lori della località messi a valore; per la difficoltà di molti detentori dei capitali immateriali utilizzati di par-tecipare attivamente al processo di produzione della ricchezza (ad esempio gli anziani e gli abitanti locali de-tentori delle conoscenze culturali tacite della località) e, spesso, chiamati a pagarne piuttosto gli svantaggi, legati all’organizzazione di servizi per l’accoglienza di turisti piuttosto che per gli abitanti locali, all’aumen-to dei prezzi per alcuni fatall’aumen-tori vitali (la casa in primo luogo).

Gran parte dei percorsi di sviluppo rurale fanno leva su risorse immateriali, sulle conoscenze della località. Si tratta di risorse delicate che si erodono facilmente sotto la pressione del cambiamento culturale e della rottura dei patti di comunità e del legame sociale. Queste conoscenze hanno a che fare con le persone, con la loro capacità di stare su un territorio, di mettersi in relazione tra di loro e di continuare a pensare al pro-prio futuro. Forse, è per questo che l’imprenditore da solo non ce la può fare, perché un imprenditore è

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im-merso nella relazione col mercato piuttosto che con la comunità in cui opera. Al contrario il contadino, l’a-gricoltore abitante della località, ha una capacità più estesa di ricomporre tutti gli elementi centrali nei per-corsi di sviluppo rurale e definire traiettorie appropriate di adeguamento di questi territori alle sollecitazio-ni poste dal confronto con l’esterno.

Se il legame sociale è importante, è utile sottolineare, allora, che i sistemi sociali dei territori rurali hanno pro-seguito in un processo di lento declino ed erosione (invecchiamento, spopolamento), favorito dal ridursi del-le risorse dello stato sociadel-le, e a volte dall’innestarsi di tendenze di frammentazione sociadel-le (con la diversi-ficazione delle condizioni sociali dei residenti e con l’ingresso di nuovi residenti, spesso di altra nazionalità). Così, dopo la risposta individuale delle imprese alle possibilità offerte dai mercati, si sono succedute le sposte individuali delle famiglie per quanto riguarda l’organizzazione delle strutture sociali, mediante il ri-corso alle collaboratrici domestiche (le cosiddette badanti), un nuovo ammortizzatore sociale dal futuro as-sai incerto.

Di fatto, i percorsi di sviluppo rurale messi in atto e supportati fino ad oggi appaiono parziali e di corto re-spiro perché fanno leva solo sul ruolo delle imprese nel cercare nuove opportunità di mercato e, al più, sul ruolo dei soggetti pubblici di collaborare con le imprese in questo compito. Anche per questo motivo diviene necessario pensare ad altri modelli di economia, più capaci, specie nelle aree rurali, a coniugare in qualche modo economia e società, di porre alla base del loro obiettivo di cambiamento la costituzione di comunità at-tive ed interpretaat-tive, capaci di sviluppare in modo pro-attivo e coeso azioni di lettura delle tensioni interne ed esterne ai territori e di proporre soluzioni durevoli e coerenti con le risorse e la storia locale.

In accordo con la letteratura dello sviluppo, è utile riconoscere, allo stesso tempo, l’importanza di attrarre nuo-ve risorse dall’esterno, ma, allo stesso tempo, anuo-vere la capacità di mobilizzare e riorientare l’uso delle risorse locali verso la capacità di soddisfare alcuni bisogni essenziali delle popolazioni locali e delle comunità, ren-derle vitali e, anche per questo attraenti all’esterno. Buona parte delle storie di successo dello sviluppo rurale sono quelle dove le comunità si ricompattano, sono in grado di generare nuovi valori, economici e di solida-rietà, insistere e fare leva su nuovi patti di civiltà capaci di collocare la vita locale in un orizzonte di maggiore indipendenza e di responsabile autonomia rispetto a forme paternalistiche di intervento pubblico, ma, in una piena ottica di consapevolezza dei legami di interdipendenza collaborativi che devono innestarsi tra territo-ri e comunità. Valoterrito-ri ed articolazioni, quelle territo-richiamate, evidentemente diverse territo-rispetto a meccanismi oramai in crisi, di produzione e distribuzione di valore propri dei sistemi fordisti.

