UNIVERSITÀ DI PISA
DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Dottorato di Ricerca in Filologia, Letteratura e Linguistica
Settore Scientifico-Disciplinare: L-LIN/10 – Letteratura Inglese
Tesi di Dottorato
Malinconia e nostalgia nell’opera di Jhumpa Lahiri.
Vulnerabilità e resilienza
Relatori
Prof.ssa Biancamaria Rizzardi
Prof. Fausto Ciompi
Coordinatore
Prof. Gianni Iotti
Candidato
Dott. Angelo Monaco
INDICE
INTRODUZIONE 1
CAPITOLO PRIMO
Malinconia e nostalgia definizioni e sovrapposizioni 9
1.1 Definire la malinconia tra patologia e ingegno 9
1.2 Per una definizione di nostalgia: due modelli a confronto 16
1.3 Malinconia e nostalgia: lo sguardo anamorfico tra loss e lack 22
1.4 Racial Melancholia e Postcolonial Nostalgia: malinconia, nostalgia e migrazione 27
CAPITOLO SECONDO
Trauma, spazio e intertestualità 32
2.1 Trauma e scrittura: traumatic memory e memory place 32
2.2 Spazio e paesaggio tra ecocritica e teoria postcoloniale 41
2.3 L’idioletto intertestuale di Lahiri tra etica e minority cosmopolitanism 49
CAPITOLO TERZO
Dalla diaspora alla transnation: isotopie nostalgiche tra realismo,
postmoderno e off-modern 55
3.1 Nostalgia tra passato e futuro: delimitazioni di campo 55
3.2 Restorative nostalgia e diasporic imaginary: le isotopie delle origini
in Interpreter of Maladies 59
3.2.1 Il tropo della Mother India nella narrazione del diasporic imaginary 62
3.2.2 Culinary nostalgia: il cibo come metonymic gap del ritorno alle origini 70
3.2.3 La postcolonial nostalgia della vita domestica tra fratture affettive
e transizione identitaria 83
3.3 “[T]here’s always something missing”: reflective nostalgia, mancanza e
compensazione in The Namesake 94
3.3.1 Il doppelgänger nell’onomastica bengalese: dalla racial melancholia
alla transnation 100
3.3.2 Gli orizzonti della transnation tra passato e futuro 109
CAPITOLO QUARTO
Malinconia o anti-malinconia? Motivi del gotico e della geocritica
in Unaccustomed Earth 129
4.1 La scrittura della migrazione tra malinconia e anti-malinconia 129
4.2 Unaccustomed Earth: geocritica, filial gothic e remainder 135
4.3 Il tropo della transplantation in una ‘nuova terra’ tra rizoma e anamorfosi 140
4.4 Dinamiche del filial gothic e insiduous trauma 146
4.5 “Crippled with homesickness”: desiderio mimetico e cripta malinconica
nella model minority 153
4.6 La trilogia ‘Hema e Kaushik’: fiaba gotica o apocalissi ecocritica? 158
4.6.1 “Unburying the buried”: wilderness e oceanic dissolution 160
4.6.2 Trauma e fotografia: il riseppellimento della memoria diasporica 164
4.6.3 Ghost text e apocalissi: verso un orientamento geocritico del trauma? 170
CAPITOLO QUINTO
TheLowland e l’estetica green-postcolonial come fine del trauma 180
5.1 The Lowland tra romanzo multigenerazionale e Naxal novel 180
5.2 “Waiting for the return of the rain”: trauma e intertestualità
nel romanzo postcoloniale 187
5.3 Aîone Chronos: troppo tardi o troppo presto? 197
5.4 “[T]heir native soil turning corrosive”: il cronotopo della lowland
tra lieu de mémoire e memory place 204
5.5 “[T]he roots of the seedlings he’d planted washing away”:
il rizoma e l’estetica geocritica 209
5.6 “[M]oving seedlings to open ground”: neo-georgic ecology come
superamento della malinconia 218
CONCLUSIONI 229
ELENCO DELLE IMMAGINI 235
BIBLIOGRAFIA 239
1
INTRODUZIONE
The moments of transition, in which something changes, constitute the backbone of all of us. Whether they are a salvation or a loss, they are moments that we tend to remember. They give a structure to our existence. Almost all the rest is oblivion.
Jhumpa Lahiri, ‘Teach Yourself Italian’, The New Yorker
Obiettivo della ricerca è l’analisi della produzione letteraria in lingua inglese di Jhumpa Lahiri attraverso una lettura critica fondata sulla convergenza tra gli studi su malinconia e nostalgia. In altre parole, si intende proporre, sulla scorta di un dialogo fra i modelli critici in esame, un’interpretazione che faccia luce sulle soluzioni stilistiche, narrative e tematiche che caratterizzano l’estetica letteraria di Lahiri, la cui oeuvre ruota principalmente attorno alla sofferta assimilazione di immigrati di prima, seconda, e terza generazione. La scelta di attenersi alla produzione letteraria di Jhumpa Lahiri si inserisce nel dibattitto critico sviluppatosi al di fuori degli Stati Uniti, in modo particolare in Italia1, che ha sollevato dubbi riguardo l’inclusione della scrittrice indo-americana nel canone della letteratura americana, sud-asiatica, oppure in quello più vasto della world literature2.
Gran parte degli studi finora condotti sull’opera di Lahiri sono tendenzialmente orientati verso il modello della diaspora e della migrant fiction. Il migrante di origine bengalese, di estrazione sociale medio-alta e con un elevato livello culturale, rappresenta il classico protagonista della narrativa di Lahiri e la stessa scrittrice non ha mai nascosto il ruolo che l’India, più precisamente Calcutta, ha da sempre esercitato sul suo immaginario letterario:
1 Tra i riconoscimenti che Jhumpa Lahiri ha conseguito in Italia si ricordano il premio letterario “Città di Firenze
– Von Rezzori” nel 2008 e la laurea honoris causa in “Lingua e cultura italiana per l’insegnamento agli stranieri e per la scuola”, conferitale dall’Università per Stranieri di Siena nell’aprile 2015.
2 Naming Jhumpa Lahiri: Canons and Controversies è l’unico studio critico, di mia conoscenza, che analizza l’opera di
Jhumpa Lahiri dagli esordi nel 1999 fino al 2012. I saggi raccolti in questo volume cercano di definire la canonicità dell’autrice, dedicando attenzione all’analisi di diversi nodi tematici, come la questione identitaria e la dimensione biografica: cfr. L. DINGRA, F. CHEUNG, (eds), Naming Jhumpa Lahiri: Canons and Controversies, Lanham,
Lexington Books, 2012. Per quanto riguarda lo status della scrittrice in relazione alla world literature, si veda: R. J. C. YOUNG, ‘World Literature and Postcolonialism’, in T. D’HAEN, D. DAMROSCH, D. KADIR (eds), The Routledge Companion to World Literature, Oxon, Routledge, 2012, pp. 213-222.
2
Calcutta nourished my mind, my eye as a writer, and my interest in seeing things from different points of view. There’s a legacy and tradition there that we just don’t have here. The ink hasn’t dried yet on our lives here.3
Benché il personaggio tipo delle sue opere sia l’archetipo del brain drain post-19654, l’elemento etnico non costituisce l’unico aspetto informante la scrittura di Lahiri. Il senso di spaesamento dell’umanità dipinta dalla scrittrice scaturisce da una condizione identitaria labile che sfugge ai tentativi di trovare un’etichetta in grado di definire uno status identitario spurio.
