• Non ci sono risultati.

AGRO-BIODIVERSITÀ, SOVRANITÀ ALIMENTARE E MERCATO GLOBALE

DI

A

NTONIO

O

NORATI

Buongiorno a tutti, sono Antonio Onorati, Presidente di Crocevia, la seconda entità più antica oggi in Italia. Quest’anno festeggiamo cinquant’anni di attività ininterrotta, e dagli ultimi quaranta ci occupiamo in modo particolare di agricoltura e di agricoltura contadina. Io vorrei intanto proporre alcune precisazioni: la prima precisazione è che noi non siamo di fronte ad un modello dominante a cui non corrisponde un altro model- lo; il riassunto che si può fare di agricoltura del modello dominante noi l’abbiamo definito con il termine “agricoltura mineraria”. Si tratta di un’agricoltura che toglie più di quanto offre. Dall’altra parte però, ci so- no le agricolture altre, quindi non le altre agricolture. A parte il gioco di parole, questa precisazione è mol- to importante.

L’esperienza ci serve a chiarire il concetto – che è diventato poi una battaglia – di sovranità alimentare. Quello che è veramente pericoloso è il rischio di confondere la sovranità alimentare con il modello di agri- coltura alternativa. Mi affido soprattutto all’accademia affinché si rifletta sull’idea che c’è un modello domi- nante a cui si oppongono tanti altri modelli. E questa era la seconda precisazione.

La sovranità alimentare poi, nasce e cresce come una “piattaforma di lotta”, anzi di lotte che si sono artico- late attraverso il pianeta. Per cui bisogna chiarire che siamo di fronte a processi, la cui origine, o quantomeno il primo passaggio fondamentale, è la resistenza alle politiche di aggiustamento strutturale, il secondo pas- saggio importante sono le battaglie contro le politiche neoliberiste, in particolare in agricoltura. Dunque, la sovranità alimentare è una piattaforma di lotta, non è “il modello di agricoltura alternativa”, ma cerca di dar vita ad un fenomeno assolutamente nuovo che si è prodotto nelle classi subalterne, che è nuovo anche nel- le battaglie per cambiare il mondo. L’esperienza classica di confronto è quella della classe operaia, che nel- la sua lotta di liberazione ha prodotto una battaglia politica per cambiare il mondo e una volta conquistato il potere ha elaborato le strategie per costruire una società diversa. Invece, quella che è una novità assolu- ta del movimento contadino ne spiega anche le fortune. Le società reagiscono e comprendono le proprie esi- genze anche se nessuno gli ha fornito stimoli. Il punto è che nella resistenza quotidiana, contro il modello do- minante, l’agricoltura mineraria, in questo quotidiano resistere, individualmente o socialmente, lentamente si accumulano le esperienze che costruiscono le alternative. Quindi, per chi si volesse esercitare consultando la prima definizione classica della sovranità alimentare uscita a Roma nel ’96, e prodotta qualche settima- na prima nel Messico, oggi ci si rende conto proprio di questo processo. La resistenza produce nel tempo le alternative che sono le alternative politiche. Questo è facile da vedere: Seattle, Hong Kong, sono tappe fisi- che in cui si vedono i contadini in prima fila a lottare contro i poliziotti, oppure a far comizi. Quello che non si vede, purtroppo (addirittura neanche i movimenti solidali lo hanno visto, perché la maggior parte delle vol- te stanno nei campi), è la distruzione delle alternative dal punto di vista economico, ambientale, tecnico (del- le tecniche agrarie). Tuttavia, lentamente si strutturano le “agricolture altre”, costruendo delle risposte che

consentono, in primo luogo, di restare nei campi, poi di non farsi cacciare via, di recuperare dignità, infine, forse, di avere una prospettiva (anche se questo è ancora in discussione). Questo è l’altro elemento impor- tante e nuovo, che giustifica anche l’interesse crescente suscitato: si ha produzione sociale, che si genera in maniera assolutamente spontanea. La società ha reagito bene e ha dato una visibilità incredibile al movi- mento contadino organizzato e anche a figure di questo movimento, proprio perché da qualche parte è vis- suto come qualcosa di più solido di una costruzione politica astratta.

All’interno della politica ognuno ha le sue teorie! Ma nella realtà concreta le cose sono molto difficili da ar- ticolare; pertanto, se non si sta dietro alle esperienze dirette del territorio, se non si conoscono le dinamiche, dove i cambiamenti più significativi sono anche quelli meno visibili, non si va da nessuna parte.

