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L'eutanasia nell'ordinamento costituzionale italiano. Uno studio sulla giurisprudenza e sul dibattito recente.

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Indice generale

Introduzione... 4

1. La libertà di autodeterminazione nelle cure mediche nell'ordinamento Italiano... 7

1.1. Il fondamento del diritto di autodeterminarsi nella Costituzione italiana... 7

1.2. La libertà negativa di rifiutare le cure mediche...9

1.2.1. L'inesistente contrasto tra l'articolo 5 cc e la Costituzione...11

1.3. Il principio del consenso all’atto medico ...12

1.3.1. Il principio del consenso nella giurisprudenza italiana...17

1.3.2. La valorizzazione dell'autodeterminazione dei soggetti incapaci nelle cure mediche attraverso le volontà pregresse...19

1.3.3. I poteri del tutore legale ... 22

1.4 Il divieto dell'accanimento terapeutico...23

1.4.1. Una definizione di accanimento terapeutico elaborata dal Comitato Nazionale per la Bioetica del 14 luglio 1995...24

1.4.2. Criteri di valutazione dell'accanimento terapeutico...26

1.5. Il rapporto medico-paziente alla luce del principio dell'autodeterminazione...28

1.6. Conclusione: la libertà di lasciarsi morire...29

2. Scelte di fine vita: tra diritto al rifiuto di cure ed eutanasia...31

2.1. I problemi definitori del concetto di eutanasia...31

2.1.1. Un'ipotesi di confine: la terapia del dolore...34

2.1.2. Il rifiuto dei trattamenti di sostegno vitale...35

2.2. Eutanasia attiva e passiva a confronto...38

2.3. Legislazione penale italiana ed eutanasia attiva...42

2.4. L’intervento di un terzo per l’esercizio della propria libertà di rifiutare le cure... 43

2.4.1. L'articolo 3 della costituzione e la rimozione degli ostacoli all'esercizio di una propria libertà... 45

3. I casi che hanno riacceso il dibattito sul fine vita in Italia...47

3.1. La vicenda umana e giudiziaria di Piergiorgio Welby ...47

3.1.2. Le motivazioni della sentenza del GUP ...49

3.2. Il lungo iter giudiziario di Eluana Englaro...52

3.2.1. La sentenza della Cassazione n. 21748 del 16 ottobre 2007...55

3.3. Un conflitto che non aveva ragion d'essere...59

(2)

4. La pianificazione anticipata... 65

4.1. Il living will come modello per le dichiarazioni anticipate...65

4.1.1. I problemi delle decisioni senza espressa volontà...68

4.1.2. Il Best interest per il malato incosciente nella giurisprudenza inglese...69

4.2. Una mancata occasione: Il disegno di legge sul testamento biologico...71

4.2.1. L'inadeguato approccio del governo...72

4.2.2. Conclusioni sul disegno di legge sulle DAT...77

 5. L’eutanasia nella legislazione straniera ...79

5.1. Visione comparata in tema di fine vita...79

5.2. Gli ordinamenti a tendenza impositiva...80

5.2.1. Il modello impositivo Inglese ...81

5.2.2. Un quadro generale sull'eutanasia negli Stati Uniti ...83

5.2.3. L'eutanasia secondo la corte di Strasburgo...87

5.3. Gli ordinamenti a tendenza permissiva... 90

5.3.1. La legislazione olandese e Svizzera... 91

5.3.2. Gli Stati a tendenza permissiva negli USA...95

Conclusioni... 97

Il testo di iniziativa popolare dell'associazione Luca Coscioni...99

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Introduzione

Il progresso scientifico degli ultimi decenni ha ampliato in modo significativo le possibilità di sopravvivere anche ad eventi particolarmente infausti.

Le moderne tecniche medico-scientifiche se da un lato permettono di curare patologie anche molto complesse, dall'altro possono prolungare, a volte, lo stato di sofferenza dovuto sia dalla gravosità dei trattamenti sia dall'aggressività della patologia conducendo il paziente ad un pesante deterioramento della qualità della vita e al manifestarsi di situazioni di forti sofferenze, con le quali i malati potrebbero convivere anche a lungo, senza possibilità di guarigione. Nei casi limite, vengono a determinarsi infatti situazioni di vera e propria sospensione tra la vita e la morte diventando sempre più concreto il rischio per il paziente di trascorrere un'esistenza meramente biologica.

Alla luce di tale scenario, appare dunque di evidente importanza dar voce alla facoltà di autodeterminazione del paziente per permettergli di decidere dignitosamente del proprio fine vita. Ci si chiede dunque se le scelte di fina vita troverebbero una legittimazione nel nostro ordinamento.

La tematica delle scelte di fine vita richiama un approfondimento sull'eutanasia, dato che le due questioni inevitabilmente si

intrecciano, la cui legittimità alla Costituzione è particolarmente dibattuta.

Una prima soluzione in merito all'ammissibilità di determinate scelte di fine vita sembra derivare dalla lettura dell'articolo 32 della Costituzione che, oltre a promuovere il diritto alla salute nell'ordinamento, proclama la libertà negativa di non avvalersi delle cure mediche attraverso la formula del consenso informato.

Nonostante dal punto di vista costituzionale risulta evidente la liceità tale diritto, persiste ancora il dibattito sugli eventuali limiti e sull'eutanasia passiva. In questo quadro così complesso si sente l’esigenza di maggiore chiarezza da parte del diritto di una facoltà che ha comunque solide radici nella Costituzione. Ciò ha inciso in maniera negativa su tutti quei malati che si ritrovano a versare tra insostenibili sofferenze fisiche e morali e chiedono, quanto meno, che il loro diritto al rifiuto delle cure venga rispettato.

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Ci si propone dunque di valutare fin dove, in assenza di una adeguata regolamentazione, possa estendersi il diritto di rifiutare le cure e quindi il diritto di autodeterminazione sulle scelte di fine vita, alla luce dei principi della Costituzione Italiana, e se si possa ammettere la legittimità delle pratiche eutanasiche attive.

Una risposta efficace ci è data dalla giurisprudenza italiana che, come si è visto con il caso Welby ed Englaro, ha saputo dare attuazione al principio di autodeterminazione del malato e all'ammissione dell'eutanasia passiva, delineandone i limiti.

Successivamente verrà preso in considerazione il testo del disegno di legge presentato al senato il 26 marzo 2009 riguardante “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso

informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”, proposto a

seguito della vicenda Englaro.

Tale proposta di legge nasce dalla necessità di definire i limiti in tema di decisioni mediche e sui meccanismi di manifestazione della volontà del paziente.

Tuttavia il quadro che emerge dall’analisi del disegno di legge è molto scoraggiante perché gli spazi per l’autodeterminazione individuale in ambito medico sono sensibilmente ridimensionati rispetto a quanto si ricava dai principi della Costituzione e sembra quasi che la dichiarazione, dopo aver richiamato gli art. 2, 13 e 32 della Costituzione, stravolga completamente il principio in parola.

Il prolungato silenzio del legislatore e la difficoltà di raggiungere risultati condivisi su tali questioni, fanno si che la situazione italiana si presenti emblematica sotto questo profilo, in controtendenza rispetto alla maggioranza degli ordinamenti internazionali che in varia misura hanno già affrontato il problema. Sebbene il crescente interesse dell’opinione pubblica nei confronti delle tematiche di fine vita, il legislatore non è stato infatti in grado di prendere una posizione chiara sulla tematica ne tanto meno di garantire il diritto costituzionale dell'autodeterminazione nelle cure mediche in maniera adeguata.

Per integrare il quadro di riferimento della materia dell’autodeterminazione medica e delle decisioni di fine vita si è fatto infine riferimento alle scelte e alle soluzioni adottate al di fuori dei confini italiani ed in particolare all'esperienza maturata negli Stati Uniti e negli altri Paesi europei.

