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La sentenza della Cassazione n 21748 del 16 ottobre 2007

3. I casi che hanno riacceso il dibattito sul fine vita in Italia

3.2. Il lungo iter giudiziario di Eluana Englaro

3.2.1. La sentenza della Cassazione n 21748 del 16 ottobre 2007

La sentenza della Corte di Cassazione si concentra su un punto decisivo: quando sono in discussione trattamenti sanitari risalire alla volontà della persona è il criterio fondamentale, qualunque sia la condizione attuale del paziente, sia capace che incapace. La Corte individua il fondamento di tale principio nelle norme di cui agli artt. 2, 13 e 32 Cost., nella Convenzione di Oviedo del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e della biomedicina, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e infine nel codice di deontologia medica37.

Il provvedimento della Cassazione ha avuto infatti il merito di affrontare una questione di particolare importanza ovvero quella del consenso informato definendone, in via giurisprudenziale, gli elementi salienti (si veda in proposito il paragrafo 1.3.1), arrivando ad affermare che un malato che necessita di una determinata cura deve poter valutare le terapie possibili e scegliere se accettare l’operazione o rifiutarla.

Tale consenso costituisce il fondamento della liceità dell'attività sanitaria, in assenza del quale tale l'attività costituirebbe una limitazione della propria libertà di autodeterminarsi.

Allo stesso modo, si sostiene nella sentenza che tale considerazione vale anche per il malato non cosciente che può decidere se continuare o meno le cure.

“In caso di incapacità del paziente, la doverosità medica trova il

proprio fondamento legittimante nei principi costituzionali di ispirazione solidaristica, che consentono ed impongono

36 C. A. Milano, decr. 16 dicembre 2006. http://www.unipv-lawtech.eu/la-lunga- vicenda-giurisprudenziale-del-caso-englaro.html

37 A. SANTOSUOSSO, La volontà oltre la coscienza: la Cassazione e lo stato vegetativo, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2008 fasc. 1, pag 1-10

l'effettuazione di quegli interventi urgenti che risultino nel miglior interesse terapeutico del paziente, e tuttavia, anche in siffatte evenienze, superata l'urgenza dell'intervento derivante dallo stato di necessità, l'istanza personalistica alla base del principio del consenso informato ed il principio di parità di trattamento tra gli individui, a prescindere dal loro stato di capacità, impongono di ricreare il dualismo dei soggetti nel processo di elaborazione della decisione medica: tra medico che deve informare in ordine alla diagnosi e alle possibilità terapeutiche, e paziente che, attraverso il legale rappresentante, possa accettare o rifiutare i trattamenti prospettati”38. Una persona in uno stato di stabile incapacità non perde, quindi, i diritti che ha quando è capace.

Non si ritiene infatti che l'incapacità di esprimere una volontà sia tale da subordinare il principio del consenso informato e dell'autodeterminazione.

Ribadita la centralità della volontà del paziente, la Corte individua orientativamente le forme in cui possa essere espresso il consenso, anche nei casi di individui non più coscienti e quindi determinare, in questo caso, un’uguaglianza di trattamento.

Centrale, secondo la Cassazione, è la disposizione dell’art. 357 cod. civ., la quale, letta con l’art. 424 cod. civ., prevede che «Il tutore ha la cura della persona» dell’interdetto, investendolo cosi della posizione di soggetto interlocutore dei medici nel decidere sui trattamenti sanitari da praticare in favore dell’incapace39.

La Corte sottolinea inoltre che l’art. 6 della Convenzione di Oviedo al terzo comma prevede che l’intervento del medico sul paziente incapace non possa essere effettuato senza l’autorizzazione del rappresentante legale o di altro soggetto designato dalla legge e precisa che sebbene la Convenzione non sia stata ancora ratificata dallo Stato italiano, non risulta comunque del tutto priva di effetto nel nostro ordinamento in virtù della rilevanza dei principi che contiene40.

La ricostruzione della volontà del paziente e del suo modo di concepire la dignità è lo strumento, secondo la Suprema Corte, più adeguato per evitare condizionamenti personali del tutore e di far emergere la volontà del paziente.

38 A. SANTOSUOSSO, La volontà oltre la coscienza: la Cassazione e lo stato

vegetativo, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2008 fasc. 1, pag 1-10 che riporta la sentenza della Corte di Cassazione n. 21748 del 16 ottobre 2007 39 Ibidem

40 A. SANTOSUOSSO, La volontà oltre la coscienza: la Cassazione e lo stato

vegetativo, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2008 fasc. 1, pag 1-10 che riporta la sentenza della Corte di Cassazione n. 21748 del 16 ottobre 2007

Riguardo infatti i limiti dell'intervento del rappresentante legale, la Corte fissa i seguenti punti41:

1.

L' istituto della rappresentanza legale non trasferisce sul tutore un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza.

2.

Nel consentire il trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell'incapace, il tutore deve agire nell'esclusivo interesse dell'incapace, e deve decidere non al posto dell'incapace né per l'incapace ma con l'incapace.

3.

Nel ricostruire la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, il tutore deve tenere conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero deve desumere quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche.

4.

Il tutore deve preservare e tutelare la vita del soggetto incapace.

5.

Il tutore non può trascurare l'idea di dignità della persona, dallo stesso rappresentato, manifestata, prima di cadere in stato di incapacità, riguardo i problemi della vita e della morte.

