4. La pianificazione anticipata
5.2. Gli ordinamenti a tendenza impositiva
5.2.3. L'eutanasia secondo la corte di Strasburgo
Trattando della liceità dell'eutanasia, risulta necessario volgere l'attenzione più in generale alla presa di posizione da parte della corte CEDU in tema di scelte di fine vita.
A tal proposito di fondamentale importanza appare la sentenza della Corte di Strasburgo del 2002 sul caso Diane Pretty.
Analizzando il contenuto della decisione e i principi che vi si trovano espressi è possibile ricavare l’orientamento seguito dalla Corte in tema di eutanasia.
La sentenza riconosce l'inviolabilità del diritto di rifiutare le cure, e quindi come diretta conseguenza l'eutanasia passiva, ma esclude che ciò possa implicare anche il diritto di morire, sebbene senza precludere del tutto la questione dell'eutanasia attiva e del
38 C. CASONATO, Morte dignitosa e sospensione delle cure: ordinamenti giuridici a confronto, reperibile al sito
http://www.jus.unitn.it/biodiritto/pubblicazioni/06_pubblicazioni.html
39 C. CASONATO, Morte dignitosa e sospensione delle cure: ordinamenti giuridici a confronto, reperibile al sito
http://www.jus.unitn.it/biodiritto/pubblicazioni/06_pubblicazioni.html 40 Ibidem
suicidio assistito lasciando così spazio di autonomia decisionale a ciascuno stato europeo riguardo tali pratiche.
La questione fu sollevata alla Corte di Strasburgo da Mrs Diane Pretty, afflitta da una grave malattia che l'aveva condotta alla paralisi, dopo aver esperito inutilmente tutti i rimedi previsti dall'ordinamento giudiziario inglese per chiedere che il marito fosse sollevato da responsabilità penale qualora l’avesse aiutata a suicidarsi affinché le venisse riconosciuto il diritto di morire41.
La signora Pretty riteneva infatti un proprio diritto quello di decidere le modalità della propria morte ed evitare le sofferenze che il genere di malattia le avrebbe comportato42.
Dopo l'ennesimo rigetto anche di fronte la House of Lords, alla quale si era rivolta per denunciare in appello l'incompatibilità del Suicide Act con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la donna si appellò alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e chiamò in giudizio il Regno Unito, denunciando la violazione degli articoli 2, 3, 8, 9 e 14 della CEDU43.
Il primo profilo di incompatibilità del Suicide Act, secondo la ricorrente, derivava dalla violazione dell’art. 2 della Convenzione Europea, che affermava che “il diritto alla vita di ogni persona è protetta della legge”44.
La norma in questione, secondo le motivazioni del ricorso sollevato da Mrs Pretty, tutelerebbe non la vita in senso biologico, ma il diritto alla vita, inteso anche come diritto all’autodeterminazione in merito alle decisioni inerenti alla propria esistenza, che includerebbe il diritto a scegliere di morire per evitare una condizione mal tollerata.
Questa interpretazione non fu però condivisa dalla corte, affermando che il diritto alla vita, in quanto bene imprescindibile per il godimento degli altri diritti, non ricomprende il profilo negativo, ovvero il diritto a morire o il diritto alla scelta della morte e pertanto ritenne che nessuna violazione fosse rinvenibile nella previsione dell’aiuto al suicidio come reato da parte della legge inglese.45
41 C. CASONATO, Introduzione al biodiritto, Giappichelli, Torino, 2006, pag. 162 42 C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica: il caso dell'eutanasia, profili
comparatistici, Jovene, Napoli, 2004, p. 295 ss.
43 C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica: il caso dell'eutanasia, profili comparatistici, Jovene, Napoli, 2004, p. 296 ss.
44 Art. 2, comma 1, Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, Consiglio d'Europa, 1950
45 C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica: il caso dell'eutanasia, profili comparatistici, Jovene, Napoli, 2004, p. 298 ss.
Anche la tesi di una violazione dell’art. 3 CEDU, che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti, da parte dello Stato inglese, responsabile, secondo la ricorrente, per non aver previsto un’eccezione al divieto di aiuto al suicidio strumentale ad evitare che una cittadina patisse sofferenze assimilabili ai trattamenti disumani, venne rigettata dalla Corte Europea46.
La pronuncia, pur riconoscendo che i dolori patiti per la malattia, se associati a particolari condizioni, possono procurare sofferenze simili ai predetti trattamenti, ha riscontrato che la condizione della donna non derivava dalla responsabilità pubblica.
Si affermava ancora una volta l'impossibilità di depenalizzare l'aiuto al suicidio strumentale47.
Terzo motivo del ricorso era relativo all’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare e prevede che nessuna ingerenza da parte dell’autorità pubblica possa limitarlo, a meno che essa sia prevista per legge e costituisca una misura necessaria e democratica48.
La Corte, in risposta, da un lato riconosce la validità della motivazione e fonda il riconoscimento della tutela della vita in senso qualitativo e di tutte le scelte del paziente relative alle cure, anche del rifiuto dei trattamenti salvavita, sul presente articolo, dall'altro pur affermando che l’autorità pubblica non possa interferire con l'autodeterminazione individuale dei cittadini, riconosce che ciascuno Stato, in conformità a quanto previsto nell’art. 8 della Convenzione Europea, possa dotarsi di leggi che limitino tale libertà sulla base delle esigenze di salvaguardia della salute e sicurezza pubblica49.
L'ordinamento inglese infatti attraverso la previsione contenuta nel Suicide Act, allo scopo di garantire la tutela delle persone più deboli, non ha compreso eccezioni al divieto di suicidio assistito in quanto questo avrebbero attenuato l’efficacia della legge50.
Per quanto riguarda la compatibilità della legge inglese con l’art. 9 sulla libertà di pensiero, di coscienza e di religione51, 46 C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica: il caso dell'eutanasia, profili
comparatistici, Jovene, Napoli, 2004, p. 298 ss. 47 Ibidem
48 Dall’art. 8, comma 2, Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, Consiglio d'Europa, 1950.
49 C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica: il caso dell'eutanasia, profili comparatistici, Jovene, Napoli, 2004, p. 302 ss.
50 Ibidem
51 Art. 9, comma 1, Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, Consiglio d'Europa, 1950.
secondo la ricorrente il divieto di suicidio assistito integrerebbe una violazione, perché non rispetterebbe una forma di manifestazione della coscienza individuale.
La Corte ha ritenuto che le convinzioni alla base della volontà di Mrs Pretty non potessero identificarsi con il “credo” menzionato e protetto dalla norma e soprattutto che la sua manifestazione, ossia il suicidio mediante aiuto esterno, non corrispondesse alle pratiche a salvaguardia delle quali si pone l’articolo.52
L’ultimo principio che viene richiamato di fronte la Corte è quello del divieto di discriminazione, contenuto all’art. 14 della Convenzione Europea53.
Si denunciava che la previsione del divieto di aiuto al suicidio determinerebbe una discriminazione nei confronti delle persone impossibilitate fisicamente a darsi la morte, rispetto alle persone autonome, in quanto impossibilitate dalla propria condizione che rende necessario, appunto, l’aiuto di un terzo.
La Corte, al contrario, ha osservato che la ragione di tale trattamento diversificato ricavabile dal Suicide Act, mediante la previsione di un divieto assoluto di aiuto al suicidio, sia giustificato dalla necessità di impedire agli incapaci fisicamente, ritenuti più deboli mentalmente, eventuali abusi.54
Pertanto la Corte di Strasburgo nega l'incompatibilità del Suicide Act con i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e rigetta il ricorso.