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LA COOPERATIVA VALLE DEL MARRO

DI

A

NTONIO

N

APOLI

Le riflessioni di chi mi ha preceduto hanno fornito un quadro esauriente della situazione. Le politiche agri- cole dovrebbero offrire un quadro chiaro e attuare procedure snelle per far uscire il bene confiscato di na- tura agricola dal recinto esclusivamente giudiziario e considerarlo elemento attivo dello sviluppo economico del territorio, una risorsa per il territorio.

Prima di raccontare la storia della nostra cooperativa, devo dire che nell’intervento precedente sono stati toccati i punti dolenti in materia di beni confiscati. Innanzitutto, lo stato di abbandono del bene, il degrado di una risorsa territoriale, che è anche segno di degrado istituzionale, perché se c’è stato questo lungo ab- bandono ci sono state anche delle rinunce da parte dei soggetti competenti.

Secondo punto dolente: la mancanza di risorse finanziarie non per creare un nuovo o più nobile assistenzia- lismo a questa cooperativa, ma per aiutare queste cooperative ad uscire da una difficoltà strutturale molto forte che è, da un lato, quella di dover affrontare i costi per la messa in funzione del terreno, dall’altra quel- la di dotarle di tutte quelle attrezzature in modo da renderle competitive, tenendo conto che le cooperative sociali nascono con il capitale sociale dei soci. Nel nostro caso si trattava di una cooperativa di disoccupati di lunga durata quindi con una scarsa capitalizzazione.

Anche qui le istituzioni dovevano (anche in questo caso c’è una Legge che lo dice) supportare i processi di mes- sa in funzione di terreni agricoli fornendo le basi finanziarie per progetti di questo tipo. Anche in questo ca- so c’è un passaggio della Legge che parla di ristrutturazione dei fondi, ma in realtà le risorse finanziarie non ci sono. Per far fronte a tutto ciò, si è attivato il canale della solidarietà sociale, il canale alternativo come Ban- ca etica e altri rapporti con istituti locali, quali la Banca di Credito Cooperativo, ecc. Quindi ci muoviamo sem- pre nel settore privato.

Per accennare brevemente alla nascita della nostra cooperativa, abbiamo lavorato per circa un anno e mez- zo su questo progetto, e finalmente siamo arrivati a costituire una cooperativa agricola di tipo B, compren- dente anche soggetti svantaggiati. Prima ancora della costituzione della cooperativa si è fatto un lavoro di re- te, di conoscenza, d’indagine sul territorio. Processi lunghi, ma necessari. È stato creato un gruppo di lavoro con competenze tecniche e professionali per uno studio sulla consistenza di beni confiscati in Calabria. È sta- ta Libera, che è una associazione antimafia, e la Lega Coop a fornire i tecnici e gli agronomi. Questo al con- trario dovrebbe essere un compito delle istituzioni, non dei soggetti privati. Nonostante esista una Legge che prevede una Banca dati che fornisca un quadro chiaro, trasparente ed esauriente sulla consistenza di beni con- fiscati, questa non è ancora stata creata. Le informazioni sono insufficienti, incomplete, manca soprattutto la descrizione effettiva del bene. Un conto è avere un’informazione che risale a10 anni fa, un conto è averne una dopo una perizia, un sopralluogo di tecnici, una descrizione effettiva del bene.

Il progetto è partito nel 2003, mentre noi siamo nati nel 2004. Siamo 11 soci selezionati attraverso un ban- do pubblico. Modalità strana per far nascere una cooperativa, ma è una conseguenza del bisogno di garan- tire massima trasparenza nell’assegnazione e nell’utilizzo di questi beni. L’associazione Libera ha seguito il bando pubblico con l’obiettivo di dare un’opportunità a tutti i giovani del territorio. Si è cercato di costituire una cooperativa sociale che mirasse all’inclusione di giovani disoccupati e con disabilità. Dal 2004 ad oggi la compagine sociale si è ristrutturata, ci sono anche lavoratori dipendenti, le prospettive di crescita occupazio- nale sono alte nella misura in cui si vuole integrare tutta la filiera, quindi non ci occupiamo soltanto della col- tivazione e raccolta del prodotto da lavoro, ma anche della trasformazione, in qualche caso delle vendite, del- le botteghe di questi sapori della legalità.