La decisione di seguire l’intreccio tra malinconia e nostalgia deriva dal peso relativamente limitato che l’analisi di questi temi ha avuto nello studio di Jhumpa Lahiri. I due nodi tematici su cui si fonda la tesi sono accomunati dall’incapacità del soggetto di rispondere in maniera ‘sana’ rispetto alla propria vulnerabilità identitaria. Mentre nel caso della malinconia si osserva un’appropriazione e un’incapacità di metabolizzare il senso di perdita, con la nostalgia, invece, il soggetto cerca di tornare ad un passato percepito come fonte di piacere, il cui ricordo, tuttavia, genera sofferenza nel presente. Nella convinzione che la scrittrice mescoli situazioni etniche specifiche e condizioni umane universali, non si può non valutare l’impatto che il senso di smarrimento e sofferenza, condizione di base per tutti i flussi migratori e per quello sud-asiatico in modo particolare, ha sulla questione dell’identità personale e collettiva. La maggior parte dei personaggi di Lahiri si muove in un mondo biculturale, nelle vesti di interpreti e traduttori. Lo status di migranti li rende “translated men”5, come sostiene Salman Rushdie riprendendo l’etimologia del verbo ‘tradurre’. Essi operano come agenti di un processo di ‘transculturazione’ che “consente di trasportare da paese a paese non solo parole, ma anche concetti, idee, costumi, religioni, immagini e simboli”6. Nell’opera di Jhumpa Lahiri questa trasposizione è ulteriormente intensificata dalla mancanza di un sentimento di
3 N. DAS, Jhumpa Lahiri: Critical Perspectives, New Delhi, Pencraft International, 2008, p. 13.
4 Nel 1965 il Naturalization and Immigration Act (Hart-Celler Act) abolì il sistema delle quote, che aveva fino ad allora
regolato i flussi migratori negli USA, introducendo un modello fondato sulle capacità professionali dei migranti e sull’istanza di ricongiungimento familiare. La nuova politica di immigrazione americana agevolò l’arrivo di tecnici, ingegneri, ricercatori e scienziati, provenienti in modo particolare dal subcontinente indiano.
5 S. RUSHDIE, Imaginary Homelands: Essays and Criticism. 1981-1991, London, Granta Books, 1991, p. 17. 6 S. ALBERTAZZI, La letteratura postcoloniale. Dall’Impero alla World Literature, Roma, Carocci, 2013, pp. 136-137.
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appartenenza linguistica definita, ragione per la quale la scrittrice indo-americana ha attualmente intrapreso un nuovo percorso creativo in italiano. Il vuoto linguistico e culturale che Lahiri esperisce sembra richiamare l’idea di ‘pura lingua’7 (reine Sprache) che, nelle parole di Walter Benjamin, è un’illusione poiché, come osserva Bill Ashcroft, “what is one’s own language is the most displaced, the most alienated of all”8. In mancanza di una lingua pura, esistente a priori rispetto alle intenzioni comunicative, la scrittura, secondo Benjamin, si configura come traduzione di una intentio originale e, nel caso di scrittori che come Lahiri vivono in una condizione di contatto interlinguistico, la lingua svolge una funzione di traslazione che Ashcroft definisce “metonymic of cultural difference”9. Attraverso il ricorso a strategie quali il code-switching e l’impiego di parole nelle proprie lingue di origine, al fine di recuperare situazioni e concetti ignoti al lettore, gli scrittori transnazionali mettono in atto una strategia che Simona Bertacco chiama “testualità della traduzione”10, finalizzata a preservare un mondo lontano che rischierebbe di andare definitivamente smarrito.
Come sostiene Benjamin, tradurre non significa generare una copia fedele all’originale e tale rinnovamento rappresenta, nelle mie intenzioni, un punto di partenza nello studio dell’opera di Jhumpa Lahiri. La traduzione in tedesco della prima raccolta di racconti, Interpreter
of Maladies, è stata resa con Melancholie der Ankunft11 (‘la malinconia dell’arrivo’). La scelta traduttiva, l’unica a mia conoscenza in Europa a non riprodurre l’equivalente del titolo inglese nella lingua d’arrivo, si può forse collegare agli effetti psicologici che scaturiscono dal ricordo nostalgico del passato e dalle tensioni che gli immigrati vivono a causa dell’inserimento
7 W. BENJAMIN, ‘Il compito del traduttore’, in ID., Angelus Novus. Saggi e frammenti, (traduzione e introduzione di
R. Solmi), Torino, Einaudi, 1962, p. 44. Nel suo celebre saggio, Benjamin riflette sulla funzione del traduttore. Nella sua ottica, la traduzione svela e rende libera l’intentio, ossia la “pura lingua”. Quello della purezza linguistica è un aspetto saliente sul quale si ritornerà nella mia analisi dato che la stessa Jhumpa Lahiri si è occupata di traduzione: cfr. J. LAHIRI, ‘Intimate Alienation: Immigrant Fiction and Translation’, in R. B. NAIR (ed.), Translation, Text and Theory: The Paradigm of India, New Delhi and London, Sage Publications, 2002, pp. 113-120. Il
ruolo del traduttore (interprete e/o mediatore linguistico-culturale) è, inoltre, una figura centrale nella produzione letteraria dell’autrice. In tal senso, il personaggio di Mr. Kapasi, nel racconto ‘Interpreter of Maladies’, è sicuramente il caso più emblematico.
8 B. ASHCROFT, ‘Bridging the Silence: Inner Translation and the Metonymic Gap’, in S. BERTACCO (ed.), Language
and Translation in Postcolonial Literatures: Monolingual Contexts, Translational Texts, New York, Routledge, 2014, p. 21.
9 Ivi, p. 22.
10 S. BERTACCO, ‘The “Gift” of Translation to Postcolonial Literatures’, in EAD.(ed.), Language and Translation in
Postcolonial Literatures: Monolingual Contexts, Translational Texts, cit., p. 72.
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problematico nel contesto sociale statunitense. I ‘malanni’12 della raccolta vincitrice del Pulitzer per la narrativa nel 2000 nascono dal disagio del ricordo e dalla (frequente) impossibilità di metabolizzare la perdita che i migranti si portano dietro negli Stati Uniti.
Per Lahiri, la malinconia non è soltanto una prerogativa della condizione diasporica di coloro che vivono sospesi tra due mondi e due culture. Come sottolinea Delphine Munos13, la scrittrice, nel breve componimento ‘Voices: “The Melancholy, Echoing Call of a Bird”’14, dà voce a una sensibilità malinconica che prescinde dalla condizione dell’esule e/o del migrante. Dietro la descrizione evocativa e allusiva di una tortora, Lahiri elabora il motivo dell’immaginazione, coniugando assenza e astrazione come fonti di piacere estetico. Questa condizione di disorientamento, che infrange la barriera tra realtà e sogno, sembra rievocare la dialettica tra dimensione onirica e reale in Ode to a Nightingale15 di John Keats. Tuttavia, in Lahiri, questa eco rimanda a un senso di insoddisfazione e mancanza che trova sublimazione nel paesaggio circostante, soprattutto in quello naturale e nei suoi suoni allusivi ed evocativi.
Il fine della tesi non è quello di esplorare il corpus di Jhumpa Lahiri nel suo complesso, né è possibile indagare come malinconia e nostalgia abbiano da sempre caratterizzato la letteratura della diaspora indiana che è connotata dai concetti di perdita, alienazione, diaspora e desiderio di appartenenza16. Benché all’interno del panorama etnico statunitense i sud-asiatici
12 Il riferimento è alla traduzione italiana della raccolta: J.LAHIRI, L’interprete dei malanni, (traduzione di C. Tarolo),
Parma, Guanda, 2000, [1999].
13 D. MUNOS, After Melancholia: A Reappraisal of Second-Generation Diasporic Subjectivity in the Work of Jhumpa Lahiri,
Amsterdam and New York, Editions Rodopi, 2013, p. 203. Il lavoro di Munos è l’unico, in base alle mie ricerche, a condurre uno studio dell’opera di Lahiri attraverso il prisma della malinconia e dal trauma. Lo studio, tuttavia, si limita all’analisi di ‘Hema and Kaushik’, il lungo racconto che conclude la raccolta Unaccustomed Earth.
14 J. LAHIRI, ‘Voices: “The Melancholy, Echoing Call of a Bird”’, New York Times, 19 June 2005. URL:
http://query.nytimes.com/gst/fullpage.html?res=9804E0DC153BF93AA25755C0A9639C8B63. Il breve componimento rappresenta un unicum nella scrittura di Lahiri poiché non tocca il classico tema del mondo
in-between dei migranti. Lahiri descrive i suoni che è in grado di udire dal suo appartamento di Manhattan, in modo
particolare il triste (melancholy è l’aggettivo usato dalla scrittrice) canto di una tortora luttuosa (mourning dove). Durante una passeggiata nel giardino botanico di Brooklyn, in compagnia di un amico ornitologo, la scrittrice scopre che l’uccello in questione non è il grazioso animale che aveva immaginato. L’amara scoperta suscita una forte insoddisfazione, intensificata dal fatto che questo esemplare di uccello non emette alcun canto dolce.
15 J.KEATS, Selected Poems, London, Penguin, 1999. Il riferimento a Keats, autore anche della celebre Ode on
Melancholy, è importante in relazione alla scrittura di Lahiri. Nella trilogia ‘Hema e Kaushik’, infatti, i due
protagonisti visitano la residenza romana che Keats condivise con Shelley a Piazza di Spagna e la tomba del poeta romantico nel cimitero acattolico di Roma.
