2. Scelte di fine vita: tra diritto al rifiuto di cure ed eutanasia
2.4. L’intervento di un terzo per l’esercizio della propria libertà d
Si è visto nei precedenti paragrafi che la definizione di eutanasia, basata sulla differenza tra azione ed omissione del medico rispetto alla verificazione dell'evento morte, non appare sufficiente65.
L'insufficienza di tale definizione è particolarmente evidente
61 S. CANESTRARI, Relazione di sintesi. Le diverse tipologie di eutanasia: una legislazione possibile, in S. CANESTRARI – G. CIMBALO – G. PAPPALARDO, Confronto tra discipline, Torino, Giappichelli, 2003, p. 218.
62 Ibidem 63 Ibidem 64 Ibidem
tuttavia nell’ipotesi concernente il distacco delle apparecchiature di sostegno vitale, dove la morte è immediata conseguenza dell'atto. Ci si riferisce all'interruzione e alla rimozione dei presìdi di mantenimento in vita, che in alcune circostanze di particolare gravità dello stato patologico, possono innescare un processo che porta alla morte in modo rapido e scontato.
In questi casi, l'interruzione del trattamento di sostegno vitale sembra essere qualcosa in più rispetto al lasciar che la malattia faccia il suo corso. Staccare le macchine determina la morte del soggetto, a volte con una rapidità che si avvicina molto alla immediatezza dell'atto eutanasico in senso stretto66.
Pertanto la dicotomia attiva/passiva rimane utile solo a livello descrittivo e non pare essere un elemento utile per distinguere il lecito dall’illecito67.
Si consideri che, alla luce della teoria della conditio sine qua non68, anche un'omissione comporta responsabilità penale e ciò renderebbe illecita dunque anche l'eutanasia passiva.
In tal caso tuttavia a legittimare la fattispecie interviene il principio del consenso che scrimina l'omissione del medico.
Per superare le difficoltà del caso del distacco delle apparecchiature mediche si potrebbe ricorrere alla stessa soluzione, ovvero configurare la condotta del terzo come necessaria a permettere l’esercizio di un diritto o libertà nel caso in cui il soggetto non possa agire compiutamente da solo69, e quindi in qualità di scriminante
della responsabilità del terzo che interviene.
Si consideri a tal proposito l'esempio del caso Welby (che verrà approfondito più avanti) che, a causa della sua condizione patologica, non poteva esercitare il suo diritto a rifiutare le cure autonomamente, al pari di chi decide di alzarsi dal suo letto di ospedale ed andarsene a casa ad aspettare la morte.
Il suo rifiuto di cure, che è atto di autodeterminazione, non gli poteva essere negato, ed è in quest'ottica che risulta necessario, per essere esercitato, l’intervento di un terzo.
Non a caso, il giudice dell’udienza preliminare che ha
66 A. D'ALOIA, Eutanasia, Digesto delle materie pubblicistiche, aggiornamento V 67 A. D'ALOIA, Eutanasia, Digesto delle materie pubblicistiche, aggiornamento V che
richiama A. RUGGERI, appunti per uno studio sulla dignità dell'uomo, secondo diritto costituzionale, in Associazione italiana dei costituzionalisti, 2010, pag. 17. 68 A. D'ALOIA, Eutanasia, Digesto delle materie pubblicistiche, aggiornamento V che
rimanda a T. PADOVANI, Diritto penale e fattispecie criminose. Introduzione alla parte speciale del diritto penale, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 158 e ss.
69 T. CHECCOLI, Brevi note sulla distinzione fra eutanasia attiva e passiva, in www.forumcostituzionale.it, 2008
pronunciato sentenza di non luogo a procedere nei confronti del dottor Riccio, nonché il consiglio dell’ordine dei medici competente che ha ritenuto lo stesso dottore non perseguibile70, aderendo a tale
argomentazione, hanno ritenuto lecita la condotta del medico. Si è perciò affermato che, fra il “divieto di causare la morte” (Welby, si ricordi, avrebbe continuato a vivere a tempo indefinito, non quanto un uomo “sano” ma la sua morte non era affatto imminente) e il diritto a rifiutare le cure, debba prevalere quest’ultimo. Pertanto, la condotta del medico non può essere perseguibile.