È cresciuto il volume dei beni confiscati, che sono oggetto di gestione, da 35 ettari iniziali sono passati a 60, e le prospettive di crescita sono enormi, ma c’è sempre quella “farraginosa” burocrazia che ci impedisce di po- ter acquisire in modo più rapido i terreni ulivetati, perché si tratta di zone fortemente vocate all’olivicoltura. È cresciuta sicuramente la rete del partenariato sul territorio e fuori dal territorio.

La rete è importante per dare un sostegno forte e adeguato a queste cooperative che devono essere sup- portate nella fase di start-up, ma è anche strumentale per la creazione di fiducia. La fiducia è il valore più prezioso che noi dovremmo tutelare, perché aiuta ad orientare lo sviluppo in ogni direzione. La fiducia si- gnifica uscire fuori dal circuito familiare e quindi costituire cooperative non di base familiare, perché fare coo- perazione significa aprirsi all’altro, far circolare la fiducia fuori dall’ambito familiare. Creare un clima di fi- ducia significa rendere pubblico un bene che è stato strumentalizzato dalla mafia per scopi privati e illegali. Per quanto riguarda gli effetti imitativi e il confronto con le altre esperienze di altre Regioni, vi dico che pur- troppo la Calabria rispetto alla Sicilia sconta una serie di ritardi strutturali e funzionali sia in agricoltura, sia a livello istituzionale.

Se c’è un dato di cui hanno potuto beneficiare i progetti agricoli previsti in Sicilia è la presenza di un orga- nismo intercomunale, un consorzio di comuni, che aveva come compito quello di ricevere beni confiscati dai singoli comuni e poi puntare alla gestione unitaria. Il compito di questo consorzio è anche quello di trovare le risorse finanziarie per la ristrutturazione. Ciò è mancato in questo progetto e manca in Calabria. Io vengo dalla piana di Gioia Tauro, che è frazionata in 33 comuni e solo recentemente è nato un organismo di selezione di comuni dei beni confiscati, che però non ha una finalità ben precisa.

Quando siamo nati come cooperativa, noi abbiamo dovuto creare dei rapporti con tre differenti ammini- strazioni comunali, con tre realtà diverse (Oppido Mamertino, Rosarno e Gioia Tauro). Abbiamo dovuto mettere in piedi tre procedere con tre modalità diverse. Abbiamo dovuto redigere tre diverse convenzioni. Questo testimonia la difficoltà di agire quando sono diversi i soggetti. Noi abbiamo preparato una bozza di convenzioni per la gestione del bene e per tutti gli oneri e i doveri derivanti dalle parti sull’accordo di ge- stione, ogni comune ha voluto firmare convenzioni diverse, pur mantenendo posizioni irremovibili su alcu- ni punti fermi, quali ad esempio la durata trentennale della gestione, altrimenti non si può parlare di pro- spettive di sviluppo.

dell’agricoltura calabrese rispetto a quella siciliana. Però devo dire che accanto alle ombre ci sono luci e gran- di potenzialità per l’agricoltura calabrese.

Io faccio un piccolo appunto per quanto riguarda l’Apicoltura: io sono un apicoltore alle prime armi e gli api- coltori che lavorano nel settore da tanti anni dicono che il miele di fiori d’arancio calabrese proprio per la va- rietà agrumicola è unico al mondo, tanto che molti siciliani vengono a collocare proprio nella piana di Gioia Tauro e Lametino le loro arnie.

Il mio intervento è sintetico, ma ha l’obiettivo di orientare il discorso su alcuni punti fondamentali, innanzi- tutto sul rapporto con il territorio e sugli aspetti di un’economia sostenibile e solidale.