Nelle conclusioni una breve digressione sui fatti di attualità ci permetterà di prendere coscienza di quanto il problema del fine vita sia ancora particolarmente sentito e aggravato dai silenzi del

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parlamento e dell'esecutivo che, per timore di prendere una posizione sulla tematica o semplicemente per superficialità, tacciono non affrontando una questione che affligge migliaia di malati e sta a cuore dell'opinione pubblica.

Allo stesso modo si porrà l'attenzione sulle istanze di coloro che richiedono la legalizzazione dell'eutanasia attiva e del suicidio assistito, con particolare attenzione alla proposta di legge di iniziativa popolare presentata dall'associazione Luca Coscioni ed intitolata: “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”

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1. La libertà di

autodeterminazione nelle cure

mediche nell'ordinamento

Italiano

1.1. Il fondamento del diritto di autodeterminarsi nella Costituzione italiana

Per autodeterminazione, comunemente, si intende la facoltà dell'individuo di compiere scelte autonome ed indipendenti.

La Costituzione non parla direttamente di autodeterminazione in alcuna delle sue disposizioni e ciò potrebbe rendere problematico un eventuale novero di tale principio nel quadro costituzionale.

Tuttavia, però, tale assenza può essere giustificata dal fatto che i Costituenti non considerassero l'autodeterminazione un'espressione giuridicamente rilevante1.

Tuttavia la Costituzione, proponendosi di tutelare diritti e libertà, sembra viceversa dar peso alle scelte e decisioni dell’individuo2. Non si può negare quindi che questa impostazione

sembri avallare implicitamente un riferimento nella costituzione all'autonomia nelle scelte della persona3.

L'autodeterminazione non riguarda però la libertà dei soggetti privati di aderire o meno ai principi o alle disposizioni dell’ordinamento, bensì implica la valorizzazione della libertà morale dell’individuo rispetto a tali principi e disposizioni di non subire interferenze nella scelta se avvalersene o meno, secondo l’assioma che tutto ciò che non è vietato costituzionalmente o non risulta nella disponibilità del potere pubblico è garantito.

Secondo questa visione dunque autodeterminazione e libertà morale coinciderebbero.4

1 S. MANGIAMELI, Autodeterminazione: diritto di spessore costituzionale?, Relazione tenuta al IV Laboratorio Sublacense su «La comunità familiare e le scelte di fine vita»; Abbazia di Santa Scolastica – Subiaco, 3-5 luglio 2009, in Forum di Quaderni Costituzionali

2 Ibidem

3 P. BARILE, Il soggetto privato nella costituzione italiana, Padova, Cedam, 1953. 4 S. MANGIAMELI, Autodeterminazione: diritto di spessore costituzionale?,

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In tal senso l'autodeterminazione andrebbe a costituire un ulteriore aspetto di estrinsecazione della personalità dell'individuo e si potrebbe perciò far rientrare tale principio sotto la tutela dell'articolo 2 della Costituzione.

La prima parte dell'articolo 2 della Costituzione richiama infatti il principio personalista, che pone come fine ultimo dell'ordinamento lo sviluppo di ogni singola persona umana e caratterizza tutte le disposizioni costituzionali che tutelano una sfera della personalità fisica e morale5, implicando una priorità di valore della persona

umana, rispetto allo stato, intesa nella componente dei suoi bisogni non solo materiali ma anche spirituali.

Le considerazioni che precedono hanno condotto quindi la recente giurisprudenza costituzionale6 ad elevare a principio

fondamentale e inviolabile la libertà di autodeterminarsi servendosi della clausola di riconoscimento dei diritti inviolabili contenuta nell'articolo 2 Cost.

In realtà, della libertà morale se ne era già occupata la Corte costituzionale in modo espresso, in non recenti decisioni, collegandola alla libertà personale dell’art. 13 Cost.

Nella sentenza n. 30 del 1962 della Corte costituzionale, si fa infatti riferimento alla proclamazione della garanzia dell’habeas corpus che impone non soltanto il rispetto della persona in qualsiasi caso di assoggettamento fisico all'altrui potere, nei casi previsti dalla legge, ma anche al divieto della violazione della libertà morale.

L'articolo 13 Cost. appronta quindi una tutela che ha ad oggetto la persona, non solo dal punto di vista fisico ma anche morale, e ha condotto la dottrina a ritenere il principio contenuto nell'articolo 13 una libertà nella quale è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di autodeterminarsi7.

Si richiamerebbe dunque quella libertà intesa, non solo come diritto al rispetto della propria integrità corporea ma anche come libertà di autodeterminarsi. Si può dunque affermare che la libertà personale ha visto estendere il proprio nucleo a settori che vanno

Relazione tenuta al IV Laboratorio Sublacense su «La comunità familiare e le scelte di fine vita»; Abbazia di Santa Scolastica – Subiaco, 3-5 luglio 2009, in Forum di Quaderni Costituzionali

5 P. CARETTI, I diritti fondamentali, Giappichelli, Torino, 2005, pag. 137

6 Corte cost. 3 febbraio 1994 n. 13 segnatamente agli atti di disposizione del proprio corpo, ribadendo nell'occasione, coerentemente al principio personalista che ispira la carta costituzionale, che l'effettiva attuazione di tale facoltà impone il rispetto dell'autonomia dell'individuo in ogni momento della vita.

7 A. SANTOSUOSSO, Autodeterminazione e diritto alla salute: da compagni di viaggio a difficili conviventi, in Notizie di Politeia, 1997, 47-48

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ben oltre quello della difesa dalla coercizione fisica, per giungere a ricoprire un’area più vasta, attinente al libero sviluppo della persona e volto a consentire la realizzazione della personalità.

1.2. La libertà negativa di rifiutare le cure mediche

Alla luce dell'inviolabilità della facoltà di autodeterminazione nel nostro ordinamento, ci si chiede a questo punto se ciò possa implicare il diritto di decidere sul rifiuto delle cure mediche e quindi di legittimare la scelta di sottrarsi anche a trattamenti vitali.

In caso positivo discenderebbe, da un lato, un ampliamento delle scelte di fine vita, dall'altro si abbandonerebbe quella concezione di diritto alla salute fondata esclusivamente sulla garanzia della mera assenza di malattia.

È necessario, per dare una risposta alla questione, analizzare il contenuto dell'articolo 32 della Costituzione.

Tale disposizione costituzionale afferma infatti la tutela del diritto alla salute nell'ordinamento italiano e fonda la pretesa soggettiva di servizi pubblici sanitari, ma allo stesso tempo prevede la libertà negativa a non essere obbligati a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e comunque sempre nel rispetto della persona umana8.

Secondo l'interpretazione maggioritaria, che legittima la massima autodeterminazione dell'individuo nelle scelte mediche, la lettura dell'articolo 32 permetterebbe dunque la facoltà di rifiutare in modo assoluto qualunque cura, tranne quelle definite obbligatorie dalla legge. Siffatta interpretazione assume maggiore rilevanza se confrontata con la definizione di salute data dall’Organizzazione Mondiale della sanità, recepita dalla giurisprudenza italiana9.

La definizione formulata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è, da più di sessant'anni, la seguente: "La salute è uno stato di

completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità".

Alla luce di ciò, il personale perseguimento del benessere, anche psichico oltre che fisico, può dunque persino derivare da un’astensione dalle cure e non può ammettere imposizioni esterne poiché si andrebbe contro quella definizione di salute il cui contenuto va individuato nella sfera delle scelte individuali10.