A voler trarre una conclusione dalla vicenda in esame, si potrebbe in astratto formulare il precetto per cui di fronte al soggetto che voglia rifiutare le cure, andando in contro alla propria morte, senza poterlo fare autonomamente, il dovere di non causare la morte deve recedere, ed il medico può intervenire.
Ne consegue che, dal momento in cui il soggetto non voglia più il trattamento sanitario che gli è praticato, esso diventa senza consenso e come tale imposto coattivamente, il che non è accettabile71.
2.4.1. L'articolo 3 della costituzione e la rimozione degli ostacoli all'esercizio di una propria libertà
In ossequio alla concezione personalista della Costituzione, si deve ritenere che scelte come quelle che coinvolgono il corpo e la salute del soggetto siano da tutelare e rispettare in ossequio del principio dell'autodeterminazione finché esse siano compiute all’interno della propria sfera del soggetto agente, mentre si debba valutare in modo ponderato il bilanciamento da operare laddove gli effetti dell’atto sul proprio corpo coinvolgano terzi72.
Tale bilanciamento può essere effettuato prendendo in considerazione l’art. 3 della Costituzione, che proclama il principio di uguaglianza nel nostro ordinamento. Se è infatti legittimo lasciarsi morire, risulta davvero difficile accettare che chiedere il distacco dalle macchine, sebbene attraverso l’intervento di un terzo,
70 Il Consiglio dell’Ordine dei medici di Cremona, in Bioetica, 2007, n. 2, che peraltro, come ivi riportato, non ha mancato di generare dissensi anche fra i suoi stessi “associati”.
71 T. CHECCOLI, Brevi note sulla distinzione fra eutanasia attiva e passiva, in www.forumcostituzionale.it, 2008
72 C. CASONATO, Fine vita: il diritto che c’è, in www.forumcostituzionale.it, 2008 richiamando R. ROMBOLI, La libertà di disporre del proprio corpo, Art. 5, in F. Galgano (a cura di), Commentario del codice civile Scialoja – Branca, Della persone fisiche, Bologna – Roma, 1988, p. 241.
non sia ottenibile esclusivamente per una situazione di fatto che rende incapace di agire autonomamente73.
L’art. 3 presenta una “caratterizzazione in senso (anche)
programmatico”, alla quale possono annettersi varie conseguenze,
ovvero “l'inesauribile mobilità della sua indicazione
riequilibratrice e l'ampiezza dell'orizzonte operativo”74 che investe
tutti i settori del sistema giuridico.
I principi contenuti nell’articolo 3 e, in particolar modo nel nostro caso, le formule “rimozione degli ostacoli” e “pieno sviluppo
della persona”, sono principi fondamentali dell’ordinamento75.
Pare dunque infatti di poter dire che sussistendo una libertà da tutelare, quella di lasciarsi morire, l’art. 3 secondo comma della Costituzione sia applicabile anche al caso in esame.
Il soggetto in questione (si pensi al tetraplegico che non vuole più vivere ma non è materialmente in grado di uccidersi da solo) è senza dubbio un soggetto “debole” o “svantaggiato”, che vuole esercitare una propria libertà che è riconosciuta ad altri i quali, ed a differenza di lui, possono esercitarla autonomamente.
Risulta davvero difficile pensare che non si tratti di un ostacolo che deve essere rimosso76.
In questo senso la dicotomia eutanasia attiva/passiva può continuare ad essere usata a fini descrittivi tuttavia identificando non la modalità di esecuzione della pratica bensì la causa dell'evento.
Il caso dell'eutanasia attiva è conseguenza della volontà del paziente all'induzione alla morte, il caso dell'eutanasia passiva è conseguenza della volontà di rifiutare trattamenti medici, in qualunque modo esso avvenga, nel rispetto del diritto dell'autodeterminazione medica.
73 T. CHECCOLI, Brevi note sulla distinzione fra eutanasia attiva e passiva, in www.forumcostituzionale.it, 2008
74 C. CASONATO, Fine vita: il diritto che c’è, in www.forumcostituzionale.it, 2008 75 A. D'ALOIA, Eutanasia, Digesto delle materie pubblicistiche, aggiornamento V 76 T. CHECCOLI, Brevi note sulla distinzione fra eutanasia attiva e passiva, in
www.forumcostituzionale.it, 2008 riprendendo A. ALGOSTINO, I possibili confini del dovere alla salute, in Giurisprudenza costituzionale, 1996, p. 3219.