Allora se consideriamo che storicamente in alcuni territori la mafia nasce nelle aree rurali e che la terra è sta- ta in passato simbolo di potenza e di controllo della malavita sui destini della gente e continua purtroppo ad essere in piccole realtà fonte di prestigio sociale, il recupero di quei terreni che sono stati acquisiti illegal- mente da mafiosi e la loro destinazione a cooperative sociali, la loro rinascita produttiva, sono un preciso e perentorio segnale di vittoria realizzato anche attraverso un nuovo ruolo dell’agricoltura, quello di essere vei- colo della cultura della legalità e che indirettamente va a potenziare le reti e i servizi di protezione sociale. In questi progetti agricoli il nucleo centrale è non solo la natura delle risorse economiche utilizzate, ma lo stes- so bene confiscato e la struttura organizzativa di queste aziende, quindi la struttura cooperativa.

Il modo di fare economia è improntata ad una visione etica del rapporto con il territorio. La cooperativa fin da subito si è data una missione ben precisa con tre obiettivi:

1. creare nel comparto agricolo un rinomato spirito di iniziativa imprenditoriale proprio perché quel comparto era fortemente penalizzato da scelte sbagliate degli operatori;

2. stimolare le politiche agricole verso un concetto di sviluppo del territorio; 3. stimolare nuove forme di cooperazione e tenere alta l’attenzione antimafia.

La cooperativa opera in una zona ad elevata emergenza socio-economica con un’attività che si prefigge di raggiungere, accanto ad obiettivi di carattere economico e in virtù del loro modo etico e trasparente di essere organizzati, il fine più complesso del cambiamento di mentalità. Questa volontà di cercare di trasformare il pensiero comune ci rende dignitosi e viene concretizzata grazie alle possibilità di stimolare un sistema di re- te fra società civile e istituzioni in cui ogni soggetto coinvolto non eserciti più la passiva funzione della lega- lità, come è avvenuto purtroppo in passato, ma si assume le proprie responsabilità guardando al territorio con occhi nuovi.

Che cosa intendo quando dico di guardare al territorio con occhi nuovi? Vedere il territorio come il fondamento di un impegno comune a costruire identità positive, quindi è qualcosa che deve essere ancora realizzato, che deve divenire. Il territorio non va più visto come un luogo di contraddizioni o di dolorose scissioni tra il no- stro essere e il nostro dover essere. Questo è quello che io sento dire spesso tra gli operatori del settore, tra i calabresi in genere c è sempre questa scissione tra ciò che siamo e quello che dovremmo essere. Sul piano delle relazioni di partenariato, nei suoi tre anni di vita la cooperativa è stata al centro di lavoro con vari attori: la prefettura, la chiesa locale, esponenti del mondo delle banche, associazioni libere, oltre l’as- sociazione Libera, imprenditori. Tutti impegnati con diversi strumenti a sostenere, su quei terreni agricoli tol-

ti al circuito della illegalità, un progetto economico per la riaffermazione della libertà e dei diritti di cittadi- nanza, fra questi primo fra tutti il diritto al lavoro, e per la realizzazione di un modello agricolo competiti- vo che fosse eco-compatibile.

Questi soggetti ci hanno fornito il sostegno economico necessario per superare tutte le rigidità iniziali, ma an- che per la formazione e l’acquisizione del know-how di base che hanno permesso in questi anni di rendere l’azienda operativa e efficiente.