16 Nel suo studio sulla neo diaspora indiana, Vijay Mishra elabora il concetto di diasporic imaginary. Facendo leva
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costituiscano un esempio di model minority, i migranti di origine indiana patiscono di forme, seppur non estreme, di razzismo. Attraverso risultati prestigiosi nella sfera lavorativa, l’alto valore che viene conferito all’unità familiare, l’interesse ad accrescere il capitale umano, e elevati standard in termini di istruzione, i migranti di origine indiana cercano di colmare il divario che li separa dai cittadini americani bianchi e riscattarsi dalla condizione di brown folk17.
A differenza dell’approccio di impronta sociologica e culturale con cui la letteratura sud-asiatica è stata generalmente analizzata, il mio studio interpreta le questioni di etnia, genere,
status sociale, e colonialismo come costruzioni umane nella stessa misura in cui lo sono
“formal conventions, literary devices, genre particularities, and figurative language”18, aspetti spesso messi da parte in rapporto agli scrittori di origine sud-asiatica. La dimensione estetico-letteraria non è mai avulsa dai fenomeni storici, economici e culturali in cui è iscritta, ma il suo valore è stato spesso messo in secondo piano anche in relazione alla narrativa di Lahiri, come osservano Heinze e Liebregts19. La mia indagine, pertanto, parte dall’analisi estetico-letteraria e valuta in che misura le scelte stilistiche condizionano gli aspetti di natura materiale e sociale.
Nell’estetica letteraria di Lahiri la malinconia e la nostalgia si trasformano in strumenti quotidiani di sopravvivenza che agevolano la creazione di un’identità positiva, attribuendo alla scrittura una funzione terapeutica di compensazione della perdita. Condividendo il senso di smarrimento e alienazione con soggetti al di fuori del perimetro etnico indiano e sulla scorta degli scontri inter-generazionali, la malinconia, come sottolinea Anne Cheng, diventa un
vivono in tale condizione di spaesamento siano portatori di un sentimento di impossible mourning: cfr. V. MISHRA,
The Literature of the Indian Diaspora: Theorizing the Diasporic Imaginary, New York, Routledge, 2007.
17 Sullo status dei migranti di origine indiana (e più in generale sud-asiatica) negli Stati Uniti è stata redatta
recentemente un’importante indagine dal parte del PEW Research Centre. Dai dati statistici raccolti emerge che i cittadini americani di origine sud-asiatica (indiani, filippini, cinesi, giapponesi, vietnamiti e coreani) rappresentano “the highest-income, best-educated and fastest-growing racial group in the United States”: cfr. PEWRESEARCH
CENTRE,‘The Rise of Asian Americans’, 19 June 2012. URL:
http://www.pewsocialtrends.org/2012/06/19/the-rise-of-asian-americans/.
18 S. LEE, ‘Introduction: The Aesthetics in Asian American Literary Discourse’, in R.G.DAVIS,S. LEE (eds),
Literary Gestures: The Aesthetic in Asian American Writing, Temple, Temple University Press, 2006, p. 3.
19 Cfr. R. HEINZE, ‘A Diasporic Overcoat?’, Journal of Postcolonial Writing, Vol. 43, N. 2, 2007, pp. 191-202; P.
LIEBREGTS, ‘A Diasporic Subject or an Overcoat of Many Colours?: A Reading of Jhumpa Lahiri’s The Namesake’, in K. SEN, R. ROY (eds), Writing India Anew: Indian English Fiction 2000-2010, Amsterdam, Amsterdam
University Press, 2013, pp. 231-245. Entrambi i contributi offrono un’analisi di The Namesake oltre la lente della diaspora. Liebregts legge il romanzo come esemplificativo del “modernist neo-realism” che caratterizzerebbe la narrativa contemporanea in lingua inglese. Cfr. capitolo 3, paragrafo 3.
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mezzo per rafforzare piuttosto che corrodere il senso di identità20. Inoltre, mentre malinconia e nostalgia tendono a cristallizzare il senso di perdita in una temporalità sospesa, la narrazione, sviluppandosi sul piano temporale, rende la perdita trasmissibile21. Se narrare significa esplorare il mondo interiore e esteriore, la narrativa è per definizione anti-malinconica poiché infrange la sospensione temporale che è prerogativa del temperamento nostalgico e malinconico. Come la stessa Lahiri afferma nell’epigrafe alla mia introduzione, la scrittura narra i momenti di trasformazione, le metamorfosi di chi vive in transito, attestandosi come modalità “of undergoing one mutation after another”22. Le metamorfosi che Lahiri descrive implicano la sofferenza e la vulnerabilità provocate dai mutamenti, ma anche la resilienza e la possibilità di instaurare nuove forme di contatto.
Questa dialettica si articola a contatto con il paesaggio naturale che fa da correlativo oggettivo, veicolando sia la sensibilità malinconica che il suo superamento. Attribuendo al paesaggio la voce malinconica e nostalgica dell’esule, Lahiri elabora un’estetica critica dei concetti stessi di malinconia e nostalgia, facendo degli eventi ordinari che caratterizzano le sue pagine uno smooth space23 capace di scardinare le coordinate spazio-temporali. La scrittura si configura come luogo d’interazione tra identità che rivendicano una propria condizione nomadica e globale all’interno di un modello transnazionale che ingloba l’utopica libertà dai confini geopolitici e una sensibilità etica ed ecocritica in armonia con l’ambiente circostante24.
20 Cfr. A. CHENG, The Melancholy of Race: Psychoanalysis, Assimilation and Hidden Grief (Race and American Culture),
Oxford, Oxford University Press, 2001, p. 8.
21 R. LUCKHURST, The Trauma Question, London, Routledge, 2008, p. 80.
22 J. LAHIRI, ‘Teach Yourself Italian’, The New Yorker, 7 December 2015. URL:
http://www.newyorker.com/magazine/2015/12/07/teach-yourself-italian. Il brano contiene una riflessione sull’esperienza vissuta in Italia e sul senso che la scrittura riveste nella vita della scrittrice. Il testo è stato scritto in italiano e tradotto da Ann Goldstein, che ha anche tradotto il primo libro italiano di Lahiri, In altre parole.
23 I concetti espace lisse e espace strié sono stati elaborati dagli studiosi francesi Gill Deleuze e Félix Guattari: cfr. G.
DELEUZE, F. GUATTARI, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, (traduzione di G. Passerone), Roma, Castelvecchi
Editore, 2015, [1980]. Benché la distinzione tra lisse e strié non sia così netta, il primo concetto indica lo spazio del movimento nomadico, mentre il secondo denota la condizione sedentaria dell’uomo moderno. Per Ashcroft, la scrittura di Lahiri disegna una geografia dello smooth space (‘spazio liscio’) che lo studioso australiano associa allo spazio del ‘transnazionale’, mentre con striated space (‘spazio striato’) egli indica la dimensione delle istituzioni e dei confini nazionali: cfr. B. ASHCROFT, ‘Transnation’, in J. WILSON ET AL. (eds), Re-routing the Postcolonial: New Directions for the New Millennium, Abingdon, Routledge, 2010, pp. 72-85. Il mare, ad esempio, è un classico caso di smooth space e in Lahiri l’elemento equoreo è spesso un modo di articolazione della sensibilità transnazionale.
24 Il riferimento è alla nozione di cittadinanza ecocritica mondiale (environmental world citizenship), formulata da
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La tesi si divide in due parti. La prima parte è di stampo teorico e mira a fornire le coordinate di base sui nuclei tematici e gli approcci critici presi in esame. Interamente dedicato alla definizione di malinconia e nostalgia, il primo capitolo sintetizza gli approcci dei principali studiosi dei due concetti, da Walter Benjamin a Sigmund Freud, da Jean Starobinski a Svetlana Boym, e traccia le possibili linee di intersezione tra i due stati emotivi, soprattutto in relazione alla condizione del migrante. In relazione a quest’ultimo tema, si descrive e discute il concetto di racial melancholia, partendo dalla definizione di Anne Cheng e arrivando a quella proposta, in ambito specificatamente sud-asiatico, da David L. Eng e David Kazanjian. Il secondo capitolo delinea, invece, una breve genealogia dei trauma studies, che si configurano come approccio critico-letterario di convergenza tra malinconia, nostalgia e studi postcoloniali. In particolare, vengono presentati i tratti distintivi della trauma fiction, così come teorizzati da Anne Whitehead, Geoffrey Hartman e Gert Buelens, enfatizzando, da un lato, l’elemento paesaggistico nell’estetica del green postcolonialism, e dall’altro lato, l’intertestualità (con i richiami e le riscritture che Lahiri trae da Nikolaj Gogol’, Nathaniel Hawthorne, William Trevor e Thomas Hardy), intesa come un ponte di mediazione tra l’etnico e l’universale.