Partendo da questi concetti è utile introdurre il concetto di tradizione innovativa, quasi una provocazione, con riferimento agli elementi alla base dell’essere contadino, un concetto che guarda alla capacità di rileggere vec-chi modi di fare in vec-chiave attuale. La tradizione innovativa serve per ricomporre meccanismi di vita sociale capaci di offrire risposte attuali ad alcuni gravi dilemmi della vita contemporanea che si legano a: • la creazione di ricchezza, avendo attenzione ad individuare e rigenerare/riconoscere le risorse

materia-li ed immateriamateria-li messe a valore, anche quando legate a valori collettivi e pubbmateria-lici;

• la distribuzione della ricchezza, in forma nuova e, per certi versi complementare, rispetto alla logica dei sistemi redistributivi pubblici e allo stato sociale propria del patto nazionale;

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• l’attenzione nei confronti dell’uso delle risorse naturali, ai valori identitari che sono connessi ad esse, una considerazione del contributo che le aree rurali, in questa ottica, possono fornire alla gestione energeti-ca ed ambientale dei sistemi loenergeti-cali.

In questa presentazione ci soffermeremo, seppure in modo necessariamente sintetico, soprattutto sui primi due punti, mettendo a fuoco il tema dei servizi alla persona e la diffusione di principi di responsabilità da par-te delle attività agricole presenti nelle aree rurali.

I servizi alla persona entrano nel dibattito sullo sviluppo rurale perché, oltre ad assicurare reti di protezione sociale, sono in grado di produrre relazionalità, specie quando, accanto alle reti formali ed istituzionali di protezione sociale, si costruiscono reti informali, basate sul mutuo aiuto e sulla presa in carico da parte del-la comunità di una parte dei bisogni essenziali presenti nei ceti più deboli e a più bassa contrattualità. Tenuto conto che la nostra attenzione riguarda soprattutto le attività agricole focalizzeremo la nostra atten-zione sul tema dell’agricoltura sociale, ovvero della possibilità di valorizzare le risorse agricole a fini di ser-vizio e di inclusione sociale.

Dal punto di vista definitorio, l’agricoltura socialeè quell’attività che impiega le risorse dell’agricoltura e del-la zootecnica, del-la presenza di piccoli gruppi, famigliari e non, che operano in realtà agricole, per promuove-re azioni terapeutiche, di riabilitazione, di inclusione sociale e lavorativa, di ricpromuove-reazione, servizi utili per la vi-ta quotidiana e l’educazione.

Le aziende agricole, quindi, dispongono di risorse, oggi poco valorizzate, che possono essere rese disponibi-li per la comunità locale al fine di accrescerne la capacità inclusiva ma, allo stesso tempo, riorganizzare le re-ti di relazioni tra abitanre-ti, indipendentemente dalla loro condizione lavorare-tiva, dell’appartenenza ad un set-tore produttivo, ad una condizione sociale. Le aziende agricole che scelgono di offrire servizi alla persona so-no, già oggi, numerose, in Italia e in Europa. La loro azione è svolta su base volontaria e con il riconoscimento implicito ed informale (reputazione e riconoscimento di stato sociale, apprezzamento etico per l’offerta azien-dale) delle comunità locali ovvero formale ed esplicito (pagamento o compensazione dei servizi) da parte de-gli Enti gestori dei servizi socio-assistenziali.

La scelta verso percorsi di agricoltura sociale pone l’azienda nella necessità di farsi carico dei bisogni che la co-munità ha, di riconnettersi con essa e di porre le basi per un migliore legame tra attività economica e socialità. Allora cosa c’è di nuovo e perché oggi il tema dell’agricoltura sociale? Di nuovo non molto perché tradizio-nalmente i contadini si sono fatti carico dei problemi sociali mediante l’organizzazione di reti di auto-mutuo aiuto, facendosi carico dei problemi sociali delle famiglie, ma, spesso, anche dei vicini. D’innovativo c’è il fatto di organizzare e valorizzare le risorse dell’agricoltura in modo professionale nella rete dei servizi so-ciali, creando nuove collaborazioni e rapporti con gli Enti gestori dei servizi sul territorio e potenziare l’offerta di servizi nelle aree rurali.

