• Non ci sono risultati.

LA COOPERATIVA VALLE DEL BONAMICO

DI

P

IETRO

S

CHIRRIPA

Buongiorno, grazie per averci invitato e per la disponibilità ad ascoltare la nostra esperienza.

La nostra esperienza è un po’ particolare, presenta grandi elementi di contraddizione, che comunque hanno generato delle originalità evidenti. Questa è un’esperienza un pò diversa da quella della Valle del Marro. Lo testimonia il fatto che io, pur essendo un funzionario pubblico (la mia professione è Primario Ospedaliero), sono presidente di una cooperativa agricola, e svolgo questa attività a titolo di volontariato.

Noi abbiamo tentato nella locride, che tutti voi conoscete, di avviare un processo di animazione territoriale, soprattutto in alcuni luoghi che sono simbolo di disgregazione, di potere mafioso, e di grandi lacerazioni e grandi ferite. Platì, S. Luca, Nativa di Careri sono Comuni spesso, troppo spesso, alla ribalta della cronaca ne- ra. Sono i luoghi dove noi abbiamo impiantato le nostre aziende. Noi vogliamo introdurre in questi posti l’in- tegrazione sociale, perché riteniamo di aver scelto una missione volta a pacificare il territorio, e per farlo, co- sì come i nostri militari in Afghanistan o in Iraq costruiscono scuole e cercano rapporti con le persone del luo- go, noi costruiamo aziende, formiamo le persone, e cerchiamo insieme a loro, con quei mattoni di costruire un futuro. Abbiamo cercato un dialogo con i protagonisti di questi territori. Ad esempio, stamattina Federica Roccisano, che tra poco vi illustrerà la sua attività, ha bevuto un caffè con un capomafia, con il quale si è di- scusso del fatto che dobbiamo impiantare un allevamento di maiali neri. Io non so se il loro interessamento sia sentito, ma tutte le persone che abbiamo cercato di coinvolgere, alla fine hanno dovuto porsi il problema di scegliere in che modo guadagnarsi da vivere.

Vi racconto un piccolissimo aneddoto, uno di questi ragazzi, che poi naturalmente è diventato anche socio, mi raccontava: “Io di notte, dottore, quando fischiava il vento e pioveva a dirotto, mi svegliavo, mi accendevo una sigaretta e mi godevo questi rumori che mi piacciono tanto. Adesso, appena fischia il vento, io penso al- le terre, perché il vento può danneggiare le terre, e non fumo più la sigaretta per godermi il vento, fumo la sigaretta perché mi innervosisco!”. Questo racconto testimonia il cambiamento possibile nel modo di pensa- re delle persone con cui siamo a contatto.

Si tratta, quindi, di un approccio differente, legato sicuramente ad un momento di eticità, al desiderio di vo- ler cambiare il mondo, perché c’è ottimismo alla base, si può cambiare quel pezzo di territorio, si possono in- trodurre valori di pace, di lavoro, di bene comune, etc., però facendolo attraverso una procedura che è quel- la del mercato, di costruire impresa, di costruire lavoro, capace di reggersi da solo. Noi siamo partiti da pic- coli segni, che appartengono però da un grande progetto.

Noi abbiamo avuto un’idea, quella di coltivare i lamponi, e questa idea ha cambiato il paesaggio agricolo di una valle: ora vi sono 40 ettari di serre. In questa valle sono stati espiantati gli aranceti che non davano più reddito e sono state inserite le coltivazioni del lampone.

Tenete presente che un ettaro di serre può contenere 12 mila piante di piccoli frutti. Quindi capite bene la quantità con cui abbiamo a che fare. Si tratta di alcune centinaia di migliaia di piante che hanno una vita me- dia molto breve. Inoltre la nostra attività è molto particolare: piantiamo il lampone rifiorente (il lampone che

da frutto 2 volte l’anno), lo piantiamo a giugno-luglio, lo ombreggiamo e lo raffreddiamo con dei sistemi sem- plici, utilizzando acqua nebulizzante, in modo da creare all’interno delle serre le condizioni primaverili. Quan- do arriva l’autunno togliamo la nebulizzazione e l’ombreggiatura. Il lampone continua a crescere e a fiori- re. La copertura delle serre da luogo ad un riscaldamento durante le ore diurne. Tenete presente che il lam- pone è una pianta alpina, quindi è favorita dalle escursioni termiche giorno-notte.