8 Articolo 32 della Costituzione italiana 9 Cass., Sez. I Civile, 16 ottobre 2007 n. 21748

10 S. ROSSI, Il Parlamento, la Cassazione e il diritto di Eluana, in www.forumcostituzionale.it, 2008, p. 3- 13.

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La libertà negativa di non avvalersi delle cure è tuttavia limitata nei casi previsti dalla legge che, in queste circostanze, non può comunque violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana e, dato il forte carattere personalistico della Costituzione, ciò induce a ritenere che tale imposizione possa aver ragion d'essere solo nei casi di interesse strettamente collettivo11.

In tutti gli altri casi, la Costituzione dà la prevalenza assoluta al principio di autodeterminazione individuale, talché sarebbe illegittimo qualsiasi trattamento sanitario applicato in assenza o contro la volontà dell’avente diritto, ancorché per salvaguardare il suo benessere.

L'intervento medico può prescindere comunque dalla volontà del paziente nello stato di necessità e urgenza, in cui non sia possibile attendere o accertare la prestazione del consenso per incoscienza o rischio di morte dello stesso, in qualità di scriminante al consenso12.

Si impone, ad ogni modo, sia nel caso di trattamento obbligatorio sia di emergenza la necessità di preservare il malato dai rischi di degenerazione della terapia verso l’accanimento terapeutico che annulla l'utilità delle terapie per il paziente nella prospettiva di un trattamento fine a se stesso13.

Un paziente quindi che si trovi di fronte ad una situazione particolarmente grave, in base al principio del consenso informato, può senza dubbio rinunciare alle cure, sebbene questo possa portarlo alla morte. L'art. 32 Cost., infatti, non prevede ulteriori limiti al criterio della volontarietà dei trattamenti sanitari in caso di rischio di morte14.

Tuttavia parte della dottrina non considera valida tale lettura della disposizione e antepone l'interesse dell'ordinamento all'intangibilità e indisponibilità del corpo umano al principio di autodeterminazione in base al presupposto che il primo comma dell'articolo 32 inquadra la tutela della salute non solo come diritto fondamentale dell’individuo ma anche come interesse della collettività15.

11 L. CARLASSARE, La Costituzione, la libertà, la vita, in www.costituzionalismo.it, 2009

12 S. GAMBINO, Diritto alla vita, libertà di morire con dignità, tutela della salute. le garanzie dell’art. 32 della costituzione, www.forumcostituzionale.it, 2011

13 A. D'ALOIA, Diritto di morire? La problematica dimensione costituzionale della “fine della vita”, in Politica del diritto, 1998, p. 613 ss.

14 A. VALLINI, Il valore del rifiuto di cure “non confermabile” dal paziente alla luce della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, in Dir. Pubbl. 2003, p 190

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Infatti si sostiene, che, sebbene tale diritto sia appannaggio dell'individuo, la salute non possa essere minimamente compromessa dalle scelte personali del soggetto16.

Tutto ciò in virtù del un superiore interesse collettivo di una società in salute composta da individui che possano contribuire allo sviluppo dell'ordinamento, interpretando di conseguenza il secondo comma della disposizione limitatamente alla libertà dell'individuo di scegliere un trattamento sanitario piuttosto che un altro.

Tuttavia la maggior parte della dottrina è critica verso questa interpretazione del diritto alla salute inteso come un dovere alla salute, oltretutto non ci sono altri riferimenti normativi che confermino la lettura di un tale dovere, in considerazione soprattutto del tenore delle altre disposizioni costituzionali che in generale dimostrano di porre la persona al centro delle finalità di tutela17.

1.2.1. L'inesistente contrasto tra l'articolo 5 cc e la Costituzione

Si potrebbe opporre, a quanto precedentemente affermato, che un limite all'applicabilità del principio in esame possa essere il contrasto con il valore dell'integrità fisica, derivante dalla lettura dell'articolo 5 del codice civile, che vieta gli atti di disposizione che conducono ad una diminuzione permanente dell’integrità fisica, quelli contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume. Tale norma, negando che ciascuno possa disporre del proprio corpo quando ciò comporti una diminuzione permanente dell’integrità fisica, impedirebbe il rifiuto di cure salvavita, e quindi implicherebbe un obbligo di curarsi.

Tuttavia l'affermazione del diritto all'autodeterminazione come espressione del principio personalistico e della libertà personale ha aperto ad una nuova interpretazione dell’art. 5 c.c. Essendo il rifiuto di trattamenti terapeutici un diritto inviolabile della persona, immediatamente precettivo ed efficace nell’ambito del nostro ordinamento, non può quindi sussistere alcuna limitazione derivante da norme gerarchicamente inferiori come l'art. 5 del codice civile18.

Se si accedesse infatti alla lettura opposta, giungendo a dimostrare

www.forumcostituzionale.it, 2008, p. 12 ss.

16 T. CHECCOLI, Brevi note sulla distinzione fra eutanasia attiva e passiva, in www.forumcostituzionale.it, 2008, p. 12 ss.

17 Ibidem

18 Interpretazione fornita da Cass. pen., Sez. Un., 21 gennaio 2009, n. 2437, udienza del 18 dicembre 2008, in Dir. pen. e proc., 2009, p. 447

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il divieto di rifiuto delle cure da parte del malato, si otterrebbe un'interpretazione costituzionalmente illegittima in aperto contrasto con l’articolo 32 della Costituzione19.

Secondo quindi l'interpretazione dominante20, tale articolo

vieterebbe solo gli atti di disposizione del proprio corpo positivi, di automutilazione, non anche quelli negativi, quali, primo fra tutti, il rifiuto di cure mediche; sicché non ci si potrebbe appellare ad esso per invalidare un eventuale dissenso del paziente a determinate cure né per legittimare un intervento autonomo del medico21.

L'articolo assume rilevanza, quando quella libertà di autodeterminazione in ordine al proprio corpo si concreta in una violenza che comporta una menomazione permanente ed irrimediabile dell'integrità fisica su se stessi senza arrecare vantaggio né alla salute del soggetto agente né a quella di terzi, mentre quando l'atto non integra e non raggiunge tali estremi prevale il principio di libertà22.

1.3. Il principio del consenso all’atto medico

Dall'analisi degli articoli 13 e 32 Cost., in tema di cure mediche, si trae dunque l'obbligo del consenso informato.

Senza di esso perciò nessuna attività terapeutica può ritenersi lecita, in quanto la salute è un diritto che l'individuo può ricondurre alla sua sfera più intima di autodeterminazione.23

Questa regola fa risaltare l’autonomia del paziente nel suo rapporto con il personale medico e porta a diminuire quegli approcci che ignorerebbero la volontà del paziente.

Oltre che nella Costituzione italiana, anche in altre fonti si ravvisa il diritto dell'individuo di poter dare liberamente o rifiutare il suo consenso ad ogni intervento sulla propria persona.

Secondo infatti il Comitato di Bioetica, creato nel 1992 come organo consultivo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si ritiene tramontata la stagione del paternalismo medico in cui il

19 T. CHECCOLI, Brevi note sulla distinzione fra eutanasia attiva e passiva, in www.forumcostituzionale.it, 2008, p. 14 ss.

20 V. RIZZO, Atti di disposizione del corpo e tecniche legislative , Rass. DC, 1989, p 624 ss.

21 R. ROMBOLI, La libertà di disporre del proprio corpo, Art. 5, in F. Galgano (a cura di), Commentario del codice civile Scialoja – Branca, Della persone fisiche, Bologna – Roma, 1988, p. 301 ss.

22 Ibidem

23 A. D'ALOIA, Al limite della vita: decidere sulle cure, in Quaderni costituzionali, 2010 fasc. 2, pp. 237 – 267

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sanitario si sentiva, in virtù del mandato, legittimato ad ignorare le scelte del paziente quando fossero in contrasto con l'indicazione clinica.

Il principio del consenso informato è stato ormai pienamente recepito anche dall’ordinamento giuridico, dalla giurisprudenza24 e dalla prassi medica trovandosi espresso nell’art. 33 della legge n. 833 del 23 dicembre del 1978 di istituzione del servizio sanitario nazionale e in varie disposizioni del codice di deontologia medica, in particolare agli articoli 35 e 38.