Come per altri temi dell’agricoltura multifunzionale, anche per l’agricoltura sociale l’innovazione sta nella pacità di riorganizzare e rendere esplicite funzioni che l’agricoltura e i contadini hanno sempre avuto la ca-pacità di gestire. Oggi, parlare di agricoltura sociale è più semplice perché si lega al dibattito sulla multifun-zionalità e sulla necessità che le aziende hanno di diversificare la loro offerta, ma anche perché i temi della

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responsabilità e della reputazione aziendale acquisiscono una nuova luce nel dibattito sullo sviluppo locale, anche per gli agricoltori. Ma si discute d’agricoltura sociale anche per altri motivi perché:

• i servizi socio-assistenziali vivono una crisi che è di risorse ma anche di efficacia dei sistemi fino ad oggi adottati, una crisi che è tanto maggiore quanto più è difficile raggiungere adeguate economie di scala, co-me nel caso delle aree rurali;

• nelle aree rurali c’è una forte esigenza di innovazione pertinente, che riguarda l’organizzazione sociale come la capacità di definire risposte adeguate ai bisogni specifici presenti;

• l’offerta dei servizi può essere rivolta anche alle aree urbane ed ai suoi abitanti, facilitando un dialogo che nel tempo è diventato logoro o inesistente.

Allora detto questo, entriamo nel tema dell’agricoltura sociale, partendo dal comprendere meglio cos’è. È uti-le precisare subito che non c’è un’unità di visione al riguardo, anche perché, in gran parte si tratta di esperienze che nascono spontaneamente sul territorio e in modo diverso le une dalle altre. In queste esperienze il tratto comune è l’uso di risorse animali e vegetali a fini diversi da quello del consumo di cibo, al fine di costruire be-nessere e nuove relazioni. Un animale o una pianta è in grado di capacitare le persone in difficoltà che sono portate a provare le loro possibilità di fare e di agire nel rispetto degli esseri animali e vegetali di cui si pren-dono cura ma senza essere da questi giudicati nelle loro capacità. Il processo produttivo e l’interazione con i viventi è importante, sebbene non esaurisca le caratteristiche dell’agricoltura sociale. Essa, in moltissime espe-rienze, fa anche leva sulla dimensione relazionale ed informale che l’operare in piccoli gruppi, in contesti non istituzionali, è in grado di trasferire alle persone utenti dell’agricoltura sociale. Piccoli gruppi, famigliari e non, piccole comunità che accolgono altri soggetti nella quotidianità della vita, assicurando delle routine di norma-lità che facilitano la crescita di autostima e di apertura. Non sono un operatore sociale però ho letto che il rap-porto tra reti formali, istituzionali e reti informali, quelle che si vengono a creare proprio attraverso il colle-gamento tra le imprese agricole, le attività agricole e le persone che hanno bisogno di azioni di riabilitazione e cura, ha una potenza inclusiva, che la sola istituzionalizzazione dei servizi non può avere.

Partendo da queste semplici, ma distintive, risorse, le prestazioni dell’agricoltura sociale sono molto estese: si par-la di riabilitazione, di azioni terapeutiche o co-terapeutiche, di inclusione sociale e par-lavorativa, di educazione, di servizi alla persona tutti rivolti a target molto diversificati di soggetti (persone con disabilità mentali, psichiatri-che, fisipsichiatri-che, minori in difficoltà, persone con dipendenza da droghe, detenuti ed ex detenuti in cerca di nuovo inserimento sociale, ma anche anziani, minori e bambini che necessitano di nuovi servizi, giovani famiglie). Noi stiamo gestendo per conto della Comunità Europea un progetto di ricerca denominato So Far “Social Far-ming”, il cui sito lo vedete rappresentato e dove è possibile analizzare materiali e progetti che riguardano l’a-gricoltura sociale in Europa, quindi chi volesse approfondire può trovare casi di studio ed altro (http://sofar.unipi.it).

Ciò che è nuovo dell’agricoltura sociale ha sicuramente a che fare con molti elementi:

• dal punto di vista tecnico, la possibilità di organizzare interventi e servizi collaborando con la natura. Un fatto che, da solo, porta gli agricoltori di fronte ad uno spettro di portatori di interessi che è anche più am-pio rispetto al solo grossista o al solo acquirente di prodotti;

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• dal punto di vista sociale, anche in termini di produzione di innovazione, rompe gli steccati; già solo il no-me “agricoltura sociale” coniuga due settori che tradizionalno-mente hanno vissuto in modo separato sepa-rate. Il fatto di operare in modo congiunto rimescola completamente le carte in un processo di innovazione che è innovazione sociale, ma anche di innovazione organizzativa;