Quando il lampone fiorisce (d’inverno e nel tardo autunno) e deve essere impollinato, noi lo facciamo im- pollinare dai bombi, che sono quelle api più grosse che riescono a camminare e a lavorare anche quando non c’è sole. Una volta impollinato, come qualunque organismo biologico, è difficile fermarlo, continua il suo ciclo e a Natale da il frutto. Questa è stata un’idea vincente che ci ha consentito di passare dal piccolo esperimento di 2 mila metri quadri, nel ’97, primo anno in cui abbiamo piantato i lamponi, ai 40 ettari at- tuali, che producono 2 mila quintali di lampone (il totale della produzione del 2006); Questo anno abbia- mo prodotto di meno perché c’è stata una virosi, che né noi né gli esperti siamo riusciti a risolvere. Tutto ciò implica che c’è molto lavoro dietro la produzione di lamponi, e deve esserci qualcuno con un forte de- siderio di andare a lavorare sotto le serre, a staccare i lamponi, metterli assieme per guadagnarsi la gior- nata. Questo desiderio c’è sul territorio, semplicemente ha bisogno di essere riscoperto e di avere la pos- sibilità di emergere. Quindi noi, introducendo una cultura di pace, introduciamo una cultura di lavoro. Co- me diceva prima l’amico Antonio Napoli, il lavoro in agricoltura non è ambito, ma noi abbiamo cercato di invertire il trend del gradimento del lavoro agricolo, rivolgendoci alla famiglia contadina e ponendola co- me elemento di legame e di radicazione con la terra. Essa ci consente di creare un legame con i giovani. Anche il momento della raccolta è un momento importante, di gratificazione, di guadagno, ma anche di ag- gregazione.

Quindi ciò che siamo riusciti a fare, attraverso un’idea imprenditoriale valida, offrendo il lampone in inver- no, quando costa di più, quando vale di più, è coinvolgere intere famiglie. L’elemento importante, però, è che non si tratta di famiglie comuni, ma di nuclei di persone che spesso hanno contatti molto grandi con la ma- lavita organizzata. Noi abbiamo dei ragazzi che lavorano con noi, che portano dei nomi conosciuti (Mirta, Mammoliti, Barbaro, etc.), che avevano i padri in carcere, e le mamme un giorno vennero da me e mi dis- sero: ”Dottore, aiutate mio figlio affinché non prenda l’esempio di suo padre!” Si tratta quindi di figli di per- sone mafiose, che non hanno mai visto i padri, perché sono latitanti o in carcere. Questo è veramente un dramma, e da qui tutte queste persone cominciano a pensare alla pace. Abbiamo tra i nostri collaboratori, una persona che in precedenza era sorvegliato dai carabinieri, ora non lo è più, perché è riuscito a riscattare la propria reputazione. Ora ha una famiglia, lavora regolarmente, vive in pace.

Quindi credere nelle idee e diffonderle è importante, ma, ancor di più lo è la fiducia. Ciò si ricollega alla re- putazione. Bisogna avere una reputazione per avere successo, altrimenti le idee non ti bastano. Ci sono tan- ti predicatori, ma poche persone pratiche. Monsignor Bregantini perché è stato differente. Perché non è sta- to solo un predicatore, anzi forse ci sono predicatori migliori di lui, lui oltre a parlare, è stato accanto a chi ha agito, ha prodotto opere, e guardate che la compagnia delle opere non è soltanto una elaborazione di co- munione e liberazione, ma le opere sono una maniera di pregare con le mani, che è forse la maniera più ge-

nuina, in quanto consente un contatto con gli altri, porta ad interfacciarsi con altre realtà. L’importanza del- la reputazione è la fatica di guadagnarla.

Altro settore in cui abbiamo lavorato è quello della vite. Lo spirito che ci ha animato è sempre stato il me- desimo: interesse vivo per radici, memoria, identità.