La seconda parte illumina gli aspetti descritti nei primi due capitoli attraverso l’analisi della narrativa di Jhumpa Lahiri. Il terzo capitolo analizza i racconti di Interpreter of Maladies (1999) e il romanzo The Namesake (2003), originariamente un racconto lungo25. Nei testi emerge il carattere fortemente nostalgico degli immigrati di prima generazione per i quali un senso di ‘casa’ rimane presente nonostante essi siano soggetti smarriti in una nuova terra. Facendo ricorso a uno stile realistico con tratti moderni26, che in parte rimanda al XIX secolo e al concetto del ‘tipico’ di Lukács, Lahiri sviluppa percorsi di diasporic intimacy sospesi tra
communities’ of both human and nonhuman kinds”: U. HEISE, Sense of Place and Sense of Planet: The Environmental Imagination of the Global, New York, Oxford University Press, 2008, p. 61.
25 Il romanzo nasce come racconto, dal titolo ‘Gogol’, pubblicato su The New Yorker nel 2003: cfr. J. LAHIRI,
‘Gogol’, The New Yorker, 16 June 2003. URL: http://www.newyorker.com/magazine/2003/06/16/gogol.
26 Sulla scia della posizione di Liebregts sul realismo in Lahiri, Min H. Song sostiene che The Namesake risente di
influenze di matrice postmoderna. Nonostante il ricorso a uno “scrupulous realism” e pur non presentando le caratteristiche della narrativa postmoderna (incertezza ontologica, pastiche, parodia e metatestualità), il romanzo di Lahiri “maintains a strong interest in the narrative doubling of thought back onto itself”: M. H. SONG, ‘The
Children of 1965: Allegory, Postmodernism, and Jhumpa Lahiri’s The Namesake’, Twentieth Century Literature, Vol. 53, N. 3, 2007, pp. 349-350.
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bisogno di radicamento e timori di appartenenza. Accanto a forme di realismo narrativo, strategie off-modern, e riflessività critica postmoderna, il capitolo traccia le linee di un nostalgico recupero della memoria, soprattutto attraverso la metafora del cibo, come percorso di superamento del sentimento nostalgico in direzione transnazionale.
Nel quarto capitolo si esaminano la malinconia e la memoria/amnesia nei racconti di
Unaccustomed Earth (2008), al fine di far emergere lo stato di smarrimento e perdita che segna in
particolare le seconde generazioni che, rispetto alle prime, sembrano vivere una condizione di perenne alienazione. Come il titolo stesso suggerisce, il paesaggio ― il suolo, il mare, la
wilderness e l’acqua in particolare ― assume un significato centrale. I racconti, il cui titolo
rimanda a Hawthorne, sono analizzati attraverso l’intreccio tra insiduous trauma, filial gothic e anamorfosi. Lahiri combina alcuni motivi cari all’estetica del gotico (l’eredità, intesa sul piano fisico e piscologico, e la transplantation, letta come metafora delle mutazioni umane e botaniche) con motivi geocritici. Il finale apocalittico del romanzo breve che conclude la raccolta allude alla crisi ecologica che informa in modo importante The Lowland.
Al quinto capitolo è delegata l’indagine della environmental imagination come strategia capace di ribaltare l’impasse malinconica che attanaglia The Lowland (2013). Il più postcoloniale dei testi di Lahiri, per i riferimenti alla vicenda naxalita, The Lowland mostra come la malinconia non si manifesti solo come vulnerabilità umana e naturale, ma anche come resilienza in grado di colmare il senso di vuoto e promuovere la collocazione in una terra ‘nuova’, fatta di legami rizomatici27 con le proprie origini. Il capitolo indaga in particolare l’asse spazio-temporale del romanzo tramite il prisma della trauma fiction e del green postcolonialism.
La tesi si conclude con un breve resoconto finale in cui vengono tracciate le linee emerse dall’indagine sulla natura transnazionale dell’opera di Lahiri, in cui vulnerabilità e resilienza veicolano il valore compensativo e rigenerativo della scrittura. In appendice, infine, sono state raccolte alcune immagini a cui si fa riferimento nella tesi.
27 L’immagine del rizoma ricorre nel romanzo e diventa un ulteriore elemento geocritico che rimanda alla poétique
de la relation di Glissant e agli studi sulla nomadologia di Deleuze e Guattari: cfr. É. GLISSANT, Poétique de la relation, Paris, Gallimard, 1990.
9 CAPITOLO PRIMO
Malinconia e nostalgia: definizioni e sovrapposizioni
[...] but it is a melancholy of my own, compounded of many simples, extracted from many objects, and indeed the sundry contemplation of my travels, which, by often rumination, wraps me in a most humorous sadness. William Shakespeare, As You Like It, IV, I
1.1 Definire la malinconia tra patologia e ingegno.
Il filo che unisce i vari argomenti della tesi è quello che collega i concetti di malinconia e nostalgia in relazione alla produzione narrativa di Jhumpa Lahiri. I due ‘sentieri’ che si intende percorrere, quello della malinconia e della nostalgia, presentano differenze e convergenze che si fondano sul comune denominatore di un traumatico senso di perdita. Una simile condizione dolorosa, nel caso di Lahiri, si traduce nella mancanza di un’identità stabile, poiché la scrittrice stessa si considera sprovvista di una lingua materna e di una madrepatria di riferimento.
La malinconia ha storicamente attraversato le arti e, nel corso dei secoli, è stata concepita e interpretata in maniera eterogenea1. Essa emerge da una condizione di nostalgia nei confronti di un passato ritenuto edenico2 che, secondo il modello medico formulato da Ippocrate di Coo e da Galeno, genera uno sbilanciamento nell’equilibrio dei quattro umori (bile nera, bile gialla, flemma, e sangue). Nel caso della malinconia, lo sbilanciamento umorale risulta in un aumento di secrezione di bile nera. Questo modello interpretativo riflette
1 Sull’evoluzione del concetto di malinconia si veda il volume a cura di Jennifer Ridden, The Nature of Melancholy:
From Aristotle to Kristeva, Oxford, Oxford University Press, 2000. Per una breve esplorazione della malinconia
nella letteratura inglese, si veda l’introduzione di Middeke e Wald, ‘Melancholia as a Sense of Loss: An Introduction’, in The Literature of Melancholia: Early Modern to Postmodern, New York, Palgrave MacMillan, 2011, pp. 1-22.
2 Secondo Christina Cavendon, il Rinascimento, il Romanticismo e la tarda Modernità sono i periodi storici più
intensamente attraversati dal sentimento malinconico poiché “the predominant position of melancholia during these times is related to a strong critique of a perceived ‘modernity’ or expressive of anxieties felt regarding the vagaries of modern life”: C. CAVENDON, Cultural Melancholia: US Trauma Discourse Before and After 9/11,
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l’etimologia del termine in quanto ‘malinconia’ letteralmente significa ‘bile nera’ (dal greco μελαγχολία, composto di μέλας, ‘nero’, e χολή, ‘bile’).
Durante il Rinascimento, studiosi come Marsilio Ficino e successivamente Robert Burton3, si sono appropriati del termine, adattandone il significato in relazione ai propri tempi. Facendo riferimento a idee di ispirazione classica4, Ficino attribuiva alla malinconia il tratto distintivo del genio rinascimentale, una lettura in chiave neoplatonica che conferiva un valore determinante a coloro che erano nati sotto l’influsso di Saturno5, il pianeta che simboleggerebbe la contemplazione superiore e favorirebbe lo sviluppo di un’energia creativa6. La sofferenza legata alla malinconia era, dunque, associata a idee di grandezza e profondità di riflessione, un connubio che trovò spazio nella rappresentazione iconica dell’arte rinascimentale. Una simile sensibilità, infatti, ha trovato una chiara configurazione nelle arti figurative, come emerge dall’incisione Melencolia I (1514) di Albert Dürer (figura 1) e dal dipinto Die Melancholie (1532) di Lucas Cranach (figura 2). In ambito letterario inglese, il clima di acedia misto a contemplazione estatica riecheggia nei versi de Il Penseroso di John Milton (1645-46), una visione malinconica che il poeta conclude sostenendo: “these pleasures, Melancholy give, And I with thee will choose to live”7.