La Suprema Corte successivamente passa a esaminare la questione della natura dei trattamenti.

Nel caso clinico di Eluana i trattamenti di mantenimento vitale assumevano una forma particolarmente complessa, che richiedeva un'intervento invasivo sul corpo del malato.

Stupisce tuttavia che la campagna contro la sospensione di tali trattamenti vitali ad Eluana veniva descritta dagli oppositori come una semplice somministrazione di acqua e di cibo, ritenendo che tali misure fossero da considerare alla stregua di quelle ordinarie di assistenza base42.

I giudici della Cassazione ne affermano tuttavia, senza margini di dubbio, il carattere terapeutico coerentemente a quanto sostenuto a riguardo dalla SINPE43 e dalla maggioranza della

41 A. SANTOSUOSSO, La volontà oltre la coscienza: la Cassazione e lo stato

vegetativo, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2008 fasc. 1, pag 1-10 che riporta la sentenza della Corte di Cassazione n. 21748 del 16 ottobre 2007 42 C. A. DEFANTI, I trattamenti di sostegno vitale, I diritti in medicina a cura di

Leonardo Lenti, Paolo Zatti, Milano, Giuffrè, 2011, p. 593

comunità scientifica internazionale44, che considerano le terapie applicate ad Eluana dei trattamenti medici a tutti gli effetti e, in quanto tali, prevedono la necessità del consenso informato45.

La decisione della Corte si poneva dunque in netta opposizione a quella assunta dal CNB nel parere del 30 settembre 2005 sull'alimentazione e idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente.

La Corte di Cassazione esprimendosi in merito ai trattamenti di sostegno vitale erogati ad Eluana ha inoltre affermato che, seppur una persona in SVP sia da considerare ancora in vita in quanto non vi è ancora la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo46, si tratta pur sempre di “una vita svuotata di ogni possibilità di esperienza relazionale e comunicativa, finanche di percezione emotiva sensoriale di quello che accade intorno al malato, e rappresenta solo l'effimero trionfo di una tecnica sempre più potente e al tempo stesso sempre più astratta ed impersonale”47. In questo caso, come anche in tutte quelle condizioni in cui si ha a che fare con un corpo che non è più in grado di funzionare da solo, che non riesce più a sostenere le funzioni vitali, se non aiutato dalla tecnica, “sospendere questi sostegni vitali potrebbe allora rappresentare una scelta di non impedire che la morte, un ritirarsi della tecnica di fronte ad un processo di consumazione della vita ormai irreversibile”48.

La Cassazione ritiene possibile la sospensione del trattamento artificiale di mantenimento in vita in qualità di “estremo gesto di rispetto dell’autonomia del malato in stato vegetativo permanente”, a seguito della valutazione di una manifestazione di volontà nell’interesse dell’incapace espressa dal tutore legale49.

La Cassazione afferma che il rifiuto di cure salvavita non possa intendersi come una forma di eutanasia, ma piuttosto come “un

atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua

implicazioni più bioetiche della nutrizione artificiale, SINPE, gennaio 2007, www.sinpe.it

44 C. A. DEFANTI, I trattamenti di sostegno vitale, I diritti in medicina a cura di Leonardo Lenti, Paolo Zatti, Milano, Giuffrè, 2011, p. 593

45 Ibidem

46 Lo ha affermato la suprema corte di cassazione nella sentenza del 2007 sul caso Englaro

47 A. D'ALOIA, Il diritto di rifiutare le cure e la fine della vita. Un punto di vista costituzionale sul caso Englaro, 2009

48 A. D'ALOIA, Eutanasia, Digesto delle materie pubblicistiche, aggiornamento V, pag. 327

49 Sentenza della Cassazione n. 21748 del 16 ottobre 2007, http://www.altalex.com/index.php?idnot=38683

il suo corso naturale” di fronte al quale insorge per il medico il

dovere giuridico di astenersi dalle cure, proprio perché l’intervento medico si configura come legittimo solo in presenza del consenso del malato50.

La Suprema Corte quindi accoglie il ricorso e rinvia la causa ad una diversa Sezione della Corte d’Appello che, conformandosi a quanto disposto, avrebbe dovuto rilasciare l'autorizzazione all’interruzione dei trattamenti qualora avesse accertato il requisito della sussistenza di una volontà presunta di Eluana conforme a tale istanza.

La Corte d’Appello di Milano coerentemente alla regola di giudizio ricostruita dalla Cassazione, attraverso un’accurata indagine sulla vita e sulla personalità di Eluana, rileva una sua inequivocabile volontà contraria alla sopravvivenza della mera vita biologica e autorizza il 9 luglio 2008 con decreto l’interruzione delle cure51.

Nonostante l’acceso dibattito e le aspre critiche che, principalmente in ambito politico, hanno riguardato l’operato dei giudici, va tuttavia sottolineato il grande valore delle due pronunce, caso Welby ed Englaro, le quali dimostrano di saper collocare al centro del percorso argomentativo e della decisione, il paziente, “inteso come portatore di diritti della personalità inviolabili, a prescindere dallo stato di incapacità”, la cui tutela è assicurata tramite il ruolo attribuito al tutore di garante del best interest e dell’identità del rappresentato52.