A Locri abbiamo dei santuari di Persefone, in cui le offerte votive, cibo portato in piatti di coccio, venivano sepolte, letteralmente smaltite. Allora abbiamo invitato un grandissimo archeologo, Patrick MC Govern, che ha scritto L’archeologo e l’uva. Egli lavora con dei metodi di spettrometria di massa: gli abbiamo chiesto di individuare il DNA dei semi, dei pollini, etc., che si trovano sotterrati. Persefone Regina della notte e degli in- feri, ma anche signora della luce. Persefone con il gallo nero che annuncia la luce del giorno, Persefone dea dell’abbondanza, quindi dea del melograno, ma anche dell’uva. Un tempo Locri era ricca perché c’era chi commerciava non l’olio, ma il vino. Locri ha continuato ad essere ricca fino agli antichi romani, a Bisanzio, etc., venivano fatte le centuriazio a Roma, e le centuriazio erano legate alla divisione di pezzi di terra da po- ter coltivare a vino, ma dov’è questo vino adesso? Noi abbiamo grandi difficoltà a fare il vino con le nostre uva autoctone. Però è interessante notare che le nostre viti sono resistite: questo si spiega con il fatto che Lo- cri è la punta dello stivale, è il fondo dell’Europa, quindi è rimasto isolato rispetto a tutta una serie di malattie dell’uva che si sono verificate nei decenni scorsi.

Esiste ancora oggi una quantità enorme di vitigni autoctoni, e quindi di biodiversità e DNA. Noi faremo un’o- perazione particolare, andremo a studiare il DNA dei semi dei santuari di Persefone, il DNA delle nostre pian- te e faremo un vino storico, tentando, in tal modo, di far capire come le nostre radici possono essere nella memoria. Ciò è un elemento di continuità e di identità anche commerciale, perché la gente che viene a Locri vuole capire chi siamo noi, la gente che viene in Calabria vuole capire la calabresità, vuole mangiare la sop- pressata, vuole mangiare il peperoncino, vuole bere il nostro vino.

Io e una mia amica, Marialetizia Cava, che è una paleocartologa, insieme alla sovraintendente Silvana Ian- nelli, avevamo pensato di incontrare il nuovo Vicepresidente della Giunta Regionale, Mimmo Cersosimo, per convincerlo a sostenere questi processi. Chissà che non si riesca a puntare su queste cose e a farle diventare elemento propulsivo di mercato.

Vorrei suggerire un’ultima cosa: ragioniamo con le nostre risorse. Come diceva Antonio, il miele d’arancio del Tirreno è il migliore del mondo, le fragole di Pizzo, il kiwi di Rossano, il bergamotto, le clementine della io- nica, in particolare quelle di Sibari, sono tutti prodotti tipici, unici. Le risorse ci sono, spetta ai calabresi saperle riscoprire, lavorare, guadagnarsi da vivere e vendere queste eccellenze, ma con intelligenza, attraverso pra- tiche innovative, e sganciarsi da una logica di assistenzialismo.

Altro settore in cui ci stiamo cimentando e in cui stiamo avendo notevoli difficoltà è il settore dell’alleva- mento dei maiali neri, veri maiali, che hanno i requisiti richiesti Slow-Food.

Nelle zone interne, salendo verso Polsi, abbiamo trovato i primi esemplari di suini. Abbiamo avuto una gran- de difficoltà a legalizzare gli allevamenti, perché questi maiali non hanno ancora una certificazione d’origi- ne, non possono essere commercializzati per una norma di pulizia veterinaria. Noi non sappiamo come ri- solvere questa questione. Noi conosciamo bene l’origine di questi esemplari, sono i nostri vecchi maiali, ma

il problema è come dimostrare tale provenienza.

All’Istituto Sperimentale del Ministero, stiamo facendo un lavoro con il DNA, stiamo cercando di verificare se siano o meno una razza. Una delle maniere per salvare questi prodotti è venderli. Anche per quanto riguarda la produzione del vino, non si può salvare la nostra produzione autoctona, se non vendendolo, producendo- lo. La stessa cosa per il maiale. Quindi in tutto quello che noi stiamo facendo c’è questo dissidio di cui vi ave- vo parlato prima, magari parlandovene riusciremo a trovare insieme una soluzione.

Il fatto che ci siano moderne tecnologie, idee innovative, sì, è importante, ma bisogna recuperare il senso di appartenenza e stimolare le motivazioni personali dei soggetti direttamente interessati. Bisogna risvegliare la nostra Calabria, che sembra essere addormentata, e che è abituata ormai all’assistenzialismo. Rimboc- chiamoci le maniche, ricostruiamoci una reputazione, troviamoci un nostro spazio di mercato. In tutto que- sto io ritengo che l‘Università abbia un ruolo importantissimo, perché le idee viaggiano e sono il carburante di tutto questo motore. Grazie.