3 Cfr. M. FICINO, Sulla vita, Milano, Rusconi, 1965, [1489]; R. BURTON, L’anatomia della malinconia, (introduzione
di J. Starobinski; traduzione di G. Franci), Venezia, Marsilio, 1994, [1621].
4 Secondo Radden, Aristotele può essere ritenuto il padre del discorso teorico sulla malinconia, benché alcuni
studiosi considerino le parole contenute in Problemata di matrice pseudo-aristotelica. In Problemata, la malinconia è concepita come indice di genialità sul piano politico e culturale più che come mero disturbo patologico: “Why is it that all men who have become outstanding in philosophy, statesmanship, poetry or the arts are melancholic, and some to such an extent that they are infected by the diseases arising from black bile?”: la citazione è contenuta in J. RADDEN (ed.), The Nature of Melancholy: From Aristotle to Kristeva, cit., p. 57.
5 Come sostiene Pietro Citati, “[i]l dio Saturno era un astro. Siccome era il pianeta più alto, dominava il sistema
solare: ma era anche freddo, sinistro, bianco ed enigmatico; detestava gli esseri umani e mandava sulla terra una luce debolissima e fioca, suscitando la neve ed il ghiaccio. Nei corpi umani, Saturno esercitava il suo influsso sulla milza, dove si raccolgono gli umori della ‘bile nera’: la melanconia”. L’estratto di Citati è tratto da una recensione della mostra Mélancolie, génie et folie en Occident, curata da Jean Clair a Parigi nel 2005, che presentava una serie di opere da Dürer a De Chirico: P. CITATI, ‘La mostra sulla malinconia. Il vero carcere dell’anima’, la Repubblica, 15
Ottobre, 2005. URL: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/10/15/la-mostra-sulla-melanconia-il-vero-carcere.html.
6 Secondo Klibansky, Ficinio distingue fra tre forme diverse di temperamento malinconico. In De vita triplici, il
filosofo toscano esplora la melancholia naturalis, che considera una predisposizione alla malinconia di matrice ereditaria; la melancholia adusta (adusta corrisponde a ‘nera’, ‘arsa’), che genera acedia; e la melancholia generosa, che si manifesta come esaltazione saturnina di un spirito intellettivo geniale: R. KLIBANSKY, E. PANOFSKY, F. SAXL, Saturn and Melancholy: Studies in the History of Natural Philosophy, Religion and Art, Nendelen, Kraus Reprint, 1979,
[1964], pp. 255-274.
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Burton, che fu influenzato dallo stesso Ficino, studiò la malinconia in un’ottica più medica che filosofica. L’Anatomy of Melancholy (1621) è un trattato che esamina la patologia descrivendone i sintomi e fornendone i rimedi, con uno stile imbevuto di erudizione e riferimenti tratti dall’ambito politico, medico e filosofico del tempo8. Secondo Juliana Schiesari, il Rinascimento ha trasformato la malattia dell’animo in una “elite male affliction”9, tipica del genio maschile. Relegando nel dimenticatoio il genere femminile, Schiesari ritiene che il Rinascimento abbia veicolato un processo di gendering che conoscerà una ulteriore evoluzione nel corso del Romanticismo. Se nel XVII secolo la malinconia assume importanza soprattutto sulla scia degli studi in ambito medico, che condussero alla formulazione del concetto di depressione come sinonimo della malinconia, in ambito romantico, il poeta rappresenta colui che è in grado di calarsi nella realtà in maniera privilegiata e di comprenderla in modo esclusivo, anche a discapito dell’isolamento dal resto della società. È nella reclusione intima che il poeta romantico trova una sua consolazione e l’Ode on Melancholy di John Keats è la dimostrazione di come piacere e dolore coesistano10 e di quanto l’esperienza estetica diventi il luogo in cui ricercare un riparo dalla malinconia. Il poeta nuovo, Baudelaire ad esempio, è malinconico nella misura in cui si fa interprete della modernità nel suo valore di catastrophe in
permanence11, un’immagine che, secondo Andrew Gibson, è alla base di quella sensibilità moderna che l’Angelus Novus (1920) di Paul Klee (figura 3) rappresenta fedelmente sul piano iconografico, con lo sguardo che abbraccia il passato e il futuro, l’oblio e la ricostruzione12. Come l’angelo di Klee risiede sulla soglia, tra il passato che non riesce a cancellare in modo
8 Wolf Lepenies analizza l’opera di Burton in chiave sociologica, sostenendo che la concezione malinconica in
Burton corrisponde a un male da riformare e combattere al fine di stabilire un progetto utopico contraddistinto dall’ordine: cfr. W. LEPENIES, Melanconia e società, (traduzione di F. P. Porzio), Napoli, Guida Editori, 1985,
[1969], pp. 16-32.
9 J. SCHIESARI, The Gendering of Melancholia: Feminism, Psychoanalysis and the Symbolics of Loss in Renaissance Literature,
Ithaca, Cornell University Press, 1992, p. 18. Schiesari analizza, da una prospettiva femminista, il genio malinconico maschile, partendo da Petrarca, passando per Shakespeare, Leopardi e Baudelaire, fino a Benjamin.
10 Nel 1819 Keats compose sei odi, tra cui la Ode on Melancholy, in cui il poeta scrive: “Ay, in the very temple of
Delight, / Veil’d Melancholy has her sovran shrine’: J.KEATS, Selected Poems, London, Penguin, 1999, p. 145.
11 Andrew Gibson riprende il concetto di catastrophe in permanence da Walter Benjamin: cfr. A. GIBSON, ‘Melancolia
Illa Heroica: Françoise Proust, Walter Benjamin and “Catastrophe in Permanence”’, Static, N. 7, 2008. URL:
http://static.londonconsortium.com/issue07/01_Gibson_essay.pdf.
12 Il riferimento è all’interpretazione di Walter Benjamin del quadro di Klee: W. BENJAMIN, ‘Tesi di filosofia della
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definitivo e il futuro che scorge appena con lo sguardo, così la poesia di Charles Baudelaire si fa portavoce di quella che è stata definita una dialectic at a standstill13, in cui i tentativi di evasione dalla modernità conducono alla delusione o alla distruzione14.
Con il diffondersi delle teorie evoluzionistiche di Charles Darwin, le arti e la letteratura si fanno interpreti di un graduale distacco che sfocia in un acuto senso di malinconia a cui le sperimentazioni estetiche del modernismo cercheranno di dare una risposta. Inquadrata in questa ottica, la malinconia si manifesta come condizione di profonda tristezza che scaturisce da un senso di perdita o da un’anticipazione mentale della morte, uno stato d’animo di costante “senso della fine”15 che secondo Frank Kermode caratterizza l’uomo da sempre. Come suggerisce Flatley, il temperamento malinconico diventa un paradigma culturale cruciale nel Modernismo poiché è in quel momento storico che l’uomo assume consapevolezza della propria alienazione, scaturita da una visione pessimistica della modernità: “the utopian promises of modernity put the modern subject in a precariously depressive position”16.
È nel contesto culturale del Modernismo che si inserisce l’interpretazione in chiave psicoanalitica del concetto di malinconia. In ‘Trauer und Melancholie’ (1917), Sigmund Freud trasforma il senso di perdita di un passato felice nello smarrimento di un oggetto o di una persona cara. La malinconia che si dissolve in leggerezza17, come in Jacques di As You Like It18,
13 Cfr. R. TIEDEMANN, ‘Dialectics at a Standstill: Approaches to the Passagen-Werk’, in P. OSBORNE (ed.), Walter
Benjamin: Critical Evaluations in Cultural Theory, Vol. 1, Oxon, Routledge, 2005, pp. 232-256.
14 Gibson coglie una simile sensibilità nella poesia di Alfred Tennyson: cfr. A. GIBSON, ‘“They came, They cut
Away My Tallest Pines”: Tennyson and the Melancholy of Modernity’, in M. MIDDEKE, C. WALD (eds), The Literature of Melancholia: Early Modern to Postmodern, cit., pp. 101-115.
15 Frank Kermode esplora il senso di apocalisse, che egli definisce “senso della fine” (sense of an ending), in quanto
paradigma costante dell’uomo (e della letteratura), in particolare della condizione di fine secolo: “[…] the anxiety reflected by the fin de siècle is perpetual, and people don’t wait for centuries to end before they express it”: F. KERMODE, The Sense of an Ending: Studies in the Theory of Fiction with a New Epilogue, Oxford, Oxford University
Press, 2000, [1966], p. 98.