Quindi nella relazione medico-paziente, il rapporto terapeutico si fonda sul consenso informato del soggetto malato. La decisione di curarsi è una scelta di volontà, fatte salve quelle situazioni in cui l'ordinamento può imporre trattamenti sanitari obbligatori, quando cioè la cura è necessaria per impedire conseguenze negative per la salute degli altri consociati.

Il modello di relazione terapeutica incentrato sul consenso informato del paziente presuppone che il soggetto sia in grado di esprimere una volontà consapevole di avviare/continuare ovvero di rifiutare/interrompere la cura, nel momento in cui gli viene proposto o indicato come necessario l'intervento terapeutico da effettuare25.

Il principio del consenso informato è stato recepito anche nella CEDU26 e nella Costituzione Europea27.

A questo punto è doveroso il richiamo alla Convenzione di Oviedo, ratificata nell'ordinamento italiano con la legge n. 145 del 28 marzo 2001, in quanto delinea importanti principi connessi con la materia dell’autodeterminazione terapeutica.

24 Cass., Sez. I Civile, 16 ottobre 2007 n. 21748

25 C. CASONATO, Il consenso informato Profili di diritto comparato, in Diritto pubblico comparato ed europeo 2009

26 Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina : Convenzione sui Diritti dell'Uomo e la biomedicina, Capitolo II Articolo 5 – Regola generale: Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso.

27 Articolo II-63: Diritto all'integrità della persona 1. Ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. 2. Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: a) il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge b) il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone c) il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro d) il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani.

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La Convenzione, adottata dal Consiglio d'Europa nel 1997 come ausilio interpretativo della CEDU, si propone di garantire “la dignità dell’essere umano e i diritti e le libertà fondamentali della persona” contro gli eventuali pericoli connessi ad un uso improprio delle potenzialità offerte dai progressi scientifici in ambito medico28.

Per tutta la dichiarazione si evidenzia una visione di assoluta centralità della persona umana rispetto all’attività medica, ribadendo la funzionalità di quest’ultima agli interessi del soggetto29.

Gli articoli della Convenzione che risultano utili per la trattazione sono contenuti nel Capitolo II interamente dedicato al consenso del paziente alle terapie mediche.

L’art. 5 della Convenzione30 prevede la regola generale

secondo cui l’intervento medico risulti legittimo solo a seguito del consenso libero e informato della persona interessata lasciando intendere che il sanitario debba necessariamente compiere solo gli atti medici autorizzati dal paziente, il quale oltretutto deve aver ricevuto in merito ad essi un’informazione adeguata, e dispone che il paziente possa sempre revocare il consenso sui trattamenti in corso.

L’art. 6 si occupa in particolare delle persone incapaci e stabilisce che l’intervento medico, non potendo essere legittimato dal consenso, non possa essere praticato su questi pazienti, se non per diretto beneficio degli stessi31.

Il riferimento nella norma ai benefici per il malato incapace non sembra molto chiaro, in quanto da un lato potrebbe lasciar intendere la salvaguardia della salute fisica del paziente o della vita stessa, secondo la teoria dell’in dubio pro vita, dall'altro la tutela del suo “best interest”, corrispondente alla valorizzazione della personalità del soggetto, per lo meno nei casi in cui ciò sia possibile.

Lo stesso articolo, nei commi successivi, e gli altri articoli del Capitolo II, tuttavia sembrano protendere verso la seconda ipotesi. Infatti, occupandosi dei minori e dei soggetti interdetti, l’art. 6

28 Preambolo della Convenzione di Oviedo

29 A. VALLINI, Il valore del rifiuto di cure “non confermabile” dal paziente alla luce della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, in Dir. Pubbl. 2003 p 195

30 Art. 5, Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Ogni persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso.”

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conferisce al rappresentante, ad un’autorità o a persona o organo designato dalla legge, il compito di autorizzare il consenso che legittimi l’intervento medico. Ma aggiunge anche che nel caso del minore il suo parere venga preso in considerazione come “fattore determinante, in funzione dell’età e del suo grado di maturità”32 e a

seguito di una procedura di autorizzazione in entrambi i casi.33

La volontà individuale subisce una limitazione molto forte nell’ipotesi in cui si versi in una situazione di urgenza che escluda la possibilità di acquisire un consenso da parte del paziente.

In tal caso, come prevede l’art. 8 della Convenzione34, in mancanza

di indicazioni da parte del malato, e alla luce di quanto si legge nel successivo articolo, nemmeno di volontà precedentemente espresse35, l’interesse alla protezione della salute fisica della persona

deve essere comunque garantita dal medico “non emergendo in alcun modo un interesse personale contrario e prevalente rispetto a quello alla salute”36, che può quindi legittimamente intervenire con

il trattamento appropriato.

Passando infine all’art. 9 si legge che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico, da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione”37, la

Convenzione ha inserito una regola che conferisce una qualche rilevanza alle dichiarazioni anticipate di trattamento38.

L’espressione “tenere in considerazione”, evidenzia una certa ambiguità che rende difficoltosa l’interpretazione, non apparendo del tutto chiaro se le dichiarazioni del malato, sulla base dell'articolo 9, debbano essere considerate vincolanti per il medico o se questi le possa ignorare.39

32 Art. 6, comma 2, Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina

33 A. VALLINI, Il valore del rifiuto di cure “non confermabile” dal paziente alla luce della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, in Dir. Pubbl. 2003 p 195

34 Art. 8, Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina: “Allorquando in ragione di una situazione di urgenza, il consenso appropriato non può essere ottenuto, si potrà procedere immediatamente a qualsiasi intervento medico indispensabile per il beneficio della salute della persona interessata.”

35 A. VALLINI, Il valore del rifiuto di cure “non confermabile” dal paziente alla luce della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, in Dir. Pubbl. 2003 p 196

36 Ibidem

37 Art. 9, Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina

38 C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica. Il caso dell'eutanasia, Jovene, 2004, p. 114.

39 C. CASONATO, Le dichiarazioni anticipate di trattamento: analisi critica di un diritto possibile, reperibile al sito del progetto Biodiritto del Dipartimento di scienze

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Tuttavia sembra che, postulando la Convenzione il rispetto della volontà del paziente incapace attraverso la prescrizione di una valutazione medica delle volontà pregresse40, l'unico margine di

discrezionalità dell'autorità sanitaria discende dalla necessità di verificare la corrispondenza tra direttive anticipate, da cui emerga anche la consapevolezza di eventuali rischi di morte derivanti da un rifiuto di trattamenti medici41, e caso il concreto.

In particolare la norma, considerando possibile la manifestazione di volontà contraria alla terapia, non si giustificherebbe il motivo di vietarla per gli incapaci, con l’unica differenza tra il caso delle dichiarazioni attuali e quelle pregresse di una maggiore difficoltà, nell'accertare l’effettiva esistenza di un rifiuto alle cure, poiché sarebbe in concreto più problematico comprendere se esso effettivamente si conformi alla particolare situazione42.

In conclusione, la Convenzione sembra disporre il rispetto dell’autonomia di decidere del paziente, nei limiti in cui la sua volontà possa essere acquisita o verificata, garantendo anche la tutela della scelta di rifiutare i trattamenti medici.