La cooperativa si è costruita la propria identità e posizione in un’economia rurale e alternativa, ponendosi co- me realtà positiva e propositiva aperta alle opportunità della ricerca e dell’innovazione scientifica, senza però cancellare gli antichi saperi custoditi nelle sagge consuetudini e tradizioni dell’arte contadina. È un’impresa sociale a prevalente composizione giovanile, questa caratteristica rappresenta la base su cui pog- gia l’intero progetto collettivo e il nostro obiettivo è quello di accrescere ancor di più la base giovanile, sen- tendo la necessità e il bisogno d’invertire il trend di espulsione dal mondo agricolo di molti giovani. Per ar- rivare ad una saldatura tra il mondo giovanile e il mondo dell’agricoltura bisogna cambiare l’approccio. Abbiamo notato spesso, parlando con alcuni giovani, che c‘è un approccio pregiudiziale da parte loro verso il lavoro agricolo, e ciò si traduce spesso nel rifiuto di un’occupazione nel lavoro agricolo ma c’è, dall’altro lato, anche un approccio approssimativo. L’approccio giusto, in realtà, è quello etico unito ad un approccio scientifico composto da competenze tecniche e professionali.

La Valle del Marro è un’economia dove i più deboli trovano accoglienza, riconoscimento della loro dignità at- traverso percorsi di inserimento lavorativo.

Noi abbiamo adottato una frase di Cicerone che diceva in epoche lontane, ma le parole hanno un sapore vi- vo e attuale, che “l’agricoltura è l’unica attività degna di uomini liberi”. Allora anche nel caso dei soggetti svantaggiati inseriti in agricoltura c’è un nesso stretto tra la lotta della comunità per la propria autodeter- minazione e la lotta delle persone con svantaggio e disabilità per l’autonomia intesa come completa inte- grazione sociale. Si tratta in entrambi i casi di una particolare concezione della libertà che è proprio della cul- tura contadina: da un lato toglie libertà a coloro che sfruttano gli uomini volendoli dominarli e umiliarli, dal- l’altro da la libertà e consente alle persone di costruire in modo autonomo un futuro più promettente crea- to, almeno parzialmente, da loro stessi.

Quindi un futuro che si estranea da logiche di esclusione ma si estranea anche da logiche di distruzione del- le risorse naturali per questo l’attività produttiva della cooperativa segue i principi dell’etica dell’agricoltura biologica, parola chiave qui diventa sostenibilità.

Io la sostenibilità la intendo in tre modi: c’è da un lato una sostenibilità legata al modo di produrre i beni in agricoltura, ma c’è anche una sostenibilità etica legata al nostro stile di vita sociale che non deve essere più di disimpegno, ma deve essere animato da uno spirito d’iniziativa che isola l’elaborazione di culture, prassi sociali e modelli imprenditoriali che siano antagonisti alla logica della massimizzazione dei profitti come uni- co fine, che va a discapito dell’equilibrio naturale ma anche della dignità umana.

I prodotti sono prodotti fortemente tipici: olio extra vergine d’oliva, pesto di peperoncino piccante, melanzane sott’olio, miele di fiori d’arancio. Sono prodotti che siglano uno sviluppo economico che intende coinvolgere

anche i cittadini attraverso l’affermazione di forme di consumo consapevole. La distribuzione di questi pro- dotti avviene nei canali delle botteghe del commercio equo-solidale, nella rete dei Gruppi di Acquisto e nel- le reti della Coop per la grande distribuzione.

Quindi l’agricoltura della Valle del Marro sta mettendo in luce nelle botteghe biologiche specializzate quelle che sono le capacità etiche professionali e imprenditoriali di giovani del sud ma sottolinea anche la capacità del mondo agricolo di fornire contributi concreti alle comunità locali nella ricerca di una nuova positiva iden- tità e nella riaffermazione della dignità e di quella tenace determinazione tipica del mondo contadino e in par- ticolare di quello calabrese.

Chiudo con questo auspicio. Partendo dai beni confiscati (che secondo me devono essere considerati dei be- ni comuni) auspico che ci sia un nuovo impegno e una nuova responsabilità per gli agricoltori che è quello di contribuire, come dice il presidente di Libera Gianluigi Ciotti, a liberare la legalità e la giustizia, troppo spes- so ostaggio d’interessi criminali, e restituirli così alla loro condizione di beni comuni. Vi ringrazio.