16 J. FLATLEY, Affective Mapping: Melancholia and the Politics of Modernism, Cambridge (Massachusetts), Harvard
University Press, 2008, p. 31.
17 Nella lezione americana dedicata alla ‘leggerezza’, Italo Calvino cita i versi shakespeariani in epigrafe al mio
capitolo. Essi dimostrano, secondo Calvino, che “la malinconia è la tristezza divenuta leggera”: I. CALVINO,
Lezioni americane. Sei proposte per il nuovo millennio, Milano, Mondadori, 1993, [1988], p. 25. L’opera shakespeariana è
colma di atmosfere cupe e malinconiche, come, ad esempio, nelle canzoni di Feste, il clown in The Twelfth Night, in cui echeggiano sentimenti tristi e riflessioni amare.
18 Secondo Jean Starobinski, il personaggio di Jacques è un esempio eloquente del malcontent traveller, un’immagine
cara all’età elisabettiana in cui il temperamento nefasto è associato alla figura del viaggiatore errante: cfr. J. STAROBINSKI, L’inchiostro della malinconia, (traduzione di M. Marchetti; postfazione di F. Vidal), Torino, Einaudi,
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con Freud assume il carattere patologico di una sofferenza legata alla dimensione psichica. Nel saggio Freud ritiene che la malinconia rappresenti una risposta patologica al senso di perdita che si riflette in un conseguente impoverimento dell’io. Come il lutto, anche la malinconia ha origine dalla perdita di qualcuno o di qualcosa. Tuttavia, mentre chi è afflitto dal lutto è in grado di metabolizzare la perdita e sostituirla con qualcun’altro o qualcos’altro, il malinconico rimane sospeso in una condizione di costante depressione e insoddisfazione:
Nel lutto il mondo si è impoverito e svuotato, nella malinconia impoverito e svuotato è l’Io stesso. Il malato ci descrive il suo Io come assolutamente indegno, incapace di fare alcunché e moralmente spregevole; si rimprovera, si vilipende e si aspetta di essere respinto e punito.19
Il malinconico freudiano non è chiaramente cosciente della reale natura del senso di perdita, che si traduce in un graduale distacco dalla società, alienazione e segregazione. L’identificazione narcisistica con la fonte di tale sofferenza genera una rottura nell’identità stessa del soggetto malinconico, poiché come precisa Freud il malinconico compie un’operazione di incorporazione e “il conflitto fra l’Io e la persona amata [è trasformato] in un dissidio fra l’attività critica dell’Io e l’Io alterato dall’identificazione”20. Visto in tale ottica, il malinconico opera una scelta di tipo narcisistico che determina una scissione dell’io che, da un lato, rappresenta un oggetto di rimpianto e perdita e, dall’altro, diventa un osservatore critico (Super-io). In questo senso, il saggio di Freud può essere ritenuto una “allegory for the experience of modernity”21. Secondo Flatley, l’identificazione con questa “ombra” (l’oggetto o la persona perduta) determina non una copia, ma un’identificazione imperfetta che contraddistingue la sensibilità moderna che vive di frammenti, ricordi e rovine.
Con questo saggio risalente al 1917, Freud segna una linea di confine importante negli studi relativi alla malinconia, creando una frattura anche nella lingua inglese tra due parole che
19 S. FREUD, ‘Lutto e Malinconia’, in ID., La teoria psicoanalitica. Raccolta di scritti 1911-1938, (traduzione di C. L.
Musatti et al.), Torino, Boringhieri, 1979, [1917], p 194.
20 Ivi, p. 198.
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fino a quel periodo erano state tendenzialmente usate in maniera indistinta: melancholy e
melancholia. La prima sarà solitamente associata a condizioni ‘normali’ (tristezza come risorsa
creativa ed energia intellettuale), mentre la seconda viene ad indicare un disordine mentale patologico, in seguito etichettato come depressione22.
Le idee di Freud hanno successivamente avuto un impatto cruciale nell’ambito degli studi umanistici e filosofici. In Soleil noir, Julia Kristeva, riprendendo la tradizione rinascimentale della melancholia generosa, ha analizzato l’ingresso nella fase edipica del bambino che, avendo perduto il rapporto di intimità con la madre, sviluppa una forte tendenza narcisistica. Per Kristeva, il passaggio alla fase edipica si instaura sulla scorta di un’insufficienza dell’ego che conduce il bambino dal sémiotique al symbolique23. Un’altra studiosa che ha rielaborato la lezione freudiana per lo studio della formazione identitaria, in particolare in relazione alla questione etnica e di genere, è stata Judith Butler che in The Psychic Life ha interpretato l’identità di genere come un’attività malinconica in un contesto sociale etero-normativo. Butler afferma che la perdita della figura genitoriale dello stesso sesso, percepita come fonte di desiderio, porta a una forma di introiezione che è causa della definizione del senso di identità, un’operazione che “might be understood in part as the ‘acting out’ of unresolved grief”24. Sulla scia di un simile interesse alla formazione e allo sviluppo dell’ego, Judith Butler introduce il concetto di melanchonic turn, ossia di un “variable boundary between the psychic and the social, a boundary […] that distributes and regulates the psychic sphere in relation to prevailing norms of social regulation”25. Secondo Butler, la malinconia è un processo conflittuale il cui esito è determinato dal contesto sociale esterno, che può condurre a uno dei due possibili esiti che la studiosa americana identifica con productive melancholia e debilitating melancholia e il contesto sociale svolge un ruolo fondamentale nella costruzione identitaria degli immigrati.
22 Cfr. J. RADDEN (ed.), The Nature of Melancholy: From Aristotle to Kristeva, cit., p. 49.
23 Occorre ricordare che nel metalinguaggio di Kristeva il symbolique è la fusione tra langue e parole, “the way of
signifying that depends on language as a sign system complete with its grammar and syntax”: N. MCAFEE, Julia Kristeva, London, Routledge, 2014, p. 17. Il sémiotique, invece, è un’entità di natura extra-verbale, un’energia
corporea capace di condizionare il linguaggio stesso.
24 J. BUTLER, The Psychic Life of Power: Theories in Subjection, Stanford, Stanford University Press, 1997, p. 146. 25 Ivi, p. 56.
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Partendo dalle premesse teoriche di Freud e Butler, Anne Cheng analizza la formazione della soggettività ‘altra’ nel contesto americano contemporaneo. Assumendo la prospettiva etnica e culturale dell’immigrato di origine asiatica, Cheng vede nel migrante “a melancholic object, made neither dead nor fully alive”26. Come sottolinea ancora una volta Shakespeare, tramite Jacques, la concezione malinconica è soggettiva ed eterogenea: “it is a melancholy of mine own, compounded of many simples, extracted from many objects”27. Dal canto suo, la letteratura sud-asiatica riflette il trauma culturale di una scissione identitaria patologica. Secondo Sheng-mei Ma, essa si fonda su un movimento aereo ed etereo, sulla partenza come sradicamento delle radici, attraversamento degli oceani, e sofferenza per un ritorno spesso impossibile. Inscritta in un dinamismo che si muove tra oltre e indietro, che richiama lo sguardo dell’Angelus Novus di Klee, la letteratura sud-asiatica “is poised between future possibilities and past recollections, equally ethereal and intangible”28. I migranti, soprattutto le seconde generazioni, soffrono l’esperienza della migrazione e i conflitti dell’assimilazione. La loro condizione di cittadini ‘alieni’, di seconda classe, stigmatizzati e incompresi, si riflette nei dilemmi etici e individuali che caratterizzano anche la scrittura di Jhumpa Lahiri. La sua rappresentazione letteraria, come si cercherà di far emergere in questa tesi, non è solo una presa di coscienza, un’elaborazione della sofferenza da cui la malinconia scaturisce. Al contrario, la malinconia assolve anche al compito di compensare in modo terapeutico la crisi identitaria da cui il soggetto migrante è investito. Il personaggio di Bijoli, in The Lowland, è probabilmente il più malinconico in chiave freudiana, nella sua incapacità di accettazione del dolore e nella ritualità di azioni reiterate e cristallizzate nel tempo e nello spazio29. Ma è
26 A. CHENG, ‘The Melancholy of Race’, The Kenyon Review, Vol. 19, N. 1, 1997, p. 51.
27 W. SHAKESPEARE, As You Like It, (edited by J. Dusinberre), London, Arden Shakespeare, 2006, [1623], p. 303. 28 S. MA, Diaspora Literature and Visual Culture: Asia in Flight, Oxon, Routledge, 2011, p. 3. Nella scrittura di Lahiri,
ad esempio, la dimensione aerea è rappresentata dal lettera in cui la nonna di Ashima, nel romanzo The Namesake, ha indicato il nome da dare al nascituro Gogol, una missiva che non raggiungerà mai gli Stati Uniti, rimanendo sospesa e intrappolata nel traffico aereo tra Calcutta e il Rhode Island.