Da ciò deriva la possibilità per il malato di esercitare il suo diritto di autodeterminazione terapeutica anche laddove ne derivi un rischio per la vita, in quanto la salvaguardia della sua volontà e della personalità prevale sull’interesse pubblico al mantenimento in vita. Nonostante la rilevanza internazionale della Convenzione, alla quale l'Italia ha aderito, si deve rilevare che l’applicabilità di tali norme all’ordinamento interno italiano appare piuttosto controversa. Pur essendo intervenuta la legge del 28 marzo 2001, n. 145, di ratifica della Convenzione, infatti, essa non è stata ancora depositata presso il Consiglio d’Europa, come occorrerebbe per completare la procedura.43

Pertanto l’Italia, pur risultando tra i paesi firmatari della convenzione, non compare tra quelli che l’hanno ratificata

giuridiche di Trento

40 C. CASONATO, Le dichiarazioni anticipate di trattamento: analisi critica di un diritto possibile, reperibile al sito del progetto Biodiritto del Dipartimento di scienze giuridiche di Trento

41 P. VERONESI, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della norma, Giuffrè, Milano. 2007 p 251

42 A. VALLINI, Il valore del rifiuto di cure “non confermabile” dal paziente alla luce della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, in Dir. Pubbl. 2003, p. 209 ss

43 C. CASONATO, Le dichiarazioni anticipate di trattamento: analisi critica di un diritto possibile, reperibile al sito del progetto Biodiritto del Dipartimento di scienze giuridiche di Trento

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pienamente. Il risultato, quindi, è che nel nostro ordinamento la convenzione non ha pieno valore giuridico.44

Gran parte dei principi espressi nella Convenzione, comunque, sono già parte del nostro ordinamento giuridico: in particolare il principio del consenso informato, come più volte ribadito, è ricavabile dalle norme di rango costituzionale.

Si deve inoltre notare che il contenuto della Convenzione è stato recepito, nella parte inerente alle direttive anticipate, dal Codice di deontologia medica del 2006 che prevede che il medico non possa non tenere conto di quanto manifestato precedentemente dal paziente45.

Va infine ricordato che, secondo la prevalente dottrina46 e

parte della giurisprudenza47, la Convenzione non è affatto priva di

effetti nel nostro ordinamento giuridico in quanto risulta riconosciuta la sua funzione di criterio interpretativo per il giudice e di linea guida per il legislatore.

1.3.1. Il principio del consenso nella giurisprudenza italiana

Nonostante, dal punto di vista legislativo, l'Italia non abbia provveduto pienamente ad improntare una regolamentazione esaustiva volta a recepire concretamente il principio del consenso informato e dell'autodeterminazione in ambito di cure mediche48, la

recente giurisprudenza di legittimità ha affrontato la questione alla luce delle interpretazioni finora emerse.

La sentenza della Cassazione civile n. 21748/2007 è quella che più nello specifico e ampiamente si è espressa a riguardo.

Secondo la Cassazione “il principio del consenso informato esprime una scelta di valore, nel modo di concepire il rapporto tra medico e paziente, a favore della libertà di autodeterminazione

44 C. CASONATO, Le dichiarazioni anticipate di trattamento: analisi critica di un diritto possibile, reperibile al sito del progetto Biodiritto del Dipartimento di scienze giuridiche di Trento

45 Art. 38, comma 4, Codice di deontologia medica, 16 dicembre 2006: “Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato.”

46 C. CASONATO, Il malato preso sul serio: consenso e rifiuto delle cure in una recente sentenza della corte di Cassazione, in Quaderni Costituzionali, 2008

47 Ibidem

48 C. CASONATO, Le dichiarazioni anticipate di trattamento: analisi critica di un diritto possibile, par. 2.1, La legge 145 del 2001, ancora inefficace nel dare piena e intera esecuzione alla Convenzione, introduce di per se le disposizioni della Convenzione.

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terapeutica, che ha sicuro fondamento nelle norme della Costituzione e trova altrettanto sicuro riferimento nelle norme sopranazionali ed in quelle ordinarie”.

“Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale”.

"Deve escludersi che il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite, dovendosi ritenere che "la salute dell'individuo non possa essere oggetto di imposizione autoritativa-coattiva. Tuttavia, di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c'è spazio per una strategia della persuasione, perché il compito dell'ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c'è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c'è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico. Lo si ricava dallo stesso testo dell'art. 32 della Costituzione …".

"I trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge, sempre che il provvedimento che li impone sia volto ad impedire che la salute del singolo possa arrecare danno alla salute degli altri e che l'intervento previsto non danneggi, ma sia anzi utile alla salute di chi vi è sottoposto.

Il diritto, costituzionalmente garantito, alla salute, "come tutti i diritti di libertà, implica la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fase finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell'interessato, finanche di lasciarsi morire”.

L'obbligo giuridico del medico, di praticare e continuare la terapia, "fondandosi sul consenso del malato, cessa - insorgendo il dovere giuridico del medico di rispettare la volontà del paziente contraria alle cure - quando il consenso viene meno in seguito al rifiuto delle terapie da parte di costui".

Ricapitolando quanto emerso dalla giurisprudenza della Cassazione, si reputa necessario che il consenso debba essere:

1) specifico nel suo contenuto, e, conseguentemente, anche informato, dovendo coniugare il processo di determinazione autonoma con la situazione di debolezza emotiva del paziente stesso. In sostanza il malato ha il diritto di conoscere

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tutte le informazioni disponibili sulla propria salute e la propria malattia, e avere la possibilità di scegliere, in modo informato, se sottoporsi a una determinata terapia.

2) Il consenso deve essere altresì libero, ossia frutto di una libera scelta del paziente ed espresso in condizioni di oggettiva normalità.

3) Il consenso deve essere inoltre qualificato da un lato dal necessario presupposto della capacità giuridica, dall'altro da una manifestazione di volontà che sia attuale, attendibile e sempre revocabile.

E' evidente che i conseguenti problemi di forma e di prova si presentano con particolare delicatezza così in condizioni di assente, limitata o perduta capacità, come nelle ipotesi di incapacità fisica.

In base al principio del consenso informato, dunque, un malato che necessita di una determinata cura deve poter valutare le terapie possibili e scegliere se accettare l’operazione o rifiutarla, allo stesso modo tale considerazione vale per il malato non cosciente che può decidere se continuare o meno le cure.

Tale consenso costituisce il fondamento della liceità dell'attività sanitaria, in assenza del quale tale l'attività costituirebbe una limitazione della propria libertà di autodeterminarsi.

Il fine della richiesta del consenso informato è dunque quello di promuovere l'autonomia o libertà di scelta dell'individuo nell'ambito delle decisioni mediche.

1.3.2. La valorizzazione dell'autodeterminazione dei soggetti incapaci nelle cure mediche attraverso le volontà pregresse

Il problema che si presenta a questo punto del discorso è quindi valutare l'applicabilità del principio dell'autodeterminazione a quelle situazioni in cui il malato non sia in grado di esprimere una volontà per incapacità sopravvenuta, che sia essa temporanea o permanente. L'autodeterminazione in materia di cure mediche riguarda, come si è detto, quella facoltà di compiere scelte in merito ai trattamenti a cui essere sottoposti, tuttavia rispettare tale volontà diventa più complesso quando si abbia a che fare con pazienti che non possano manifestare tale consenso/dissenso.

Bisogna infatti tenere conto anche in questi casi della volontà dell’interessato, sebbene attualmente incapace di esprimersi, per garantirgli la tutela del diritto di scegliere le proprie cure desumendo tale volontà da quegli aspetti interiori che le erano propri e nelle

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scelte compiute nel passato. Non si può negare al malato la sua autodeterminazione personale a causa della sua incapacità attuale, fino a diventare un mero oggetto di cura49, e per evitare ciò l’unico

criterio utile appare proprio quello di impostare le scelte terapeutiche sulle sue volontà pregresse.

In queste situazioni, per ovviare alla mancanza, una soluzione idonea è dunque quella di risalire alla volontà del paziente ricostruendola attraverso elementi emergenti in vita e presumendone la volontà50 prendendo in considerazione le indicazioni ricavabili da

quanto riportato dai familiari e conoscenti delle quali si fa portavoce il tutore legale51.