Pensiamo alle battaglie, anche informali, che vengono condotte, alla produzione di legislazioni che origina da questo movimento. Ma in realtà quanti hanno la capacità di produrre soluzioni concrete sul fronte più difficile quale è quello dei movimenti sociali radicali, quello della pratica, quello che noi chiamiamo la “guer- riglia istituzionale”? La soluzione sarebbe negoziare i contenuti e le basi giuridiche a partire dalla forza e dal punto di vista dei movimenti, che è ciò che, per esempio, la classe operaia ha fatto solo in un periodo molto particolare, disponendo di una forza immane, i sindacati, che erano capaci in un pomeriggio di far cadere un governo. Tutto questo nel nostro paese è stato superato da un po’ di anni, oggi sono altri gli elementi che fan- no cadere il governo!

Questi argomenti trovano nel discorso sull’agrobiodiversià degli elementi di chiarificazione. È assolutamen- te chiaro che le resistenze contadine hanno dei punti di forza. L’agrobiodiversità è quello che è più facile da interpretare, ma non è l’unico. Si potrebbe discutere a lungo sulla capacità del riuso dei mezzi meccanici, ci sono tutta una serie di aggiustamenti che vengono fatti dal contadino sui strumenti della lavorazione agri- cola vecchi di trent’anni! L’agrobiodiversità, invece, spiega molto bene un elemento fondamentale dello svi- luppo dell’agricoltura che è il materiale da moltiplicazione. Diversi sono gli elementi che ruotano intorno al- la questione dell’agrobiodiversità. Il mantenimento della biodiversità nei campi ha una rilevanza in rappor- to all’economia, all’organizzazione del lavoro, alla struttura produttiva: tutti aspetti significativi a livello “lo- cali”, territoriale, ma abbastanza simili in tutto il pianeta. Tuttavia, ad essere diverse sono le modalità con cui interagiscono fra loro.

Il primo progetto di recupero e valorizzazione delle varietà locali è stato promosso nel 1981, in una zona di guerra nel nord del Mozambico, producendo sementi per una regione grande come il Belgio. L’azione veni- va realizzata in una regione dove si viveva concretamente il problema della fame, e siccome le sementi non arrivavano, bisognava produrle autonomamente, utilizzando quindi delle varietà locali. L’aspetto interes- sante è che, a distanza di tanti anni, le due cooperative che hanno guidato queste azioni sperdute, nei pres- si del Lago Niassa, occupano oggi i posti chiave nell’UNAC (Uniao Nacional de Camponeses), che è un movi- mento contadino del Mozambico membro della Via Cambesina. Quindi, quelle antichissime esperienze (risa- lenti appunto all’81), hanno raggiunto traguardi importanti. L’aspetto emerso con forza, che evidenzia il le- game molto forte con la sovranità alimentare, è che il vero obiettivo non era il recupero, non era neanche la valorizzazione (e a questo proposito possiamo sviluppare una critica molto pertinente all’approccio Slow-

Food), bensì il controllo contadino delle risorse genetiche, del materiale di moltiplicazione a livello di singo- la azienda, di territorio, di aggregazione sociale (rispetto a ciò bisogna rilevare lo sviluppo di dinamiche di stratificazione a livello di singolo sistema produttivo). Tale processo ha dato vita alle reti, promuovendo una battaglia che ha messo in discussione i caratteri antidemocratici del sistema dominante, attraverso un ap- proccio che è totalmente diverso del modello minerario dell’agricoltura. Lo scontro era su sovranità, auto- nomia e controllo, quindi la declinazione delle lotte sulle sementi, sul materiale di moltiplicazione, ma in ve- rità una battaglia per democratizzare i processi di sviluppo, in questo caso, nel senso più vero dell’agricoltura. Questa battaglia è stata compresa rapidamente dalla società, perché chi difendeva l’autonomia aveva un at- teggiamento “sovrano” rispetto alle proprie risorse genetiche e cercava di restituire alla dinamica sociale il controllo sul cuore dell’azione agricola, ovvero le sementi.