29 Bijoli è dunque una figura rappresentativa di quella politics of melancholia che, secondo Jahan Ramazani,
sovrappone il modello del trauma agli studi sulla malinconia, interpretando quest’ultima come testimonianza fedele alle perdite subite in seguito ad eventi traumatici e a specifiche esperienze di dolore: cfr. J. RAMAZANI, Poetry of Mourning: The Modern Elegy from Hardy to Heaney, Chicago, Chicago University Press, 1994.
16
soprattutto attraverso le seconde generazioni30 (si pensi a Gogol in The Namesake e a Bela in The Lowland), che vivono il senso della perdita più intensamente, che Lahiri trasforma la
vulnerabilità malinconica in un mezzo che favorisce relazionalità e comunicazione, soprattutto in rapporto allo spazio geografico circostante.
1.2 Per una definizione di nostalgia: due modelli a confronto.
Nella sua versione originaria, risalente al XVII secolo, la nostalgia era considerata una malattia fisica più che mentale, in quanto ritenuta una variante della malinconia generata dall’assenza di un’idea definita di ‘casa’. Secondo Jean Starobinski, quando la nostalgia fu trasformata da condizione patologica a elemento estetico, essa si configurò come desiderio lacerante di recupero di un passato perduto, un aspetto caro alla poesia romantica dato che la nostalgia dava voce a “the romantic common places with which the alienated members of the romantic middle-class were preoccupied”31.
La parola nostalgia deriva da due radici greche: νόστος (‘ritorno’) e άλγος (‘dolore’). Il termine fu coniato dal medico svizzero Johannes Hofer che, nella sua ‘Dissertatio medica de nostalgia’ (1688), diagnosticò questa patologia per descrivere il desiderium patriae, lo stato di spaesamento dei soldati svizzeri in servizio presso gli eserciti degli altri stati europei32. I sintomi di questa ossessione del ritorno a casa producevano, secondo Hofer, perdita di orientamento tra passato e presente, realtà e immaginazione, risultando in un senso di
30 In The Postcolonial Citizen: The Intellectual Migrant, Reshmi Dutt-Ballerstadt sostiene che le seconde generazioni di
Jhumpa Lahiri sono portatrici di un senso di sofferenza pungente poiché esse sono spesso messe davanti alla tragedia della morte dei propri genitori (o al timore di tale perdita). In tal senso, la morte non rappresenterebbe una cancellazione definitiva delle roots e routes del loro percorso migratorio. Al contrario, Dutt-Ballerstadt, citando Derrida, vede nella morte un segno indelebile, “an incision in the memory space”: R. DUTT-BALLERSTADT,
‘Double Displacement, Homelessness and Nomadism: Questions of Belonging in Jhumpa Lahiri’s Narratives’, in EAD. (ed.), The Postcolonial Citizen: The Intellectual Migrant, New York, Peter Lang Publishing, 2010, p. 65.
L’importanza che il motivo della morte riveste nella scrittura di Lahiri è stato analizzato anche da Mridula Nath Chakraborty che, in virtù delle sue origini bengalesi, sostiene che “[d]eath, its scene and its scope, its sting, its seasoning, becomes the locus at which immigrant life enacts its poignancy and ephemerality”: M. N. CHAKRABORTY, ‘Leaving No Remains: Death among the Bengalis in Jhumpa Lahiri’s Fiction’, South Atlantic Quarterly, Vol. 110, N. 4, 2011, p. 814.
31 J. STAROBINSKI, ‘The Idea of Nostalgia’, Diogenes, N. 54, 1966, p. 95.
32 Per Starobinski, Hofer utilizzò un nuovo termine per indagare un sentimento che in realtà in Svizzera era già
denominato Heimweh (‘dolore della patria’): J. STAROBINSKI, ‘Sulla nostalgia. La memoria tormentata’, Iride, Vol. 8,
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“indifference towards everything”33, una condizione molto simile a quella del malinconico freudiano. Il nostalgico non solo è tormentato da uno stato paranoico ma anche dal ricordo dettagliato di luoghi, odori e suoni del paradiso perduto. A conferma di quanto il desiderio del ritorno sia un topos della letteratura ottocentesca, si possono citare i romanzi di Walter Scott, per il richiamo evocativo al paesaggio delle Highlands scozzesi, o quelli di Jane Austen. Fanny Price, la protagonista di Mansfield Park (1814), ad esempio, vive un simile stato di “yearning for home”34, benché il suo spaesamento non implichi l’attraversamento dei confini nazionali. L’interesse della letteratura romantica per l’io assume le forme di un’esplorazione della storia e della memoria che fa leva sui ricordi personali. Quando William Wordsworth scrive che “all good poetry […] takes its origin from emotion recollected in tranquillity”35, il poeta romantico formula un’estetica letteraria fondata sul potere evocativo delle emozioni e dei ricordi. Questa forma di hypochondria of the heart condivide alcuni punti di contatto con la malinconia, come vedremo nel paragrafo seguente. Secondo Svetlana Boym, la differenza tra i due stati d’animo risiede nel fatto che mentre la malinconia si colloca nel perimetro della dimensione soggettiva e personale, la nostalgia connette il soggetto alla memoria di una comunità intera36.
Tuttavia, se nel XVII secolo alcuni rimedi erano ritenuti curativi dallo stesso Hofer (il ritorno fisico sulle Alpi per i soldati svizzeri oppure il ricorso terapeutico alla sanguisuga e all’oppio per coloro che soffrivano di desiderium patriae), la modernità ha trasformato la maladie
du pays37 in una malattia incurabile, in una strategia di difesa contro la frantumazione dei confini nel villaggio globale. La nostalgia diventa così uno strumento per porre un freno al
33 J. HOFER, Dissertatio medica de nostalgia (Basel, 1688), citato in S. BOYM, The Future of Nostalgia, New York, Base
Books, 2001, p. 3.
34 K. SUTHERLAND, ‘Introduction’, in J. AUSTEN, Mansfield Park, (edited by K. Sutherland), London, Penguin,
2014, [1814], p. xiii.
35 W. WORDSWORTH, S. T. COLERIDGE, Lyrical Ballads, (edited by R. L. Brett and A. R. Jones), London, Barnes
and Noble, 1965, [1802], p. 251.
36 A conferma di questa posizione, Boym suggerisce che la nascita dei musei durante il XIX secolo rappresenti un
esempio di istituzionalizzazione della nostalgia. Questi luoghi, infatti, sarebbero in grado di replicare e riprodurre un desiderio non più vincolato alla sola immaginazione umana. Boym definisce la nostalgia “a European disease”, mentre negli Stati Uniti e in Russia, a causa della mancanza di un patrimonio storico simile a quello europeo, il temperamento nostalgico non avrebbe trovato terreno fertile per la sua diffusione: cfr. S. BOYM, The Future of Nostalgia, cit., p. 17.
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passo accelerato della globalizzazione, ponendosi sullo spazio liminale tra passato e presente, ricordo e amnesia, in un movimento off-modern che con le parole di Boym “invites us to explore lateral moves, zigzags, conjectural histories and paradoxes of homecoming”38. Rispetto alle tendenze amnesiche delle avanguardie e degli scrittori modernisti nei confronti del passato, la riflessione sulla nostalgia della fine del XX secolo esplora in modo critico le contraddizioni della modernità. Tra gli scrittori off-modern Boym annovera Milan Kundera, Vladimir Nabokov e Julio Cortázar, in quanto esuli che non hanno fatto mai ritorno alle proprie terre di origine. Tuttavia, la categoria comprende anche autori che non si sono mai allontanati dal luogo natio e che fanno dell’esilio il tema dominante, come nel caso di Jhumpa Lahiri, la cui narrativa esplorando “the hybrids of past and present”39, coniuga il desiderio con la riflessione, il senso di spaesamento con il bisogno di appartenenza.
