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4. La pianificazione anticipata

5.2. Gli ordinamenti a tendenza impositiva

5.2.2. Un quadro generale sull'eutanasia negli Stati Uniti

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha da tempo individuato un right to refuse medical treatment che trova un aggancio tanto a livello costituzionale, sia federale che statale, quanto a livello di common law che di legislazione ordinaria.

Tale diritto comprende, già nella sua dimensione costituzionale, la facoltà di rifiutare trattamenti sia life-saving che life-sustaining23.

Il tendenziale riconoscimento negli Stati Uniti del diritto di rifiutare le cure salva-vita, e la dichiarazione perciò del principio di autodeterminazione in ambito medico a livello federale venne proclamato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti nei primi anni Novanta nel caso Cruzan v. Director Missouri Department of Health. Tale sentenza ha assunto particolare rilevanza inoltre per

19 G. SMORTO, Note comparatistiche sull'eutanasia, Relazione tenuta in occasione di un Incontro di studio interdistrettuale ed interdisciplinare sul tema:

“Autodeterminazione, Diritto alla vita, Eutanasia e Tutela Prenatale”, 2007 20 C. CASONATO, Morte dignitosa e sospensione delle cure: ordinamenti giuridici a

confronto, reperibile al sito

http://www.jus.unitn.it/biodiritto/pubblicazioni/06_pubblicazioni.html 21 Ibidem

22 G. SMORTO, Note comparatistiche sull'eutanasia, Relazione tenuta in occasione di un Incontro di studio interdistrettuale ed interdisciplinare sul tema:

“Autodeterminazione, Diritto alla vita, Eutanasia e Tutela Prenatale”, 2007 23 Ibidem

l'imposizione di un onere della prova del rifiuto delle cure mediche particolarmente rigoroso nei casi di soggetti non più capaci d’intendere e volere.

Dopo essere stata coinvolta in un incidente stradale, Nancy Cruzan era caduta in stato vegetativo permanente, con conseguente necessità di essere sottoposta a dei trattamenti di sostentamento vitale. I genitori chiesero alla struttura sanitaria dove Nancy era ricoverata di sospendere l’alimentazione artificiale, sulla base delle presunte volontà della paziente.

Di fronte alla ferma opposizione del personale medico, i familiari intentarono una causa dinnanzi al Tribunale di primo grado perché questo emettesse un ordine di interruzione dei trattamenti24.

L’accoglimento del ricorso da parte della Corte di primo grado si fondava sul diritto, di matrice costituzionale, all’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale, rispetto al quale uno Stato non si sarebbe potuto opporre. La Corte stabilì, poi, che la volontà della donna avrebbe potuto essere provata con ogni mezzo, compreso il ricorso alla testimonianza di una ex compagna di stanza25.

La pronuncia venne impugnata dallo Stato e dal Procuratore Distrettuale in qualità di guardian ad litem di Nancy.

La Corte Suprema del Missouri, in data 16 novembre 1988, ribaltò la decisione affermando che la semplice dichiarazione fatta ad un familiare “di non voler sopravvivere come un vegetale” non bastava a determinare la reale intenzione del paziente e ad avvalersi del diritto di rifiutare le cure26.

I genitori della Cruzan chiamano la Corte Suprema del Missouri davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti che accoglie la decisione del giudice del Missouri27.

Si sostiene infatti che la posizione di un soggetto capace non può essere equiparata a quella di un soggetto incapace, con riferimento al quale la presenza di rilevanti interessi statali, come quello della tutela della vita o della necessità di evitare abusi, è idonea a giustificare l’imposizione di restrizioni al diritto di interruzione dei trattamenti28.

24 Cruzan v Director, Missouri Department of Health, 497 US 261 (1990)

25 G. SMORTO, Note comparatistiche sull'eutanasia, Relazione tenuta in occasione di un Incontro di studio interdistrettuale ed interdisciplinare sul tema:

“Autodeterminazione, Diritto alla vita, Eutanasia e Tutela Prenatale”, 2007 26 Ibidem

27 A. SANTOSUOSSO, Il paziente non cosciente e le decisioni sulle cure: il criterio della volontà dopo il caso Cruzan, ne Il foro italiano, 1991, parte IV, coll. 66-72 28 G. SMORTO, Note comparatistiche sull'eutanasia, Relazione tenuta in occasione di

Non viene messo in discussione il tradizionale principio secondo cui una persona cosciente può rifiutare legittimamente il trattamento medico vitale, ma attraverso tale provvedimento si ribadisce ancora più autorevolmente che, in mancanza di una volontà effettiva e cosciente del paziente, non è sostenibile il ricorso ad alcun giudizio sostitutivo quando è circondato da dubbi, esigendo comunque e sempre la prova chiara e convincente che così facendo si rispettano o si avrebbe il rispetto dei desideri di un paziente attualmente incosciente.

L’esame della decisione del caso Cruzan conferma, comunque, che la pretesa all’interruzione dei trattamenti sia configurabile alla stregua di un diritto del malato, come è dimostrato dal fatto che le limitazioni al suo esercizio, sulla cui legittimità costituzionale la Corte Suprema è stata chiamata a pronunciarsi, sono tutte relative alla ben diversa fattispecie del paziente incosciente29.

Uno dei primi significativi esempi di legislazione statunitense in tema di diritto al rifiuto dei trattamenti di sostegno vitale e living wills è stato elaborato dalla California.