• dal punto di vista delle attitudini degli agricoltori coinvolti, quando parliamo di agricoltura sociale, ci ri-feriamo alla responsabilità sociale di impresa, ci riri-feriamo a processi di innovazione proattiva del cam-biamento. La capacità di stare insieme e di dialogare con altri. Quando si discute d’agricoltura sociale i pro-blemi vengono dibattuti ed affrontati da molti soggetti, con punti di vista necessariamente diversi e nuo-vi: dai responsabili locali della programmazione socio sanitaria, agli operatori sociali, i ricercatori che si occupano di welfare, le organizzazioni professionali, le associazioni di produttori biologici, cioè un insie-me di persone che solitainsie-mente non erano abituate a parlarsi e che oggi invece si trovano a confrontarsi per discutere soluzioni innovative per rispondere ai bisogni del territorio ai quali l’agricoltura può contri-buire attivamente. (figura 1)

Figura 1

Queste innovazioni generano cambiamenti inaspettati nelle ipotesi di politiche, e sul come riorganizzare gli strumenti.

Volendo offrire un’idea dell’agricoltura sociale nel quadro europeo è necessario riflettere sulle molte diffe-renze e sulle numerose similitudini.

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La prima similitudine è che questo fenomeno è nato quasi ovunque negli anni ’70 per motivi diversi. In Ita-lia abbiamo avuto delle punte eccellenti di sperimentazione sull’uso dell’agricoltura a fini inclusivi dopo la chiusura delle strutture manicomiali. Accanto a queste esperienze, ed a volte in loro connesione, a seguito di processi di contro-urbanizzazione degli anni ’70, ancora oggi abbiamo delle comunità di persone attive che stanno interpretando un modo diverso di stare nella società, nelle comunità locali, offrendo servizi. Proget-ti e praProget-tiche non sono sempre codificate e valutate con attenzione, che, nel tempo, si sono andate un poco per-dendo, se non nella pratica, nella consapevolezza dell’organizzazione dei servizi.

Un altro elemento che le caratterizza tutte è l’organizzazione e il forte impegno, il senso etico, che le ha spinte e le ha portate ad entrare in un rapporto diretto altro con le comunità locali.

Un po’ di numeri per capire di cosa parliamo, anche se spesso quello che troviamo dietro i numeri sono realtà diverse da un paese all’altro. Ad esempio il Belgio non considera il mondo della cooperazione socia-le dentro l’agricoltura sociasocia-le o esperienze che si avvicinano a quelsocia-le che noi classificheremmo come coo-perative sociali.

Nei nostri numeri c’è il mondo della cooperazione sociale che opera nel verde e nell’attività agricola, poi fa-remo degli esempi su questo, il mio seminario nel workshop potrà aggiungere informazioni.

I dati vanno considerati con attenzione in un momento estremamente dinamico in cui si registra un trend di rapidissima espansione del fenomeno, soprattutto nei paesi in cui l’intervento in agricoltura sociale ha chia-ri campi di applicazione. Quindi l’Olanda in pchia-rimo luogo, il Belgio sta crescendo moltissimo, sono paesi dove l’agricoltore sa cos’è l’agricoltura sociale, ci sono delle norme che chiariscono il campo di azione – con tutti gli svantaggi e i vantaggi, che questo comporta –. Ci sono alcune attività in essere a livello europeo attorno all’agricoltura sociale, c’è una comunità di pratiche autonoma che si incontra all’incirca una volta ogni anno (con buonissime probabilità la prossima opportunità sarà Pisa nel corso del 2009), c’è unaCost Action 866, un’azione di cooperazione scientifica e tecnologica sull’argomento, intitolata Green Care, che opera per cer-care di promuovere la ricerca in questo specifico campo, c’è il progetto So Far, cui facevo riferimento, il cui

Paese N° % totale aziende

Olanda 700 0.7 Norvegia 500 Italy* 450 0.01 Austria 250 Germania* 170 0.03 Belgio 260 0.4 Irlanda 90 0.08 Slovenia 20 <0.01 Francia >1200 >0.02

Figura

Figura 1 - Lo sviluppo agricolo del dopoguerra ed i limiti dello sviluppo rurale
Figura 2 - Valore aggiunto per settore industriale in Italia (1980=100)
Figura 3 - Crisi agraria
Figura 5 - L’emergere di un “reticolo imperiale”Figura 4 - Paese “locale”
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