Nel loro procedere erratico e irregolare, e in virtù della sovrapposizione linguistica che ne scaturisce40, gli scrittori off-modern usano il motivo della nostalgia “to interweave imagination, longing and memory”41, non solo al fine di cristallizzare il senso di perdita della patria, ma anche per condividere valori etici che tale perdita comporta. L’off-modern, pertanto, mette in scena lo scarto tra presente e passato, lo smarrimento dei punti di riferimento e il senso di alienazione che emerge nei contrasti inter-generazionali. Nella sua alternanza tra
38 S. BOYM, ‘Off-Modern Homecoming in Art and Theory’, in M. HIRSCH, N. K. MILLER (eds), Rites of Return:
Diaspora Poetics and the Politics of Memory, New York, Columbia University Press, 2001, p. 152. Boym ha introdotto
il concetto off-modern in The Future of Nostalgia, in cui analizza i vari significati dell’avverbio off nella lingua inglese, tra cui: “’aside’ and ‘off-stage’, ‘extending and branching far from’, ‘somewhat crazy and eccentric’ (off-kilter), ‘absent or away from work or duty’”: S. BOYM, The Future of Nostalgia, cit., p. 30. L’off-modern da un punto di vista letterario offre una riflessione critica sulla condizione moderna che tocca anche la nostalgia in quanto per Boym essa si configura come strategia di sopravvivenza per gli scrittori esiliati. In questa versione della modernità, affetto e riflessione non si escludono ma si illuminano a vicenda in un atteggiamento di nostalgic dissidence nei confronti dell’impossibilità di recuperare a pieno il passato. Più che ‘post-moderno’ o ‘anti-moderno’, l’approccio proposto da Boym è ‘amoderno’, ossia un progetto critico della modernità, vissuta non come esaltazione del progresso o recupero fedele della tradizione, ma come sovrapposizione e coesistenza di tempi eterogenei.
39 S. BOYM, The Future of Nostalgia, cit., p. 30.
40 Un approccio in chiave semiotica del senso di frantumazione linguistica del malinconico è stato condotto da
Julia Kristeva in Soleil noir. Secondo Kristeva, il malinconico, nella sua vena nostalgica, articola segni linguistici vuoti e indefiniti e fa ricorso a forme di incorporazione (incorporation) che trattengono il dolore nel proprio ego come in una “‘crypte’ de l’affect indicible”. Kristeva osserva che “le mélancolique est comme un étranger dans sa langue maternelle. Il a perdu le sens – la valeur – de sa langue maternelle, faute de perdre sa mère”: J. KRISTEVA, Soleil noir. Dépression et mélancolie, Paris, Gallimard, 1987, p. 64. La dicotomia tra sepoltura e dissepoltura è un tema
che attraversa la scrittura di Jhumpa Lahiri come vedremo nel capitolo 4.
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forme di amnesia verso un presente che si configura come mero simulacro di un passato perduto, da un lato, e tentativo di recupero delle radici passate in chiave prolettica, dall’altro, i personaggi di Jhumpa Lahiri sembrano essere animati dai due tipi di nostalgia che Boym chiama restorative nostalgia e reflective nostalgia42.
La restorative nostalgia è una strategia difensiva tramite cui si ricostruiscono i tratti di un passato perduto. La caratteristica più evidente di questa manifestazione nostalgica è che essa “puts emphasis on nostos and proposes to rebuild a lost home and patch up the memory gaps”43. Se la nostalgia è l’articolazione della sofferenza di un distacco sull’asse temporale e spaziale, essa è anche un meccanismo per custodire i caratteri della propria identità etnica attraverso la condivisione di simboli e pratiche comuni, aspetto frequente in molti personaggi di Jhumpa Lahiri. Le istanze di questo sentimento nostalgico si traducono in una diaspora della memoria che si fonda sul recupero di suoni, odori e ricordi della propria terra di origine. Tramite questa operazione gli immigrati cercano di restaurare uno spazio di appropriazione della propria identità tra le mura domestiche americane, rendendo la ‘nuova’ casa una sorta di museo delle proprie radici etniche. Il desiderio del ritorno che anima il sentimento nostalgico è rivolto verso una destinazione ideale, senza tempo. Si tratta di un ritorno che in alcuni casi è possibile, mentre per altri rimane un desiderio sospeso, senza approdo. Nella scrittura di Lahiri questa tendenza resuscita il passato, una rievocazione che si avvale di sensazioni e associazioni involontarie che, come sottolinea James Hart, esulano da una idea di tempo precisa:
Nostalgia is not about passing time but about eras, seasons or aeons. It is not about dates but about “times” (which in actual historical fact might have been quite long or quite short) which are enshrined in a kind of atemporal (i.e., non-fleeting) dimension.44
42 Secondo Boym la restorative nostalgia opera sul piano dell’identità etnica e nazionale, mentre la reflective nostalgia su
quello personale. In Lahiri tale distinzione non emerge nella dialettica tra forme di recupero nazionale e personale. L’aspetto politico-storico resta sempre secondario rispetto alle esperienze soggettive, anche se The
Lowland allude alla Partition e al movimento maoista dei naxaliti. Tuttavia, sulla scorta del modello teorizzato da
Boym, in Lahiri è possibile distinguere una tendenza più simbolica, che fa ricorso ad una certa ritualità ufficiale (indumenti, usanze, cibo) da una meno ufficiale, legata a ricordi personali e frammenti della memoria.
43 S. BOYM, The Future of Nostalgia, cit., p. 41.
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Le narrazioni del ritorno non sempre si concretizzano in un recupero fisico del luogo di origine come nel caso del ritorno di Omero ad Itaca o come in molti esempi della narrativa vittoriana (si pensi a Jane Eyre e Tess of the d’Ubervilles negli omonimi romanzi di Charlotte Brontë e Thomas Hardy, o a Pip in Great Expectations di Charles Dickens)45. Il brain drain dall’India verso gli Stati Uniti della seconda metà del XX secolo, innescato dalla globalizzazione e dalle migliori opportunità di lavoro e di retribuzione garantite dalle politiche liberali del villaggio globale, rendono complicato il ritorno per le seconde generazioni che percepiscono il luogo d’origine come “a sort of transitional space that brings knowledge”46.
Rispetto alla funzione di restaurazione di un passato smarrito, la reflective nostalgia è una forma di riflessione sullo scorrere del tempo, più che strategia finalizzata al suo recupero: “[r]eflective nostalgia dwells in algia, in longing and loss, the imperfect process of remembrance”47. Tale tendenza nostalgica si manifesta come attitudine utopistica contrapposta sia alle forze conservatrici di restaurazione delle tradizioni locali, sia al trionfo imperante dell’idea di una moderna felicità fondata sul mito della globalizzazione e sul principio del definitivo abbattimento delle barriere geografiche. Il modello teorizzato da Boym in parte richiama il secondo dei tre ordini di nostalgia proposto dal sociologo Fred Davis. Secondo Davis, la reflexive nostalgia mette in discussione la possibilità che il passato sia da ritenere migliore del presente48. La letteratura del ritorno (o del tentativo del ritorno a casa) non solo è un mezzo di manifestazione dell’ibridazione culturale dei soggetti diasporici, ma riflette anche la posizione che essi rivestono in relazione ai concetti di luogo, nazione e cultura. Questo modo di interpretare la nostalgia fa leva, dunque, su un approccio più critico che tende a
45 In Ethics and Nostalgia in the Contemporary Novel, John J. Su vede nella nostalgia vittoriana il filtro di lettura
dell’eccessivo peso con cui il passato rischiava di minacciare la società di quel tempo. Inoltre, la nostalgia e il tema del ritorno permettevano di elaborare modelli esemplari che, per il loro fine didascalico e didattico, servivano come paradigmi da imitare: cfr. J. J. SU (ed.),Ethics and Nostalgia in the Contemporary Novel, cit., pp. 10-11.
46 M. A.OLIVER-ROTGER, ‘Introduction: Roots and Routes in American Literature about Return’, in EAD. (ed.),
Identity, Diaspora and Return in American Literature, New York, Routledge, 2015, p. 3.
47 S. BOYM, The Future of Nostalgia, cit., p. 41.
48 Nella sua indagine sociologica, Davis individua tre ordini nostalgici: simple (in cui il nostalgico è insoddisfatto
del presente e vede il passato in una luce migliore); reflexive; e interpreted (in cui le persone affette da nostalgia riflettono sui motivi per cui certi luoghi o certe situazioni favoriscono l’emergere del temperamento nostalgico): cfr. F. DAVIS, Yearning for Yesterday: A Sociology of Nostalgia, New York, The Free Press, 1979.