Sull’agrobiodiversità molti fronti di lotta si sono aperti. Probabilmente, quelli più conosciuti sono rappresen- tati dalla miriade di attività di base, spesso lette come attività di conservazione. In verità, le attività di con- servazione sono una parte minoritaria, spesso non contadina, di queste lotte, parte spesso trasformata in folklore, in giardino botanico; ma la parte più importante è quella rappresentata dal recupero produttivo. Il motivo di frequente sotteso a queste iniziative è assolutamente economico, cioè deriva da un ragionamento su che modello di agricoltura vogliamo fare. Ad esempio, si pensi anche al ritorno di una macchina come lo svezzatore, utilizzato per lavorare i semi, quasi sparito, ma adesso lentamente riutilizzato. La scelta di rifa- re le proprie sementi è legata ad un recupero di autonomia rispetto agli input esterni, rispetto al sistema di produzione che crea dipendenza. Una cosa che sfugge completamente quando “si fa agro biodiversità”, è che questo processo si lega solo all’inizio alla qualità. In verità, il legame con la qualità viene molto dopo e, es- senzialmente, non porta niente a nessuno.

Il ragionamento principale dietro tutto ciò è che le varietà locali sono più resistenti, permettono dunque di uti- lizzare meno concimi e meno “intrusioni esterne”, perché se le sementi te le fai da solo non devi stare ad at- taccare le etichette delle sementi in giro. Questo elemento fondamentale, attinente all’economia, spesso non appare, perché l’idea, la visione che è stata data dell’agrobiodiversità e della battaglia contadina, è tutta fi- nalizzata alla società dei consumi e al legame stretto tra prodotti tradizionali del territorio e controllo delle risorse genetiche che ci stanno dietro.

Faccio un esempio: l’olio della nonna si fa con le olive della nonna, ma chi controlla l’olivo della nonna? Que- sto è il vero punto, questo è l’unica cosa importante nella battaglia politica, e nelle battaglia per difendere le agricolture altre. Fra queste anche quelle istituzionali, che non entusiasmano nessuno, ma che invece so- no state per certi versi un fronte accettato e aperto da un movimento contadino.

Molto diverso è l’atteggiamento rispetto ad altre parti dell’attività agricola. Per esempio, basta guardare al- la commercializzazione, circolazione dei prodotti di qualità, non c’è stata su questo versante una capacità di esprimere un’autonomia. E le legislazioni arrivano spesso a rovinare le pratiche. Quindi c’è una battaglia istituzionale che viene svolta. Perché sulle sementi si è esercitato il dominio, e non a caso proprio sulle se- menti. Le leggi che riguardano le sementi industriali si chiamano leggi di privativa, perché quello che è in gio- co è il controllo. La risposta a questo è stata l’affermazione del “diritto degli agricoltori”. Si è trattato di un

processo molto lungo, nato in seguito a battaglie, pressioni sociali, fatte da piccoli nuclei della società civile, che ha fatto sì che il diritto degli agricoltori venisse codificato in trattato internazionale. Questo diritto viene presentato per la prima volta come alternativa al diritto di ottenzione, alla privativa sulle sementi, nel 1982 e viene avanzato da figure particolarmente illuminate: un funzionario della FAO, José Esquinas, un amba- sciatore del Messico, e due ONG. Questo concetto si afferma a livello internazionale difendendo non tanto e non solo il passato delle sementi, bensì il loro futuro. Il percorso che ha portato all’approvazione del tratta- to si è concluso nel 2001, per essere più precisi, è stato accettato dai membri della FAO nel 2001 ed appro- vato nel 2002, mentre la legge italiana lo ha approvato solo nel 2004.

È interessante citare l’articolo 9 del trattato – che poi richiama altri articoli – che parla di risorse genetiche. Gli elementi essenziali dell’articolo – che riguarda il farmer right – presentano un limite: viene riconosciu- to il contributo futuro dei contadini, ma il limite è che, attraverso modelli di produzione e l’impostazione le- gislativa di un certo tipo, viene bloccata la capacità di controllo e la sovranità dei contadini, di conseguenza ciò impedisce il loro contributo futuro e impatterà in maniera talmente devastante sull’agrobiodiversità in ge- nerale. Non si avrà più la capacità, neanche per il modello industriale e minerario, di mantenere in vita quel- lo che ha consentito al modello stesso di imporsi, perché il modello industriale e minerario ha prosperato in quindicimila-ventimila anni di storia agraria del pianeta.