Proprio attuando le indicazioni ricostruibili dal passato del paziente attualmente privo di coscienza, infatti, si può rispettare nello stesso tempo il principio del consenso informato e la libera autodeterminazione del malato dinnanzi alle cure, come risulta deducibile dalle norme costituzionali e dalla giurisprudenza di legittimità e dalla convenzione di Oviedo.

Nonostante la soluzione prospettata appaia essere quella più idonea per valorizzare la volontà del malato incosciente52, parte

della dottrina ritiene inammissibile che il tutore legale possa decidere in sostituzione del paziente, in quanto il carattere personalissimo dei diritti in questione non consentirebbe che i terzi possano subentrare del tutto nelle decisioni dell'interessato53.

Infatti, l’impossibilità di ottenere una attuale manifestazione da parte del paziente e la delicatezza della decisione renderebbe incerta la validità delle dichiarazioni al caso concreto.

La questione diventa ancora più complessa e delicata soprattutto quando la scelta riguardi l'interruzione di cure salva-vita. In virtù di tale difficoltà alcuni, coerentemente al criterio dell’in dubio pro vita54, ritengono che il malato debba continuare ad essere 49 L. CARLASSARE, La Costituzione, la libertà, la vita, in www.costituzionalismo.it,

2009

50 E. STEFANINI, Direttive anticipate di trattamento: un percorso europeo, in Dir. Pubbl. comp. Ed europeo, 2006, p. 688

51 Così si è espressa la Cassazione per la ricostruzione della volontà presunta, in Cass., Sez. I Civile, 16 ottobre 2007 n. 21748, G. DI COSIMO, La Cassazione fra coscienza e incoscienza, in www.forumcostituzionale.it, 2009.

52 E. STEFANINI, Direttive anticipate di trattamento: un percorso europeo, in Dir. Pubbl. comp. Ed europeo, 2006, p. 688

53 A. D’ALOIA, Diritto di morire? La problematica dimensione costituzionale della “fine della vita”, in Politica del di diritto, 1998, p. 619.

54 A. VALLINI, Il valore del rifiuto di cure “non confermabile” dal paziente alla luce della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, in Dir. Pubbl. 2003 p 203

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mantenuto in vita in tutti quei casi in cui non vi sia concreta manifestazione di una scelta in merito alle terapie, ritenendo, in questo caso, che l’intervento medico sia doveroso, prevalendo la tutela della vita55. In questi termini l'interruzione delle cure verrebbe

considerata non solo come violazione del medico del dovere di curare, ma anche come una lesione del diritto alla salute in quanto non comprovata dalla certezza di un rifiuto attuale56.

All'opposto, viceversa, si osserva che anche il trattamento terapeutico nella precedente fattispecie è ugualmente sganciato del consenso e non potrebbe essere legittimo poiché risulterebbe imposto e quindi irrispettoso della norma di cui all’art. 32 Cost. Questo, infatti, prevedendo la necessità della manifestazione della volontà della persona, fa sì che il paziente, nonostante l’impossibilità di esprimere attualmente il proprio consenso, conservi comunque il diritto a determinarsi autonomamente57.

Di conseguenza risulterebbe più coerente una scelta che valorizzi la ricostruzione del best interest del paziente che, seppur sganciata dall'attualità e dalla certezza, rispecchierebbe in modo più adeguato la sua volontà.

Questa considerazione deriva dal fatto che, se si scavalca la volontà del soggetto, ciascun intervento, seppure nell’interesse del paziente, non appare sufficientemente garantistico per la persona, né legittimo, costituendo una vera e propria imposizione, tanto più grave quanto più inerme è il soggetto a cui viene inflitta58.

Il mancato rispetto di una volontà, benché incerta, comporta come risultato quello di vedere violato il diritto all’autodeterminazione e al rifiuto delle cure tutelato dalla Costituzione59.

Coerentemente a ciò, la giurisprudenza si è espressa favorevole alla ricostruzione delle scelte del paziente attraverso dichiarazioni pregresse o dei parenti in modo tale da valorizzare in tutto e per tutto la volontà del malato60.

55 A. VALLINI, Il valore del rifiuto di cure “non confermabile” dal paziente alla luce della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, in Dir. Pubbl. 2003 p. 199

56 E. STEFANINI, Direttive anticipate di trattamento: un percorso europeo, in Dir. Pubbl. comp. Ed europeo, 2006, p. 690

57 A. VALLINI, Il valore del rifiuto di cure “non confermabile” dal paziente alla luce della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, in Dir. Pubbl. 2003 p 199

58 Ibidem

59 E. STEFANINI, Direttive anticipate di trattamento: un percorso europeo, in Dir. Pubbl. comp. Ed europeo, 2006, p. 690

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1.3.3. I poteri del tutore legale

Con riferimento ai soggetti incapaci legalmente di agire e di partecipare attivamente alle scelte mediche che li riguardano, l'ordinamento individua un soggetto cui conferisce un generale potere di cura della persona (si vedano ad esempio gli articoli 408, 410, 357, 424 codice civile), il tutore legale61.

Secondo la giurisprudenza62 si ritiene che, tra i compiti di

cura spettanti al tutore, vi sia pure la legittimazione ad esprimere o rifiutare il consenso al trattamento terapeutico nell'interesse del soggetto, attribuendo al coinvolgimento del rappresentante legale una funzione di garanzia63.

Tuttavia è tuttora aperto il problema del fondamento dei limiti dei poteri sostitutivi in capo rappresentante legale a causa dalla notevole rilevanza oggettiva degli interessi in gioco.

Si è infatti dubitato che per l'esercizio dei diritti della personalità, come ad esempio il diritto alla salute, possa operare l'istituto tecnico della rappresentanza legale64.

A tal proposito la sentenza della Cassazione civile n. 21748/2007 ha precisato alcuni fondamentali passaggi applicabili in generale al caso del consenso/dissenso al trattamento medico. A prescindere dallo stadio di capacità, si ritiene fondamentale ricreare il dualismo dei soggetti del processo di elaborazione della decisione medica: tra medico che deve informare in ordine alla diagnosi e alle possibilità terapeutiche e il paziente che, attraverso il legale rappresentante, possa accettare o rifiutare trattamenti prospettati65.

Ciò posto, la corte di cassazione ha tuttavia correttamente riconosciuto che il carattere personalissimo del diritto alla salute dell'incapace comporta che l'istituto della rappresentanza legale non trasferisce sul tutore, il quale è investito di una funzione di diritto privato, un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di incapacità66.

Il potere è infatti sottoposto al duplice vincolo della corrispondenza all'esclusivo interesse del paziente e alla sua

61 M. A. PICCINNI, I diritti in medicina a cura di L. Lenti, E. Palermo, P. Zatti, Milano, Giuffrè, 2011, p. 376

62 Corte d'appello di Milano decreto 31/12/1999

63 M. A. PICCINNI, I diritti in medicina a cura di L. Lenti, E. Palermo, P. Zatti, Milano, Giuffrè, 2011, p. 382

64 Ibidem 65 Ibidem 66 Ibidem

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presunta volontà.

Questo limite stabilito dalla cassazione nel caso di specie per l'interruzione di mezzi di sostegno vitale della persona in stato vegetativo permanente può ritenersi operante più in generale per il caso di decisioni sanitarie da prendere nell'interesse di persone non in grado di decidere67.

In ogni caso, laddove si pervenisse ad un conflitto, non sanabile nell'ambito della relazione tra il medico ed il rappresentante legale del paziente, circa la corrispondenza al miglior interesse di quel determinato paziente, il medico, salvo il caso di emergenza/urgenza, non potrà superare la valutazione posta in essere dal rappresentante legale, ma avrà il solo potere dovere di sollecitare l'intervento di controllo dell'autorità giudiziaria (articolo 384 del codice civile)68.