Con il Natural Death Act del 1976, tuttora in vigore, lo Stato della California riconosce il diritto dei malati terminali di compiere le decisioni sulle proprie cure, comprese quelle di rifiuto e interruzione delle terapie di “sostenimento vitale”30, anche attraverso delle

direttive scritte, riconoscendo che il prolungamento della vita oltre i naturali limiti significherebbe “mortificare la dignità e provocare loro dolore e sofferenze inutili senza fornire alcunché di necessario o di benefico dal punto di vista medico”31.

Il paziente inoltre, qualora non sia più in grado di manifestare la sua volontà, attraverso la dichiarazione anticipata può richiedere che le terapie di sostenimento vitale vengano interrotte o non intraprese qualora venga diagnosticata la fase terminale della malattia, e queste indicazioni divengono vincolanti per i familiari e il medico, in

“Autodeterminazione, Diritto alla vita, Eutanasia e Tutela Prenatale”, 2007

29 G. SMORTO, Note comparatistiche sull'eutanasia, Relazione tenuta in occasione di un Incontro di studio interdistrettuale ed interdisciplinare sul tema:

“Autodeterminazione, Diritto alla vita, Eutanasia e Tutela Prenatale”, 2007 30 È così inteso, secondo la legge, “ogni mezzo o intervento medico che utilizzi

apparecchiature meccaniche per sostenere o riattivare o sostituire una naturale funzione vitale e che, una volta applicata al paziente con prognosi infausta, servirebbe soltanto a postergare in maniera artificiale il momento della morte, allorché, a giudizio del medico, questa appaia imminente pur se tali mezzi vengano impiegati”, in C. TRIPODINA, Il diritto nell’età della tecnica, p. 325, nota 139. 31 C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica: il caso dell'eutanasia, profili

quanto “espressione definitiva del diritto di rifiutare trattamenti medici o chirurgici”32.

Il medico che segua le volontà attuali o pregresse del malato è esonerato dalla responsabilità penale, civile o deontologica, in quanto la legge configura l’evento come morte naturale e non integrerebbe la fattispecie dell’aiuto al suicidio, che al pari dell’eutanasia attiva, costituiscono ancora reati33.

Questa impostazione, della quale è pienamente riconosciuta la legittimità, è stata recepita da molti altri stati e ha avviato il processo di armonizzazione delle legislazioni intorno al tema di autodeterminazione dei malati terminali sulle terapie di prolungamento della vita34.

Il diritto al rifiuto, in ogni caso, ha assunto un contenuto esclusivamente negativo e la Corte Suprema federale non ha mai accettato di intenderlo in termini di right to die35.

Emblematica a tal proposito è la sentenza Vacco v. Quill. La questione fu sollevata da un gruppo di medici che sostenevano che la legge dello Stato di New York violasse il Quattordicesimo Emendamento, in quanto un paziente, pur potendo rifiutare le cure in caso di malattia terminale, non godeva del diritto di autorizzare il medico a porre fine alla propria vita, ritenendo fosse la stessa cosa36.

La Corte Distrettuale federale di primo grado deliberò in favore dello Stato di New York, tuttavia la corte del secondo circuito (Corte federale d'Appello), accogliendo l'impugnazione dei medici, dichiarò l'incostituzionalità della legge che puniva il suicidio assistito. Il provvedimento fu ulteriormente impugnato di fronte la Corte Suprema federale che affronta la questione e rigetta il provvedimento della Corte inferiore37.

La Corte Suprema ha infatti confermato che il divieto di New York relativo al suicidio assistito era costituzionale, riconoscendo come interesse legittimo dello Stato quello di vietare tale pratica.

32 C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica: il caso dell'eutanasia, profili comparatistici, Jovene, Napoli, 2004, p. 326

33 C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica: il caso dell'eutanasia, profili comparatistici, Jovene, Napoli, 2004, p. 327

34 C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica: il caso dell'eutanasia, profili comparatistici, Jovene, Napoli, 2004, p. 329

35 C. CASONATO, Morte dignitosa e sospensione delle cure: ordinamenti giuridici a confronto, reperibile al sito

http://www.jus.unitn.it/biodiritto/pubblicazioni/06_pubblicazioni.html 36 Vacco v Quill, 521 US 793

Si ritiene che la distinzione tra il lasciarsi morire rifiutando un trattamento (eutanasia passiva) e il provocare la morte (eutanasia attiva e suicidio assistito) sia fondata, logica e ragionevole38.

La decisione sostiene infatti come le leggi, nella fattispecie quelle dello Stato di New York, che vietano l’aiuto al suicidio debbano essere oggetto di una forte presunzione di legittimità, in quanto non toccherebbero alcun diritto fondamentale, limitando così la portata del diritto all'autodeterminazione nelle scelte di fine vita ed escludendo allo stesso modo come diritto fondamentale la facoltà di chiedere di essere uccisi39.

Emblematico a tal proposito è inoltre il Federal Assisted Suicide Funding Restriction Act del 1997 il quale vieta che i fondi di imposta federale non siano usati per pagare e promuovere il suicidio assistito o l'eutanasia40.

Ciò che preme precisare è in conclusione che sia la sentenza in commento che la legge federale in questione non mirano comunque a vietare che la legislazione di uno Stato possa prevedere o meno ciascuna delle due pratiche attive, tuttavia si intende affermare, sempre a livello federale, che il right to die non possa essere identificato alla stregua di un diritto fondamentale.