Bisogna restituire al lavoro del contadino la dignità che gli spetta, non per il contributo del passato, per la me- moria, né per il folklore, ma per il contributo che darà al futuro, questo è il primo elemento centrale. Il se- condo elemento che farà dei contadini attori e soggetti fondamentali delle politiche non è la sovranità ali- mentare, ma è il riconoscimento fondamentale che, nelle strategie di difesa, di conservazione, di uso dell’a- grobiodiversità, non si può fare a meno dei contadini e delle loro organizzazioni. Ma bisogna prestare mol- ta attenzione, in quanto si rischia di cadere in una trappola: il trattato (così come la Convenzione della Bio- diversità, nell’articolo 8, paragrafo 6) dice che chi ha contribuito ha diritto alla condivisione dei benefici. Dunque, la condivisione dei benefici evidentemente è una condivisione economica, e il meccanismo che esi- ste per condividere i benefici, è ripartirsi in qualche modo gli utili, i risultati della commercializzazione, quin- di i risultati dei processi di privatizzazione delle risorse genetiche, proprio gli ambiti in cui c’è conflitto fron- tale tra diritti di proprietà intellettuale. Si ritorna pertanto sul campo delle privative, dei monopoli, mentre invece bisognerebbe specificare che si tratta di un diritto completamente diverso, di natura giuridica, si trat- ta di “diritti collettivi”. Questo è il campo dello scontro attuale sull’implementazione dell’articolo 6, uno scon- tro non da poco, in aggiunta agli scontri sui temi della sovranità alimentare del movimento contadino, del pa- radigma della ricerca, del paradigma del diritto.

Noi cerchiamo di reagire a determinate realtà. Si pensi ad esempio a tutto quello che si fa in Italia rispetto alla questione della difesa dell’agrobiodiversità, applicando la logica del diritto individuale. Molti, forse an- che sbagliando, propongono, per uscire da questa logica, il libero accesso, ritornando a com’erano le cose pri- ma che le imprese multinazionali si imponessero in tutto il pianeta. L’approccio alternativo che viene propo- sto è invece quello dei diritti collettivi sulle risorse genetiche e sui materiali da moltiplicazione, attraverso la restituzione del controllo agli agricoltori e rendendo questo controllo democratico.

Il Trattato Internazionale Sulle Risorse Genetiche deve essere implementato dai paesi. L’Italia (attraverso l’articolo 3) lo ha recepito con una Legge, lo ha approvato e ha trasferito tutte le competenze alle Regioni, quindi anche le competenze relative all’articolo 6 sui diritti degli agricoltori, Pertanto, oggi le Regioni di- spongono di uno strumento giuridico per implementare le politiche di difesa dell’agrobiodiversità. Questo rappresenterà per il nostro paese una sfida importante. Alcune Regioni hanno prodotto leggi di difesa del- l’agrobiodiversità, ma una sola di esse ha stabilito la natura effettiva, la natura giuridica dei diritti di proprietà sulle risorse genetiche, la regione Lazio, per cui le risorse genetiche tradizionali, di conservazione, appar- tengono alle comunità locali, quindi si riconosce un diritto collettivo su queste risorse.

Tutto questo si ripercuote, con ritmi vertiginosi tra il 2000 e 2005 sul sistema agrario italiano, con effetti as- solutamente drammatici. In particolare, la resistenza contadina si manifesta anche nei numeri: 97% di gior- nate di lavoro fatte in azienda diretto-coltivatrice, 83% delle aziende contadine sono gestite solo dalla fa- miglia, il rapporto tra salario e ricompensa di unità di lavoro in agricoltura e nel settore industriale rimane sempre 1/4, 5000 € per l’agricoltura e 18000 € nel settore industriale. L’altro elemento importante è che il settore agricolo ancora è marcato da un tasso di lavoro illegale, riconosciuto per tre volte quello medio dell’insieme degli altri comparti.

C’è però un elemento positivo: malgrado la mortalità aziendale, c’è ancora una massa di persone che ruota intorno all’agricoltura. Si tratta pertanto di un settore che ha un’elevata capacità di sviluppare lavoro, e que- sta è forse la caratteristica principale dell’agricoltura contadina.

Il settore agricolo ha una grande capacità di resistenza e questa è la vera garanzia. L’agrobiodiversità con- tribuisce in maniera incredibile a questo mantenimento, ripeto, non per quello che dice Slow Food, ma so- prattutto perché costruisce un sistema economico che consente anche di risparmiare. E tutto ciò da stabilità al sistema produttivo, perché gli permette di classificarsi, di avere la capacità di produrre beni genuini, quin- di di rispondere positivamente alle esigenze dei gruppi di acquisto, i quali vogliono pagare poco, ma voglio- no prodotti di qualità, genuini appunto, e questo è importante. Per me queste sono le garanzie che abbiamo.

LE RETI DI SEMENTI CONTADINE, LA SELEZIONE PARTECIPATIVA