1.4 Il divieto dell'accanimento terapeutico

La questione dell'accanimento terapeutico nasce come risvolto negativo dell'enorme progresso scientifico e tecnologico in campo medico. Se da un lato attraverso le moderne tecniche mediche si è reso possibile il mantenimento in vita di individui altrimenti condannati inesorabilmente alla morte, consentendo di modificare profondamente la naturale evoluzione di molte malattie, favorendo il recupero di numerosi pazienti in condizioni critiche e il miglioramento della loro condizioni di vita, dall'altro, tuttavia, non è raro che l'assistenza terapeutica applicata indiscriminatamente possa superare il limite del reale beneficio per il paziente e produrre un'esistenza meramente biologica nella quale la qualità della vita è estremamente bassa aggiungendosi anzi alle sofferenze insite nella malattia, quelle connesse agli stessi trattamenti.

Richiamando il testo dell'articolo 16 del codice di deontologia medica del 200669, si definisce accanimento terapeutico

il ricorso a quei “trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita”.

67 M. A. PICCINNI, I diritti in medicina a cura di L. Lenti, E. Palermo, P. Zatti, Milano, Giuffrè, 2011, p. 382

68 Ibidem

69 Art. 16 Codice di deontologia medica, 16 Dicembre 2006: “Il medico, anche tenendo conto della volontà del paziente laddove espresse, deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita”

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1.4.1. Una definizione di accanimento terapeutico elaborata dal Comitato Nazionale per la Bioetica del 14 luglio 1995

Da questo punto di vista sarebbe dunque positivo individuare una classificazione di tutte quelle terapie inquadrabili nella fattispecie dell'accanimento terapeutico come ulteriore baluardo al best interest del paziente, in particolare, dal quale non sia stato possibile ricavare volontà pregresse.

Tuttavia il concetto stesso di accanimento risulta problematico in quanto non univocamente inteso dalla dottrina70. Spesso infatti non è facile determinare in modo assoluto quando una terapia sia da considerare utile e arrechi un miglioramento o viceversa sia solamente fonte di sofferenze per il paziente.

Appare dunque di difficile inquadramento l'esatta portata di tale concetto nei trattamenti medici, in quanto, allo stato attuale non si è ancora affermata a livello scientifico una nozione operativa unanimemente condivisa, né tantomeno la fattispecie è stata definita sul piano legislativo.

Tra le definizioni richiamate con maggiore frequenza dalla vi è quella elaborata dal comitato nazionale per la bioetica71.

Secondo la relazione del comitato, l’accanimento terapeutico può essere definito come un “trattamento di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un’ulteriore sofferenza, in cui l'eccezionalità dei mezzi adoperati risulta chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica”.

Il primo aspetto rilevante è dunque quello della documentata inefficacia e inutilità della terapia.

Si sostiene nel documento che l'accanimento, coerentemente a quanto contenuto all'articolo 16 del codice di deontologia medica, consisterebbe nella prosecuzione ostinata di un trattamento che risulti inutile per il paziente in quanto non in grado di apportare effetti benefici e né tanto meno finalizzato al benessere del paziente medesimo.

Il secondo aspetto, a cui però non fa riferimento il codice di deontologia medica, è quello della gravosità del trattamento che rischia di determinare nuove e ulteriori sofferenze fisiche e morali,

70 P. VERONESI, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della norma, Giuffrè, Milano. 2007

71 Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana del 14 luglio 1995 e il parere Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico del 24 ottobre 2008

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tali da configurare un atteggiamento di “violenza terapeutica”. Il terzo aspetto della definizione è quello della eccezionalità dei mezzi terapeutici che non debbano essere sproporzionati agli obiettivi che il medico si prefigge di raggiungere.

La relazione del comitato nazionale per la bioetica del luglio 1995 delinea inoltre le condizioni in cui può verificarsi l’accanimento terapeutico, ovvero in quella di malato terminale e

stato vegetativo permanente, mentre nel caso di morte cerebrale si

tratta di un'assodata fattispecie di accanimento terapeutico, in quanto si erogherebbero delle cure ad un corpo umano senza vita.

Per malato terminale si intendono i pazienti con patologie inguaribili, allo stato attuale delle tecniche medico-scientifiche, sia in stato di coscienza che non più autonomi. Sono proprio questi pazienti che maggiormente espongono al rischio di una condotta terapeutica errata, sia nel senso di una condotta astensiva che appunto di accanimento72.

Lo stato vegetativo permanente, definito anche “morte corticale”73 è caratterizzato da una totale incoscienza e percezione dell'ambiente esterno per il venir meno definitivamente di gran parte delle funzioni encefaliche a cui si aggiunga la cessazione di altre funzioni biologiche autonome, quali quella cardiaca e a volte anche quella respiratoria, senza condurre alla morte se predisposte le adeguate terapie di sostentamento vitale74.

Si potrebbe quindi ritenere che a seguito di una patologia così grave e definitiva la vita sia ormai cessata75.

Appare quindi fondamentale richiamare la definizione di morte perché se si ritenesse una persona in stato vegetativo deceduta allora ogni trattamento medico dovrebbe essere logicamente interrotto, non avendo più alcuna utilità e configurando direttamente il caso di accanimento terapeutico76.

A seguito di un lungo dibattito si è pervenuto, qualche decennio fa, alla definizione di morte come cessazione di tutte le funzioni cerebrali, per l’appunto “morte cerebrale”77. Questo criterio

72 Definizione tratta dal sito del ministero della salute http://www.salute.gov.it/ 73 P. VERONESI, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della

norma, Giuffrè, Milano. 2007 p 216

74 P. VERONESI, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della norma, Giuffrè, Milano. 2007 p 234.

75 E. MAZZARELLA, P. CORSINI, P.CIRIELLO, S. ZAMPA, D.MATTESINI, R.ZACCARIA, G. MELIS, Le dichiarazioni anticipate di trattamento: un contributo alla discussione, in www.forumcostituzionale.it, 2009

76 A. GIACALONE, Profili giuridici dell'eutanasia, in www.filodiritto.com, 2005, p. 40 77 P. VERONESI, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della

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appare il più ragionevole ed è sostenuto dalla normativa italiana. La legge 578 del 1993 sull’accertamento e certificazione della morte recepisce il modello di morte cerebrale e lo stesso compare nella L.91 del 1999 sul trapianto degli organi78, per cui è possibile riferirsi a questo come al concetto rispetto al quale raffrontare i casi di stato vegetativo permanente.

Lo stato vegetativo permanente, alla luce della definizione accolta dalla normativa italiana, non rientra quindi nel concetto di morte perché la compromissione encefalica, sebbene gravissima e molto estesa ma non totale, riguarda solo il tronco corticale79.

Di conseguenza l'importanza di definire il concetto di accanimento terapeutico rileva in particolar modo in questi casi in cui il paziente si trova di fronte ad una situazione senza uscita in quanto contribuisce ad avvalorare la decisione del medesimo a valorizzare la sua facoltà di autodeterminarsi anche di fronte cure salva-vita.

1.4.2. Criteri di valutazione dell'accanimento terapeutico

La questione dunque consiste nello stabilire se le terapie prestate possano costituire una forma di accanimento terapeutico nell'SVP e nei malati terminali. Occorre quindi precisare quando si possa parlare di accanimento terapeutico e quali siano le conseguenze a livello giuridico della sua individuazione.

A detto riguardo, deve comunque rilevarsi come i tentativi volti a chiarire il concetto di ostinazione nelle cure risulta inevitabilmente particolarmente complesso, poiché il giudizio circa benefici derivanti dalle cure e la qualità di vita da essere garantita va rimesso alla valutazione e percezione dell'interessato80.

Ne consegue che, per valutare se un trattamento configuri un eccesso, vengono solitamente due differenti criteri di valutazione: uno di carattere oggettivo fondato su elementi quali l'inefficacia o futilità del trattamento e quindi apprezzabili da un punto di vista strettamente clinico scientifico, l'altro di indole soggettiva basato sulla ricerca dell'eventuale manifestazione di volontà del malato incapace e dettata dalla sua personale percezione del trattamento e

norma, Giuffrè, Milano. 2007 p 214

78 P. VERONESI, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della norma, Giuffrè, Milano. 2007 p 214

79 Ibidem

80 R. CAMPIONE, Accanimento clinico ed eutanasia sotto la lente del rifiuto (attuale ed informato) di cure, in forum di quaderni costituzionali.

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dell'utilità che da esso può derivare81.

Quanto al rapporto tra i summenzionati criteri, occorre, in linea generale, affermare la prevalenza del parametro soggettivo, qualora esso sia reperibile e ricavabile, rispetto a quello fondato sugli elementi obiettivamente valutabili82. Si deve infatti ritenere

che siano proprio le determinazioni espresse dall'interessato a guidare prevalentemente l'operato del sanitario e a garantirlo dal rischio di sconfinare in un'ostinazione di cura. Per dissipare ogni dubbio in merito all’utilità della cure e al loro rispetto della dignità del malato è dunque necessario valutarle secondo il punto di vista soggettivo del malato.

È necessario comunque evidenziare che laddove manchi la possibilità di ottenere delle indicazioni dal paziente e che tali indicazioni non possano nemmeno essere ricostruite sulla base della sua volontà pregressa, il medico, in base all’art. 16 del codice di deontologia medica, può legittimamente interrompere le cure quando queste, secondo un adeguato apprezzamento scientifico del caso concreto, costituiscano un accanimento per le sofferenze prodotte e in caso di assenza di miglioramenti della condizione fisica o di speranze di recupero della coscienza83.

Quando dunque si dispone di informazioni certe sulla volontà del malato, tendenti o al rifiuto delle cure salva vita o viceversa a perseverare con le cure, in quanto suo diritto secondo la Costituzione, il criterio dell’accanimento terapeutico diventa uno strumento meramente sussidiario e subordinato, su cui comunque prevale sempre la volontà del malato84.

Possiamo dunque concludere, affermando che l'accanimento terapeutico consiste nel risvolto negativo del diritto di determinare il proprio rifiuto alle cure mediche.

81 R. CAMPIONE, Accanimento clinico ed eutanasia sotto la lente del rifiuto (attuale ed informato) di cure, in forum di quaderni costituzionali.

82 Ibidem

83 P. VERONESI, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della norma, Giuffrè, Milano. 2007 p 236.

84 L. CARLASSARE, La Costituzione, la libertà, la vita, in www.costituzionalismo.it, 2009

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1.5. Il rapporto medico-paziente alla luce del principio dell'autodeterminazione

Come osservato nei paragrafi precedenti, troviamo un ben definito quadro di riferimento dal quale, per le questioni etiche che vi sono sottese, si possono trarre risposte e soluzioni che non lasciano dubbi riguardo all’accoglimento del principio di autonomia della persona in tema di cure mediche.

Come riportato nei paragrafi precedenti infatti, e come sottolineato dalla definizione di salute elaborata dall'OMS85

l'obiettivo di miglioramento del benessere e della qualità della vita del malato può essere raggiunto solo lasciando spazio alla soggettività del paziente, attraverso la valorizzazione del proprio diritto di autodeterminarsi nelle cure mediche.

È stato inoltre possibile osservare nella trattazione di questo capitolo che nel nostro ordinamento si stanno ponendo le condizioni per un progressivo adeguamento a tale modo di concepire il diritto alla salute che inevitabilmente comporta un diverso rapporto medico-paziente.

Se la morte non è, infatti, più l’evento che il medico ha il dovere di impedire quando ha di fronte a sé un paziente che rifiuta un trattamento, e questo perfino nel caso in cui il trattamento sarebbe in grado di salvargli la vita, a maggior ragione si dovrà ritenere che il dovere del medico non è più quello di contrastare a tutti i costi la morte, ma quello di assecondare l'autonoma richiesta del paziente nel modo più coerente alle sue aspettative.

Dalle considerazioni che precedono si possono trarre precise indicazioni circa il modello di relazione paziente/operatori sanitari nella cui cornice affrontare e risolvere le questioni etiche di fine vita. Il modello in questione è quello di una “alleanza terapeutica”86,

improntata all’offerta di un’assistenza a tutto campo, non standardizzata, organizzata in modo da poter soddisfare in maniera specifica e mirata le esigenze non solo fisiche, ma anche psicologiche di ogni singolo malato e, soprattutto, che ogni individuo ha diritto di essere considerato “soggetto attivo” con una propria dignità sino alla fine della vita87.

85 L’OMS nasce il 22 luglio 1946 come organizzazione intergovernativa indipendente a carattere permanente a norma dell’art. 57 dello Statuto delle Nazioni Unite

86 Corte cost. 282/2002 competenza in materia di tutela della salute fra Stato e regioni e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali

87 Tale diritto è stato affermato nel primo degli articoli di cui si compone la Carta dei diritti dei morenti, un documento realizzato nel 1997 dal Comitato per l’etica di fine vita (CEF).

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1.6. Conclusione: la libertà di lasciarsi morire

E’ possibile forse, a questo punto, provare a trarre qualche conclusione in tema di libertà di morire. In primo luogo, può dirsi che la libertà personale nella sua concezione più ampia, letta congiuntamente al principio personalista di cui all’art. 2 Cost., garantisca al soggetto, o se si preferisce, imponga allo Stato di garantire al soggetto attraverso un comportamento non invasivo, la libertà di decidere per ciò che attiene alla propria personalità ed alla propria coscienza88.

In secondo luogo, in tema sanitario, può dirsi che la scelta individuale del soggetto possa essere limitata soltanto laddove vi sia una legge che lo preveda e un’esigenza di pericolo per la salute altrui, sempre che ciò non incida sul rispetto della persona.

Così, i trattamenti volti a impedire la morte di un soggetto che abbia rifiutato le cure e stia per morire, ovvero che abbia intrapreso uno sciopero della fame e stia per morire, o che abbia assunto una sostanza mortale e stia per morire ma rifiuti di sottoporsi ad una lavanda gastrica (e così per tutti gli altri casi consimili) sono da considerarsi tutti, indiscutibilmente, trattamenti sanitari in assenza di legge specifica e contro la volontà, e in questi casi pare che si debba concludere che il soggetto debba essere lasciato morire. A queste conclusioni si potrebbe obiettare dicendo che, al momento della scelta fra intervenire o meno di fronte alla morte chiaramente imminente, prevale la necessità di salvare la vita umana. Tuttavia se così fosse si arriverebbe alla conclusione che l’art. 32 e 13 Cost. non valgono nel caso di concreto rischio di vita. A questo si potrebbe replicare affermando che il limite della perdita della vita non compare nell’art. 32 secondo comma, e pertanto limitare una disposizione che garantisce un diritto, che è anche un diritto all’astensione da parte di terzi dall’intervento sul proprio corpo, attraverso un principio quale il dovere di vivere, appare scelta di non facile condivisione89.

Si potrebbe a questo punto pensare di approfittare della perdita di conoscenza del soggetto, che, sostanzialmente, non potrebbe più difendere “fisicamente” la propria scelta e sarebbe perciò alla mercè altrui.

L’immagine che si profila è quella da un lato di un medico che attende pazientemente il decorso della malattia fino al momento in

88 Corte Costituzionale nella sentenza n. 467 del 1991 in Giurisprudenza italiana, 1992, I, 1,630.

89 T. CHECCOLI, Brevi note sulla distinzione fra eutanasia attiva e passiva, in www.forumcostituzionale.it, 2008

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